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come farsi pagare da aucland

Vorrei portare alla vostra conoscenza un fatto e magari ottenere una risposta, che io da solo non ho potuto avere. Attualmente molti siti internet offrono la possibilità di guadagnare esponendo i banner pubblicitari, pagando per ogni click univoco che porti al loro sito. Interessato da questa proprosta ho deciso di affiliarmi ad una società come Aucland (www.aucland.it) ben nota in Italia per le sue aste, esponendo i loro banner sul mio sito. Il contratto stipulato tra le parti riporta da un punto di vista economico, che saranno accreditate all’affiliato “0,15 € ogni volta che un visitatore clicca su un banner Aucland caricato sul sito dell’affiliato stesso” Dopo diverso tempo ho raggiunto 597 click totalizzando 96,05 € convertite in credito su Aucland, oppure 48,03 € (esattamente la metà) se pagate tramite assegno. Cifra alquanto irrisoria, ma raggiunta senza alcuna violazione delle politiche di Aucland, e di diritto di mia proprietà. Raggiunto il valore minimo di € 25 per ottenere l’assegno, ho richiesto chiarimenti in merito alla Società, cercando di ottenere informazioni anche sul come poter spendere quanto sopra nelle varie aste promosse dai navigatori. Non ho ricevuto nessuna risposta in merito. Tornando nel pannello di controllo del sito, risulta che non è possibile convertire il credito in assegno, o meglio il testo di contratto presente nella pagina non ha subito variazioni, è quindi ancora presente la duplice possibilità, ma la possibilità di scelta si limita a convertire il credito in “credito spendibile su Aucland”. Provo ad inviare una e-mail per la seconda volta ma non trovo nessuna risposta dallo Staff. Decido di vendere attraverso il loro servizio, all’asta, alcuni personal computer. Attivando le varie opzioni di vendita (vendita pubblizzata in home page, testo in grassetto…….) mi viene addebitato un costo di 14,04 €, non scalato dal credito raggiunto, ma che risulta dover essere saldato con Assegno intestato a AUCLAND Via Quadronno, 6 Route des Dolines 20122 Milano. Ad oggi, dopo alcune settimane dalla vendita, non conclusa tra l’altro, non ho inviato nessun assegno, in quanto ad ogni mia e-mail di richiesta di chiarimenti e soprattutto di richiesta per il versamento di quanto dovuto, non mi è stata inviata nessuna replica. Ora quello che mi chiedo è: possibile che solo in Italia società del genere si sentano autorizzate a truffare i clienti, ben sapendo che nessuno farà mai causa per 100 €? Il contratto è stato rispettao in ogni parte, i banner regolarmente esposti, eppure nessun corrispettivo economico versato. Da quello che ho potuto constatare in rete non sono la prima persona che ha questi problemi con Aucland. Forse Vanna Marchi esiste anche in rete. Mi rivolgo a voi sperando in una risposta, non tanto per i € 96, ma per una mera questione di principio. (Mauro, via mail)

Il problema descritto dal lettore sembra sia ben noto e diffuso, basta fare una piccola ricerca in rete per trovare discussioni di persone che si chiedono come fare a farsi pagare (http://groups.google.com/groups?hl=it&th=182a60d49f0ad862&seekm=9haobc%24n7c%241%40nreadB.inwind.it&frame=off) o che addirittura si spingono oltre, con definizioni non proprio gentili nei confronti di Aucland (http://groups.google.com/groups?hl=it&th=49518979afc24c60&rnum=3). E’ difficile riuscire a stabilire se si tratti delle oramai diffuse difficoltà gestionali delle iniziative della new economy ovvero se l’atteggiamento di Aucland sia il portato di una cosciente politica aziendale, basata sulla considerazione per cui, al di là di proteste più o meno vibranti, la quasi totalità degli utenti preferirà, vista l’esiguità delle somme in ballo, lasciar perdere e non prendere nessuna iniziativa nei confronti di Aucland. Ad ogni modo, e quale che sia il retroscena della vicenda, il lettore, e tutti coloro che si trovano nella medesima condizione, hanno diritto di essere pagati. Addirittura, dal momento che, entrando nel sito di Aucland è possibile per ogni sottoscrittore visualizzare il proprio credito, si può provare a ottenere una ingiunzione di pagamento, fornendo come prova scritta la “stampata” con il prospetto del credito maturato, nonché il testo del contratto e la corrispondenza scambiata sia al momento della conclusione del contratto che eventualmente in seguito. L’ingiunzione, o decreto ingiuntivo, è un procedimento molto più veloce di quello ordinario, che serve appunto per il recupero di crediti che sono liquidi, cioè determinati nel loro ammontare, esigibili e forniti di prova scritta. Il ricorso diretto ad ottenere l’ingiunzione di pagamento si può presentare presso il Giudice di Pace del proprio luogo di residenza e, se la somma dovuta è inferiore a £1.000.000, si può presentare anche senza l’assistenza di un avvocato, anche se non sarà facilissimo districarsi nelle varie fasi del procedimento e tra i diversi uffici senza l’aiuto di funzionari davvero molto disponibili. Ovviamente la strada è più agevole se si sceglie di avvalersi di un professionista di propria fiducia: in questo caso, per quanto riguarda gli onorari del legale, sarà il Giudice a stabilire chi li deve pagare, anche se nel momento in cui concede un’ingiunzione, il Giudice condanna sempre controparte al pagamento anche delle spese legali.

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cosa fare se non mi attivano mai la linea adsl

Dal 5 dicembre 2001 è iniziato il mio calvario con l’ISP Tiscali. In tale data ho formalmente fatto richiesta firmando di fatto un contratto con Tiscali per l’attivazione di una linea ADSL Basic. Dopo innumerevoli segnalazioni telefoniche sono riuscito nella prima settimana di Gennaio 2002 ad ottenere una visita dai tecnici preposti per l’attivazione della linea ADSL. Purtroppo mi sono miseramente illuso, perchè è vero che mi è stato installato il doppino telefonico per la linea ADSL, ma Telecom non ha ancora comunicato a Tiscali l’avvenuta attivazione. Siamo quindi giunti a Febbraio 2002 e volendo sono solo passati due mesi! Ora mi chiedo come posso fare a liberarmi da questo calvario. Per contratto non posso recedere per motivi legati a terzi (telecom). Difatto la mia attesa può comunque essere un danno visto e considerato che il contratto è stato sottoscritto come Azienda. Vi chiedo quindi consiglio per risolvere questo fastidioso problema ! Fabrizio Torrisi (fabrizio, via mail).

Quello che bisogna vedere sono appunti i termini del contratto. In via generale, il codice civile stabilisce che le obbligazioni devono essere eseguite, se non è previsto un termine, a richiesta del creditore. Quindi, se nel contratto per l’erogazione del servizio ADSL non era previsto un termine, l’attivazione avrebbe dovuto essere immediata. In questo caso il lettore avrebbe diritto alla risoluzione del contratto per inadempimento, da concretizzare tramite l’invio a controparte della solita raccomandata a ricevuta di ritorno con la richiesta di voler finalmente attivare il servizio sotto pena, in mancanza di fattivo riscontro entro 15 giorni, di scioglimento appunto del contratto. E’ però difficile che una grande azienda come Tiscali non si sia cautelata nel momento in cui ha predisposto i suoi contratti per il servizio ADSL. Ed infatti, se si vanno a leggere le condizioni generali di contratto predisposte da Tiscali e visionabili presso il relativo sito, in ossequio all’onere della conoscibilità posto dall’art. 1342 cod. civ., all’indirizzo http://adsl.tiscali.it/contract.html, si vede che è stato esplicitamente previsto che “la predisposizione tecnica della linea telefonica e l’abilitazione della stessa al servizio ADSL è gestita allo stato da Telecom Italia ed eventualmente da altri operatori e, pertanto, è indipendente dall’attività di Tiscali. Il Cliente dichiara di essere a conoscenza del fatto che l’attivazione della linea e l’abilitazione della stessa dipende dalle disponibilità tecniche ed organizzative di Telecom Italia e che Tiscali non è in alcun modo responsabile di qualsivoglia inconveniente, ritardo o malfunzionamento relativo a tali servizi; …”. Questo comporta che la prestazione di Tiscali è in realtà soggetta ad un termine, cioè la predisposizione da parte di Telecom Italia della linea e l’attivazione della stessa per il collegamento ADSL, cosa che tecnicamente è come noto necessaria per qualsiasi provider. Il contratto con Tiscali può essere risolto solo se, dopo l’avvenuta attivazione da parte di Telecom Italia della linea, vi sono ulteriori ritardi, imputabili questa volta al provider Tiscali: in questo casò si potrà procedere come sopra descritto, tramit lettera raccomandata, premettendo che, a linea installata e configurata non vi sono ulteriori motivi per non iniziare subito l’erogazione del servizio. Ci si potrebbe porre, a questo punto, una domanda diversa, volendo affrontare la cosa sotto un ulteriore profilo: Tiscali avrebbe dovuto informare il proprio cliente del fatto che solitamente Telecom italia impiega oltre due mesi per l’attivazione della linea? Se si ritenesse sussistente un obbligo di informazione di questo tipo, si potrebbe ritenere che nel caso in questione si è avuto un “dolo omissivo” da parte dell’azienda, che ha fatto cadere in errore il cliente su di un elemento determinante del contratto. In realtà, quand’anche si potesse sostenere una cosa del genere, la figura del dolo omissivo non sembra godere di molto credito presso i giudici. La morale, di fatto, è che sul punto il consumatore avrebbe dovuto cercare di informarsi per conoscere quali erano generalmente i tempi di attivazione.

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rivendere una licenza software

Sono un utente domestico che usa il pc per diletto e niente altro. Di recente un mio amico mi ha dato la sua copia di backup di win 2000 pechè io lo possa provare nel mio computer,ora che lo ho installato e ho riscontrato che mi piace vorrei comperare la licenza d’uso del software di questo mio amico, visto che lui è già passato a win XP. Vorrei chiederle: posso comprare una licenza da un utente privato e in caso affermativo quanti soldi potrei dare per non incorrere in qualche inganno considerando che stiamo parlando di un sistema operativo ormai fuori commercio? (Matteo , via mail)

Per sapere se un sistema operativo può essere “rivenduto” bisogna far capo sempre e comunque alla licenza d’uso. Il software, infatti, in realtà non si acquista ma piuttosto si prende in uso, alle condizioni e secondo i termini stabiliti dall’autore o editore, in questo caso Microsoft, il quale è libero di stabilire, tra queste condizioni, anche la possibilità di cedere ulteriormente il software a terzi o meno. Nel caso di windows 2000, bisogna quindi andare a consultare il famoso file EULA.txt, acronimo di End User Licence Agreement, appunto “contratto di licenza per l’utente finale” relativo alla copia in questione.

Purtroppo non è così facile riuscire ad accedere a questo documento, o piuttosto individuare la versione dello stesso che si applica al caso concreto. Sul sito microsoft, il file EULA non viene pubblicato. Questo, secondo alcuni pareri (http://groups.google.com/groups?hl=it&th=6b8984f626e1cd2c&rnum=2), proprio perché esistono diverse licenze d’uso, innanzitutto a seconda del prodotto software ma anche a seconda della versione del prodotto, dal momento che Microsoft vuole riservarsi di cambiare in qualsiasi momento, per le copie che intende vendere in futuro ovviamente, le condizioni di licenza.

Sul sito Microsoft, dunque, e precisamente all’interno della Knowledge base, si trovano solo le istruzioni per reperire la “propria” licenza d’uso: per leggerle, bisogna aprire il link. Queste indicazioni, peraltro, non sono nemmeno sempre corrette, perché ad esempio il file eula.txt di windows XP si trova nella directory cwindowssystem32. In conclusione, ad ogni modo, il lettore dovrà cercare il file eula.txt relativo alla copia di windows 2000 che intenderebbe acquistare e verificare se è prevista la possibilità della cessione a terzi.

A mero titolo di esempio, ribadendo che l’unica risposta per il caso concreto può venire solo dall’esame della licenza del medesimo caso, si precisa che il file eula che accompagna la versione corrente di windows XP prevede il diritto di cessione del software, con la clausola posta al punto 4), esplicitamente intitolata “Transfer to Third Party”, secondo la quale “The initial user of the Product may make a one-time transfer of the Product to another end user.The transfer has to include all component parts, media, printed materials, this EULA, and if applicable, the Certificate of Authenticity. The transfer may not be an indirect transfer, such as a consignment. Prior to the transfer, the end user receiving the transferred Product must agree to all the EULA terms”. Dunque almeno nel caso di XP la cessione è possibile a patto che vengano incluse, nella cessione, tutti i componenti originali del software, i supporti cartacei di accompagnamento, la licenza d’uso e, se presente, il certificato di autenticità.

Se, dunque, una clausola simile fosse presente nella licenza d’uso di win2000, il lettore potrebbe effettuare il trasferimento del software, meglio se redigendo una apposita scrittura privata in cui viene formalizzato il trasferimento stesso, sottoscritta da entrambe le parti, con menzione del fatto che vengono trasferiti tutti i materiali di accompagnamento e c’è l’approvazione delle condizioni di licenza d’uso da parte dell’acquirente. Peraltro, al di là della ricostruzione in diritto, se la copia da cedere non è mai stata registrata da parte del precedente utilizzatore, qualora il lettore si munisse semplicemente del cd-rom originale, del certificato di autenticità e della licenza d’uso non vi sarebbe nemmeno modo di ricostruire la presenza o meno, a monte, di una cessione ed il lettore, in caso di controllo, non potrebbe che essere considerato in regola.

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come recedere se la adsl non funziona

Il 28 Febbraio 2001, a seguito di mia richiesta, mi veniva installato il collegamento ADSL BBB Telecom. Il servizio ha funzionato abbastanza bene fino al 27 Dicembre scorso quando, improvvisamente, è venuto a mancare il collegamento. Ho iniziato subito a tempestare il servizio di assistenza, svolto dalla Tin.it per sollecitare il ripristino del collegamento. Sono sempre stato ricoperto di bugie. Finalmente ieri, 08.01.02, mi ha telefonato un tecnico della Tin.it il quale, dopo aver constatato che esisteva il problema del mancato collegamento, mi ha dato appuntamento ad oggi, 09.01.02 alle ore 14.00 per risolvere il problema. Sono rimasto in casa tutto il pomeriggio ma nessuno mi ha chiamato. Domanda: posso chiedere la risoluzione del contratto? (Attilio, via mail)

Sì. Il metodo più corretto è quello di inviare una raccomandata a ricevuta di ritorno alla sede legale di Telecom Italia, o comunque della eventuale società del gruppo con la quale è stato stipulato il contratto per la fornitura del servizio ADSL, invitando la stessa a ripristinare il funzionamento del servizio entro 15 giorni dal ricevimento della raccomandata stessa, sotto pena, in difetto, di risoluzione del contratto e di richiesta di risarcimento del danno. Se Telecom, successivamente alla ricezione della raccomandata a ricevuta di ritorno e comunque entro i 15 giorni, non si attiva o ad ogni modo non risolve il problema, il contratto deve intendersi risolto: pertanto se Telecom addebitasse successivamente qualsiasi importo, il lettore potrebbe legittimamente rifiutarsi di corrisponderlo. Anzi, in caso vi sia un danno, che sia ovviamente dimostrabile e cioè documentabile, il lettore potrebbe richiederne il pagamento a Telecom, sia direttamente citandola in giudizio sia se convenuto in giudizio da Telecom per il pagamento del corrispettivo, in via “riconvenzionale”. Per questi motivi, è consigliabile, qualora non si riceva risposta dopo i primi giorni in cui ci si è rivolti al servizio di assistenza telefonico o via mail, formare sempre una raccomandata a ricevuta di ritorno da spedire alla società erogatrice del servizio che se non conduce magari proprio sino alla risoluzione del contratto, può essere utile per ottenere un intervento risolutore: attenzione, però, che trascorsi i 15 giorni senza che ci sia stato l’intervento comunque la risoluzione si produce di diritto.

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i diritti dell’acquirente di un personal computer

Quali sono i diritti di chi acquista un personal computer? La risposta cambia, in primo luogo, a seconda del modo in cui è avvenuta l’acquisto. Bisogna infatti distinguere tra transazioni “tradizionali”, cioè effettuate personalmente dal consumatore nei negozi, e acquisti a distanza, via posta o tramite internet. C’è infatti un gruppo di garanzie di base che si applica in qualsiasi caso, mentre per chi acquista a distanza sono previste ulteriori e specifiche garanzie.

LE GARANZIE DI OGNI CONSUMATORE. Vediamo, comunque, in primo luogo le garanzie cui é tenuto il venditore in qualsiasi caso, sia nel caso di transazioni tradizionali che on line. Il consumatore, infatti, gode sempre e comunque di tre garanzie: quella contro i vizi occulti, quella contro la mancanza di qualità promesse e quella di buon funzionamento.
A) Garanzia contro i vizi occulti. Il venditore deve, innanzitutto, garantire che la cosa, appena venduta, funzioni e non presenti vizi che ne diminuiscano il valore o comunque impediscano in tutto o in parte che possa essere utile. Se, quindi, una scheda, un monitor, una tastiera, un mouse o qualunque altra cosa del computer appena acquistato non funzionano, questa é la garanzia da far valere. Il difetto deve essere denunciato al venditore entro 8 giorni dalla scoperta. In tal caso, é di fatto indispensabile utilizzare per la denuncia la raccomandata a ricevuta di ritorno. Una volta fatta la denuncia, se il venditore non adempie, é necessario agire in giudizio contro di lui entro un anno, altrimenti si perde ogni diritto.
B) Garanzia delle qualitá promesse. E’ quella che si puó far valere quando, ad esempio, viene venduto per modem con velocitá di 28.800 un modem che, in realtá, marcia solo a 14.400; oppure un Pentium 3 é stato spacciato dal venditore per un Pentium 4. La differenza con la garanzia precedente sta nel fatto che in questi casi la cosa venduta non presenta in realtá nessun difetto e funziona benissimo. Peró non presenta le caratteristiche che erano state concordate. Anche in questo caso, occorre denunciare la scoperta della mancanza di qualitá entro 8 giorni per poi agire, se del caso, entro un anno dalla denuncia.
C) Garanzia di buon funzionamento. Questa é la garanzia “per eccellenza”, quella alla quale corre automaticamente il pensiero quando si parla di “garanzia” senza ulteriori specificazioni. Serve a proteggere dai guasti che si verificano in una cosa che, pur essendo in piena regola al momento dell’acquisto, si deteriora in seguito. Mentre le prime due forme di garanzia sussistono sempre e comunque, quest’ultima peró si ha solo quando é stata espressamente rilasciata dal venditore. Solitamente, nella garanzia stessa sono previsti i termini e i modi per farla valere, che spesso prevedono la spedizione di un tagliando alla casa produttrice. In mancanza, la denuncia del guasto deve avvenire entro 30 giorni dalla scoperta e l’azione contro il venditore inadempiente deve poi iniziare entro i 6 mesi successivi.

LE GARANZIE DEI CONSUMATORI A DISTANZA. Con il Decreto Legislativo 22 maggio 1999, n. 185, entrato in vigore il 19 ottobre 1999, il nostro Paese ha dato attuazione alla direttiva dell’Unione Europea n. 97/7/CE, in materia di protezione del consumatore nei contratti a distanza. Esisteva già una disciplina di tutela per questo tipo di contratti, contenuta nel Decreto Legislativo 15 gennaio 1992, n. 50. La nuova legge prevede che, in futuro, le due normative dovranno essere “fuse” in un testo unico di tutela del consumatore a distanza. Fino a che ciò non avverrà, continueranno ad applicarsi entrambe le due leggi, scegliendo volta per volta la disposizione di esse più favorevole al consumatore. [UPDATE: oggi queste leggi sono abrogate e confluite nel codice del consumo]
La ragione che giustifica l’applicazione di tutele maggiori per chi acquista, ad esempio, via internet risiede nel fatto che, nella contrattazione a distanza, l’acquirente non può visionare il bene come nei contratti stipulati a contatto diretto con il venditore, così come quando si entra in un tradizionale negozio o centro commerciale. Per tali motivi, si riconosce un diritto di recesso dal contratto, esercitabile senza che sia dovuta alcuna motivazione e quindi, evidentemente, anche solo perché il bene che ha acquistato, una volta che l’ha visto davvero, non gli è piaciuto.
Il consumatore a distanza, dunque, ha quasi sempre, salvo alcune eccezioni specificamente previste, il diritto di recedere dal contratto entro un certo termine, cioè di restituire il bene e riavere indietro i soldi. Il diritto di recesso si esercita inviando nel termine previsto dalla legge una raccomandata con avviso di ricevimento alla sede legale del fornitore. Sono previste alcune eccezioni al recesso, tra cui 1) Beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati che, per loro natura, non possono essere rispediti o rischiano di deteriorarsi o alterarsi rapidamente. 2) Prodotti audiovisivi o software informatici sigillati che siano stati aperti dal consumatore oppure giornali, periodici o riviste.

E SE IL VENDITORE NON FA NIENTE? Come si vede, quindi, la legge italiana in materia di tutela dell’acquirente é completa e rigorosa. I problemi, peró, possono nascere ugualemente quando il venditore chiamato in garanzia non ripara il computer oppure non restituisce il prezzo pagato; in tal caso, non resta altro che iniziare una causa civile della probabile durata minima di… quattro o cinque anni, nel corso della quale il compratore dovrá anticipare ogni spesa. In questi casi, ovviamente, si decide di andare avanti per lo piú quando la cosa é divenuta una questione di principio, salvo che l’hardware acquistato non abbia effettivamente un costo notevole, mentre in tutti gli altri si preferisce, pur avendo sostanzialmente ragione, abbandonare. Per questi motivi, è fondamentale disporre di una adeguata forma di tutela giudiziaria.

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Uso di programmi personali per uso professionale.

Avendo regolarmente acquistato un programma di dettatura vocale in un negozio di informatica, del quale conservo ancora lo scontrino fiscale, posso installarlo ed usarlo non a casa ma in un computer che utilizzo nello studio a cui sono associato? Lo chiedo in quanto il fornitore abituale di hardware dello studio, che in genere viene chiamato a collaborare, in qualità di esperto, durante le verifiche del software, mi ha detto che non è possibile utilizzare tale programma in studio non essendovi una fattura di acquisto da parte dello stesso. Inoltre mi chiedo, più in generale, se è possibile usare i programmi dei quali è consentito l’utilizzo per solo uso personale – come Zone Alarm e Esafe Desktop, ad esempio – in studio per attività di libero professionista? (Eustachio Mauro, via mail)

Il software non si acquista mai. Un software, infatti, fa parte del novero delle cose che gli antichi definivano come quelle che “cum digito tetigere non possumus”, quelle che non si possono toccare con un dito; si tratta, insomma, di un bene “immateriale” o opera dell’ingegno. Si può toccare il floppy, o il cd rom, ma il software non è quello, bensì la particolare combinazione di codice contenuta al suo interno e che, una volta compilata, serve per far eseguire determinate operazioni ad un elaboratore elettronico. E’ chiaro che un’opera intellettuale non si possa acquistare come si fa con un’auto o con le mele. Il software, in realtà, si prende piuttosto in locazione, anche se non tutti i giuristi sono completamente d’accordo su questa formula. In sostanza, chi sviluppa un software è l’unico soggetto titolare del diritto di farne copie ulteriori e quindi, in sostanza, di usarlo. Questi può concederne l’uso a terzi, ma i terzi dovranno attenersi strettamente alle sue condizioni, perché in caso contrario di ha la violazione del diritto d’autore (copyright) dell’autore o editore (software house). Dunque, se il titolare del diritto d’autore sul software ha stabilito, come avviene spesso, che un determinato prodotto può essere utilizzato, se licenziato per uso personale, solo appunto per uso personale, metterelo in studio e usarlo per scopi commerciali configura una violazione del diritto d’autore, del tutto analoga a quella che si avrebbe piratando puramente e semplicemente il software, perché dello stesso si è fatto un uso non autorizzato dall’autore. La logica che presiede all’articolazione, diffusissima, delle licenze software dal punto di vista dell’utilizzo finale che ne verrà fatto si basa sulla considerazione per cui il privato cittadino gode di minori disponibilità economiche rispetto agli enti e alle istituzioni e magari utilizza il software per scopi limitati, mentre i soggetti più economicamente capaci, che utilizzano il software per scopo di lucro e pertanto magari in modo più esteso, devono dare all’autore un contributo maggiore. Un esempio noto di licenza per scopi particolari è quella di Microsoft, denominata Education, offerta solo ed esclusivamente agli studenti e che comprende gli stessi programmi che vengono licenziati, a prezzi molto maggiori, alle aziende. Per quanto riguarda la fattura d’acquisto, si tratta di un aspetto puramente fiscale che riguarda la gestione dei cespiti e dei beni strumentali che vengono utilizzati in azienda, che andrebbe verificato non con il fornitore software ma con il commercialista: restando, tuttavia, nel campo del software vero e proprio se la licenza conseguita non differenzia tra uso personale e professionale, lo stesso può senz’altro essere installato in ufficio. Attenzione però a non usarlo sia in ufficio che a casa perché – ma è sempre la licenza che fa testo e alla quale bisogna far capo – solitamente del software “acquistato” si può usare solo una copia e in caso di più computer bisogna acquistare più licenze.

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Supereva mi manda pubblicità: viola la privacy?

Ho sottoscritto con Supereva un contratto per ottenere una email gratuita. Tutto funziona bene, però oggi controllando la posta, precisamente dalla casella
offerta con Tiscali, trovo pubblicità di Supereva. Sono sicuro di non avere lasciato a Supereva la mia casella di posta Tiscali. Suppongo che dall’IP sono risaliti ai miei dati personali. Vorrei sapere se questo è o non è violazione della privacy. (Matteo, via mail).

Perché possa accadere quello che sospetta il lettore, occorre, tecnicamente, un accordo tra Supereva e Tiscali; bisognerebbe in sostanza che i due provider fossero d’accordo nel carpire i dati personali del lettore stesso. Più in particolare, si presuppone che il lettore abbia stipulato on line il contratto di accesso a Supereva mentre stava usando l’accesso di Tiscali. Il server di Supereva avrebbe rilevato l’indirizzo IP del computer che ha richiesto e sottoscritto, sia pure solo on line, il contratto di accesso ed i suoi amministratori si sarebbero in seguito rivolti a Tiscali per sapere quali erano i dati personali corrispondenti all’utente che usava, in quel dato giorno e in quella data ora, quel preciso indirizzo IP. Quest’ultimo, infatti, è nella quasi totalità dei casi in cui si accede a internet tramite un provider “gratuito”, un indirizzo variabile, che viene assegnato in modo diverso ogni volta che ci si connette. Per questo motivo, nella supposta cessione dei dati personali da Tiscali a Supereva sarebbe stato indispensabile il contributo di Tiscali: Supereva, come si è visto, esaminando il numero di IP che aveva il computer che ha stipulato il contratto può solo stabilire che apparteneva a Tiscali, piuttosto che ad un altro dominio. Poi, per sapere quale singolo utente aveva, nel momento preciso in cui il contratto è stato stipulato, quel determinato indirizzo, ma soprattutto qual è l’indirizzo di posta elettronica di quel singolo utente, ha bisogno di accedere dapprima ai log di Tiscali e poi al relativo database utente. Per questi motivi, il lettore, se non ha conferito il proprio indirizzo e-mail a Supereva, fa bene ad essere molto insospettito da quanto è accaduto. Per stabilire, poi, se questo concreta effettivamente una violazione della privacy, è necessario esaminare con attenzione le condizioni contrattuali di accesso sia a Tiscali che a Supereva. Come abbiamo già visto diverse volte, il contratto di accesso a Internet offerto da molto grandi provider, se non prevede un corrispettivo in denaro, spesso ha come “contropartita” la richiesta della disponibilità alla manipolazione dei dati personali, cosa che serve al provider per promozioni pubblicitarie, ma spesso anche solo per fare numero per eventuali operazioni in borsa valori. Il caso meriterebbe forse di essere esaminato più approfonditamente, ma solo dopo aver visto bene il contenuto delle condizioni generali di contratto, dapprima di Tiscali e poi di Supereva.

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cosa fare con adsl telecom?

Vorrei segnalare l’ottimo dis…servizio del tanto pubblicizzato Adsl Telecom. Verso fine agosto cambio residenza e chiedo trasloco per la linea telefonica. Tramite 187 chiedo il trasferimento della linea e mi viene comunicato che cambiera’ numero telefonico ma che tutto il resto sara’ invariato, per cui chiedo se e’ possibile fare il cambio con il nuovissimo, velocissimo, economicissimo Adsl … solo che qui inizia il mio calvario. Un giorno una cordialissima signora mi telefona per sapere sistema operativo, spine del telefono e altri dettagli; io rispondo alle sue domande e mi viene detto che saro’ contattato al piu’ presto. Passa ancora parecchio tempo, dopo parecchi miei solleciti vengo avvisato che il giorno 5 ottobre il tecnico verra’ ad installare il modem, cosa che non avviene perche’ la porta USB del mio pc non funziona. Chiedo se c’e’ un altro sistema e mi dice di mettere una scheda di rete, mi saluta, porta via il modem e devo rifare la trafila…telefonare al numero verde, prendere appuntamento e così via. Mi viene comunicato che il giorno 13 sarebbe ritornato il tecnico, nel frattempo io facevo riparare la porta USB, installare la scheda di rete. Si presenta il tecnico, prova il modem, ma, appena inserito il dischetto con i driver compare una scritta di errore…il modem supporta driver NDIS 3.0 o superiori, faccio notare al tecnico che la mia scheda e’ 5.0 per cui superiore al 3.0, ma non c’e’ nulla da fare, allora chiedo se ha un modem USB, visto che ora funziona, ma mi rispondeva negativamente , come negativa era la sua risposta alla mia richiesta di lasciarmi il modem che avrei fatto installare dal mio tecnico di fiducia. A questo punto, altra trafila (numero verde , appuntamento, ecc.) al termine della quale mi viene comunicato che il giorno 23/10 alle ore 18.30 sarebbe nuovamente venuto il tecnico, ma non l’ho ancora visto. Ora, oltre alla burla, ci sara’ sicuramente un danno economico, poiche’ nel frattempo, non ho l’opzione “chi e’” che prima avevo, non so se ho il teleconomy 24 o no stop che prima avevo e comunque per 2 mesi pago ogni volta che devo connettermi a qualche provider (Claudio, via mail)

L’impressione è che nella vicenda segnalata dal lettore si sia fatta veramente tanta confusione, condita dal solito eccesso di burocrazia ma anche da malfunzionamenti hardware di partenza. Il problema, spesso, dei servizi tecnologici forniti alla generalità del pubblico è appunto la compatibilità o anche solo il funzionamento dell’hardware sui quali questi servizi devono essere “spalmati”. Se la porta USB del computer del lettore non funzionava, la colpa non è certo di Telecom. Ma la sistemazione del problema che è conseguita non è stata certo adeguata ed il lettore ha ragione di lamentarsi della stessa. Purtroppo, ogni singola realtà è diversa, mentre le grandi imprese, nel momento in cui si organizzano per fornire servizi di questo tipo, prevedono procedure standard che possono non essere soddisfacenti quando ci sono particolarità che richiederebbero di essere seguite senza burocrazia e con un po’ di buon senso. Qui, comunque, non ci sono presupposti sufficienti per azioni legali serie: occorre che il lettore si armi di tutta la pazienza residua, decida una volta per tutte se vuole usare la porta USB o la scheda di rete per la propria connessione ADSL e si sottoponga di nuovo alla “trafila”, tenendo presente che il suo interlocutore è una grande azienda che, mentre può fare condizioni di favore (peraltro tutte da verificare nel caso concreto) su certi servizi, non è certo in grado di offrire l’elasticità e il contatto umano di una piccola impresa dislocata sul territorio, tutte cose da mettere in conto quando si sceglie il proprio fornitore di accesso.

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si può disdire il contratto con galactica?

Ho un abbonamento galaflat che scadrà nel settebre 2002. Alla luce dei recenti avvenimenti che hanno pesantemente interessato Galactica, tra cui da ultimo, la messa in liquidazione volontaria, mi chiedo se posso disdire l’abbonamento , che prevede il pagamento mensile dei canoni, senza incorrere in contenziosi di alcun genere, data l’evidente inadempienza contrattuale di controparte? (Antonio, via mail).

Sicuramente, anche se non si tratta di disdetta bensì di risoluzione per inadempimento. Bisogna inviare una raccomandata a ricevuta di ritorno alla sede legale di Galactica in cui la si invita a a voler ripristinare il funzionamento del servizio entro 15 giorni, restando inteso che, in caso contrario, il contratto si intenderà risolto (sciolto) di diritto. Se entro i 15 giorni il servizio non verrà ripristinato, il lettore potrà smettere di corrispondere il canone mensile ed eventuale richiedere quanto già corrisposto e il risarcimento del danno. Questo in generale è quello che dispone la legge, anche se nel particolare, trattandosi di una interruzione generale del servizio e addirittura della messa in stato di liquidazione della società è probabile che i liquidatori, cioè coloro che amministreranno Galactica nel periodo in cui la stessa verrà condotta verso la chiusura, definiranno delle procedure apposite per i rimborsi. Il consiglio è quello di vedere sul sito di Galactica quali sono le condizioni e le proposte che già dovrebbero essere state definite per definire tutte queste situazioni che rischiano di tradursi in altrettanti contenziosi se non amministrate in modo intelligente.

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quando il servizio internet di tipo flat viene ristretto a poche or

Vorrei esporre il caso sicuramente già noto dei disservizi di Galactica.Riassumo quanto mi è accaduto ritenendo che il comportamento della societàmeriterebbe una denuncia per truffa. Nel mese di giugno 2001 il mio studio professionale ha sottoscritto con Galactica un contratto flatrate pagando anticipatamente l’intero importodel canone annuo usufruendo dello sconto proposto. Tornando dalle ferie, nell’impossibilità di ottenere il collegamento adinternet, mi sono rivolto al tecnico dell’assistenza ed ho scoperto che ilservizio è stato interrotto per una presunta vertenza con Telecom ed ilcontratto modificato unilateralmente. La mia protesta è rivolta non all’importo pagato nè alla riduzione del servizio offerto ma alla proposta che la società Galactica ha fatto nel mesedi giugno e mantenuto nei successivi quando conosceva bene la vertenza conla Telecom e il rischio che di lì a breve avrebbe potuto perdere le suelinee. La scarsa serietà della società è evidente e più corretto sarebbe statochiedere abbonamenti mensili in attesa di risolvere i problemi.In ogni caso, dal canto mio non ritengo risolto il contratto e nellacertezza di aver perduto il mio denaro continuerò ad usufruire delservizio -così come è stato ridotto- fino a quando me ne sarà concessal’opportunità. (Gianfranco, via mail)

 

Non credo che nella condotta mantenuta da Galactica ci siano gli estremi di una denuncia per qualsiasi reato. Si tratta di un comportamento la cui correttezza commerciale può essere valutata in modo più opportuno da ognuno, ma niente di penalmente rilevante. Bisogna anche dire che effettivamente tutto è dipeso, come ricorda anche il lettore, dal contenzioso che si è di fatto instaurato tra Galactica e Telecom italia, fornitrice delle linee fisiche per l’accesso e la fruizione dei servizi di rete. Allo stato non è dato di conoscere i termini precisi di questa vertenza, ma un contenzioso giudiziario rappresenta sempre una incognita, in quanti a costi, tempi, esiti. Decidendo di aprire questa fase litigiosa con Telecom italia, Galactica ha cercato di mantenere l’erogazione del servizio e probabimente riteneva di poter confidare su di un esito positivo della stessa, ragione per cui ha continuato ad operare nel solito modo, anche perchè autolimitarsi sarebbe significato per la stessa aggiungere ulteriori costi e problemi rispetto a quelli già apportati dalla necessità di sostenere una vertenza giudiziaria e nessun imprenditore, che ragiona sempre nella logica del profitto, può decidere di autocastrarsi per eccesso di zelo. Per questo motivo, Galactica si è limitata a informare pubblicamente gli abbonati dell’esistenza del contenzioso, lasciando a loro la “scelta” di continuare ad operare o meno, alle stesse condizioni anteriori. Per quanto riguarda, invece, il profilo civilistico della vicenda, il lettore potrebbe invece sicuramente chiedere la riduzione del corrispettivo pagato, ottenendo la restituzione di quanto anticipato, visto che i termini del servizio che era stato promesso sono stati resi più angusti, passandosi da un collegamento senza limiti orari ad un collegamento limitato ad un certo numero di ore al giorno. Ma si tratterebbe di recuperare pochi soldi, relativamente ai costi necessari per affrontare un procedimento, necessario nel caso in cui il provider non restituisse il dovuto spontaneamente a seguito della richiesta del consumatore. Nel caso in questione, sarebbe opportuno organizzare una azione collettiva, visto che il medesimo trattamento è stato riservato a tutti i clienti Galactica, ciò che consentirebbe di abbattere i costi e gli oneri.