Nell 2010 sono stato sottoposto in ospedale comunale a una biopsia escissionale laparoscopica per sospetta linfoadenopatia pelvica. Durante l’intervento avviene la lesione dell’uretere inglobato in uno degli linfonodi interessati da linfangite neoplastica e lo si converte in laparotomia, cioè in normale intervento chirurgico, allestendo la ureterostomia in attesa di effettuare una futura riparazione. Dopo una chemioterapia con esito positivo per un anno e mezzo sono costretto di vivere e lavorare (sono responsabile commerciale) con forte disagio della ureteroscopia applicata al mio rene destro, che perdo durante successivo intervento di riparazione alla fine di dicembre 2011. Adesso mi trovo con una l’invalidità parziale e un ernia postoperatoria lasciatami ed ancora da sistemare. Se fossi sottoposto alla chemio dopo una biopsia andata bene sarei adesso perfettamente sano, con due reni funzionanti. Posso ancora chiedere un risarcimento e come dovrei procedere?
La prescrizione delle azioni per il risarcimento del danno è duplice: di cinque anni, per quella aquiliana o da fatto illecito, pertanto già spirata, e di dieci anni, per quella contrattuale. Puoi dunque ancora esercitare la azione di responsabilità contrattuale. Solitamente, quando si intenta causa per un problema di questo genere di esercitano, per sicurezza, entrambe le azioni anche perché ognuna è sottoposta a condizioni e regole diverse, anche in tema di onere della prova, ma puoi, se credi, anche agire sulla base della sola responsabilità di tipo contrattuale.
La prescrizione per l’azione aquiliana potrebbe essere più lunga qualora nel fatto in questione fosse ravvisabile un reato – di lesioni, ovviamente – e a determinate condizioni definite, man mano, dalla giurisprudenza a seconda della presenza o meno di una denuncia querela o meno, anche se non in modo del tutto univoco. Questa è tuttavia una indagine che probabilmente non vale la pena di fare, sia perché a naso condurrebbe ad una risposta più facilmente negativa che positiva, sia perché, residuando l’azione contrattuale, non c’è bisogno di sperticarsi per resuscitare azioni di cui non si ha la stretta necessità.
Ciò chiarito, prima di fare qualsiasi cosa, il primissimo passo è quello di acquisire una consulenza medico legale: occorre cioè il parere tecnico e qualificato di un medico legale che, valutato il caso alla luce dell’andamento dei fatti e delle norme applicabili, stabilisca se il danno che hai oggettivamente subito è ascrivibile a responsabilità dei medici o, invece, no, come ad esempio nel caso in cui ci sono sì danni, ma questi rientrano nelle complicanze normalmente prevedibili per interventi del genere.
L’attività chirurgica, infatti, è per se stessa un’attività tipicamente pericolosa, ad eccezione probabilmente degli interventi routinari, come ad esempio l’appendicectomia, dove sia pur utilizzando le regole di comune prudenza e i dettami della scienza medica, il paziente può comunque riportare un danno, che però non è «colpa» dei sanitari, ma del fatto che si è andati ad intervenire in situazioni che sono già di loro rischiose.
Questa prima valutazione la può fare solo un medico legale serio, competente, preparato ed onesto. Non ho usato a caso questi aggettivi, ognuno di essi corrispondente ad un requisito fondamentale, la ricorrenza del quale farai bene ad accertare nel momento in cui conferirai incarico, perché si tratta di caratteristiche niente affatto scontante per chi si rivolge ad un professionista in Italia. Ovviamente, lo stesso discorso vale anche per gli avvocati, i commercialisti e così via.
Se un bravo medico legale dirà che nel tuo caso c’è effettivamente responsabilità, e dunque «colpa», dei sanitari che ti hanno operato nel danno che hai riportato, il medico legale stesso tratteggerà una quantificazione del tuo danno, esprimendolo in punti percentuali, come danno biologico, invalidità temporanea e permanente.
A questo punto, la palla tornerà in mano al tuo avvocato di fiducia che, come primo passo, invierà una diffida con la richiesta di risarcimento ai sanitari che sono intervenuti e alla struttura all’interno della quale sei stato operato, se del caso.
In molti casi, sia i sanitari che le strutture sono titolari di un apposito contratto di copertura assicurativa, per cui molto spesso il passo successivo è quello di instaurare e condurre una trattativa con la compagnia di assicurazione tenuta per la responsabilità civile dei medici.
Nel caso in cui non si giungesse ad un accordo al riguardo, noi di solito procedimento con il deposito di un ricorso ex art. 696 bis cod. proc. civ. e cioè con un ricorso per CTU preventiva, per maggiori dettagli sul quale ti rimando alla relativa scheda.
Ma qui dipende dalla situazione e dalle motivazioni per cui l’accordo che viene proposto non è ritenuto soddisfacente, sono valutazioni che si fanno con l’aiuto del proprio legale di fiducia.