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Il ricorso per separazione consensuale a quale tribunale si può presentare?

vorrei fare una separazione consensuale e ritengo di avere diritto al patrocinio gratuito.volevo sapere essendo io residente a milano, posso rivolgermi solo al tribunale di milano o posso rivolgermi a un tribunale diverso,tipo quello di vicenza dove intendo ricorrere? la mia coniuge risiede a napoli io appunto risiedo a milano ,come dobbiamo fare e quali documenti servono per potere avviare la pratica? Nel caso di separazione consensuale, si deve usare il tribunale di residenza dei coniugi.

Se i coniugi, come nel vostro caso, hanno due residenze diverse, si può usare indifferentemente uno o l’altro tribunale, nel vostro caso il ricorso può essere presentato o a Napoli o Milano.

Non si può invece usare un altro tribunale a scelta, bisogna usare quello previsto dalla legge.

Per il tema del patrocinio a spese dello Stato, ti rimando alla nostra pagina apposita.

Per ulteriori dettagli ancora, ti rimando al mio libro Guida alla separazione e al divorzio.

Per i tecnici che dovessero capitare a leggere questo post, invece, cito una parte del mio altro libro, appunto dedicato ai professionisti del diritto, «Separazione e divorzio. Principali aspetti sostanziali e processuali», in cui il problema della competenza territoriale viene approfondito:

«Pur nel silenzio dell’art. 711 cod. proc. civ., si ritiene territorialmente competente il tribunale di residenza di uno dei due coniugi, in applicazione analogica dei criteri di competenza dettati per i divorzi congiunti o comunque dei criteri generali dettati dagli artt. 18 ss. del codice di rito, considerato che conducono entrambi alla medesima indicazione[^1]. Si tratta, secondo la maggior parte degli studiosi, di regole di competenza territoriale inderogabile, la cui violazione può essere rilevata d’ufficio dal giudice con queste particolari modalità: non può sollevarla il presidente nella fase davanti a lui, mentre potrebbe farlo il collegio in sede di giudizio di omologazione».

[^1]:L’art. 706 cod. proc. civ. prevederebbe in realtà la competenza del tribunale dell’ «ultima residenza comune dei coniugi», ma si tratta di un precetto della cui applicabilità alla separazione consensuale c’è da dubitare, per svariati motivi. Innanzitutto, nella pratica comporterebbe conseguenze poco sensate nei casi in cui entrambi i coniugi si siano, dopo la crisi familiare, trasferiti in città facenti capi ad altri tribunali e fossero, quindi, costretti entrambi a rivolgersi ad un tribunale che non ha più alcun collegamento con l’ambiente di vita di entrambi. Inoltre, c’è da registrare che la Corte costituzionale, intervenendo su analoga disposizione contenuta nella legge sul divorzio – con la sentenza 169 del 23 maggio 2008 – l’ha, proprio per tali motivi, dichiarata incostituzionale, di talchè è lecito sostenere una interpretazione costituzionalmente orientata anche dell’art. 706 cod. proc. civ.. Infine, non è da ritenersi certo che la disposizione in esame si applichi alla separazione consensuale, anche perchè verosimilmente tali criteri possiedono natura eccezionale e sono pertanto insuscettibili di applicazione analogica.

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La clausola che obbliga il nuovo convivente di moglie separata affidataria della casa coniugale a pagare un’indennità per il suo godimento è valida?

il mio compagno è separato consensualmente dalla ex la quale ha ricevuto assegnazione della casa familiare(totalmente del mio compagno che corrisponde il mutuo) in quanto affidataria in via condivisa della bimba di 6 anni. La ex già prima della fine del matrimonio intratteneva relazione extraconiugale con un individuo che ora vive praticamente sempre a casa dell’ex. Negli accordi di separazione era scritto che l’eventuale convivente avrebbe dovuto corrispondere una indennità al marito. Naturalmente i due approfittatori si rifiutano e ciò è davvero molto ingiusto. C’è qualche speranza di ottenere dal tipo una indennità, e se sì come fare?

Una clausola di questo genere in un accordo di separazione non mi era mai capitata e devo dire che mi suscita anche un po’ di curiosità a livello tecnico.

Dal punto di vista della «equità» è una pattuizione che ci può anche stare, anzi può essere addirittura una buona idea per evitare che i nuovo compagni dei coniugi separati vengano a godere del tutto gratuitamente di una casa di proprietà altrui, approfittando di fatto di disposizioni che non sono certo volte a tutelare loro ma i minori.

Però il fatto che sia o possa essere giusta non significa che sia anche legittima e quindi valida.

Innanzitutto, occorre vedere come è stata formulata, perché ad esempio è evidente che se fosse formulata per costruire un obbligo in capo al nuovo convivente non sarebbe assolutamente valida, dal momento che gli accordi di separazione sono tutt’al più un «contratto» (diciamo, per il momento, così) tra i coniugi, che non può certamente vincolare un terzo.

Se fosse invece stata formulata in riferimento al coniuge, allora le chances di sua validità sarebbero molto maggiori, ma anche in quel caso andrebbe valutata attentamente.

Ti consiglierei di far esaminare il verbale di separazione e il decreto di omologa da un legale, per vedere se la clausola può essere ritenuta valida ed efficace e, di conseguenza, valutare quali iniziative si possono intraprendere.

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Come gestire la casa in comune ora che mi separo?

ho intenzione di separarmi da mio marito e, al di là degli aspetti legati strettamente alla separazione, non so come fare con la casa.
Abbiamo acquistato l’immobile dove viviamo nel 2008, con un mutuo di 150 mila euro per 30 anni rata fissa e taso variabilie. Il mutuo è intestato a mio marito così come l’intera proprietà dell’appartamento. Io sono il garante del mutuo e pago mensilmente la mia quota, poichè ci siamo divisi l’onere, pur non essendo a me cointestato il mutuo. (effettuo un bonifico ogni mese a favore di mio marito). Come si risolve il problema del pagamento mensile della rata nel caso io decida di andare a vivere in affitto da un’altra parte (ammesso che mi convenga)? e come si risolve il problema del garante nei confronti della banca? siamo sposati dal 2009 e siamo in regime di separazione dei beni.

Se non avete figli che possano determinare un provvedimento di assegnazione della casa coniugale, il problema si può risolvere solo, a mio giudizio, tramite un approccio negoziale. Da questo punto di vista, bisognerebbe capire qual’è il «clima» che c’è tra voi due e quali sono, di conseguenza, le possibilità di una soluzione consensuale o meno. Se vi fossero buone possibilità di una separazione appunto consensuale, pur non facendo le questioni patrimoniali parte in senso stretto, come hai giustamente intuito, della materia, in quella occasione potrete regolare la questione adottando la soluzione che preferite.
Di solito in questi casi le possibilità sono diverse: o un coniuge acquista la metà di proprietà dell’altro, operazione che peraltro si può fare solo dopo l’omologa in caso di consensuale se i coniugi sono in regime di comunione dei beni, oppure si vende ad un terzo e si divide il ricavato. Naturalmente, i rapporti con la banca che ha concesso il mutuo andranno regolati a parte, l’istituto di credito non ha nessun obbligo di tener conto della vostra separazione. Se tu volessi mai essere liberata come garante, occorrerebbe sempre il consenso della banca, che la banca immagino presterebbe solo presentandogli nuove ed ulteriori garanzie. È comunque anche questo un aspetto da vedere con un approccio negoziale, l’unico praticabile.

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Come dirsi addio nel modo migliore. Guida legale alla separazione e al divorzio (utile anche alle coppie di fatto)

Come dirsi addio

 

Dopo tre anni dall’uscita, la mia «Guida alla separazione e al divorzio» è stata «riconfezionata» e posta in vendita, mantenendo gli stessi identici contenuti, con un nuovo titolo, copertina e soprattutto un nuovo, più favorevole, prezzo.

Il prezzo attuale, per la versione in cartaceo, è di 9,90€ (e si trova anche scontato), mentre l’ebook costa ancora meno, solo 6,99€.

Essendo i contenuti del tutto identici, va da sè che il consiglio, per tutti coloro che sono interessati alla guida, è di acquistare questa versione, a meno che non si preferisca la copertina rigida (che offre prestazioni migliori quando si deve dare la caccia alle zanzare), nel qual caso meglio preferire la vecchia versione.

La guida è ancora attuale, aggiornata? Al 90% sì. Ci sono state riforme importanti, come quella sullo stato dei figli di genitori non coniugati, ma, esattamente come avevamo progettato di fare quando uscì la prima versione, ne abbiamo sempre dato conto sul blog, che, come ugualmente avevamo detto sin dall’inizio, rappresenta il naturale complemento della guida, da leggere insieme ad essa, per approfondimento e, soprattutto, aggiornamenti. Inoltre, il testo è basato sull’illustrazione dei concetti fondamentali contenuti nelle leggi in materia familiare, di cui le riforme intervenute non rappresentano che la natura evoluzione.

Rimane una parziale incongruenza anche del nuovo titolo, che solo chi legge il libro può scoprire: la guida non serve solo per «dirsi addio», ma anche nelle situazioni completamente opposte, quelle in cui si deve costituire una coppia e si deve scegliere che forma darle (se matrimonio, e che tipo di matrimonio, convivenza, ecc.), quale regime patrimoniale scegliere e così via. Il testo, insomma, non è concentrato solo sull’aspetto patologico della vita familiare, ma anche sui profili costruttivi, anche in chiave preventiva. Troppo spesso noi professionisti interveniamo solo dopo che è scoppiato il problema, in futuro dovrà essere molto più spazio per la prevenzione, che altro non significa che cercare di impostare sin dall’inizio le cose in modo da rendere il più difficile ed improbabile possibile che si verifichino problemi.

Per ulteriori informazioni, potete consultare questa pagina e le FAQ sul libro.