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Tim business sempre più magico 🚀.

Ti aggiorno sulla mia situazione giga e telefonia, di cui al precedente post della scorsa settimana.

Ho telefonato tutti i giorni al servizio 191 per gli utenti business.

Ogni volta ho trovato un operatore che ha capito il problema, detto che ho ragione, promesso che, al massimo il giorno dopo, il servizio sarebbe stato ripristinato, con tante scuse da parte dell’azienda e così via.

Il servizio, tuttavia, non è mai stato ripristinato.

Al momento, non posso né telefonare, né connettermi alla rete, come se fossi un cliente moroso, quando invece i miei pagamenti sono tutti regolari. Oltre che per i servizi mobili, sono loro cliente, peraltro, sia per la fibra in studio che per la fibra a casa e dunque infilo loro in gola ogni mese un certo numero di euro.

Ho ovviamente fatto presente che la connessione non mi serve per vedere netflix, che tra parentesi detesto, ma per lavorare e cioè per fare appuntamenti tramite zoom, telefonia gsm e voip, come é del resto normale che sia se uno sottoscrive un contratto di tipo business e non per privati.

Non c’è stato niente da fare.

L’ultima operatrice con cui ho parlato, più indignata di me, mi ha giurato sui suoi figli che mi avrebbe richiamato il giorno dopo, cosa che però poi non è avvenuta tanto che sono preoccupato, adesso, sia per lei che per i suoi figli.

Qui non è Tim ad essere inaccettabile, il fatto è che un problema del genere sarebbe potuto capitare, e sono sicuro che capita, a tutti i clienti di qualsiasi operatore telefonico italiano.

Nel nostro paese, infatti, la liberalizzazione dei servizi telefonici ha comportato la compresenza di diversi player, nessuno dei quali tuttavia é ad oggi in grado di offrire un livello di servizio minimamente accettabile.

Sì certo, tu hai q-lophon e non hai mai avuto dei problemi, ma il punto é che é solo un caso. Se domani smetti di poter telefonare e di connetterti alla rete, potresti trovarti in una situazione identica alla mia in cui tutti dicono che hai ragione, anzi ragionissima, ma nessuno fa un razzo.

Tutte le telefonate col 191 sono registrate, naturalmente, compresa quella di attivazione del contratto poi totalmente inadempiuto da Tim.

A proposito, per registrare le chiamate, dopo che google – altra azienda priva da sempre di una visione con un minimo di validità – ha inibito la possibilità di farlo alle applicazioni di terze parti, bisogna sfruttare le app di telefonia del proprio produttore: col mio Note 10+ (sì, uso ancora un telefono di 4 anni fa e spero di continuare il più a lungo possibile) é stato sufficiente inserire una sola volta una SIM thailandese per sbloccare la relativa funzione. Altro modo per registrare le chiamate é quello di usare una
applicazione VoIP come zoiper.

Appena possibile metterò le chiamate registrate online così ognuno potrà divertirsi a sentire le risposte del servizio clienti.

Nel frattempo, lato pratico – siccome i miei assistiti fanno affidamento su di me – mi sono procurato una SIM di un altro operatore con 300 giga mensili e un router portatile.

Lato legale invece ho fatto un esposto all’agcom.

A questa autorità, infatti, possono ricorrere, grazie a Dio, non solo i celebri «consumatori», ma anche i professionisti come me e gli imprenditori, cioè le utenze business appunto.

Mi sembra molto giusto, non è che si possa consentire alle imprese di telecomunicazioni di vessare una determinata categoria di clienti solo perché di natura professionale. Del resto, noi utenti business di fronte a situazioni come la mia e ai mille altri disservizi siamo indifesi esattamente come un consumatore.

All’agcom ho potuto allegare tutta la documentazione del caso, tra cui anche i files mp3 delle telefonate registrate, previa conversione da m4a con hazel e ffmpeg.

Una cosa carina di questa procedura di esposto ad agcom é che, subito dopo averla instaurata, puoi chiedere anche un provvedimento cautelare, nei casi, come il mio, in cui il servizio é interrotto completamente.

Ovviamente, ho chiesto anche il provvedimento cautelare. Promettono una risposta entro 10 giorni, staremo a vedere.

Se non risolverò in sede agcom, farò una causa legale facendomela finanziare e assicurare dalla mia compagnia di tutela legale.

In ogni caso, verrò risarcito.

Nel frattempo, siccome da un lato conosco il paese in cui vivo e, dall’altro, ho delle responsabilità verso i miei clienti, che hanno bisogno di parlare con me, mi sono arrangiato per garantire comunque il servizio, cosa che come cennavo nel post della settimana scorsa é frutto di un mindset preciso orientato a fare comunque il lavoro, mindset che posso avere solo in quanto, nonostante tutto, il mio lavoro mi piace.

Se vuoi restare aggiornato sulla vicenda ti raccomando di iscriverti al blog degl avvocati dal volto umano, dove metterò tutto il materiale.

Rock n’ roll.

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Sapessi com’è strano, aprire uno studio a Milano…

Perché non aprite uno studio anche a Milano?

Ogni tanto qualche lettore del blog e cliente dello studio mi fa questa domanda, con riferimento a questa o quella città.

La risposta sintetica è che sarebbe non solo completamente inutile, ma anzi richiederebbe un uso di risorse (tempo, attenzione, denaro) che determinerebbe una compromissione della qualità del nostro lavoro e di conseguenza necessariamente della qualità dei servizi che diamo ai clienti.

Attualmente, abbiamo e abbiamo fatto cause pressoché in ogni parte d’Italia e diverse volte anche all’estero. Anzi, la mia fattura più grossa in 22 anni di professione è stata proprio fatta in occasione di un recupero crediti negli USA.

Oggigiorno si può fare benissimo, non serve affatto avere uno studio in loco, anzi una struttura porterebbe via risorse preziose.

Quello che importa, nella trattazione dei problemi legali, è la definizione di una strategia adeguata e per fare questo non occorre avere una organizzazione complessa, che, anzi, è un «peso» enorme per quanto riguarda la sua gestione ed è destinata ad influire inevitabilmente anche sui costi praticati ai clienti, innalzandoli.

Spesso mi basta sentire un cliente 10 minuti al telefono per sapere già che cosa deve fare. Il punto, dopo, è farlo – passare alla fase del fare.

Come faccio ad avere cause un po’ dappertutto?

Intanto, ormai, in tutti i fori dell’Emilia Romagna – noi abbiamo sede a Vignola, in provincia di Modena – andiamo direttamente. Specialmente nel civile, questo è molto facilitato dal PCT o processo civile telematico, oltre che dalla mia adorata Golf TGI a metano con cui vado ad esempio a Ravenna con 2 euro… – che amore!

Anche in alcuni fori della Lombardia andiamo ormai direttamente, come ad esempio Mantova.

Per quelli che sono un po’ più distanti, utilizziamo un collega in loco, di solito una persona che conosciamo da anni, di cui ci fidiamo abbastanza (spesso è una persona che scrive sul blog) e che comunque segue le nostre istruzioni e lavora sulla base degli atti scritti da noi. Attualmente, grazie al PCT, il lavoro del collega in loco consiste quasi esclusivamente nella partecipazione alle udienze, che, specialmente nel civile, sono momenti molto «burocratici» dove non si discute nulla, rimandando al contenuto di atti già depositati o da depositare.

Nota che, peraltro, personalmente quasi mai faccio udienza anche nel mio tribunale di Modena. Ho organizzato lo studio in modo che ognuno anche al suo interno abbia una sua «specializzazione» non per materia ma per tipo di incombente. Io mi dedico all’ascolto dei clienti, alla definizione delle strategie e alla redazione degli atti, mentre altri colleghi partecipano, in mia sostituzione, alle udienze. Questo è un discorso più complesso e ci torneremo sopra, purtroppo è impossibile oggigiorno per un avvocato che voglia svolgere in modo efficiente il proprio lavoro essere tutte le mattine in tribunale, per non dire del fatto che quasi sempre le udienze si accavallano e quindi è proprio fisicamente impossibile partecipare a tutte, a meno di non avere il dono della bilocazione come padre Pio.

Per quanto riguarda gli assistiti, molte persone scelgono di venire, almeno per una volta, presso lo studio di Vignola, magari prenotando due ore anziché una, in modo da poter esporre completamente il problema in quella occasione che tendenzialmente è destinata a rimanere unica. Chi non vuole venire, può comunque fare tutto a distanza… Esiste il caro vecchio telefono, la posta elettronica, ci sono le videoconferenze. Molta gente negli Stati Uniti ha uno psicologo solo via Skype, figuriamoci se non si può avere un avvocato a distanza.

Dal punto di vista del cliente, accettare e implementare l’utilizzo di questi mezzi di comunicazione significa accedere ad un mercato molto più vasto di professionisti ed avere di conseguenza molta più possibilità di scelta, rispetto a chi sceglie l’avvocato solo perché ha lo studio sotto casa!

Ricordo anche che i nostri preventivi sono sempre in ogni caso globali, cioè indicano il costo finale per il cliente, mentre il corrispondente in loco, l’altro avvocato della zona, lo paghiamo sempre noi con quello che abbiamo ricavato dal cliente, così c’è la massima chiarezza sui costi nonostante l’intervento di più professionisti.

In conclusione, le cose che servono, per la trattazione dei problemi legali, sono le idee giuste, non gli immobili.

Perché allora ci sono studi legali che aprono sedi in più città?

Probabilmente perché devono fare del cinema, come si dice a Modena, cioè per ragioni di rappresentanza. O magari perché ai titolari piace girare per il mondo anche a costo di farlo un po’ a cazzo, pur di non stare a casa col coniuge – quale scusa migliore di «Devo andare a Milano!»?

Non chiedermi di indicarti un avvocato delle tue parti, come spiego in questo post che ti invito a leggere, non chiedermi di aprire studi dalle tue parti: chiedimi, se vuoi, un preventivo, compilando l’apposito modulo nel menu principale del blog.

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Avvocati: facciamo anche basta lamentarsi?

Ho appena finito di parlarti di avvocati in difficoltà, dignità della professione forense, lamentele inutili in questo post che ha già avuto molto successo e che ti invito di nuovo a leggere attentamente, che compare questa «lettera», sul Corriere della Sera del 17 maggio 2018 scorso.

Vale la pena di commentarla, perché è un eccellente esempio di un altro avvocato che, a mio giudizio, non ha, almeno in questo caso, capito bene le vere cause dei suoi problemi e di atteggiamento sbagliato per tentare di risolverli.

Non so te, io rimango sempre davvero molto perplesso davanti a lettere e atteggiamenti come questi, specialmente perché provengono da persone che, disponendo di titoli, abilitazioni e percorsi scolastici di successo, dovrebbero avere in teoria qualcosa di particolarmente ben funzionante tra le orecchie…

Vediamo però di nuovo cosa c’è che tocca in ragionamenti del genere, richiamando alcuni concetti di base, anche al limite della brutalità, per chiarire certi aspetti il meglio possibile una volta per tutte.

Il lavoro è un prodotto.

Il lavoro, innanzitutto, è un prodotto, esattamente come tutte le altre cose che fanno parte del mondo dell’economia.

Questo vuol dire che tu puoi avere fatto studi brillantissimi, avere superato ogni cosa col massimo dei voti, avere tre master, sei, persino dodici, quattro lauree, ma se non sei utile alle persone o alle aziende nessuno è disposto a compensare quello che fai.

Pensi di essere sottopagato? Comunque ti stanno pagando una somma che è la misura dell’utilità del tuo lavoro per loro che ti pagano, in relazione alla possibilità di averlo da altri tuoi «concorrenti» nel caso in cui tu non sia più disposto a darlo.

È ingiusto?

Io lo trovo giustissimo, anzi uno dei tanti segni della logica che c’è nel disegno di Dio.

Sei utile agli altri? Ti pago. Non servi a un cazzo? Mi dispiace, non ti pago.

Il problema del nostro Paese, tutto all’opposto, è proprio che a volte si pratica il contrario, si erogano stipendi, retribuzioni, prebende, privilegi a gente che non è produttiva sotto alcun profilo.

Voglio che ti ficchi bene questo concetto nella zucca.

L’Università non serve per il lavoro.

L’Università non serve a rendere il tuo lavoro produttivo. Può essere tutt’al più un misero punto di partenza, soprattutto quando costituisce un titolo che ha valore legale, ma dopo ci devi costruire sopra molto di più e – no, mi dispiace – non certo prendendoti seconde o terze lauree e nemmeno dei master.

Dopo, se vuoi acquisire competenze e professionalità utili alle persone e alle aziende, devi imparare delle cose che – guarda un po’ – non si studiano a scuola, perché l’alta formazione, quella vera, e necessaria, alla scuola pubblica e all’università italiane non le trovi.

L’università ti serve per la tua cultura personale, per la tua formazione come persona, come uomo, come donna.

Se hai creduto che ti facesse diventare una persona il cui lavoro sarebbe stato per ciò stesso richiesto sul mercato, allora non hai capito un cazzo né della formazione né del mondo del lavoro.

Tutto questo – sia chiaro – vale sia a Roma, che a Milano, che al Sud che in qualsiasi altra parte di questo universo; magari non vale in altri universi paralleli, ma in questo funziona così.

L’Italia non deve niente a nessuno.

«Per quale motivo l’Italia rinnega i propri giovani?»

Ma l’Italia non ti deve davvero un cazzo.

Stiamo parlando di lavoro.

È tua responsabilità investire su te stesso, sulla tua formazione, sul modo in cui organizzi la tua azienda o il tuo studio in modo da renderli utili e funzionali per la gente.

Ma me lo spiegate perché, quando uno sta parlando dei compensi che vorrebbe ricavare dallo svolgimento del proprio lavoro, si lamenta dell’Italia e non pensa invece a rendersi utile agli altri, che è il primo indispensabile passo per potersi collocare sul mercato e ottenere dei ricavi?

Non vorrei parlarmi addosso, ma io ad esempio anni fa, faccio un esempio solo, tra i mille che potrei fare, mi sono messo a pensare come avrei potuto dare chiarezza sui costi dei servizi legali alla gente – cosa che rappresentava un problema molo sentito del settore – e mi sono inventato i contratti flat, con cui una persona o una azienda finalmente, quantomeno su base annuale, possono avere certezza sui costi legali.

E da lì ho guadagnato bene. Ma prima di guadagnare ho dato qualcosa.

Non ho lanciato maledizioni al mio Paese, che non c’entra niente: ma insomma voi quando andate a lavorare tutte le mattine ci andate per cercare di fare qualcosa di utile o ci andate per lamentarvi che voi sareste bravissimi e utilissimi però l’Italia non funziona e allora niente?

Di cosa stiamo parlando?

È arrivata la bella figa 🙂

«Eppure ho capacità, presenza e i titoli che mi permetterebbero un lavoro ben pagato».

Titoli: abbiamo già visto che non servono a un cazzo. Il lavoro è un prodotto, se è utile vale e viceversa.

Presenza: ma chi sei, una bella figa? Cioè io ti dovrei pagare e affidarti i problemi legali della mia azienda perché poi arrivi te e Gabriel Garko famme na pippa? Ma di cosa stiamo parlando?

Capacità. È l’unica parola che possa avere un senso. Di nuovo però il lavoro è un prodotto e, come tutti i prodotti, ha bisogno di lead generation. Quindi le capacità innanzitutto ci vogliono, poi ci vogliono sistemi o canali di lead generation. Altrimenti stiamo parlando di nuovo del nulla.

«È normale che un giovane come me abbia questi problemi nel chiedere (e aspettarsi) una retribuzione dignitosa e ragionevole?»

Per i motivi che ti ho già spiegato, è così che funziona il mondo, compreso quello del lavoro, ed io lo trovo persino giusto, anzi giustissimo.

Perché si dovrebbero dar soldi alle persone solo perché hanno delle lauree ma non sono utili agli altri?

Quello che, a dire la verità, non trovo normale io è che una persona che ha goduto di borse di studio, superato brillantemente gli studi e l’esame di abilitazione alla fine dei conti non arrivi a voler capire ed accettare queste cose che persino chi ha studiato alla famosa università della vita capisce molto bene.

L’importante è dare la colpa a qualcosa?

«Vorrei che questa storia venisse raccontata per dare voce a tutti quei ragazzi che, come me, non sono figli di professionisti, non appartengono a famiglie facoltose, sono privi di conoscenze importanti e vengono da un Sud che esclude e non dà opportunità: non tutti hanno almeno la fortuna d nascere e crescere in città come Roma e Milano».

Con questa conclusione, abbiamo di fronte a quanto pare l’ennesima persona che non solo comprova di non capire, almeno in questa occasione, quali sono le reali cause dei suoi problemi – e questo, da chi aspirerebbe ad essere un professionista, cioè una figura che sta sul mercato per dare consigli a privati e aziende, è particolarmente significativo – ma si occupa della sua situazione solo, in fondo, per lamentarsene.

Esattamente come ho descritto nel mio post già richiamato, dove ho parlato proprio di chi adduce come scusanti per il proprio mancato successo i clienti che non pagano, le tasse, la cassa, e preferisce trascorrere il suo tempo a lamentarsene anziché svegliarsi, capire quali sono le reali problematiche e iniziare a lavorarci davvero sopra.

Io sono figlio di due impiegati, non vengo affatto da una famiglia facoltosa o con conoscenze importanti, ma la gente mi cerca e mi paga per il semplice fatto che sono in grado di dare solo un servizio utile e che, per questo servizio, svolgo tutti i giorni attività di lead generation.

Tutto il resto sono cazzate.

Cosa vuoi fare?

E tu?

Vuoi stare a lamentarti con Tony o vuoi stare con me ad investire su te stesso e cercare di prendere in mano efficacemente la tua vita?

Se vuoi stare con Tony, mandagli una mail al suo smaltante indirizzo at hotmail.it. Fondate un’associazione e magari chiedete all’Italia un reddito di cittadinanza speciale per avvocati di bella presenza delusi dal kattivoh mercato.

Se vuoi stare con me, invece:

  • iscriviti subito alla newsletter o al gruppo telegram. Così non perderai altri articoli come questo. Non ti preoccupare, gli articoli sono sempre solo uno al giorno, dal lunedì al venerdì;
  • dai un’occhiata alla nostra campagna per la ricerca di nuovi autori e, se credi, mandami la tua candidatura, la vaglierò con piacere.

E… se tu sei Tony, l’invito vale anche e soprattutto per te.

Sono certo che sei una persona con delle vere capacità, semplicemente non hai mai incontrato nessuno che ti abbia proposto certe riflessioni che invece sono quelle che ti potrebbero a mio modo di vedere servire.

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Perché molti avvocati stanno nella merda?

Sta la crisi!

Gli avvocati sono in crisi.

Ormai lo sanno (e qualche volta se ne approfittano) tutti, sono finiti anche i tempi in cui generalmente si guardava agli avvocati come a privilegiati – cosa che peraltro non è mai stata molto vera, come spiego in questo precedente post.

La crisi è innanzitutto economica, nel senso che ci sono difficoltà concrete e spesso anche determinanti e insuperabili per una chiusura positiva dei bilanci a fine anno, ma è anche, e dunque soprattutto, di valori, di significato, di senso, di dignità e così via, per una categoria in cui erano accorse persone di buona volontà che sono rimaste spesso deluse.

Non è – devo dirtelo subito – il mio caso.

Io sono ancora molto soddisfatto da tutti i punti di vista della mia professione, credo che traspaia anche da tutto quello che quotidianamente comunico tramite il blog e i social.

Ho persino scritto un post, che ha avuto un enorme successo (segno che il tema è molto seguito), in cui elenco i motivi per cui fare l’avvocato è ancora bellissimo, che ti invito a leggere con attenzione.

Ugualmente, c’è una larga fetta di avvocati in sofferenza ed è di loro ma soprattutto a loro che mi va di parlare, dopo aver ricevuto diverse richiesto in questo senso e aver letto diversi resoconti e persino qualche sfogo sui social.

Se senti di far parte di questa categoria, leggi attentamente perché questo post è per te.

Le cause della crisi.

Qual è il punto di partenza di qualsiasi discorso riguardo ad un argomento come questo?

Bisogna, a mio giudizio, innanzitutto comprendere le cause di questa situazione, economica ed emotiva, fallimentare.

Qui, ti voglio dire, quasi nessun avvocato riesce nemmeno a identificare con precisione le origini vere dei problemi attuali e questo, sinceramente, lascia un po’ da pensare, dal momento che un avvocato è comunque anche un imprenditore, che cose come queste dovrebbe capirle bene o quantomeno intuirle.

I falsi motivi

Solitamente, gli avvocati in difficoltà se la prendono con varie cose che, alla fine, non sono così rilevanti, sono più che altro dei capri espiatori per dare una spiegazione che non si riesce o vuole dare in un altro modo.

Il primo sono i clienti che non pagano.

Questo, di solito, è il primo «motivo» che viene individuato.

Qui voglio darti una notizia.

I clienti, di qualsiasi impresa, azienda, organizzazione, onlus, forma di governo o di Stato, non pagano tendenzialmente mai volentieri e, se possono farlo senza grandi rischi di conseguenze, evitano di farlo.

È una notizia incredibile, ma ti assicuro che è vera.

Riformulando la cosa in altri termini, è evidente che il problema del cash flow è uno dei vari problemi che ogni imprenditore, avvocati compresi, deve affrontare e gestire in modo efficace.

Personalmente, ho risolto questo problema impostando i pagamenti anticipati, sia per quanto riguarda la sezione del commercio che si svolge in forma elettronica tramite il sito, sia per quanto riguarda gli incarichi che vengono conferiti tradizionalmente in studio.

Ovviamente, faccio preventivi gratuiti, prima di iniziare qualsiasi lavoro.

Le persone, incredibilmente, quando sanno cosa vanno a spendere valutano e, se decidono di darmi l’incarico, pagano anche subito volentieri.

Io dò chiarezza, ricevo denaro.

Ma chiudiamo la parentesi, perché questo non è il motivo della crisi economica della categoria.

Altro motivo frequentemente molto gettonato sono le tasse da pagare.

Ora, a parte che molti professionisti fanno tanto lavoro fuori fattura, dal momento che non hanno magazzino, non vendono beni, ma servizi impalpabili, che le fatture non si scaricano e quindi i clienti preferiscono pagare «a nero» piuttosto che farsi dare una fattura che a loro non serve a nulla, a parte questo, dicevo, c’è da dire che le tasse sono uguali per tutte le aziende e i professionisti di qualsiasi tipo.

La grande notizia, qui, è che gli avvocati non pagano un centesimo in più di tasse rispetto a qualsiasi altra azienda o professionista.

L’unica cosa che c’è di vero è che abbiamo una cassa forense che vuole una parte dei nostri guadagni a scopi pensionistici. Ma ogni categoria ha la sua cassa e, se non ce l’ha, ha comunque l’INPS, per cui ogni attività economica, anche qui, paga una parte dei ricavi – sempre solo quelli fatturati ovviamente – per scopi previdenziali.

La realtà è che queste – ed altre – sono solo scuse, non c’è altro modo per dirlo.

È vero i clienti che tendono a non pagare sono un problema, lo Stato e la cassa che vogliono dei soldi, spesso anche se non li hai guadagnati, sono sicuramente un altro problema, ma la realtà è che ci sono molti avvocati che guadagnano e fanno buoni affari.

Nel 2018, in Italia.

«Ah, ma allora sono quelli che sono figli d’arte, hanno le mani in pasta con la politica, il tricche tracche, i cuggini, questo e quello…»

Altra scusa.

Non c’entra niente.

Quelli che conosco io, e io stesso nel mio piccolo, non abbiamo avuto appigli, aiuti, preferenze, incentivi vari, ma ci siamo guadagnati da soli non tanto la nostra clientela ma l’assetto attuale che abbiamo dato ai nostri studi e che ci consente di utilizzarli come macchine ed organizzazioni per guadagnare in modo abbastanza soddisfacente.

Sei pronto, adesso, per sapere quali sono le reali cause della condizione economica deteriore di una grande fetta degli avvocati oggigiorno?

Le scie chimiche!

No vabbè, parliamo seriamente.

I veri motivi.

Le reali cause dello stato fallimentare in cui versano molti studi legali e singoli professionisti sono principalmente due:

  • il peccato originale, a monte dell’inizio dell’attività, di non aver «pensato l’azienda»
  • e quello successivo, e permanente, di non fare marketing, anzi di non capire nemmeno che il marketing, nelle limitate forme in cui è consentito agli avvocati, è assolutamente necessario.

Con il secondo punto, si comprende come una delle cause più gravi di sottosviluppo economico è il codice deontologico forense, che, da questo punto di vista, letteralmente è il martello con cui sono stati inchiodati i chiodi che hanno chiuso la bara della professione forense.

Ma di questo diremo meglio più avanti.

Vediamo adesso, in positivo, le due principali cause che abbiamo appena enunciato.

Non aver pensato l’azienda.

Se chiedi ad un avvocato perché ha scelto di studiare giurisprudenza ed è finito a fare la professione, nel 90% dei casi ti risponde che era il desiderio dei suoi genitori

Che dolce!

Poi, subito a ruota, questo avvocato di solito si incazza perché questo tenero ed onesto desiderio dei suoi ascendenti, che tanti sacrifici hanno fatto (magari timbrare dal lunedì al venerdì all’INPS), è oggi frustato dai kattivih clienti che non pagano, dallo Stato che – cavolo santo – vuole troppe tasse, dalla cassa che è troppo esosa!!!1! e così via, come abbiamo visto poco fa.

Il problema invece è proprio che non si fonda un’azienda perché è il desiderio dei tuoi – onore a loro – genitori!

È una cosa molto banale, ma realmente molti avvocati lo sono diventati per questo ed è alla fine completamente demenziale dal punto di vista del business e del fare impresa.

Fondi un’azienda quando hai un’idea di business inizialmente interessante, di cui verifichi con cura la fattibilità sotto tutti i profili rilevanti a riguardo.

Se poi è la tua principale o unica azienda, quella con cui devi mantenerti e mantenere la famiglia, i controlli li farai tutti tre volte.

Molti avvocati non si sono chiesti ad esempio:

  • in che posto vivo o comunque intendo aprire il mio studio legale?
  • in questo posto che ho scelto ci sono buone occasioni di clientela?
  • in che stato versa nel mio paese e nel posto da me prescelto la vendita di servizi legali?
  • quali sono i collettori di clientela di cui posso pensare di arrivare a disporre?
  • quali sono le forme di lead generation che potrò svolgere una volta aperta la mia bottega?

Molti avvocati non sono neanche in grado di comprendere bene cosa significhino queste domande.

Se consideriamo questo, capiamo che non è per nulla stupefacente che molti avvocati si trovino, economicamente, nella merda, perché un cazzo di ciabattino sotto casa con la terza elementare ha più istinto imprenditoriale di loro.

La conclusione è che molti avvocati sono diventati avvocati e hanno aperto la partita IVA come professionisti completamente alla cazzo!

Non ho, mi dispiace, un altro modo per dirtelo.

E, pensa un po’, non si aprono imprese alla cazzo.

Si possono fare tante cose alla cazzo, ma se apri un’impresa alla cazzo, sei destinato a chiudere entro al massimo tre anni.

Salvo – e qui tornano i cari genitori – che qualcuno non ti paghi la cassa forense, le tasse, i fornitori e tutte quelle spese che tu non riesci a pagare perché non guadagni «ancora» abbastanza.

Ciò, ovviamente, solo al momento e per poterti consentire di «ingranare».

Peccato che sono 15 anni che stai ingranando…

Non fare marketing.

Nessuna organizzazione, nessuna, compresa la Chiesa cattolica, può sopravvivere se non svolge attività di lead generation.

Te lo ripeto perché è bene che, oggi, in questo momento, questo concetto ti entri nella zucca una volta e per sempre: nessuna organizzazione, impresa, società, impresa individuale, onlus del cazzo può sopravvivere se non svolge attività di lead generation.

La lead generation è l’attività di generazione di prospetti, cioè di contatti con potenziali clienti, con soggetti, appartenenti al vasto pubblico cui si rivolge la tua organizzazione, che in parte, in seguito, possono diventare clienti paganti, a seguito di conversione.

Ora, quali attività di marketing stai facendo?

Hai lasciato anche tu i tuoi biglietti da visita dal tuo barbiere o dalla tua parrucchiera?

Ti dò una piccola notizia: non serve a un cazzo. Anzi, serve al contrario a qualificarti come un professionista per ladri di galline.

Hai sentito parlare di internet, blog, social network?

Ah sì, ti sei iscritto anche tu a quel sito che gli avvocati si possono iscrivere e poi scrivono le materie di cui si occupano così poi i visitatori si possono collegare e vedere quali sono i professionisti della loro zona e poi scegliere e tramite un comodo modello di contatto on line subito scrivere all’avvocato che hanno scelto e comodamente da casa, sia i clienti che il professionista, possono chiedere e ricevere una bella consulenza, che poi è un sistema bellissimo e meraviglioso ma alla fine nessuno fa mai un cazzo o ha mai venduto una consulenza che sia uno tramite siti del genere?

Forse è il caso di riconsiderare la materia…

Il codice deontologico.

Torniamo adesso un attimo sul tema prima accennato delle regole di deontologia.

La deontologia forense, ovviamente, non è un male in sé.

È assolutamente evidente che un avvocato debba essere in primo luogo onesto, se vuole essere davvero utile agli altri.

È davvero la primissima qualità di ogni avvocato.

Solamente, si tratta di una «qualità dell’essere» che, come spesso accade, non può essere rinforzata a forza di codici e sentenze… Un po’ come fare il padre, come sanno benissimo gli avvocati, come me, che si occupano di diritto di famiglia.

Il codice deontologico attuale è il martello con cui sono stati picchiati i chiodi che hanno chiuso la bara in cui è stata rinchiusa la professione forense, rendendo molto difficile, e in alcuni casi impossibile, per qualsiasi organizzazione legale svolgere attività di generazione contatti.

La cosa meravigliosa è che lo scopo di queste disposizioni, volte a escludere pressoché completamente forme di marketing per gli avvocati, sarebbe quello di… garantire la dignità degli avvocati stessi.

Ma qui c’è un grande e tragico errore di fondo.

Il fatto, peraltro assai evidente, è che la dignità di una qualsiasi categoria la si può garantire solo dando efficacia al lavoro e al ruolo che svolge e quindi consentendole di raggiungere un certo livello di benessere anche economico.

Che dignità può avere un avvocato che a 35 anni si fa pagare la bolletta del telefono di studio e magari anche di casa dai genitori, anche al netto del rispetto delle regole deontologiche?

Vuoi scommettere che se togli quasi completamente la possibilità di lead generation ad una categoria la sua economia peggiorerà grandemente e, con essa, anche la sua dignità, il suo significato, la coscienza del suo ruolo, l’effettivo svolgimento della sua funzione sociale?

La dignità attuale della professione.

È un fenomeno che è ormai sotto gli occhi di quasi tutti.

Ma prendiamo uno scampolo di letteratura che, come sempre accade, ce lo descrive meglio di altro.

«Il fatto è che qui da noi gli avvocati sono diventati come gli assicuratori, o gli agenti immobiliari.
Ce ne sono a bizzeffe, uno più affamato dell’altro. Basta fare due passi in una strada anche periferica e contare le targhette affisse ai portoni.


Un avvocato, oggi, per una nomina anche d’ufficio è disposto a piroette e carpiati della dignità fantasiosissimi. E la molla non è l’ambizione economica o il desiderio di prestigio sociale: nemmeno più questo. Qui si tratta, ma davvero, di stare sul mercato con un minimo di sensatezza (cioè, pagare le spese e portare qualche soldo a casa) o chiudere baracca.


E la vera tragedia è che questa politica della sopravvivenza accomuna ormai trasversalmente sfigati e garantiti, privilegiati e poveri cristi. Nel senso che il rampollo dell’avvocato di successo ha una fame di procacciamento pratiche mediamente pari o addirittura superiore a quella di chi è professionalmente figlio di n. n. È la nuova cultura della concorrenza, palazzinara e bulimica, che ha equiparato avidità e bisogno, ponendo sul piano di una falsa parità contendenti che partono da posizioni completamente diverse. Ricchi e poveri che lottano per le stesse cose: ecco a voi la morte del principio di uguaglianza.

Io ho visto cose che voi non avvocati non potete neanche immaginare.
Ho visto professionisti anziani leccare sfacciatamente il culo a magistrati ventinovenni.
Ho visto avvocati giovanissimi portare personalmente il caffè a tutti i carrozzieri del quartiere nella speranza di una pratica d’infortunistica stradale.
Ho visto appostamenti all’ingresso degli obitori, con volantinaggio di biglietto da visita all’arrivo della barella.


Ho visto contabili di camorra e specialisti della punizione corporale per ritardato pagamento del pizzo, trattati con un ossequio e un’attenzione degni di un’alta carica dello Stato.
Ho visto colleghi fare anticamera a cancellieri miserabili in cambio di una nomina d’ufficio, con pagamento anticipato di percentuale fissa sull’onorario.

Ho visto guardie carcerarie spendere il nome di questo o quel collega con i parenti dei detenuti in cambio di un abbonamento alle partite di calcio.


Ho visto colleghi poco più che trentenni accordarsi con cancellieri notoriamente farabutti per truccare un’asta fallimentare, pilotando l’assegnazione dei beni all’incanto. Ho visto le loro foto sul giornale qualche tempo dopo.
Ho visto sinistri stradali così sputtanatamente falsi da farti venire voglia di prendere le parti dell’assicurazione (che è un po’ come se uno, una bella mattina, si convertisse all’antisemitismo militante).

Ho visto patrocinanti in Cassazione brigare per diventare amministratori di condominio.
Ho visto professori universitari telefonare a indagati eccellenti offrendo il proprio patrocinio pur sapendo che era già stato nominato qualcun altro, millantando conoscenze personali con il pubblico ministero titolare dell’inchiesta e svalutando fra le righe le capacità professionali del collega.


Ho visto l’avvocato a cui il professore universitario stava cercando di fare le scarpe riferire lo scandaloso retroscena a un gruppo di giovani colleghi e neanche venti minuti dopo incontrare il professore all’ingresso del tribunale e abbracciarlo come un fratello ritrovato in un programma di Maria De Filippi.

Ho visto lo stesso avvocato convincere l’indagato eccellente che sì, effettivamente sarebbe stata una mossa saggia estendere il patrocinio anche al professore, perché un simile collegio difensivo gli avrebbe assicurato la vittoria della causa con fiato di trombe.
Ho visto, all’udienza, l’indagato eccellente seduto fra l’avvocato e il professore: sembrava più preoccupato di loro che dei giudici.
Ho sentito il professore, in piena arringa, prendere una cappella giuridica di una tale grossolanità che se fosse capitato a uno studente all’esame sarebbe stato messo alla porta.
Ho visto l’avvocato abbozzare e vergognarsi come un complice, dribblando lo sguardo allibito dei giudici.

Ho visto il figlio dell’avvocato diventare assistente di cattedra del professore universitario che aveva cercato di fregare l’incarico a suo padre.


Ho visto tante altre cose, ma se non mi fermo va a finire che facciamo notte».

(Diego De Silva, «Non avevo capito niente»).

Questi sono i successi di decenni di deontologia forense, di regole che hanno avuto come unico effetto quello di tarpare le ali alla pressoché totalità degli avvocati, specialmente i più giovani.

Ho visto applicare la deontologia.

Avvocati di 60, 70 anni, dentro agli ordini, ai consigli distrettuali, al CNF, gente che ha avuto grandi soddisfazioni professionali, avendo iniziato la professione negli anni 60 o 70, quando c’erano ancora vaste miniere non sfruttate, che applicano sanzioni ad avvocati di 30 o 40 anni, che cercano di lavorare sulle poche briciole rimaste, perché hanno messo un annuncio o un’insegna un po’ più grande di quanto ritenuto dovuto fuori dalla porta…

Facciamo come il protagonista del libro di De Silva: lasciamo perdere.

Che cosa fare?

Innanzitutto, quello che non devi fare è sprofondare nell’atteggiamento di dare la colpa di «tutto» a cose che, pur avendo una loro efficacia causale, non la esauriscono affatto.

Il tuo atteggiamento, come ti ho già fatto capire, non deve e non può essere quello di maledire il codice deontologico, le sue ingiustizie, i clienti, le tasse, le scie kimike e il mondialismo.

Focalizzati sul fatto che, come in tutti i settori economici, ci sono avvocati che ce l’hanno fatta e stanno alla grande.

La grande notizia è: ci sono diverse cose che puoi fare, una volta che avrai smesso di lamentarti a cazzo.

Alla fine, infatti, o cambi settore, cambi lavoro, anche in base alle tue vere propensioni (come ti ho già detto, il lavoro lo devi scegliere tu e non i tuoi genitori!), oppure, se scegli di restare, in qualche modo, nel settore dei servizi legali, di continuare a fare l’avvocato, devi rassegnarti a fare tutta l’attività di lead generation che puoi, ripensare completamente la tua azienda, ragionare come un vero imprenditore.

Di cosa fare nello specifico, parleremo meglio in un altro post, ché questo ormai è anche già troppo lungo.

Ti elargisco però una piccola anticipazione: devi scrivere.

Libri, blog, social.

Scrivi su quello che conosci, mostra e dimostra il tuo know how e la passione che ti muove per le cose che ti interessano.

Oltre a un punto di vista diverso e differenziante dal solito.

Un po’ come questo blog, che è stato fondato più di vent’anni fa per dimostrare che esiste un modo diverso di trattare i problemi legali.

Questo è quello che facciamo qui alla redazione del blog degli avvocati dal volto umano e ti garantisco che funziona.

Cosa puoi fare, nell’attesa del prossimo post in cui dettaglierò i vari modi in cui un avvocato può fare marketing?

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Evviva noi!

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diritto

Auricolare senza fili: quale prendere?

Oggi ti voglio parlare di uno strumento a mio giudizio indispensabile per chi trascorre molto tempo al telefono, come tipicamente un avvocato ma anche tanti altri professionisti, lavoratori e persone comuni: l’auricolare.

Dopo aver provato diverse soluzioni, la scelta su cui mi sono focalizzato, e che voglio condividere con te in quale a mio giudizio è la migliore, è quella del Plantronics Voyager.

Ovviamente, ci sono dei motivi che devi parimenti sapere, anche perché quello che può essere importante per me potrebbe non esserlo per te o viceversa, per poter così valutare in modo completo.

Innanzitutto, la qualità del bluetooth è alta, sia per quanto riguarda la connessione, che raramente salta e che presenta una portata superiore a molti dispositivi bluetooth da me utilizzati o provati, sia per quanto riguarda l’audio – in ciò ovviamente il Plantronics è aiutato anche dai dispositivi di soppressione del rumore. Questo auricolare, in certe situazioni, può essere utilizzato anche per ascoltare musica, ovviamente da questo punto di vista è una soluzione abbastanza limitata, anche se date le circostanze pure in tal caso la qualità non è affatto male.

Un secondo punto importante è la versatilità del dispositivo. Si può ripiegare in modo da essere indossato sia all’orecchio destro che sinistro, cosa che anche per chi come me lo utilizza di solito dal lato destro può essere utile in caso di stanchezza o leggera dolorabilità di un orecchio piuttosto che di un altro.

L’autonomia è davvero notevole. La sua propria batteria ha una durata di diverse ore, non mi è mai capitato di rimanere a piedi. Riponendolo nella sua custodia si può avere un ulteriore periodo di carica prima di poterlo collegare alla rete elettrica o ad una presa USB.

Una funzionalità che ho trovato molto interessante sono i sensori che consentono all’auricolare di «capire» quando è indossato e quando no. Questa tecnologia intelligente consente di fare diversi giochini molto interessanti e pratici nell’uso di tutti i giorni:

  • se tu prendi l’auricolare, te lo togli dall’orecchio e lo appoggi sulla scrivania, quando suona il telefono puoi scegliere se rispondere dal telefono o dall’auricolare;
  • per rispondere dal telefono, cosa che di solito si fa quando si presume che si tratti di una telefonata breve, è sufficiente alzarlo e portarlo all’orecchio: il Plantronics sentirà che, nonostante la chiamata, non lo stai indossando e l’audio sarà mandato all’altoparlante del telefono, senza bisogno di fare niente altro
  • se invece presumi che la telefonata non sarà così breve, puoi rispondere con l’auricolare: per fare questo sarà sufficiente prenderlo dalla scrivania e indossarlo, il Plantronics sentirà che vuoi rispondere e parlare tramite di lui quindi risponderà alla chiamata e ti passerà l’audio relativo.

Queste funzionalità sembrano una banalità ma ti consentono di utilizzare l’auricolare ogni volta che vuoi senza bisogno di tenerlo sempre addosso, stancando quindi l’orecchio. Quando arrivi alla scrivania, puoi staccarlo dall’orecchio e posarlo a fianco, ad esempio, del mouse. Se chiamano e vuoi rispondere con l’auricolare basta indossarlo, viceversa in caso contrario. Con altri auricolari, diventa tutto molto più laborioso, faticoso e a volte persino fastidioso, considerato che per quanto comodo possa essere un auricolare spesso non è possibile tenerlo su proprio tutto il giorno, specialmente se si hanno orecchie delicate o per qualche motivo un po’ infiammate.

Un’altra funzionalità molto interessante è quella di poter rispondere alle chiamate in arrivo tramite un comando vocale, in lingua italiana, che è «Rispondi» o «Ignora», da pronunciare nell’auricolare stesso; parlando un po’ più lentamente del solito, posso garantire che funziona sempre.

Questa caratteristica per me è molto utile perché si sposa con un’altra possibilità offerta del Plantronics che è quella di poter essere utilizzato sotto il casco della moto o dello scooter, cosa che io, che mi sposto più in due ruote che su quattro, faccio davvero molto spesso, riuscendo ad ottenere una qualità di chiamate paragonabile a quella che si potrebbe avere in macchina o in ufficio. Quando sto andando in scooter e ricevo una chiamata, il Plantronics mi avverte con una sintesi vocale, dicendomi anche chi mi sta chiamando, a me rimane solo da dire «Rispondi» per poter iniziare a parlare.

Il Voyager è un auricolare molto comodo, almeno dentro alle mie orecchie e posso portarlo per ore senza avvertire fastidio. Questi, comunque, restano aspetti molto personali, perché ognuno ha orecchie conformate diversamente e la cosa migliore è provarli. Per fare questa prova, suggerisco non di andare in negozio, perché indossarli per pochi minuti serve a poco, ma di acquistarli su Amazon, provarli dunque non per pochi minuti ma per alcuni giorni e poi restituirli se non si trovano abbastanza ergonomici. Con una prova di pochi minuti, infatti, si può capire abbastanza poco. Qualcosa certo si può sentire sin da subito, ma è col tempo che si vede se un auricolare è davvero adatto al proprio orecchio e comodo.

Il Voyager presenta diversi pulsanti, azionabili dall’utente raggiungendolo con una mano – anche se il comando vocale è sempre il più comodo per questo tipo di strumenti.

Oltre al pulsante dell’accensione, c’è un bilanciere per il volume, un po’ piccolino e non così facile da utilizzare per chi la dita un po’ grosse, anche perché facendo pressione l’auricolare dentro all’orecchio tende ovviamente un po’ a muoversi. È presente inoltre un pulsante per i comandi vocali del Plantronics stesso – gli si può chiedere, ad esempio, quanta batteria è ancora disponibile che, tenuto premuto, invoca anche l’assistente personale del cellulare, cioè Google Assistant o Siri (una cosa che a me non funziona così bene, ma questo non per colpa – credo – del Voyager ma del mio cellulare e di Assistant stesso). C’è anche un pulsante per spegnere il microfono, una specie di «mute», che onestamente non trovo utile, anzi a volte è persino dannoso perché capita di premerlo per errore, che personalmente preferirei fosse eliminato e che annovero dunque tra i piccoli difetti di questo che resta comunque un prodotto meraviglioso.

Possiedo diverse altre periferiche con le quali posso, oltre all’ascolto della musica, fare anche telefonate, come alcune cuffie Bose, di cui magari parleremo in altri post dedicati, ma anche vecchi auricolari col cavo, trovo comunque che il Voyager sia il più comodo di tutti.

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Formazione forense: come la corazzata Kotiomkin.

Ultimamente, mi piace molto scrivere post in cui ho assolutamente ragione, ma si tratta di una di quelle ragioni che per molti è meglio ignorare, non dire, far finta che non esista. Così il mio blog diventa ogni giorno di più unico e io mi diverto sempre di più a riempirlo di contenuti.

Oggi ti voglio parlare di formazione forense, quella cosa per cui ogni avvocato iscritto all’albo, a certe condizioni, è obbligato a frequentare corsi e altre iniziative di «aggiornamento», con lo scopo finale di garantirne la miglior preparazione e idoneità ad assistere le persone che si rivolgono al suo studio.

Siccome non c’è un altro modo per esprimere questo concetto, dirò subito che la formazione permanente degli avvocati è, dal punto di vista funzionale (non invece, come ti spiegherà meglio dopo, da quello commerciale), una colossale idiozia perché nella pratica non funziona, non può funzionare e, il giorno in cui funzionasse, sarebbe probabilmente molto più dannosa che utile.

Non funziona e non può funzionare perché propone approfondimenti ad una platea di operatori che per larga parte manca di una formazione adeguata, delle famose «basi», della capacità di inquadrare correttamente un problema in diritto, di capire il diritto stesso.

Non ci credi?

Fai come vuoi.

Io, che ci vivo in mezzo da oltre vent’anni, ti dico che una non trascurabile fetta di avvocati non è in grado di capire il diritto e nemmeno di «leggere» il codice civile, cioè di sapere cosa significhino davvero le disposizioni del codice o come debbano essere interpretate individualmente ed in relazione al sistema in cui sono inserite.

Per fortuna, il diritto serve a poco per la risoluzione dei problemi legali

Li avete visti anche voi, quegli avvocati alla perenne ricerca di una sentenza di Cassazione, come se fosse un feticcio o una panacea in grado di risolvere tutto (quando magari si versa in una materia o caso o aspetto in cui e su cui una sentenza non ci può essere), o che agitano massime giurisprudenziali trovate facendo una sciatta ricerchina nelle banche dati, di cui non hanno capito granché e che ha scarsa, per non dire nulla, attinenza col caso concreto.

Li avete visti perdersi nel dettaglio senza avere una buona idea di base circa l’impostazione del procedimento, soprattutto dal punto di vista della strategia.

Queste lacune, che sono enormi voragini, non potranno mai essere colmate da convegni, seminari, riunioni dove chi partecipa può fissare lo sguardo sull’oratore di turno ma pensare ai casi suoi per tutto il tempo, senza che ci sia una verifica di quanto appreso – verifica che, sia detto per inciso, non si auspica affatto, perché significherebbe solamente aggiungere una buffonata ad un’altra buffonata – chi farebbe le verifiche, altri somari?

Il punto, alla fine, è proprio che con la formazione forense si propongono approfondimenti ad una platea che, spesso, non dispone delle basi.

Non ne dispone perché la formazione universitaria è completamente insufficiente a tale scopo, mentre per quella post universitaria il giovane professionista è lasciato per lo più al caso (che è per lo più sfavorevole): se ha la fortuna di avere un buon maestro che gli apre davvero lo studio (gli fa vedere fascicoli, appuntamenti, udienze, ecc.) allora impara e assorbe (e questo maestro andrebbe pagato, non certo essere lui a pagare il praticante – altra colossale idiozia di cui magari parleremo), viceversa nel caso contrario.

Vi sembra normale che durante l’intero corso di studi universitari di cinque anni si sostenga un solo esame di diritto privato o civile, che è in realtà il «diritto comune» che si applica quando non vigono legislazioni speciali, peraltro al primo anno, quando uno studente è troppo acerbo e giovane per assimilarlo davvero, finendo per dimenticare quel poco che ha imparato nei due o tre anni successivi, ancor prima di laurearsi?

Un avvocato, in sostanza, quella materia che poi dovrà maneggiare per tutto il resto della sua vita professionale la studia per tre, quattro mesi circa al primo anno e poi la mette via per tutti gli altri cinque anni cui corrispondente la durata del suo corso di studi.

Come può possedere adeguate basi giuridiche?

Per rendersi conto delle proporzioni del disastro, basta essere un giudice o un avvocato e leggere tutti i giorni atti processuali scritti da altri avvocati.

That simple!

Quando si aprono certi atti, per niente rari, che non sono scritti nemmeno in Italiano, si capisce che l’autore dovrebbe ripartire da capo con la sua formazione giuridico legale, ma anche linguistico grammaticale e logica, perché manca il famoso «ABC», non solo del diritto ma della logica comune.

La gente comune pensa che il problema degli avvocati siano il cinismo, la scaltrezza, la cialtroneria, la corruttibilità, il menefreghismo, gli intrallazzi, ma in realtà questi sono fenomeni di fatto relativamente molto rari.

La maggior parte degli avvocati è onesta ed è seriamente intenzionata a far del meglio per il proprio cliente, solo che un po’ troppo spesso non è in grado di farsi venire l’idea giusta.

Per fortuna, il diritto serve, come cennato, davvero a poco per la risoluzione dei problemi legali, mentre quella che importa di solito è la capacità di definire una strategia e una tattica vincenti.

Sempre per fortuna, una buona parte delle vertenze viene definita con accordi amichevoli, che sono un vero dono di Dio sia per i protagonisti delle vertenze stesse, che magari non se ne rendono nemmeno bene conto, sia per la salute del sistema giudiziario in generale, che meno viene oberato e meglio è.

Dicevo prima che la formazione forense non è una idiozia dal punto di vista commerciale. In effetti, l’unico valore che ha rivestito questa riforma, che non ha certamente accresciuto la preparazione degli avvocati – che, per quanto mi riguarda, non può che poggiare al 90% sullo studio e l’impegno individuali – è stato quello di determinare l’incremento degli affari degli enti di formazione vari che sono spuntati sul mercato e che costantemente spammano le caselle mail degli iscritti agli albi con i loro eventi.

Con questo non voglio fare il complottaro e dirti che la formazione forense è stata introdotta solo per ragioni lobbistiche e di business. Probabilmente è stato invece un onesto, ma maldestro, tentativo di risolvere il problema della preparazione in alcuni casi scarsa degli avvocati, che però non ha risolto il problema ed è stato benefico più che altro per gli affari di chi è finito ad occuparsene professionalmente.

Quale può essere allora la soluzione?

Non spetta a me proporlo, quello che mi premeva dirti con questo post è che la formazione forense andrebbe intanto completamente smantellata, perché determina una mera perdita di tempo per i professionisti che vi sono sottoposti, tempo che gli stessi devono sottrarre alla cura delle pratiche che sono state a loro affidate (quanti colleghi che si portano il computer per lavorare ai convegni), ed è quindi alla fine, se si vuol dire la verità fino in fondo, un danno per la produttività degli avvocati, quella poca che, pur con tutti i loro limiti, possono dare ai loro clienti.

Per garantire una preparazione adeguata dei professionisti temo che si debba partire da molto più lontano e cioè da un serio percorso universitario e post universitario, soprattutto da una pratica e post pratica fatte come si deve.

È tutto per oggi…

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diritto

il professionista può trattenere i documenti se il cliente non lo paga?

Ho ritirato per conto di un mio cliente con relativa delega una licenza per un locale di Milano. Ho contattato il cliente per la consegna della licenza a fronte pero’ del saldo fattura non ancora ricevuto e varie volte sollecitato (infatti la fattura l’ho emessa nel 2009). Il cliente mi dice che non posso trattenere la sua documentazione che sono obbligato a consegnarla altrimenti si rivolgera’ al suo legale senza chiaramente volermi dare il saldo. E’ vero che non posso trattenere la sua licenza? Come posso recuperare il mio saldo?

Ha ragione il cliente, anzi devi consegnarli subito la sua documentazione perchè di qualsiasi danno che lui dovesse subire per effetto della mancata disponibilità della licenza saresti chiamata tu a rispondere. Il diritto di ritenzione si può esercitare solo nelle ipotesi previste dalla legge, in tutte le altre è escluso, tanto più nel caso in cui si tratta di documenti che servono all’utente per lavoro o per la sua vita privata. Oltre al civile, se questa «ritenzione» illegittima fosse esercitata con modalità particolarmente scorrette, potrebbero esserci anche profili di rilievo penale.

Per quanto riguarda il recupero del tuo credito, non ci sono considerazioni particolari da fare: si deve procedere nel solito modo (nel blog, trovi molte informazioni al riguardo).

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Cosa vuol dire «avvocati dal volto umano»?

Sì ma che cosa vuol dire avvocati dal volto umano, mi sembra solo uno slogan suggestivo ma poi privo di contenuto…

Mi piace molto questa domanda, perchè secondo noi questo breve “motto” vuol dire molte cose.

Naturalmente, se queste «cose» fanno poi effettivamente parte del nostro modo di lavorare e rapportarci con la gente non spetta a noi dirlo,  bensì agli altri, però diciamo che sono un po’ i nostri valori, quello in cui crediamo e il modo in cui cerchiamo di operare.

A) In primo luogo, dal volto umano significa, per un avvocato, essere prima di tutto una persona con la quale si può parlare. Non molto tempo fa, e in alcuni casi ancora oggi, con l’avvocato non si parlava,  ma a lui ci si rivolgeva quasi come se fosse un oracolo, con timore reverenziale di non dire un parola di troppo, con il risultato che spesso si finiva con il non dire quello che era necessario che il legale sapesse. Gli si passavano documenti con lo stesso spirito con cui si infila la mano nella bocca della verità, sicuri che lui avrebbe capito e gestito tutto al meglio, ma, come succede in tutti i casi in cui non c’è vera comunicazione, in realtà questo non sempre accadeva, anzi.

B) Un avvocato “dal volto umano” poi è un avvocato che cerca di capirti veramente, e ci riesce, anche quando non sai parlare bene nemmeno la lingua Italiana. Alcuni nostri clienti a volte si scusano perchè non conoscono i giusti termini giuridici, ma non sanno che molte persone che vediamo ogni giorno non sono in grado di parlare nemmeno in un Italiano elementare – un po’ per carenze culturli, ma spesso anche per l’emozione del momento – e il nostro preciso compito anche in questi casi è capire ugualmente quello di cui queste persone hanno bisogno. Per fare questo, l’avvocato, prima che un tecnico, deve essere una persona vera, esattamente come tutte le altre che girano per il mondo. Inoltre deve rendersi conto che la infinita varietà delle teste umane, come diceva Muratori, non avrà mai fine e non dare nulla per scontato: può darsi che un obiettivo che parrebbe scontato non interessi nulla ad un cliente, che magari è interessato a tutt’altro; è una indagine da condurre volta per volta, con la giusta curiosità verso il genere umano che deve sorreggere questo tipo di momenti.

C) Avere un volto umano, poi, significa semplicemente comunque mettersi dalla parte dell’utente, cercare di calarsi nei suoi panni. Chi viene da noi ha un problema, che può preoccuparlo in gradi diversi – dalla quasi indifferenza alla più totale devastazione come in alcune separazioni ad esempio – e si aspetta di ricevere un buon servizio legale dal punto di vista tecnico, con chiarezza per quanto riguarda i costi, perchè la mancanza di chiarezza sul punto non farebbe altro che aggiungere preoccupazione su preoccupazione e, oltre agli aspetti tecnici, desidera la consapevolezza di aver messo la propria questione in mano alla persona che meglio di altri può risolverla o gestirla, che è l’unica cosa che può dargli sollievo. Con il chè si torna al problema centrale della comunicazione, dell’avere un “viso aperto” quando si parla, perchè giustamente il cliente vuole e deve avere fiducia nel proprio legale, ma perchè questo avvenga è indispensabile che il cliente possa parlare o comunque esprimersi, che il legale lo capisca e che, infine, il cliente si accorga di essere stato adeguatamente compreso.

Questo, più o meno, quello che significa, secondo noi, essere avvocati “dal volto umano”, cioè essere avvocati con cui si può parlare e che capiscono le tue esigenze, anche non tecniche.

Cosa invece non significa…

Ci sono poi alcune cose che a volte vengono confuse con il volto umano, ma che in realtà non c’entrano niente, almeno per il modo in cui lo intendiamo noi.

1) Ad esempio, alcune persone evidentemente pensano che avere un volto umano significhi dare spazio a tutti quelli che girano per internet alla ricerca di qualche legale cui scroccare consulenze. In realtà, invece, noi, proprio perchè abbiamo un volto umano, ed è assolutamente umano voler guadagnare dal proprio mestiere, non facciamo e non faremo mai consulenze gratuite. Le consulenze, chi le vuole, le deve pagare, altrimenti c’è il blog a disposizione dove si parla degli istituti in generale, con osservazioni che, se gli possono essere utili, sono e rimarranno sempre a sua disposizione. Tramite il blog pensiamo di dare veramete una mano, tutti i giorni, a tante persone, ma solo attraverso le considerazioni generali contenute al suo interno – e comunque il nostro spirito filantropico non può giungere fino al lavorare gratis, cosa che non sarebbe assolutamente umana :-).

2) Altri, poi, confondono il volto umano con la sbracatura. In realtà, noi diamo volentieri del tu e ci facciamo dare del tu a e da tutti, ma sempre con grande rispetto. Non bisogna confondere la colloquialità con la sbracatura, che sono due cose molto diverse. Noi siamo per uno stile informale e contro i salamelecchi, perchè questi ultimi non ci piacciono in sè (Leo Longanesi dissi una volta una cosa meravigliosa: «I suoi elogi mi rimasero sulla giacca come macchie d’unto») e poi perchè sostanzialmente fanno solo perdere tempo e ostacolano una vera comunicazione, però questo non significa che ci faccia necessariamente piacere, ad esempio, ricevere telefonate a casa, fuori orario d’ufficio, quando siamo in famiglia.

3) Infine, dal volto umano non significa che siamo qui solo per tenere la mano ai nostri clienti e consolarli, ma per lavorare seriamente per cercare di risolvere i loro problemi. Come dice House, un favoloso personaggio di  fantasia: «Tu cosa preferisci? Un medico che ti tenga la mano mentre muori o uno che ti ignori mentre migliori?» Per noi i problemi dei clienti non si risolvono consolandoli con lunghi colloqui e disquisizioni, ma cercando di lavorarci sopra, cosa poco compatibile con le lunghe telefonate e gli appuntmenti infiniti. Noi stessi diffidiamo dei professionisti che si intrattengono molto con gli assistiti, perchè significa che poi difficilmente hanno tempo da dedicare al loro lavoro. La consolazione e il sollievo che può derivare ai nostri clienti viene dalla consapevolezza di aver preso un persona che lavorerà sui loro problemi, in silenzio e dietro le quinte magari, con le giuste riflessioni e i giusti tempi, ma non da continui e inconcludenti colloqui, che semmai dovrebbero dare la sensazione di stare solo perdendo tempo.