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Tribunale online: nuovo servizio per l’accesso telematico del cittadino.

Note dell’episodio.

Oggi ti parlo di «tribunale online», un nuovo servizio allestito dallo Stato italiano che consente l’accesso dei singoli «cittadini», tramite SPID, alle loro pratiche, per quelle situazioni in cui gli stessi possono stare in giudizio da soli, senza l’assistenza di un avvocato.

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Tiziano Solignani, avvocato cassazionista, counselor, coach per avvocati, scrittore. Vivo e lavoro a Vignola, provincia di Modena. Puoi vedere tutte le mie risorse digitali e il mio mondo di contenuti qui.

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Termini per impugnare scaduti: cosa si può fare?

Note dell’episodio.

In questa puntata, sempre a partire da un messaggio vocale lasciatoci da un ascoltatore, parliamo – affrontando il caso di una persona licenziata per superamento del periodo di comporto – di cosa si può fare quando vengono commessi in primo grado degli errori di conteggio e soprattutto cosa si può fare quando sono scaduti i termini per impugnare.

Riferimenti.

Di seguito, alcuni precedenti post del blog, o puntate del podcast, menzionati durante l’episodio o comunque aventi ad oggetto tematiche collegate a quelle trattate in questa puntata, che ti consiglio di consultare.


[la risposta è nel podcast]

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diritto

Arresto dell’altro contraente: si può recedere per giusta causa?

Posso recedere dal contratto di agenzia per giusta causa considerato che il contraente è stato arrestato questo martedì per frode, evasione, danni all’erario ed il suo deposito petrolifero sequestrato?

Come spiego meglio in questa scheda dedicata, che ti invito a leggere con attenzione, la «giusta causa» è una «clausola aperta»: ciò significa che la ricorrenza o meno della stessa viene valutata da un interprete che, alla fine, è sempre, nei casi in cui viene sollevata una contestazione, un giudice.

Non esiste un catalogo di cose che costituiscono sicuramente «giusta causa», anche se è vero che ci sono situazioni che sono già state giudicate dalla magistratura e ritenute tali, costituendo un precedente, che, tuttavia, per svariati motivi, non è mai vincolante nel nostro sistema giudiziario, sia perché i giudici devono rimanere liberi, sia perché in realtà è molto difficile che si presentino due casi assolutamente congruenti ed identici, ma ogni situazione è diversa.

Quindi la decisione di recedere o chiedere la risoluzione o comunque lo scioglimento o l’uscita da un contratto per «giusta causa» è sempre basata su di una valutazione di massima che poi può rivelarsi tanto azzeccata quanto non condivisa dal giudice.

È estremamente importante, di conseguenza, che la lettera o diffida con cui si comunica la decisione di «tirarsi fuori» dal contratto sia ben formulata e argomentata perché, nell’incertezza ineliminabile circa la sussistenza o meno della giusta causa, è bene che almeno le motivazioni addotte siano articolate nel modo migliore possibile.

Nel tuo caso, può darsi benissimo che ci siano i presupposti per ritenere, ragionevolmente, sussistente la giusta causa, anche se bisognerebbe capire meglio di che tipo di contratto si tratta e soprattutto in quale settore economico interviene, per vedere se gli eventi che hanno colpito l’altra parte sono così determinanti.

Occorrerebbe quindi fare questo approfondimento poi, in caso la probabile sussistenza della giusta causa sia verificata, procedere con la lettera in cui tale circostanza viene formalmente comunicata e denunciata alla controparte.

Se vuoi procedere, il prodotto da valutare è questo.

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diritto

Divisioni ereditarie: perché sono sempre difficili?

ho una domanda da farti. DOVE FINISCE L’ AMORE FRATERNO DI FRONTE A UN’EREDITA’ DI 120,00 euro?Illuminami perchè sono figlia unica e non mi è molto chiaro concetto…A me sembrava che avere dei fratelli è un dono del cielo,crescere insieme è già una ricchezza allora perchè tutto svanisce quando si arriva al lutto,successione ecc. Alcuni mesi fa è deceduto mio suocero lasciando in eredità 2 case una delle quali in completo stato di degrado. 3 eredi sono ben sistemati,ciascuno ha la propria casa,la propria famiglia. Niente da fare:discussioni,valutazioni esagerate,tutto quello che prima è stato disprezzato e mandato in malora è diventato”una fonte di ricchezza” .Non esiste più valore affettivo delle cose? Questi fratelli non vedono più il passato? Prima del decesso se ne parlava,sentivo le parole:tra i fratelli ci metteremo d’accordo,non ha senso litigare per 2 catapecchie ecc. Adesso tutto è cambiato. Sono sbalordita e schifata nello stesso tempo.

Le vertenze successorie, cioè di divisione di beni tra eredi, sono sempre molte. Alla radice non ci sono tanto aspetti economici, che sarebbero facilmente risolvibili con una perizia di stima e qualche valutazione equitativa, ma aspetti emotivi conflittuali ben radicati da diversi anni.

Di queste cose, come probabilmente saprai, parla con estrema chiarezza anche il Vangelo (Luca 12, 13-21):

«13 Uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15 E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». 16 Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. 17 Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? 18 E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. 20 Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? 21 Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio»»

Se anche Gesù, che ha guarito indemoniati, ciechi, storpi, paralitici, ha resuscitato persino persone che erano già morte, si rifiuta di intervenire in una divisione, lui che non ha mai rifiutato niente a nessuno, questo ci deve far capire molte cose.

Ci fa capire, innanzitutto, che il problema in questi casi è nel cuore dell’uomo e nemmeno Dio, considerato che ci ha dato il libero arbitrio, lo può cambiare, se non è l’uomo stesso a fare un percorso di cambiamento.

Dopo questa premessa molto importante per capire quale è il vero tema in discussione quando si parla di queste cose, come avvocato l’approccio che seguo è sempre quello strategico, che va modulato man mano a seconda di com’è e come si evolve la situazione, cercando fin quando è possibile di usare rimedi di mediazione e riservando il ricorso al sistema giudiziario all’ultima spiaggia.

Se vuoi un preventivo, puoi chiedercelo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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diritto

CTU: se una parte non lo paga, paga tutto l’altra?

mio padre ha attualmente in corso una causa con un architetto che a seguito di lavori svolti presso la sua abitazione, ha provato ad estorcergli 6mila€. Nel corso della causa il giudice ha nominato un perito che ha effettuato una perizia presso l’abitazione di mio padre ed al seguito di quest’ultima si è visto richiedere dal tribunale il pagamento di € 900 quale somma dovuta al perito. Mio padre ha regolarmente pagato entro i termini prefissati, ma pochi giorni dopo è stato contattato dalla banca perché il tribunale ha eseguito un pignoramento di €2900 e rotti in quanto la controparte non ha pagato il perito, essendosi dichiarata nullatenente (un architetto che gira con un mercedes da 90 e più mila €). Vorrei sapere se questa cosa fatta dal tribunale è giusta e se ci sono mezzi per opporsi al pignoramento. Di certo sto vivendo in prima persona lo schifo del sistema giudiziario italiano.

La giustizia di questa cosa ognuno deve valutarla da sé, qui non discutiamo, generalmente, di cosa è giusto o meno, ma di quello che è legittimo o illegittimo, cioè previsto e consentito dalla legge, o meno, a prescindere dall’eventuale giustizia o ingiustizia.

A questo riguardo, ti devo dire che la cassazione, ad esempio, ha più volte ribadito la regola secondo cui l’obbligo di pagare la prestazione eseguita dal consulente tecnico d’ufficio, o CTU, ha natura solidale ex art. 1294 c.c., in considerazione del fatto che la sua prestazione viene svolta nell’interesse di tutte le parti del giudizio (Cass, n. 6199/96 ed altre ivi citate; 2262/04; 17953/05; 20314/06; 23586/08).

Quando una obbligazione è solidale, il creditore, nel nostro caso il CTU, può richiedere l’intero pagamento ad uno qualsiasi dei condebitori, mentre saranno poi i condebitori a regolare gli obblighi tra loro mediante l’esercizio dell’azione di regresso.

Quando in una obbligazione ci sono più debitori, peraltro, la solidarietà è la regola e la soluzione diversa, che si chiama parziarietà, rappresenta l’eccezione; un esempio di obbligazioni parziarie sono quelle successorie: qui il creditore può chiedere ai singoli eredi solo la rispettiva parte di ciascuno di essi e non l’intero.

Quindi tutto quello che è accaduto è legittimo ed è previsto così perché il CTU, che viene chiamato a prestare la propria opera lavorativa all’interno di un processo senza avere alcuna colpa di eventuali malefatte compiute dall’uno o dall’altra parte, è bene che abbia le maggiori garanzie possibili di ricevere il proprio compenso, anche perché, come ricorda la cassazione, lui lavora cercando di agevolare l’accertamento della verità, cosa che dovrebbe essere nell’interesse di entrambe o tutte le parti del giudizio.

Sotto un altro profilo, comunque, tuo padre non avrebbe dovuto apprendere del pignoramento dalla telefonata della banca, perché, se è vero che il decreto di liquidazione del CTU è titolo esecutivo, è anche vero che la notifica del precetto resta pur sempre necessaria. Tuo padre, dunque, prima del pignoramento avrebbe dovuto ricevere la notifica del precetto. Se l’ha ignorata, purtroppo, deve imputare a sé l’aver fatto andare avanti il pignoramento, con la successiva crescita esponenziale delle spese legali e correlativa figura non eccezionale con la banca.

Per quanto riguarda la causa attualmente pendente, direi che sarebbe stato meglio procedere, in un caso del genere, con un ricorso ex art. 696 bis cpc per CTU preventiva, ma ormai il discorso, essendo la CTU stata fatta, è superato.

Potete valutare l’azione di regresso nei confronti dell’architetto, e magari un esposto disciplinare, per dire di più bisognerebbe vedere la documentazione del pignoramento e quella anteriore e successiva.

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tecnologia

Moderare i commenti nei blog multiautore WordPress: come fare.

Oggi voglio insegnarti come si fa, in un blog multiautore WordPress come questo, a consentire ad altri utenti di moderare i commenti.

I commenti sono molto importanti a livello SEO, perché iniettano nuovo contenuto in una pagina, e google se ne accorge facendola salire di grado, indicizzando comunque anche il nuovo contenuto.

Inoltre sono importantissimi a livello di interazione con gli utenti, perché creano spesso un legame con i gestori del blog e un senso di comunità con tutti gli altri utenti dello stesso.

Purtroppo, i commenti spesso sono tantissimi e non è facile rispondere, in modo un minimo decente, a tutti. Questo è vero specialmente in un blog giuridico, dove i lettori magari affidano ad un commento storie complesse e molto lunghe, difficili da definire con poche righe di risposta – tanto è vero che spesso prendiamo un commento e lo rendiamo oggetto di un post apposito, con adeguata risposta da parte nostra, per la sua complessità, ma anche per l’interesse generale, dal momento che i post del giorno vengono fatti circolare tramite la newsletter, il gruppo Telegram e i social (a proposito, se non sei ancora iscritto, fallo al più presto per non perdere contenuti interessanti ed utili tutti i giorni).

Una ulteriore soluzione è ovviamente quella di consentire ad altri utenti di moderare i commenti e darvi risposta.

Per fare questo, devi lavorare con un po’ di plugin, anche perché le soluzioni semplici purtroppo non funzionano, come da me sperimentato.

Devo premettere che gli altri autori che scrivono sul mio blog hanno il ruolo e i permessi di «collaboratore», per molteplici ragioni legate alla possibilità di un intervento editoriale da parte mia su alcuni aspetti più che altro stilistici e alla gestione del flusso editoriale da parte di un plugin che «pesca» tra gli articoli in attesa di revisione o pending review.

Gli stessi miei colleghi preferiscono che il blog funzioni in questo modo, preferiscono cioè di solito non avere permessi di pubblicazione diretta, anche considerando che questo blog non funziona come gli altri che «buttan fuori» in qualsiasi momento nuovi articoli, ma c’è un flusso editoriale preciso che vede pubblicato un solo articolo al giorno, dal lunedì al venerdì, cosa che è essenziale per le persone per poter seguire come si deve un blog, senza essere costantemente sopraffatti da nuovo materiale e trovandosi nell’impossibilità di decidere, alla fine, cosa leggere.

Gli utenti, dunque, con ruolo di «collaboratore» non hanno i diritti di modificare i commenti.

Per dargli questo permesso, bisogna installare prima un plugin che consenta di assegnare più ruoli ad un medesimo utente, cosa che di default WordPress non consente, poi un ulteriore plugin che crea un nuovo ruolo, quello di moderator, che comprende il permesso di amministrare i commenti.

I plugin appena citati sono i seguenti:

In teoria, Members dovrebbe essere sufficiente. Con Members, si può definire un nuovo ruolo, cui attribuire la possibilità di moderare i commenti. Purtroppo, se provi a fare questo, vedi che non funziona. Non si sa il perché.

Quindi Members lo installi solo per consentire ad un utente WordPress di avere più ruoli, cosa di default possibile, poi installi anche Moderator role.

A questo punto, prendi l’utente cui vuoi assegnare il permesso di moderare i commenti e gli aggiungi anche il nuovo ruolo «moderator», rendendolo quindi un utente con il duplice ruolo di «Collaboratore», che gli consente di continuare a mandare post in revisione, e di «Moderator», che gli consente di moderare e rispondere ai commenti.

Ovviamente, se vuoi puoi anche creare un utente con la sola possibilità di moderare i commenti, ma non è il nostro caso, dove tutti gli utenti sono anche «autori» di post.

Ecco fatto.

Ti raccomando di nuovo, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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Nuovo 570 bis e debitori che stanno all’estero.

È da giorni che aspetto il suo commento sull “nuovo” art. 570 bis del codice penale. In particolare vorrei sapere se con questa modificazione (dove non pagare l’assegno adesso è reato), esiste la possibilità di perseguire e far pagare il mantenimento a persone che abitano all’estero, oppure è praticamente la stessa storia che prima dove diventa quasi impossibile far pagare il soldi del mantenimento a persone che non abitano in Italia.

Abbiamo pubblicato, a firma della collega Francesca Zadnik, nei giorni scorsi un primo commento sul nuovo art. 570 bis, che ti invito a leggere – ovviamente ti invito anche ad iscriverti alla newsletter del blog o al gruppo Telegram per non perderti nessun post interessante e utile come quelli che pubblichiamo ormai tutti i giorni, un solo post al giorno dal lunedì al venerdì.

Il nuovo 570 bis non c’entra niente con la perseguibilità di coloro che non pagano il mantenimento e si trovano all’estero, non aggiunge né toglie niente alla disciplina previgente da questo punto di vista, a mio giudizio.

A volte, peraltro, se il debitore si trova in uno stato, come ad esempio gli USA, dove il sistema giudiziario è più efficiente (probabilmente anche troppo) del nostro, può esserci addirittura un vantaggio per chi deve percepire il mantenimento.

La leva penale non è sicuramente l’unico strumento utilizzabile, anzi sicuramente nella pressoché totalità dei casi è preferibile tentare tramite il recupero in sede civile.

Bisogna quindi vedere dove risiede la persona che deve pagare il mantenimento e vedere cosa si può pensare di fare strategicamente in base alla leggi sia sostanziali che processuali dello Stato di residenza, poi se ne valuta la convenienza come al solito.

Se vuoi approfondire ulteriormente, valuta di acquistare una consulenza, dall’apposita voce del menu principale del blog.

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Sentenza 11504 della Cassazione: tutta la verità.

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Ormai sapete che l’unico che, quando c’è una novità legale, ne dice, con estrema chiarezza (e magari qualche parolaccia), la verità in Italia, tra giornali (e questo è anche comprensibile), blog (e questo è molto meno comprensibile), ma anche altre fonti di informazione giuridica, è Solignani.

Per cui, ogni volta che arriva qualcosa di nuovo, presentato come un grande sconvolgimento, mi tocca prendere il computer e scrivere, anche per rispondere a tutti quelli che mi scrivono in privato e vogliono sapere cosa c’è di vero e non si fidano di altri che di me.

Ciò non è dovuto al fatto che io sia un genio, niente affatto, ma semplicemente al fatto che gli altri mezzi di informazione o non sanno quello che dicono o vi raccontano bugie.

Si potrebbe dire vabbè, che sarà mai, in fondo in Italia la verità non la dice mai nessuno, si sa…

In realtà, io vi dico che, sulla base di questa informazione marcia e putrida fornita da tutti – nessuno escluso – al riguardo, ci saranno persone che butteranno soldi, che magari non hanno, per fare ricorsi che saranno con alta probabilità rigettati, con, altrettanto probabilmente, condanna alle spese legali. È la famosa «seconda inculata» di cui parlo spesso nel blog: gente che lo ha già preso nel culo, che fa di tutto per prenderlo di nuovo, senza che nessuno l’avverta dei rischi.

Tutta questa lunga premessa non per incensarmi. Io sono solo un avvocato di provincia, sto sul campo tutti i giorni a parlare alla gente e aprire loro gli occhi con i fatti, per evitare loro le fregature che in campo legale sono sempre ben diffuse e disponibili. Non ho niente di speciale, mi limito solo a dare notizie e fare considerazioni vere, anche quando vanno contro il mio interesse economico, perché la mia professione, da tutti considerata composta da disonesti, in realtà ha senso solo se può essere davvero utile a qualcuno e svolta, tutto al contrario, in modo onesto.

Non sono peraltro affatto un santo: i miei clienti sanno che se non mi pagano, e lo fanno in anticipo, io non prendo neanche in mano la penna. Ma sanno anche che, sia prima che dopo che sono diventati miei clienti paganti, io non dirò loro altro che la verità, anche contro il mio interesse. Se facessi il raduno della gente che ho dissuaso a fare cause non convenienti, rinunciando ai relativi compensi, penso che ci potrei ormai riempire uno stadio.

Voglio comunque che focalizziate bene il fatto che su questa merdata mediatica costruita sulla sentenza 11504 in tutta Italia, anzi in tutto il mondo, c’è rimasto solo un avvocato a dirvi la verità, perché solo questa che segue è appunto la verità.

Tutti gli altri vi stanno mentendo. Non so perché lo facciano, per me non sono tanto gli interessi economici, propendo più per l’idiozia e la mancanza di preparazione, che è il vero problema dell’Italia, molto più grosso della mafia stessa.

Bene, adesso che ci siamo leggermente preparati a sgombrarci la mente dal diluvio di cazzate piovuto in questi giorni sulla 11504, è ora di dirvi la mia.

Mettetevi comodi e prendete i pop corn.

Ma prima prendiamo un mass merda a caso e vediamo come ha presentato la sentenza:

Corriere, 11/5/17:

Divorzio, è rivoluzione: per l’assegno non conta più il tenore di vita matrimoniale ma l’autosufficienza. Sentenza della Cassazione che stravolge una regola in vigore da 30 anni: da oggi il «parametro di spettanza» sarà basato sulla valutazione dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede. la causa riguardava il divorzio di Vittorio Grilli, ministro dell’economia nel governo Monti

Cambio radicale sull’assegno di divorzio che fino a oggi, con 30 anni di indirizzo costante, era collegato nella sua entità al parametro del «tenore di vita matrimoniale», una pietra miliare che da oggi va in soffitta e lascia il posto a un «parametro di spettanza» basato sulla valutazione dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede…

Stigrancazzi, davvero. Difficile trovare una congerie con ammassate più boiate di questo scampolo di articolo.

Vi anticipo un po’ di cose, poi vi spiego tutto meglio:

  • non c’è e non ci sarà nessuna «rivoluzione»;
  • non c’è una regola in vigore da 30 anni che è stata «stravolta»;
  • non c’è nulla che vada in soffitta, tantomeno «da oggi»
  • soprattutto non è affatto vero che, tantomeno «da oggi», il «parametro di spettanza» (non esiste nemmeno una cosa del genere!) sarà basato sull’autosufficienza ecc. ecc.

Bene, vediamo adesso un po’ di cose a riguardo, cominciamo a fare informazione vera.

Innanzitutto, bisogna capire come lavora davvero la Cassazione, giudice che in questi giorni è stato eretto al rango di vero e proprio «legislatore», dopo il cui pronunciamento tutti gli altri magistrati sarebbero tenuti ad adeguarvisi passivamente.

Intanto, non siamo in un sistema a precedente vincolante, come ad esempio c’è nel Regno Unito o negli Stati Uniti. Là una sentenza costituisce un precedente che si può invocare in altri processi con efficacia vincolante. In Italia no. Nel nostro Paese, come in molti altri del mondo, la Cassazione può decidere un determinato caso in un certo modo, poi il Giudice di Pace di Caniccattì può pensare «Per me quelli della Cassazione sono 5 stronzi seduti a Roma che non capiscono un cazzo, io decido a modo mio». A parte le ingiurie, che ovviamente il bravo magistrato di Canicattì terrà solo nel pensiero, è una cosa perfettamente legittima.

Nessun giudice è obbligato a conformarsi a quello che scrive la Cassazione, ogni giudice è libero di vedere la cosa come gli pare. In altri termini, non c’è alcun rapporto gerarchico tra giudici di altri ordini e la Cassazione. Questi altri giudici faranno come predica la Cassazione solo ed esclusivamente se lo condividono, altrimenti faranno come pare a loro.

La cosa bella, per capire, è che nemmeno la Cassazione stessa è obbligata a conformarsi ad una precedente sentenza della medesima Cassazione. Decidendo un caso analogo può formulare un principio di diritto diverso. Tant’è vero che questo accade regolarmente, fenomeno per arginare il quale esiste la possibilità di decisione a Sezioni Unite, solo che poi accade che anche le pronuncie a Sezioni Unite a volte si contraddicono tra loro perché la Cassazione a Sezioni Unite in un caso opina in un modo e in un altro caso del tutto analogo in un altro.

Quindi, cari lettori, andate pure a fare un ricorso per modifica condizioni di divorzio basandolo su questa «rivoluzionaria» sentenza al vostro amichevole tribunale di quartiere.

Se incontrete un magistrato che vi dirà «Per me la 11504 è come la corazzata Kotiomkin: una cagata pazzesca», lo prendetere dritto nel culo come un siluro, anzi due: ricorso rigettato e magari anche condanna a rimborsare le spese legali a favore della vostra ex (il sistema giudiziario italiano è sempre delizioso quando lo prendi in culo, ci aggiunge sempre del suo).

La cosa bella è che quel magistrato sta solo facendo il suo dovere. Non condivide la sentenza, applica la legge per come la vede lui. Vi sta facendo un danno che non è assolutamente risarcibile, anzi. Il danno è dovuto alla informazione marcia e balorda che vi hanno dato.

Chi vi dovrebbe avvertire di questo forte rischio? Il vostro avvocato. Alcuni, onesti, lo faranno. Altri, meno onesti, penseranno di più al loro compenso. C’est la vie.

Ma continuiamo pure.

A volte può anche capitare addirittura che la Cassazione decida in modo difforme lo stesso, identico caso. Ebbene sì, il giudice che dovrebbe insegnare agli altri come si interpreta il diritto (funzione di nomofilachia) quando giudica due volte, per errore, lo stesso caso, lo decide una volta in un modo e un’altra nel modo esattamente opposto. È accaduto davvero, ne parlo in questo post, che tanta fortuna ha avuto dalla sua pubblicazione ad oggi.  

Onestamente, se fossi un magistrato, con una Cassazione che lavora così, cioè che enuncia principi di diritto man mano diversi nel tempo, anche quando giudica a Sezioni Unite, che addirittura decide lo stesso identico caso in modo opposto, se fossi un magistrato, dicevo, io non guarderei alla fine così tanto alla Cassazione come a un punto di riferimento.

Leggerei qualche massima, qualche sentenza, per avere un’idea, ma poi valuterei con la mia testa cercando di applicare la legge, che rimane sempre il primo punto di riferimento. A quel che ho potuto vedere, il 90% dei magistrati lavora così. Ho sentito diverse volte anche rispondere ad alcuni avvocati che dicevano «Ma la Cassazione ritiene» con un bel «Faccia pure ricorso in Cassazione allora».

Procediamo.

Qualcuno ha notato che parte del processo deciso dalla 11504, e più precisamente il marito, cioè la parte favorita da questo innovativo principio di diritto, è un ex ministro della Repubblica, cioè un politico così rilevante da essere entrato nel governo, addirittura come ministro dell’economia (parliamo di una persona molto potente)? Io non voglio nè pensar male nè farvi pensar male, ma voi comunque chiedetevi, prima di presentare un ricorso per modifica condizioni: sono un ministro della Repubblica? Sono almeno un politico di importante rilievo a livello nazionale? Insomma, fatevi delle domande e datevi delle risposte. Non sto insinuando nulla, solo che il caso concreto anche se non dovrebbe è alla fine impossibile che non abbia dei riflessi sulla elaborazione del principio di diritto.

Ma non basta ancora.

C’è anche da dire, infatti, che il criterio proposto dalla 11504 in molti casi, se applicato, sarebbe profondamente ingiusto. Il criterio – che si suppone radicalmente diverso, mentre in realtà a mio giudizio non lo è affatto, almeno in questa misura, del mantenimento dello stesso tenore di vita – è nato con lo scopo di tutelare quei coniugi che, svolgendo per lo più lavoro casalingo, avevano dedicato la loro vita per decenni a favorire la carriera dell’altro coniuge, per ritrovarsi poi sulla strada a favore di una ventenne di bell’aspetto. Il caso tipico è quello della moglie casalinga ad esempio di un dirigente. Il dirigente, in questi casi, può andare al lavoro a guadagnare tanti soldini perché c’è una che resta a casa a mandare avanti tutta la baracca, quindi è giusto che la solidarietà si estenda anche al periodo successivo al divorzio, almeno per un po’. È ovvio che il caso effettivamente giudicato dalla 11504 è radicalmente diverso, un ex ministro della Repubblica che divorziava da una imprenditrice degli Stati Uniti.

Crediamo davvero che il divorzio tra un idraulico e una casalinga italiani possa essere regolato dagli stessi principi di diritto?

Per questo non c’è nessuna rivoluzione e la 11504 non consoliderà nemmeno con il passare del tempo. Certo, non scomparirà, ce ne sarà qualche sparuta applicazione, o più o meno stringente riferimento, che renderà il quadro del diritto vivente applicato ancora più incerto, con la sola conseguenza che sarà ancora più impossibile prevedere quale potrebbe essere l’importo dell’assegno prima di iniziare il giudizio di divorzio.

Qual è allora il messaggio da portare a casa?

I messaggi questa volta sono tre.

  1. L’unica fonte di informazione che vi dice la verità sulle cose giuridiche è questo blog, almeno finchè ci sarò io a gestirlo. Può darsi che ci sia qualche altro collega sul territorio che, alle persone che incontra, dice le stesse cose. Di fatto, non c’è nessun altro che le scrive in modo che rimangano e possano essere disponibili per tutti. Iscrivetevi al blog, o via mail o tramite feed rss. Seguitemi sui social. Vi potrebbe risparmiare parecchie fregature.
  2. Non fate nessun ricorso per modifica condizioni o per divorzio confidando solo sull’applicazione della 11504. Certo, ne potreste tenere conto, specialmente se ad esempio un ricorso per divorzio siete comunque costretti a presentarlo, e la potrete citare e far ben argomentare. Non dico che è una sentenza da buttar via, resta interessante, ma va assolutamente ridimensionata rispetto a tutte le boiate che ne sono state dette. Scegliete un bravo ed onesto avvocato che sia in grado di fare questo e non alimenti illusioni al riguardo. Se subite un ricorso per modifica condizioni, ugualmente non datevi per vinti, valutate, insieme sempre ad un bravo avvocato, che sia bravo e onesto davvero.
  3. Almeno non fate mai profili facebook in comune!

Evviva noi.

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diritto

Possibile che per decidere un divorzio giudiziale semplicissimo ci voglia così tanto in Italia?

Sono un ‘italiano residente in Svizzera,ho avuto la separazione consensuale nel gennaio 2009,dopo giusti 3 anni ho fatto domanda di divorzio,che a causa della mia ex è diventato giudiziale.
Non abbiamo figli,lei lavora per un reddito appena inferiore ai 9.000 £.vive con sua madre,ho dimostrato di non riuscire a versare un ass.mensile.Siamo ormai a gennaio 2014,come è possibile che un divorzio a mio parere semplicissimo non sia ancora andato in esecuzione

La giustizia italiana è ridotta in uno stato oggettivamente comatoso, per cui anche per decidere le questioni più semplici occorrono anni, banalmente per il fatto che occorre pur sempre un magistrato che prenda in mano il fascicolo e scriva il provvedimento.

Magari richiede solo un’oretta, ma quando hai migliaia di fascicoli e sei inserito in una situazione di disorganizzazione totale in cui nessuno ti aiuta ma anzi molti ti mettono i bastoni tra le ruote purtroppo anche quell’oretta non è così facile da trovare, anzi.

La colpa di questa situazione è sia della classe politica, che non solo non ha destinato risorse alla giustizia, specialmente quella civile, ma gliene ha sottratte, sia della società italiana, che non è mai stata sensibile a questi temi: nel nostro Paese ci si limita ad incazzarsi terribilmente quando una cosa di giustizia tocca personalmente, ad esempio un vicino o un coniuge ci fa causa, ma quando si parla di leggi in materia, sempre ad esempio, di famiglia, o di riforma del sistema giudiziario, cala il più generale disinteresse, come ha dimostrato il fatto che recentemente vaste fette di popolazione si sono fatte sottrarre il tribunale senza dire assolutamente nulla (solo qualche avvocato ha protestato, ma la gente ha pensato che “ovviamente” lo facesse per mantenere qualche privilegio e così i politici l’hanno fatta franca anche questa volta).

Io spero che il tuo avvocato ti abbia, come onestamente avrei fatto io, bene rappresentato questa situazione quando, per una ragione o per l’altra, la vertenza è stata lasciata scivolare sul versante giudiziale, che è davvero un’eventualità da cercare di scongiurare con tutti i mezzi.

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15 falsi miti su avvocati e diritto.

Oggi parliamo di 15 falsi miti, luoghi comuni spesso totalmente infondati e quindi anche pericolosi per chi si trova a dover trattare un problema giuridico.

Alcuni li leggeranno sicuramente con perplessità, per questo mi sembra il caso di dire chiaramente che io credo in ogni singola lettera di quello che ho scritto: voi ne farete l’uso che credete.

  1. Per ogni problema, esiste una soluzione giusta prevista direttamente dalla legge o ricavabile per interpretazione tanto che si può risolvere ogni conflitto facendo riferimento al diritto. Semplicemente non è vero, anzi a volte, per la verità molto spesso, la legge prevede solo criteri generici che vanno poi adattati al caso concreto e che nella realtà servono a poco per chi deve capire come si deve fare, senza l’intervento di un bravo professionista e senza la ragionevolezza dei soggetti coinvolti.
  2. Gli avvocati conoscono tutte le leggi, sentenze e tutto quello che di giuridico c’è da sapere. In realtà, invece, sono molte più le cose che un avvocato non sa di quelle che sa e questo vale per qualsiasi avvocato, anche se professore universitario, autore di libri, promotore di convegni e così via. In un avvocato è peraltro importante la preparazione sistemica di base e la capacità di fare ricerca, essere creativo e avere buone intuizioni su come si può risolvere un problema. È inoltre assolutamente fondamentale l’empatia cioè la capacità di comprendere davvero la persona che si trova davanti e il problema di cui è portatrice.
  3. Le leggi prevedono quello che è giusto, sono giuste. Semplicemente, non è vero. Le leggi prevedono quello che conviene in un determinato momento storico. Ad esempio, la regola possesso vale titolo è stata introdotta solo per tutelare l’economia, a discapito dei legittimi diritti di proprietà privata delle persone.
  4. Un avvocato mi può tutelare se rimango vittima di un’ingiustizia. Forse, ma dipende da tante altre variabili. Innanzitutto, tu puoi vivere la tua situazione come una ingiustizia, ma la legge può essere di diverso parere. Se, poi, la legge è comunque dalla tua parte, non è sufficiente «avere un avvocato» ma occorre avere anche delle prove a sostegno delle tue ragioni.
  5. Un avvocato costa un occhio della testa e conviene starci lontano. Qui di vero c’è che in passato sicuramente alcuni avvocati hanno presentato conti molto salati agli utenti e si sono diffusi racconti terrificanti al riguardo. Nella realtà, non è sempre vero, a volte basta una consulenza da 100 euro per evitare problemi peggiori. Non evitate gli avvocati perché pensate che potrebbero costarvi troppo, semplicemente chiedete un preventivo, oggi è possibile, poi valutate. Il preventivo fatevelo fare sempre per iscritto e se c’è qualcosa che non è chiaro chiedete.
  6. Non c’è modo di evitare le spese legali se si viene coinvolti in una causa. Non è vero, ci sono le assicurazioni di tutela giudiziaria.
  7. Se ho un problema giuridico grave, posso sempre prendere il miglior avvocato sulla piazza. Non puoi, semplicemente perché questo avvocato … non esiste. Quello che viene dipinto in questo modo, di solito è solo il più costoso, ma non è affatto detto che ti aiuterà a risolverà il problema che hai in modo più efficace rispetto ad un altro. Non esiste il miglior avvocato, esattamente come non esiste il miglior giocatore di calcio, politico, idraulico, medico e così via. Esistono solo persone più o meno in gamba che, se sono in giornata, e ti va bene, cercano di fare del loro meglio per te, ma i risultati non sono mai garantiti o garantibili.
  8. Un avvocato cattivo può difendere meglio i miei diritti. È un luogo comune abbastanza diffuso, per cui diciamo la verità con molta franchezza e cioè che questi avvocati di solito sono solo dei poveri stronzi, conosciuti come tali dai colleghi e, soprattutto, dai giudici. Gli unici con cui finiscono per poter essere davvero cattivi sono i loro clienti. Il mio consiglio è quello di starne lontano il più possibile.
  9. I giudici sono tutti corrotti e gli avvocati si mettono d’accordo tra loro. La cronaca ci dice che anche tra i giudici a volte si verificano episodi di corruzione, ma generalmente non è vero e le sentenze sono rese in diritto in modo corretto. La realtà è che dicerie del genere molto spesso sono messe in giro da persone che hanno perso cause avendo torto marcio e non rendendosene nemmeno conto (e qui la colpa è anche dell’avvocato che li ha seguiti). Quanto agli avvocati, anche in questa categoria ci sono dei corrotti, ma anche in questo caso il fenomeno non è generalizzabile. Circa poi il mettersi d’accordo, è evidente che un accordo serio e sano è un’eccellente modo per definire una vertenza, ovviamente deve essere tale e non frutto di corruzione.
  10. Un avvocato guadagna tanto e fa un bel mestiere. Magari fosse vero. Circa la qualità di vita, se fosse così bella, la professione, come mai saremmo stati messi al secondo posto come categoria a rischio di sviluppare problemi psichici? Del resto, non deve stupire, un avvocato trascorre la sua vita tra persone da assistere con pretese a volte giuste a volte assurde (e in questo caso bisogna naturalmente spiegarglielo) e un apparato burocratico assurdo dall’altro, quello giudiziario, che non fornisce risposte se non raramente e comunque molto lentamente… non proprio una sciccheria ;-). Quanto ai guadagni, la maggior parte degli avvocati tolte spese, tasse e così via guadagna meno di quanto guadagnava un impiegato assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Non ci credete? Fate come volete, ma è così.
  11. Il mio avvocato non ha fatto niente. Questo non è proprio un falso mito, perché a volte è vero che un avvocato non fa niente. Il punto è che a volte fare niente per un determinato periodo di tempo è il modo migliore di risolvere un problema giuridico. Anche i medici si fanno aiutare dal famoso «Dottor Tempo», che in effetti è spesso il fattore più importante per raggiungere una guarigione, ed esattamente allo stesso modo lo possono anzi debbono usare gli avvocati nella trattazione dei problemi giuridici, che non sono problemi di tipo burocratico ma riguardano sempre le persone, esattamente come quelli di salute. A volte, l’abilità e la competenza di un avvocato, quelle che fanno la differenza, stanno proprio nel decidere di mettere una vertenza a riposo, a decantare, per riprenderla poi al momento giusto. È difficile illustrare in generale un aspetto come questo, perché dipende sempre dalle circostanze del singolo caso, ma è una cosa che per esperienza posso assicurare essere vera. Ovviamente, tutto un altro discorso è quello del legale che, incaricato di trattare un problema, semplicemente lo trascura o, ancora peggio, fa cadere il diritto in prescrizione.
  12. I conflitti tra le persone si risolvono facendo riferimento alla legge e non alle persone che ne sono protagoniste. Non è vero, la legge è una delle ultime cose, bisogna quasi sempre lavorare per lo più su altri piani. Questo specialmente in un contesto come quello italiano, dove il sistema giudiziario è colassato e non si sa se e quando mai si riprenderà e quindi acquistano fondamentale importanze le strategie alternative di composizione delle liti tramite negoziazione, mediazione e così via.
  13. Peccato che gli avvocati non possano essere pagati a percentuale altrimenti tutto sarebbe più efficiente. In realtà, la legge prevede per gli avvocati, da qualche anno, la possibilità di essere pagati a percentuale o a quota lite e io lo faccio da quando è stato reso possibile. Peraltro, il sistema del compenso a percentuale non serve per quello cui pensa la gente comunemente, cioè rendere più efficienti gli avvocati o il sistema giudiziario, ma solo a consentire a chi non dispone di denaro per pagare un avvocato di coltivare una vertenza, tenendo presente che il risarcimento che si consegue alla fine è molto più intaccato dal compenso dell’avvocato di quello che sarebbe con un altro regime tariffario. Questo regime tariffario non velocizza nulla, perché gli avvocati non hanno semplicemente il potere di velocizzare il sistema giudiziario. Inoltre, un avvocato per accettare un accordo di questo tipo deve analizzare la tua posizione e crederci, esattamente come una qualsiasi persona cui chiedi di essere «socio» in qualsiasi iniziativa: è chiaro che se ti presenti per recuperare un credito di 8 anni fa in India non trovi avvocati che si mettono in fila…
  14. Non ho un contratto scritto, ma ho registrato la telefonata. Le registrazioni, specialmente nel processo civile, servono a molto poco. Il punto è che non c’è nessuna prova di chi siano davvero le persone che parlano. A parte questo, è molto difficile che un giudice si metta ad ascoltare una registrazione o ne ordini la trascrizione. Bisogna munirsi sempre di un contratto scritto o almeno di una prova scritta come ad esempio uno scambio di lettere. Lo spiego meglio in questo post.
  15. Io e il mio compagno ci siamo accordati tra noi e abbiamo fatto una carta per regolare l’affido di mia figlia così in caso di problemi siamo a posto. Purtroppo, non vale niente perché la materia è indisponibile. Può costituire un promemoria, ma se uno dei due non la rispetta nessuna autorità presterà la sua assistenza per farla rispettare.