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Devo fare appello: come procedo?

devo presentare appello per una sentenza riguardante assegni familiari arretrati che è stata respinta per un problema di decadenza dei termini. Si tratta di un appello molto semplice: il giudice non ha tenuto conto del Decreto Legge 17/03/20 “Cura Italia” che aveva in effetti prorogato i termini decadenziali

Anche se sembra trattarsi di una materia semplice, ti consiglio comunque di seguire il metodo solito, cioè acquistare prima una consulenza per impugnazione e poi, solo in seguito, acquistare il pacchetto per fare l’appello.

Le impugnazioni sono una cosa sempre delicata e vale in ogni caso la pena studiare prima la fattibilità di un’iniziativa del genere.

Dal punto di vista economico, non ci perdi assolutamente nulla in quanto la somma che investi per la consulenza pre impugnazione ti viene poi scontata dal costo del pacchetto dell’appello, per cui, salvo particolari ragioni di urgenza, conviene sempre procedere in questo modo, anche quando le motivazioni sembrano banali.

Per maggiori dettagli, puoi vedere questa scheda.

Se credi, procedi con l’acquisto della consulenza per impugnazione. A seguito dell’acquisto, verrai contattato dalla mia assistente per concordare giorno ed ora del nostro primo appuntamento.

Se vuoi comunque maggiori chiarimenti prima di fare qualsiasi altra cosa, chiama ora lo studio al numero 059 761926 e prenota il tuo primo appuntamento, concordando giorno ed ora con la mia assistente; puoi anche acquistare direttamente da qui: in questo caso, sarà poi lei a chiamarti per concordare giorno ed ora della nostra prima riunione sul tuo caso; a questo link, puoi anche visualizzare il costo.

Naturalmente, se vivi e lavori lontano dalla sede dello studio – che è qui, a Vignola, provincia di Modena, in Emilia – questo primo appuntamento potrà tranquillamente avvenire tramite uno dei sistemi di videoconferenza disponibili, o anche tramite telefono, se lo preferisci. Ormai più della metà dei miei appuntamenti quotidiani sono videocall.

Guarda questo video per sapere meglio come funzionerebbe il lavoro con me.

Ti lascio alcuni consigli finali che, a prescindere dal problema di oggi, ti possono sempre essere utili.

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Termini scaduti: posso fare appello lo stesso?

Note dell’episodio.

Oggi rispondo ad un lettore in materia di termini per l’appello, la domanda che mi ha inviato è la seguente:

«Buongiorno, abbiamo avuto una cause in Provicia di Sondrio. Anche s’è avevamo tutte le carte corrette, perfino delle Foto il CTU mandato del giudice ha dato ragione alla controparte. E adesso dobiamo pagare più di 8500 Euro. Non troviamo giusto questa deccisione del giudice. Il termine di contestare è passato, perchè noi siamo in Svizzera e mia Mamma ed io avevamo dei problemi di salute. E io sono l’unico che guida la machina. C’è una possibilità di fare qualche cosa? Il nostro avocato dice non è più possibile, perchè abbiamo passato il termine per la contestazione.»

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Tutela legale per l’appello? Nope.

mia moglie nel 2014 aveva fatto causa al condominio per via di tabelle millesimali modificate. A ottobre 2021 la sentenza le ha dato torto e l’ha condannata alle spese per circa 6.000 €. Nel 2016, purtroppo, è deceduta e quindi ora dovrei decidere se ricorrere in appello, entro aprile 2022, visto che ci sono grosse possibilità di “rivincita”. Avevo in mente, però, di ripararmi dalle spese legali con un’assicurazione di tutela legale. Secondo lei, trattandosi di altra persona e di altro giudizio può esserci un’assicurazione pronta ad accettare il mio premio?

Mi dispiace: in nessun modo.

Il caso assicurativo è ben anteriore, non è in alcun modo possibile stipulare ora una polizza di tutela legale per un fatto del genere.

Fai molta attenzione anche a «grosse possibilità di rivincita»: è una valutazione estremamente difficile da fare anche per gli addetti ai lavori.

Nella generalità dei casi, l’appello, così come qualsiasi altra forma di impugnazione, è un tentativo che si può fare, a volte anche con scopi conciliativi, ma senza grandi sicurezze.

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Mi fanno appello: che cosa può succedere?

ho vinto una causa di lavoro con un risarcimento di circa €40000 ed adesso l’azienda è andata in appello. Se dovessi vincere anche in appello mi spetterebbe un ulteriore risarcimento oppure confermerebbe i €40000?

L’appello è una forma di impugnazione che comporta l’investitura, in capo al giudice di secondo grado, che nel tuo caso immagino sia la sezione lavoro della corte d’appello del capoluogo, di tutta la materia già decisa in primo grado, nell’ambito dei motivi di impugnazione avanzati dalle parti.

Questo significa che la causa può essere decisa in modo anche completamente diverso da quanto avvenuto nel grado precedente di giudizio.

Il giudice di appello, insomma, non è in alcun modo vincolato da quanto deciso dal giudice precedente e può tanto confermare integralmente la sentenza precedente, quanto modificarla in parte, quanto cambiarla in ogni suo singolo aspetto.

In sostanza, con questo sistema del doppio grado di giudizio, la causa viene «ri-decisa».

Il giudizio di appello di solito avviene «in vitro», cioè sulla base di un fascicolo già cristallizzato, già chiuso, senza che possano essere acquisiti nuovi documenti nè tantomeno dar corso all’acquisizione di prove, come magari avvenuto in primo grado. Ben difficilmente in sede di appello, ad esempio, vengono sentiti testimoni o ammessi nuovi documenti, se avrebbero potuto essere prodotti nel grado precedente.

A volte, ho visto ammettere CTU, ma molto raramente.

Dunque, se tu dovessi vincere l’appello, la somma quantificata dal primo giudice a titolo di risarcimento potrebbe essere confermata, ridotta, aumentata, a seconda della discrezionalità del giudice di secondo grado.

Valuta, per casi futuri, di munirti di una forma di tutela legale.

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Cassazione: proposta favorevole del relatore.

Questa cosa che la Cassazione, in alcuni casi in cui fissa per la trattazione in camera di consiglio (procedimento ormai divenuto di default, come spiego meglio in questo precedente post), allega anche la proposta favorevole del relatore credo che presupponga una maturità che le parti del giudizio e, più in generale, la società di fatto non hanno.

ufficio giudiziario

Inviare ad un cliente un documento, in cui un giudice di cassazione scrive che il ricorso a suo giudizio andrebbe accolto, genera nello stesso cliente uno scontato e per niente sorprendente effettivo psicologico: «abbiamo già vinto».

Peccato che la corte sia composta da cinque membri che ben potrebbero essere di parere diverso dal relatore. E che il giudizio di cassazione spesso si limiti a «cancellare» una sentenza, cosa dopo la quale in non rari casi bisogna fare un’ulteriore fase di giudizio (quello di rinvio) per stabilire chi in effetti alla fine «ha ragione».

Mi ricorda un po’ quegli organi giudicanti, soprattutto stranieri, in cui c’è l’istituto della dissenting opinion, come la Corte Suprema degli Stati Uniti, dove vengono pubblicati i nomi dei giudici che dissentono dalla sentenza conclusiva del procedimento…

È naturalmente una cosa di alta civiltà giuridica, ma il celebre cittadino comune rischia di rimanere molto smarrito e perplesso di fronte a evenienze di questo genere.

Non credo nemmeno che possa mai raggiungere quello scarto evolutivo che lo porterebbe a comprendere che anche la scienza giuridica è estremamente venata di soggettivismo e punti di vista, tanto che, legittimamente, in molte situazioni ed occasioni, due giudici possono vederla e decidere in modo diverso, come in celebre caso ha fatto proprio la stessa cassazione.

Forse questo è anche un segreto che alcuni avvocati – di certo non tutti – custodiscono gelosamente, pensando che sarebbero guai se la generalità del pubblico comprendesse quanta parte di alea – dovuta alla legittima discrezionalità dei giudici e a mille altri fattori – ci sia nelle cause giudiziarie.

Fatto sta che la percezione del «diritto» da parte del comune cittadino è spesso ancora quella di un sistema coerente che fornisce risposte univoche, una specie di «catalogo di soluzioni» che sarebbe sufficiente sfogliare sino ad arrivare, finalmente, alla pagina che contiene il proprio caso.

Peccato che non esista un caso uguale ad un altro, che le maglie della legge – per quanto numerose siano, specialmente nel nostro Paese – non riescano mai a catturare tutte le ipotesi, anzi, e che spesso si debba ragionare per interpretazione, analogia e così via.

Per non dire di quello che può, banalmente, succedere in istruttoria al momento in cui si tenta di ricostruire un fatto…

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Cassazione in camera di consiglio: come funziona?

La camera di consiglio nuovo rito di default.

Oggi ti parlo di come funziona il procedimento civile in camera di consiglio presso la Cassazione, rimandando per il resto alla mia scheda di base sul ricorso per cassazione che puoi trovare qui.

scrivere in tribunale

È un rito molto importante ormai perché, da fine 2016, la Corte di Cassazione, quando opera a sezioni semplici, decide di default in camera di consiglio, cioè in una udienza privata senza la partecipazione diretta delle parti, e non più in pubblica udienza, appunto con la partecipazione delle parti.

Sostanzialmente, si è passati ad una forma scritta di trattazione del procedimento, sempre alla faccia del principio di oralità del processo, che in realtà è scomparso da decenni anche presso i giudici di merito e forse non è mai stato davvero praticato se non in forma molto limitata.

Per parti, ovviamente, si intendono il ricorrente, la controparte, che può aver presentato controricorso o ricorso incidentale, e il pubblico ministero.

La riforma è stata introdotta dal D.L. 31.8.2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla L. 25.10.2016, n. 197, che ha introdotto il nuovo art. 380 bis del codice di procedura civile.

La possibilità per le parti di svolgere le proprie difese avviene, nel meccanismo previsto dalla nuova legge, consentendo alle stesse di depositare delle proprie memorie scritte entro un certo termine anteriore alla data fissata per l’udienza in camera di consiglio.

L’esempio più noto di memorie scritte è quello delle memorie ex art. 183 che vengono utilizzate nel procedimento di primo grado e su cui puoi trovare maggiori informazioni in questo post.

Come funziona.

L’art. 380 bis 1 cod. proc. civ. prevede quanto segue.

Della fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice ai sensi dell’articolo 375, secondo comma, è data comunicazione agli avvocati delle parti e al pubblico ministero almeno quaranta giorni prima. Il pubblico ministero può depositare in cancelleria le sue conclusioni scritte non oltre venti giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio. Le parti possono depositare le loro memorie non oltre dieci giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio. In camera di consiglio la Corte giudica senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti.

Ad ogni modo, le regole di base, a riguardo, sono le seguenti:

  • innanzitutto, quando la Corte fissa l’udienza in camera di consiglio deve darne avviso alle parti almeno 40 giorni prima; questo avviso, nei procedimenti che ho seguito negli ultimi anni, è sempre arrivato tramite pec sulla mia casella;
  • a quel punto, il pubblico ministero ha 20 giorni per scrivere una propria memoria, che potrà depositare entro 20 giorni prima quello della data dell’udienza in camera di consiglio; nei processi che ho seguito, il pm non ha mai formulato le proprie conclusioni, la cancelleria della corte comunica anche in questi casi un avviso in cui specifica che il pm non ha depositato proprie conclusioni;
  • i difensori delle parti (ricorrente, controricorrente, ricorrente in via incidentale, ecc.) hanno 30 giorni per depositare una loro memoria, che quindi dovrà essere depositata 10 giorni prima quello fissato per l’udienza in camera di consiglio.

I termini cambiano nelle ipotesi in cui il giudizio viene di ritenuto di facile soluzione in un senso o nell’altro. L’art. 380 bis cod. proc. civ. dispone infatti quanto segue:

Nei casi previsti dall’articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), su proposta del relatore della sezione indicata nell’articolo 376, primo comma, il presidente fissa con decreto l’adunanza della Corte indicando se è stata ravvisata un’ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso. || Almeno venti giorni prima della data stabilita per l’adunanza, il decreto è notificato agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima.

Il termine per i difensori, dunque, può essere di dieci giorni o di cinque, nei casi in cui il giudizio è ritenuto di più semplice soluzione. 

Fare la memoria conviene?

Conviene fare la memoria prevista per i difensori?

In generale, sono più per una risposta negativa, ma c’è da dire che dipende dalla situazione o, in altri termini, bisogna vedere che cosa hanno fatto o scritto le altre parti.

Ad esempio, se ti trovi nella posizione di aver fatto ricorso, le controparti non si sono costituite con controricorso, il pm non ha depositato le proprie conclusioni (ipotesi questa che è probabilmente la più comune), a che cosa servirebbe depositare una ulteriore memoria, che potrebbe solo infastidire i giudici che non amano le ripetizioni fini a loro stesse?

Diverso potrebbe essere invece il caso opposto, in cui le controparti si sono costituite e il pm magari ha depositato conclusioni scritte «contrarie» all’accoglimento del ricorso; in questo caso, il ricorrente potrebbe sfruttare il termine per alcune brevi e sintetiche repliche a quanto sostenuto dalle altre parti.

Ovviamente, nei casi in cui il ricorso sia stato ritenuto di facile soluzione, in senso favorevole al cliente, ci sono meno vantaggi nel depositare la memoria; viceversa nel caso opposto, in cui il giudizio è stato ritenuto di facile soluzione a favore del rigetto: in questo caso la memoria può essere un’opportunità.

La memoria, nei casi in cui viene formata, deve essere la più breve possibile, la sintesi non verrà mai raccomandata abbastanza per gli atti giudiziari e in cassazione vale ancora di più.

Conclusioni.

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Ricorso CEDU: quando si può fare?

Gli avvocati da me interpellati mi hanno detto che se si ritiene una sentenza di Cassazione civile ingiusta si possono richiedere i danni allo Stato entro due anni dalla medesima. Solo in seguito si può ricorrere alla CEDU. Prima devono essere espletate tutte le vie giuridiche previste dalle legge italiana. Dal Suo blog leggo invece che, salva l’ipotesi della revocazione, che riguarda solo gli errori di fatto e non di diritto, si può ricorrere fin da subito alla CEDU

Come predico da decenni, non ha molto senso parlare di diritto in generale ed in astratto senza riferimento al caso concreto, per il quale possono esistere eccezioni e considerazioni particolari che non valgono invece su un piano più ordinario.

Anche in questo caso, non ha senso parlare di presupposti e termini per impugnare senza dire che cosa ha per oggetto il caso. Le persone sfornite di preparazione giuridica sarebbe bene che iniziassero sempre l’esposizione del loro problema dalla descrizione del fatto.

black gavel on table in courtroom

Provo comunque a dare una risposta.

In generale, non mi risulta.

Se la sentenza è passata in giudicato, a parte i mezzi di impugnazione straordinari, la sentenza è definitiva.

Si potrebbe ipotizzare una responsabilità dei magistrati per dolo o colpa grave, ma anche questa eventualità, assai di nicchia, riguarda un profilo diverso da quelli per cui si può ricorrere alla CEDU e non intacca la definitivi della sentenza.

Non ho mai sentito, poi, parlare di un termine di due anni.

Nella mia esperienza di ormai centinaia di casi il ricorso è stato fatto sempre dopo l’esaurimento dei mezzi di impugnazione interni.

Considera anche che la CEDU non vigila sull’osservanza del diritto nazionale italiano, ma sul rispetto di una convenzione internazionale da parte dello Stato, sono profili diversi anche da questo punto di vista.

Non so come mai l’avvocato da te interpellato abbia sostenuto quanto riporti, può darsi tu abbia capito male oppure che si tratti di una materia o di un caso per cui valgono, per qualche motivo, regole particolari, oppure può essere anche più semplicemente una strategia processuale che era stata valutata.

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Consiglio di Stato decreta esclusione da concorso: che fare?

ricorso al tar per un concorso pubblico dovuto all’ eliminazione dopo la prova scritta. Attraverso la cautelare eseguo la prova pratica ed orale, superandole .La commissione continua a dare un giudizio negativo ..Sono in graduatoria con riserva, continuo con il consiglio di stato il quale 5 giorni fà definisce la sentenza , respingendo il ricorso.
La prova scritta non è stata valutata e poi altri candidati hanno lasciato 3 domande in bianco a differenza mia che ho risposto a tutti e 10 i quesiti

Il caso, purtroppo, non è descritto con la precisione che sarebbe stata necessaria per poterlo inquadrare e comprendere adeguatamente.

Si capisce che il TAR in sede di sospensiva ti ha consentito in via cautelare di poter svolgere le prove successive, ma quando dici che queste prove le superi ma il giudizio della commissione è ancora negativo non è chiaro che cosa sia successo, di fatto.

Non è chiaro, poi, come si sia passati dal TAR al Consiglio di Stato, che è il giudice di secondo grado, e su che cosa abbia pronunciato: se sull’istanza cautelare, su impugnazione della controparte (considerato che era stata a te favorevole), che mi sembra improbabile, o nel merito della sentenza, che mi sembra piuttosto veloce, considerati i tempi standard.

Ad ogni modo, se si tratta di una pronuncia di merito e da parte del Consiglio di Stato, la questione è ormai definita, non ci sono altri gradi di giudizio esperibili.

Se ritieni di essere stata vittima di una giustizia da parte dello Stato italiano, l’unica cosa che puoi valutare è il ricorso alla CEDU, per il quale ti rimando alle varie pagine del blog che lo approfondiscono maggiormente e alla pagina prodotto dove puoi trovare l’indicazione del costo già pacchettizzato.

Tieni solo ben presente che non è sufficiente che tu abbia subito un’ingiustizia, per quanto palese e «condivisibile»: anche il ricorso alla CEDU deve essere fondato in diritto, cioè nel tuo caso deve esserci stata la violazione delle norme contenute nella convenzione che ha istituito la CEDU.

Dal ricorso CEDU puoi ottenere solo un risarcimento del danno, difficilmente puoi ottenere quello cui miravi con il ricorso interno e cioè la partecipazione / superamento del concorso.

Se vuoi approfondire, prima di acquistare il pacchetto per il ricorso CEDU, ti consiglio di valutare la consulenza pre impugnazione, dove potremo approfondire e verificare l’esistenza di adeguate basi legali.

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Cassazione e appello: che differenze ci sono?

Cassazione e appello sono due impugnazioni molto differenti tra loro, non solo per il fatto che, di solito, in cassazione si può andare solo dopo l’appello, ma proprio per le caratteristiche strutturali di ognuno di essi.

In appello, si chiede al giudice di riesaminare genericamente l’intero caso, quindi l’appello investe il giudice di secondo grado dell’intera materia contenuta nel caso stesso. La cassazione, invece, non ha effetto devolutivo: la cassazione non riesamina tutta la materia, ma verifica se il giudice della sentenza impugnata ha seguito un corretto percorso logico giuridico.

Il giudice d’appello, infatti, di solito fa una sentenza che sostituisce quella precedente, mentre la cassazione, sempre solitamente (fanno eccezione, da qualche tempo, le sentenze di merito ex art. 348 cod. proc. civ.), si limita a cassare appunto, cioè cancellare le sentenze che vengono ritenute viziate, con la conseguenza che poi un altro giudice, di rinvio, deve fare un altro processo per giungere alla sentenza che definisce il caso.

Un’altra importante differenza è che mentre con l’appello le critiche che si possono muovere al provvedimento impugnato sono libere, la cassazione è un mezzo di impugnazione a critica vincolata cioè le sentenza si possono impugnare solo per i motivi previsti dalla legge, che nel caso della cassazione sono dettati dall’art. 360 cod. proc. civ., più volte riformato nel corso del tempo.

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Causa non soddisfacente: che fare?

ho appena terminato una causa civile di danneggiamento dove ero parte offesa, la giudice però non vuole pagarmi nulla se non una somma misera di 50 euro perché dice che alla domanda non sono stati quantificati i danni materiali, oltretutto non mi da neanche il danno morale, il fatto risale a marzo 2014 e poi si era depenalizzato con conseguente causa civile, come posso fare ora per recuperare i danni? Il fatto accaduto in condominio, il vicino di casa si permetteva di entrare nella scala mia per distruggere violenza i vasi e piante, vasi terracotta scaraventandoli da un altezza di 5 /6.metri.

Se hai «appena terminato una causa civile» ci sarà una sentenza che la definisce.

Se l’ipotesi è questa, allora la situazione è, di conseguenza, la seguente:
– l’unico modo per tentare di cambiare quanto deciso nella sentenza è impugnarla, probabilmente con appello;
– nel caso in cui non venga proposto appello, o comunque impugnazione, nei termini previsti dalla legge, la sentenza diventerà per sempre definitiva, a prescindere da qualsiasi questione a riguardo, da chi avesse ragione o torto e in che misura.

A questo va aggiunto che se non hai fornito una idonea dimostrazione del danno nel corso del giudizio di primo grado non potrai farlo in secondo grado, perché in appello è vietato salvo eccezioni di abbastanza rara applicazione introdurre nuove prove.

Per cui, l’appello potrebbe essere valutato solo se tu avessi introdotto prove sufficienti del danno che il giudice di primo grado avrebbe sbagliato a valutare: ad esempio avevi messo una ricevuta che il giudice ha ritenuto prova non valida, ma che puoi chiedere al giudice di secondo grado, cioè di appello, di ritenere, a contrario, prova valida.

Se, invece, le prove non sono proprio state richieste, allora l’appello sarebbe molto probabilmente non solo inutile ma anche controproducente, perché anche in quella sede potresti essere condannato alle spese legali.

Se vuoi farci esaminare le possibilità di impugnazione, il prodotto da valutare sarebbe questo anche se ti consiglio di riflettere bene sulla convenienza di spendere ulteriore denaro e investire ancora sulla vertenza.

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