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Matrimonio celebrato all’estero e regime patrimoniale: è comunione.

io sono del Marocco sono sposata nel Marocco e mio marito marocchino,io ho doppia cittadinanza, la mia domanda io voglio fare la separazione,vorrei acquistare una casa solo con il mio nome vorrei sapere prima se dopo come funzione la divisione comune del bene o separazione del bene? Il fatta che abbiamo fatto il matrimonio in Marocco come funziona la separazione in italia a rischio di perde la casa che devo acquistare il fatto che non ancora siamo separati

Se ti sei sposata in Marocco, il regime patrimoniale della tua famiglia, a seguito della trascrizione in Italia del matrimonio marocchino, è quello della comunione dei beni, che è il regime di «default» in Italia.

Se uno vuole sposarsi all’estero, infatti, e avere il regime della separazione dei beni devi fare, prima di andare a celebrare il matrimonio, una convenzione matrimoniale presso un notaio in Italia, prescrivendo che appunto, in caso di celebrazione del matrimonio, il regime patrimoniale dei coniugi sia quello della separazione anziché quello, previsto un automatico, della comunione.

Ad ogni modo, se acquisti una casa adesso diventa di proprietà anche di tuo marito.

Per evitare ciò, ci sono due possibilità.

La prima è fare la separazione personale dei coniugi, che determina lo scioglimento della comunione.

La seconda è passare dal regime patrimoniale di comunione a quello di separazione dei beni. Per questa seconda eventualità, occorre andare da un notaio ed occorre ulteriormente che tuo marito venga a firmare.

A mio giudizio, non vale assolutamente la pena fare l’operazione dal notaio. Se non vai più d’accordo con tuo marito e vuoi la separazione, meglio fare direttamente la separazione, che può essere anche consensuale, formalizzata tramite un accordo in house, senza bisogno di andare in tribunale.

Se vuoi approfondire ulteriormente la questione, ed eventualmente procedere, chiama ora lo studio al numero 059 761926 e prenota il tuo primo appuntamento, concordando giorno ed ora con la mia assistente; puoi anche acquistare direttamente da qui: in questo caso, sarà poi lei a chiamarti per concordare giorno ed ora della nostra prima riunione sul tuo caso; a questo link, puoi anche visualizzare il costo.

Naturalmente, se vivi e lavori lontano dalla sede dello studio – che è qui, a Vignola, provincia di Modena, in Emilia – questo primo appuntamento potrà tranquillamente avvenire tramite uno dei sistemi di videoconferenza disponibili, o anche tramite telefono, se lo preferisci. Ormai più della metà dei miei appuntamenti quotidiani sono videocall.

Guarda questo video per sapere meglio come funzionerebbe il lavoro con me.

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Mio marito pretende l’uguaglianza: ha ragione?

Sono sposata in regime di separazione dei beni, abbiamo 3 figli. Io lavoro come impiegata in un’azienda e guadagno 1200 euro al mese. Mio marito invece ha un’azienda sua e guadagna cinque volte più di me, ma mette in casa, per le spese della famiglia, solo 1200€ al mese, corrispondenti a quello che porto a casa io, perché dice che ognuno deve contribuire uguale all’altro. Solo che così facendo viviamo, e facciamo vivere i nostri figli, con un tenore molto più basso di quello che, in realtà, ci potremmo permettere. È giusta una cosa del genere?

L’art. 143, comma 3°, cod. civ., posto in apertura di una parte del codice intitolata «Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio», prevede che «entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».

Si tratta di una disposizione di riguardo, la cui lettura è obbligatoria anche in Chiesa, durante la celebrazione del matrimonio concordatario, insieme ai successivi articoli 144 e 147, proprio perché ritenuta particolarmente importante sul tema delle conseguenze derivanti dal matrimonio.

L’articolo in esame è molto chiaro: il contributo che deve essere prestato da ciascun coniuge non è mai parametrato a quello che fa o può fare l’altro, non vige un principio, analogo ad esempio a quello valevole per i conferimenti delle società commerciali, per cui la «quota» da versarsi ad opera di ciascun coniuge, o socio, è identica.

Vale, in realtà, il principio opposto: ogni coniuge deve dare il massimo, in base alle proprie sostanze, e quindi al suo patrimonio, e alla sua capacità lavorativa, per le esigenze della famiglia.

Come avvocato, mi sono imbattuto di applicazioni di questa disposizione soprattutto in caso di famiglie oramai, purtroppo, disgregate e quindi in occasione di separazione e divorzio.

Così ad esempio nel caso in cui i figli stiano uguale tempo con un genitore e con l’altro non è detto che non sia prevedibile un assegno dall’uno all’altro genitore. Quando, infatti, lo squilibrio tra i redditi reciproci è forte, nonostante la parità di tempi di permanenza, i giudici prevedono ugualmente un assegno, che consente ai figli di godere, anche quando stanno con il genitore economicamente più debole, di un tenore di vita non così diverso e deteriore.

Anche il concetto di «capacità lavorativa» è applicato molto spesso e largamente dai giudici. A volte si presentano genitori che, sostenendo di non lavorare oppure di lavorare in un’attività che «malauguratamente» è in rosso da anni, credono di scamparsela, mentre invece i giudici li condannano comunque a versare un mantenimento per i figli, considerando non la situazione attuale, ma la loro capacità lavorativa potenziale.

La legge vigente, insomma, non è a favore di tuo marito.

Su un piano più generale, va ricordato che la famiglia, come cennato prima, non è una società commerciale, che è un contratto, e non si basa mai su un rapporto di tipo sinallagmatico, cioè su un equilibrio tra prestazione e controprestazione, cosa che è invece tipica dei contratti.

Se io, ad esempio, ti vendo un computer dietro pagamento di un prezzo, quando tu poi questo prezzo non me lo paghi, io sono legittimato a non consegnarti il computer, c’è anche un antico brocardo latino che esprime questo inadimplenti non est adimplendum. Perché è un rapporto sinallagmatico in cui devono esserci entrambe le prestazioni, se una viene meno può essere sospesa anche l’altra.

La famiglia non funziona così, la famiglia è un contesto in cui tu consegni il computer anche quando chi lo prende non ne paga il prezzo. Non so ad esempio quante volte ti è capitato di comprarne uno per i tuoi figli… Ma vale anche nei rapporti tra i coniugi.

Insomma, in famiglia la regola non può assolutamente mai essere quella per cui le «prestazioni» dei due coniugi devono stare in corrispondenza tra loro, ma quella per cui ognuno deve fare il massimo che può per l’altro coniuge e per i figli.

Questo prima di tutto a livello concettuale, ma poi anche a livello pratico.

Come si calcolerebbe con precisione il contributo di ciascun coniuge, infatti? Se la moglie sta a casa, accudisce i figli, gestisce la casa stessa, prepara i pasti, cura le pulizie e così via, secondo lo schema classico e tradizionale di molte famiglie, e il marito può così, solo grazie al lavoro casalingo della moglie, lavorare «fuori» e guadagnare molto, quei molti guadagni che nominalmente sono solo del marito, non sono anche in realtà metà della moglie, grazie alla quale si sono potuti maturare e senza il cui lavoro non si sarebbero mai potuti avere?

Questa era ed è la logica alla base dell’istituto della comunione dei beni come regime patrimoniale tra i coniugi, logica che permane anche nelle coppie come la tua dove hai la separazione dei beni perché è una realtà fattuale anche prima che giuridica.

Per me, tuo marito su questo sbaglia. Per lavorare su questo «nodo», consiglio, considerato che siete ancora sposati, alcune sedute di mediazione familiare da un bravo professionista.

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Cointestare immobili a un coniuge: come si fa?

io e mia moglie ci siamo sposati in uno stato di separazione dei beni. Successivamente io ho comprato alcuni immobili ed ora però vorrei che lei fosse proprietaria al 50% di tutto come se avessimo comprato in comunione di beni. Come mi conviene fare? …posso fare una donazione di tutto quello che ho nella quota dal 50 % e contestualmente passare in regime di comunione per le cose future? Considerato che abbiamo tre figli.

Puoi donare o trasferire ad altro titolo – e magari questo può essere oggetto di approfondimento, al fine di realizzare legittime situazioni di risparmio fiscale – i cespiti immobiliari che hai già acquisito.

A parte, poi, sempre dal notaio, devi stipulare una convenzione matrimoniale per passare dal regime di separazione dei beni a quello di comunione.

Ovviamente, questa convenzione non è necessaria se il tuo scopo è solo quello di intestare i futuri immobili anche a tua moglie: sarebbe anzi sufficiente, e per certi versi anche più chiaro, far partecipare tua moglie, anche se in regime di separazione dei beni, ai singoli atti di acquisto degli immobili stessi.

Anzi, il regime di comunione dei beni ha delle implicazioni che vanno oltre la mera contestazione degli immobili e che ti consiglierei di approfondire come si deve con un avvocato di fiducia per capire se effettivamente, per la vostra famiglia, conviene il passaggio ad un diverso regime patrimoniale o meno.

Se vuoi un preventivo per questa cosa, puoi chiederlo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.

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Divorzio in comune senza mantenimento: può chiederlo dopo?

sono divorziato dal 2017 da un matrimonio in regime di separazione dei beni. Io e la mia ex abbiamo usufruito del divorzio breve consenziente in Comune, entrambi eravamo d’accordo di non farci affiancare da un avvocato e non abbiamo stabilito nessuna condizione economica, tipo assegni di divorzio e di mantenimento, in quanto senza figli ed entrambi autonomi lavorativamente parlando. Semplicemente lei si è presa le cose di sua proprietà io mi sono tenute le mie. La mia domanda ora è questa: può la mia ex , alla luce di tutto questo, andare in tribunale e richiedere un mantenimento o un qualsiasi risarcimento? Lei convive con un altro uomo da quando abbiamo ottenuto il divorzio, io invece mi sono risposato. Siamo sempre stati in buoni rapporti finora, ma temo che questo suo nuovo compagno possa indurla a fare tali richieste.

Personalmente, come sa chi segue regolarmente il blog, sono abbastanza sfavorevole alla separazione e divorzio in comune senza alcuna assistenza da parte di un avvocato, proprio perché, al di là dell’operazione in sé, ci sono alcune cose da capire che, senza l’intervento di un legale, sono destinate invece a rimanere oscure e a genere, di conseguenza, dei problemi.

Purtroppo, quando dico che separarsi o divorziare in comune è sconsigliabile, le persone, non conoscendomi e non sapendo che spesso consiglio cose contro il mio interesse, pensano che, al contrario, voglia solo guadagnarci.

In realtà, un buon compromesso, che poi è quello che consiglio in questi casi, potrebbe essere quello di fare separazione e/o divorzio in comune, ma chiedendo al contempo una consulenza di approfondimento ad un avvocato. Con una spesa contenuta di massimo due-trecento euro, si può affrontare la cosa con molta più cognizione di causa.

Detto questo, in linea di principio le condizioni di divorzio possono sempre cambiare, ovvero ognuno dei coniugi può depositare in tribunale un ricorso per modifica condizioni – salvo che non si tratti di modifiche consensuali, che possono essere fatte con un accordo in house.

Quindi in astratto la tua ex moglie questo diritto ce l’avrebbe.

Tuttavia, la nuova convivenza, per giurisprudenza piuttosto costante, fa venir meno il diritto ad un assegno di mantenimento da parte dell’ex coniuge, perché determina la decadenza della solidarietà post coniugale che, se il coniuge ha formato un nuovo nucleo, anche di fatto, con un’altra persona, non ha più ragione di esistere.

Tra l’altro la Cassazione, con la sentenza 6855 del 3 aprile 2015, ha chiarito che la solidarietà post coniugale viene meno per sempre nel momento in cui si è instaurata una convivenza stabile e duratura, anche qualora questa convivenza, in seguito, dovesse venir meno.

In conclusione, credo che molto ben difficilmente la tua ex moglie potrebbe presentare un ricorso per vedersi riconosciuto un assegno di mantenimento.

Per ulteriori approfondimenti, puoi valutare di acquistare una consulenza, anche se non credo che nel tuo caso ne possa valere la pena.

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Casa acquistata prima del matrimonio: di chi è?

Ho 23 anni di matrimonio, sono sposata nella comunione dei beni, vorrei sapere se ho diritto al 50% della casa? Lui ha comprato la casa solo a suo nome un anno prima del matrimonio.

Gli anni di durata del matrimonio, dal punto di vista della situazione proprietaria (o dominicale) degli immobili di pertinenza della coppia o di uno dei due, non hanno alcuna rilevanza – possono averla, al contrario, su eventuali assegni di mantenimento erogabili in caso di separazione.

L’unica cosa che ha rilevanza, in questi casi, è il regime patrimoniale della famiglia, che può essere di comunione dei beni, separazione dei beni oppure un regime speciale risultate da apposite negoziazioni dei coniugi, soluzione quest’ultima che nella pratica ha avuto poca fortuna e diffusione.

La casa, che immagino essere quella familiare, è stata acquistata un anno prima della celebrazione del matrimonio da tuo marito ed è quindi entrata solo nel suo patrimonio personale.

Quando vi siete sposati avete scelto come regime patrimoniale quello della comunione dei beni. In realtà, non si tratta di una vera e propria «scelta», ma del regime «di default» che si applica a chi si sposa senza effettuare particolari scelte a riguardo.

Ad ogni modo, la celebrazione del matrimonio con conseguente ingresso nel regime patrimoniale della comunione dei beni non ha effetti retroattivi, non determina cioè il cambiamento della situazione proprietaria dei beni di cui i coniugi erano proprietari prima del matrimonio, che restano dei rispettivi proprietari originari, ma vale solo per gli acquisti futuri, cioè successivi alla celebrazione del matrimonio.

Per ulteriori approfondimenti, e soprattutto per vedere cosa potresti fare per essere tutelata, valuta di acquistare una consulenza.

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Casa mia ma pagata insieme a mia moglie: che diritti ha lei?

sono in separazione dei beni 4 anni fa, abbiamo acquistato una casa intestandola solo a mio nome con soldi provenienti da conti correnti cointestati con mia moglie. siamo tutti residenti in questa casa da anni (io mia moglie e tre figli minori) ma ci vivono loro 4 solo da 8 mesi Adesso che ci stiamo separando mia moglie può pretendere la metà della somma pagata per l’acquisto della casa anche se di mia proprietà? O non può niente se non abitarci per assegnazione di casa coniugale, senza null’altro pretendere?

Se la casa è stata acquistata dopo il passaggio al regime patrimoniale, per la famiglia, della separazione dei beni la proprietà dovrebbe essere effettivamente tua.

Tua moglie, tuttavia, avendo contribuito all’acquisto, a quanto capisco in ragione del 50%, potrebbe vantare un credito corrispondente, oltre ad avere probabilmente il diritto all’assegnazione della casa familiare a tutela dei minori.

Il codice civile prevede infatti, a tacer d’altro, per antica tradizione l’istituto dell’arricchimento senza causa, che si verifica appunto in casi analoghi a questo e conferisce a chi ne rimane «vittima» senza causa il diritto di agire per essere indennizzato.

Credo che la soluzione migliore sia trovare un accordo con tua moglie, che riguardi non solo questo aspetto ma tutta la gestione della separazione.

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Regime patrimoniale tra coniugi: cosa succede a cambiarlo?

vorrei cortesemente sapere se dopo un Matrimonio celebrato nel 1981 in regime di “Comunione dei Beni” si possa modificare il regime in “Separazione dei Beni” dal momento in cui viene stipulato l’atto in poi lasciando in comunione i beni acquistati prima dell’atto stesso

Il regime patrimoniale tra coniugi – comunione, separazione o sistema «personalizzato» – adottato dai coniugi stessi al momento del matrimonio o successivamente, tramite una convenzione matrimoniale stipulata per atto pubblico si può sempre cambiare.

Nel momento in cui questo regime patrimoniale viene cambiato, non viene ovviamente a mutare la situazione giuridica dei beni acquistati nel vigore del regime precedente, cioè ad esempio se una coppia di coniugi decide di passare alla comunione quando prima si trovava in separazione non è che i beni acquistati diventano, per ciò stesso, di proprietà comune, ma rimane la situazione proprietaria che si era determinata sulla base del regime patrimoniale vigente al momento in cui era stato compiuto l’acquisto.

Ogni famiglia, dunque, può avere una storia particolare del regime patrimoniale vigente, specialmente quelle coppie che si sono sposate prima del 1975, anno in cui è entrata in vigore la riforma del diritto di famiglia, con la conseguenza che per divisare la situazione giuridica dei beni acquistati in costanza di matrimonio bisogna sempre capire quando i beni sono stati acquistati – la data, cioè – e confrontare questo momento con il regime patrimoniale vigente in quel momento, per effetto della scelta operata o al momento del matrimonio, o dal notaio con convenzione matrimoniale o dal legislatore come avvenuto con la riforma del 1975 e come potrebbe avvenire con altri interventi legislativi.

Nel caso da te posto, passando al regime di separazione da quello di comunione, i beni precedentemente acquistati resterebbero nella medesima situazione in cui si trovavano anteriormente, situazione che non verrebbe a cambiare per effetto del mutamento, avvenuto adesso, del regime patrimoniale. Non dico espressamente che si troverebbero in comunione, perché sono sempre possibili eccezioni, il caso più concreto è quello del coniuge che interviene all’atto pubblico di acquisto per rinunciare espressamente alla comunione, quindi bisogna vedere in concreto per ogni bene che regime giuridico si può ritenere sussistente – restando inteso che la valutazione sarà effettuata sulla base delle regole della comunione.

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come coniuge devo contribuire al mantenimento anche degli immobili di famiglia?

Sono sposata dal 2002 e vivo in una casa per metà di proprietà di mio marito e per metà di mia suocera. Mio marito ha anche un appartamento in zona di villeggiatura interamente intestato a lui. Il locale in cui ha il suo ufficio è per metà di sua proprietà e per metà di proprietà della sorella. La domanda è: quali sono le spese inerenti gli immobili di cui sopra alle quali devo contribuire anche io? Fino ad ora ho contribuito sempre anche perchè abbiamo il conto corrente cointestato ma non mi sembra corretto considerando che tali immobili non sono di mia proprietà.

Nella tua domanda manca un dettaglio fondamentale e cioè sapere qual’è il regime patrimoniale tra voi, se comunione dei beni o separazione, e se gli immobili di cui stiamo parlando, nel primo caso, sono stati acquistati prima o dopo il matrimonio e, nel secondo caso, a quale titolo. Nel caso siate in comunione, infatti, e gli immobili siano stati acquistati dopo il matrimonio per titoli che ne determinano l’ingresso in comunione (non, ad es., per successione o donazione, come immagino sia avvenuto per l’ufficio, visto che è in comunione con la sorella), si ha appunto una situazione di comunione anche su quegli immobili che sono formalmente intestati solo a tuo marito.

Detto questo, poi c’è da dire che la ripartizione delle spese non segue necessariamente la titolarità dell’immobile, ma può avvenire anche in base all’uso, ad esempio se tu utilizzi la casa di villeggiatura non sembra ingiusto che tu contribuisca anche alle relative spese.

Infine, le spese possono essere di diversissimo tipo tra loro: ci sono quelle correnti, tipicamente di uso, come le bollette delle varie utenze, e ci sono quelle straordinarie, come quelle ad esempio per una eventuale ristrutturazione, anche sotto questo profilo probabilmente ci sarebbero da fare dei distinguo.

Comunque ti consiglio di non lasciar perdere, e di chiarire la situazione con tuo marito, in un senso o nell’altro, perchè queste piccole questioni, se trascinate, minano l’intesa tra i coniugi e la fiducia reciproca.

la casa donata nel 2008 può esser fatta rientrare nella comunione a cui si passa nel 2013?

io e mio marito siamo sposati dal 2003 in separazione beni. Da subito abbiamo ristrutturato la casa in cui abitiamo, che era intestata a mio suocero, con i soldi di entrambi. Nel 2008 la casa è stata donata a mio marito (ha una sorella per la quale mio suocero ha fatto una scrittura privata dove dichiara che le rilascia la casa in cui vive tuttora). Dato che negli anni, e ancora adesso, la casa in cui abitiamo è oggetto ancora di ristrutturazione con i soldi di mio marito e i miei, per tutelarmi volevo passare al regime di comunione dei beni, ma mi pongo una domanda: se la comunione parte nel 2013, rientra la casa donata nel 2008? Altrimenti devo pensare ad un altro modo per tutelarmi. Pensi che al matrimonio volevamo fare la comunione dei beni, ma entrambi i nostri parroci ci hanno caldamente sconsigliato di farlo…

Il passaggio al regime di comunione dei beni non interessa i beni che sono già stati acquisiti da coniugi. In ogni caso, i beni che uno dei coniugi acquista per effetto di donazione non rientrano in comunione dei beni (art. 179, lett. b). cod. civ.). Quindi, se credi, dovresti valutare un altro modo per tutelare i tuoi investimenti sulla casa. Non ho capito bene nemmeno la questione della scrittura privata alla sorella, ma intravedo un possibile pasticcio anche al riguardo considerato il divieto dei patti successori. Sarebbe bene far valutare tutta la situazione ad un legale.

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Separazione o comunione dei beni: qual è meglio?

Homer e Marge

Che cosa sono.

Ecco una domanda sempre molto gettonata, che riceviamo periodicamente con una certa costanza:

Devo sposarmi, ma io e la mia fidanzata siamo incerti se fare la separazione dei beni o la comunione, che cosa è meglio?

È il caso, quindi, di fare un po’ di chiarezza.

Innanzitutto vediamo però che cosa sono comunione e separazione dei beni.

Si tratta di regimi patrimoniali della famiglia, cioè regole che stabiliscono di chi è la proprietà di quello che viene acquistato da uno dei due coniugi durante il matrimonio, a partire da subito dopo la celebrazione di esso. Questi regimi possono essere cambiati anche in seguito, passando ad esempio da comunione a separazione e viceversa, ma sempre solo con l’accordo dei coniugi, altrimenti il loro mutamento si può avere solo con separazione personale o divorzio, o decesso di uno dei due.

In generale, con la separazione dei beni ogni coniuge conserva la proprietà dei beni che acquista, mentre con la comunione alcune, molto importanti, categorie di beni che acquista uno dei due coniugi diventano di proprietà comune, per effetto del matrimonio. In realtà, il discorso è molto più articolato e non sempre facile da comprendere per i profani del diritto (e anche purtroppo a volte per qualche avvocato).

Ad ogni modo, per spiegare un po’ meglio la differenza, grosso modo, in modo che sia comprensibile a tutti, si può dire che con la separazione non cambia niente rispetto alla situazione precedente, ognuno rimane proprietario dei suoi beni e dei suoi redditi; con la comunione, invece, si costituisce una specie di “società” tra marito e moglie per cui gli acquisti fatti da uno dei due, con alcune importanti eccezioni, diventano di proprietà comune e sono soggetti a regole particolari per quanto riguarda la loro amministrazione e la possibilità che i creditori dei coniugi possano pignorarli.

Il sistema preferibile in linea generale.

In generale, secondo me è meglio la separazione dei beni, ma solo appunto in generale, perché la valutazione va rigorosamente fatta in relazione alle caratteristiche che si hanno in mente per la famiglia che si va a costituire.

La comunione dei beni è un istituto che viene messo «di default» solo nel nostro Paese, altrove il regime ordinario è quello della separazione. E’ stata, la comunione, introdotta storicamente per fare da contrappeso all’introduzione di separazione e divorzio e quindi in qualche modo anche per rendere più difficile sciogliere i vincoli matrimoniali. Purtroppo però i vincoli affettivi tra le persone non sono determinati dagli istituti patrimoniali vigenti per la famiglia e, quando vengono a mancare e si apre la crisi della famiglia, la comunione è solo un problema in più tra i tanti da risolvere e non certo un aiuto.

La comunione avrebbe anche la funzione di retribuire la donna o comunque il coniuge ch non lavora per il «lavoro casalingo», che svolge in casa e che, specialmente nel caso di famiglie con figli, è di importanza fondamentale. Si considera che il marito, ad esempio (potremmo parlare di moglie, a termini invertiti), può andare al proprio impiego o professione solo perchè la donna rimane a casa a mandare avanti la famiglia e quindi giustamente lo stipendio o comunque il reddito deve essere diviso per due.

Ma, a parte il fatto che oggigiorno lavorano nella maggior parte dei casi entrambi i coniugi, anche in regime di separazione dei beni nulla vieta che i coniugi si accordino affinchè la moglie (o, oggigiorno, anche il marito) stia a casa e poi a fine mese o anno i proventi dell’unico coniuge che lavora siano divisi. La cosa non è obbligatoria come nella comunione, ma al giorno d’oggi ciascun coniuge ha tutti i mezzi a disposizione per ottenere ciò che è giusto dall’altro coniuge ed in effetti questa sembra la strada preferibile.

Come è meglio procedere per scegliere il regime patrimoniale?

In conclusione, la cosa migliore, qualunque decisione si prenda, è non ignorare questi aspetti, come fa invece la maggior parte della gente che si sposa.

In altri paesi, come gli Stati Uniti, si usano per regolare questi ed altri aspetti addirittura i contratti prematrimoniali, che tanto scandalo suscitano qui in Italia. In realtà, a mio giudizio hanno ragione quelli che li fanno perchè quando le cose vanno bene si possono tranquillamente lasciare nel cassetto, mentre invece se vanno male, anzichè impelagarsi in separazioni che durano 10 o 15 anni come qui in Italia, si riesce a risolvere il vincolo in poco tempo e con poche complicazioni.

Qui i contratti prematrimoniali non si possono fare, perchè la materia è considerata indisponibile, in larga parte, tuttavia almeno una consulenza di base da un professionista sul regime patrimoniale da scegliere e su come amministrare la famiglia non è una cattiva idea, anche per tutelarsi contro i terzi nel caso in cui la famiglia continui. Oltre che sul solo regime patrimoniale, sarebbe bene farsi informare anche sul tipo di famiglia da costituire, cioè se basata su matrimonio, su sola convivenza e così via perché ci sono conseguenze importanti anche in relazioni a queste scelte.

Per questo tipo di problematiche, abbiamo anche definito un prodotto specifico: la consulenza prefamiliare.

Ulteriori approfondimenti

Per ulteriori approfondimenti, rimando al mio libro, disponibile anche in ebook, dove le differenze tra separazione e comunione sono illustrate più nel dettaglio, anche sotto il profilo di come vanno amministrati i beni a seconda della scelta dell’uno o dell’altro regime patrimoniale.