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diritto

7 cose sulla riduzione del mantenimento.

1) Il mantenimento può essere dovuto per i figli o per l’ex coniuge e può essere previsto in separazione, divorzio o affido.

2) Il mantenimento per il coniuge può venire meno quando lo stesso inizia una convivenza con un’altra persona.

3) Quando si verifica un fatto che può incidere sulla misura del mantenimento l’assegno non può essere ridotto col fai-da-te, ma bisogna sempre passare dal giudice.

4) La materia di famiglia, compreso il mantenimento, infatti é indisponibile e non se ne può disporre per contratto.

5) La riduzione del mantenimento dovuto per i figli é molto più difficile in generale da ottenere.

6) É abbastanza raro che il mantenimento per i figli venga ridotto, é più facile che venga eliminato al momento della loro autosufficienza.

7) In tutti i casi di soluzioni consensuali, come la separazione consensuale e il divorzio congiunto, ridurre il mantenimento é particolarmente difficile perché i giudici tendono a confermare ciò che uno ha firmato.

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diritto

10 cose sulla modifica condizioni di separazione, divorzio, affido.

1) La legge dice che in qualsiasi momento si può chiedere di cambiare le condizioni di una separazione, divorzio, affido.

2) Quindi, in teoria, si potrebbe sempre chiedere al giudice di cancellare, ridurre o aumentare un assegno di mantenimento oppure di variare il regime di gestione dei figli.

3) Nella realtà, i giudici non amano molto che venga chiesto loro di rivedere una situazione già regolamentata.

4) Questo è particolarmente vero se separazione, divorzio o affido sono frutto di una soluzione consensuale e non è nemmeno passato molto tempo dalla firma.

5) Infatti, se hai firmato e accettato tu quelle condizioni, come fai adesso a ricorrere alla magistratura per farle cambiare? I meri ripensamenti sono molto poco bene accetti dai giudici, che in questi casi non solo rigettano la tua domanda, ma ti condannano anche alle spese.

6) Per poter presentare una domanda giudiziale di modifica delle condizioni, é necessario che ci sia un fatto nuovo di una certa importanza.

7) Sono esempi di fatti rilevanti la perdita incolpevole del posto di lavoro, il matrimonio e l’uscita dalla famiglia di un figlio, un problema sanitario grave e così via.

8) Al di fuori di questi casi, la modifica delle condizioni a mio giudizio può avvenire solo consensualmente, tramite una convenzione di negoziazione assistita.

9) In caso di modifica consensuale, tuttavia, occorre che entrambe le parti siano d’accordo.

10) Per tentare di raggiungere un accordo, si può usare un percorso di mediazione familiare oppure si può dar corso ad una trattativa tra avvocati.

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riflessioni

15 cose sull’aumento ISTAT per separazione, divorzio, affido.

1) L’aumento ISTAT riguarda gli assegni di mantenimento previsti in separazione, divorzio e affido e serve a mantenere il potere di acquisto dell’assegno nonostante l’inflazione.

2) Esso comporta appunto l’aumento dell’assegno o degli assegni ogni anno in dipendenza dell’andamento dell’inflazione calcolato
dall’Istituto di statistica osservando i prezzi di determinati beni e servizi più comuni.

3) La rivalutazione Istat è obbligatoria per legge per gli assegni corrisposti in caso di divorzio, separazione e affido: non è necessario che sia prevista dal titolo, ma si verifica comunque in modo automatico anche appunto dove non prevista.

4) Il soggetto tenuto al pagamento ha dunque l’obbligo di aggiornare l’assegno in modo automatico, senza che la controparte ne faccia richiesta.

5) Può essere escluso dal giudice, l’articolo 5 della legge sul divozio 898/1970 infatti dice: “Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione“. Non mi è mai capitato di vederlo escluso e concettualmente fatico a pensare a situazioni che consentano l’esclusione, ad eccezione di periodi deflattivi, che non ci sono comunque da decenni.

6) Il credito all’aumento ISTAT si prescrive in cinque anni, come i singoli ratei di mantenimento.

7) Per il calcolo dell’importo dell’aumento si può utilizzare una delle tante utility disponibili on line cercandole banalmente con google.

8) Le parti riservano spesso all’aumento ISTAT un’attenzione che sarebbe davvero degna di maggior causa, a volte per 20€ si fanno lettere, ore di lavoro, ecc.

9) É consigliabile, considerando i costi consueti di un intervento legale, che le parti che hanno diritto all’aumento ne facciano richiesta autonomamente, usando le utility disponibili e inviando la richiesta via PEC.

10) In difetto di pagamento, in teoria chi ha diritto all’aumento può notificare un atto di precetto, ma quasi mai ne vale la pena, per ragioni sia di costi sia di opportunità.

11) Se chi deve pagare l’aumento é per il resto un pagatore puntuale, bisogna infatti pensarci due volte prima di mandargli un atto di precetto: per prendere 20€ si potrebbero avere problemi per incassare poi l’intero assegno di importo ben superiore.

12) Per questo, di solito la questione relativa all’aumento ISTAT viene «infilata» in occasione di altre iniziative, dove non costa niente aggiungerla, mentre se la devi coltivare apposta devi valutarne bene la convenienza.

13) In caso di mancata corresponsione della rivalutazione Istat, non c’è responsabilità penale, quindi non si può mai pensare di fare una querela per mancato pagamento dell’aumento Istat.

14) La rivalutazione opera per ogni assegno e cioè quello di mantenimento per il coniuge separato, quello di divorzio e quello per i figli, sia minorenni sia maggiorenni.

15) Un modo per potersi tutelare nonostante il basso importo potrebbe essere quello di disporre di una polizza di tutela legale con copertura estesa a questo genere di vertenze.

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diritto

ATP ex art. 445 bis cpc: da quando decorre il beneficio?

Come noto, nelle cause in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere.

Il giudice preposto all’ATP, come chiarito da Cassazione n. 6010-6085/2014 è tenuto, con il decreto di omologa, ad attenersi alle conclusioni di ordine sanitario cui è giunto il CTU. La Suprema Corte ha anche avuto cura di precisare che, in caso di asimmetria tra la CTU e il decreto di omologa, si dovrà avere riguardo alle conclusioni definitive predisposte dal consulente.
In tale solco si pone il problema della decorrenza del beneficio eventualmente riconosciuto al ricorrente nella consulenza tecnica d’ufficio. In particolare, la prassi dei Tribunali insegna che non di rado il CTU, nel riconoscere il predetto beneficio, ometta però di indicarne la decorrenza.

Tale omissione, tuttavia, non va interpretata come una carenza della consulenza tale da ingenerare incertezza circa la data di effettivo riconoscimento dell’indennità richiesta.
Al contrario, a chiarire la linea di condotta cui sono tenuti gli uffici INPS preposti alla liquidazione delle prestazioni riconosciute tramite decreto di omologa ci pensa la Nota INPS 4818/2015, nella quale viene testualmente riportato “Gli uffici amministrativi dovranno riconoscere la prestazione con decorrenza dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda.

Nel caso in cui, invece, la CTU riconosca la sussistenza del requisito sanitario da una data successiva a quella della domanda, per data di decorrenza della prestazione deve intendersi il primo giorno del mese in cui è dichiarata l’insorgenza dello stato invalidante”. A parere dello scrivente, la suesposta nota è di chiara interpretazione: la necessità di specificare la decorrenza si pone unicamente nei casi in cui il CTU ritenga di dover spostare “in avanti” rispetto alla data della domanda la decorrenza della prestazione. Tutto ciò, all’inverso, implica che in caso di mancata indicazione la decorrenza debba senz’altro farsi risalire al primo giorno del mese successivo a quello in cui è stata effettuata la domanda.

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tecnologia

Moderare i commenti nei blog multiautore WordPress: come fare.

Oggi voglio insegnarti come si fa, in un blog multiautore WordPress come questo, a consentire ad altri utenti di moderare i commenti.

I commenti sono molto importanti a livello SEO, perché iniettano nuovo contenuto in una pagina, e google se ne accorge facendola salire di grado, indicizzando comunque anche il nuovo contenuto.

Inoltre sono importantissimi a livello di interazione con gli utenti, perché creano spesso un legame con i gestori del blog e un senso di comunità con tutti gli altri utenti dello stesso.

Purtroppo, i commenti spesso sono tantissimi e non è facile rispondere, in modo un minimo decente, a tutti. Questo è vero specialmente in un blog giuridico, dove i lettori magari affidano ad un commento storie complesse e molto lunghe, difficili da definire con poche righe di risposta – tanto è vero che spesso prendiamo un commento e lo rendiamo oggetto di un post apposito, con adeguata risposta da parte nostra, per la sua complessità, ma anche per l’interesse generale, dal momento che i post del giorno vengono fatti circolare tramite la newsletter, il gruppo Telegram e i social (a proposito, se non sei ancora iscritto, fallo al più presto per non perdere contenuti interessanti ed utili tutti i giorni).

Una ulteriore soluzione è ovviamente quella di consentire ad altri utenti di moderare i commenti e darvi risposta.

Per fare questo, devi lavorare con un po’ di plugin, anche perché le soluzioni semplici purtroppo non funzionano, come da me sperimentato.

Devo premettere che gli altri autori che scrivono sul mio blog hanno il ruolo e i permessi di «collaboratore», per molteplici ragioni legate alla possibilità di un intervento editoriale da parte mia su alcuni aspetti più che altro stilistici e alla gestione del flusso editoriale da parte di un plugin che «pesca» tra gli articoli in attesa di revisione o pending review.

Gli stessi miei colleghi preferiscono che il blog funzioni in questo modo, preferiscono cioè di solito non avere permessi di pubblicazione diretta, anche considerando che questo blog non funziona come gli altri che «buttan fuori» in qualsiasi momento nuovi articoli, ma c’è un flusso editoriale preciso che vede pubblicato un solo articolo al giorno, dal lunedì al venerdì, cosa che è essenziale per le persone per poter seguire come si deve un blog, senza essere costantemente sopraffatti da nuovo materiale e trovandosi nell’impossibilità di decidere, alla fine, cosa leggere.

Gli utenti, dunque, con ruolo di «collaboratore» non hanno i diritti di modificare i commenti.

Per dargli questo permesso, bisogna installare prima un plugin che consenta di assegnare più ruoli ad un medesimo utente, cosa che di default WordPress non consente, poi un ulteriore plugin che crea un nuovo ruolo, quello di moderator, che comprende il permesso di amministrare i commenti.

I plugin appena citati sono i seguenti:

In teoria, Members dovrebbe essere sufficiente. Con Members, si può definire un nuovo ruolo, cui attribuire la possibilità di moderare i commenti. Purtroppo, se provi a fare questo, vedi che non funziona. Non si sa il perché.

Quindi Members lo installi solo per consentire ad un utente WordPress di avere più ruoli, cosa di default possibile, poi installi anche Moderator role.

A questo punto, prendi l’utente cui vuoi assegnare il permesso di moderare i commenti e gli aggiungi anche il nuovo ruolo «moderator», rendendolo quindi un utente con il duplice ruolo di «Collaboratore», che gli consente di continuare a mandare post in revisione, e di «Moderator», che gli consente di moderare e rispondere ai commenti.

Ovviamente, se vuoi puoi anche creare un utente con la sola possibilità di moderare i commenti, ma non è il nostro caso, dove tutti gli utenti sono anche «autori» di post.

Ecco fatto.

Ti raccomando di nuovo, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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diritto

Decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo: che fare.

Il problema del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.

Che cosa deve fare chi riceve un decreto ingiuntivo che è stato munito di clausola di provvisoria esecutorietà e quindi un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo?

Vediamo, intanto, che cos’è un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e, prima ancora, un decreto ingiuntivo.

Un decreto ingiuntivo è di solito un ordine di pagamento. Viene emesso dal giudice sulla base di un ricorso sommario basato su prova scritta e impone di pagare una determinata somma a chi lo riceve.

Se chi lo riceve lo ritiene ingiusto, può fare opposizione e quindi si apre una causa ordinaria per stabilire se il decreto è giusto o meno. Per ulteriori dettagli al riguardo, rimandiamo alla relativa scheda illustrativa.

Ci sono però dei casi in cui la situazione non è così semplice, perché il giudice ha stabilito che, nonostante chi riceve il decreto possa fare opposizione, intanto costui debba comunque pagare.

Questo è appunto ciò che significa che il decreto è provvisoriamente esecutivo. Viene emesso già esecutivo, quindi chi lo riceve può fare opposizione, ma intanto deve pagare e, se non paga, può essere fatto un pignoramento: un pignoramento mobiliare, un pignoramento dell’autoveicolo, del conto corrente, dell’immobile o di qualsiasi altro genere, a scelta del creditore cioè di chi ha ottenuto il decreto ingiuntivo.

Quando un decreto può essere emesso già esecutivo.

La legge ovviamente prevede che non tutti i decreti possono essere provvisoriamente esecutivi, ma possano esserlo solo quelli che vengono emessi in particolari circostanze, in cui in teoria dovrebbero esserci maggiori sicurezze sull’esistenza del credito che si fa valere con il decreto oppure ci sia un pericolo nel ritardo, cioè sia importante per il creditore agire velocemente altrimenti potrebbe perdere la possibilità di incassare il suo credito.

La disposizione di riferimento al riguardo è l’articolo 642 del codice di procedura civile, che si divide in due commi, il secondo dei quali si divide, poi, ulteriormente in due parti sensibilmente diverse tra loro.

Per quanto riguarda il primo comma, questa ipotesi è quella in cui il credito fatto valere tramite il decreto ingiuntivo è assistito da documenti di particolare forza ed efficacia come ad esempio un titolo di credito quale la cambiale o l’assegno bancario.

In questi casi il decreto ingiuntivo viene emesso provvisoriamente esecutivo anche perché la cambiale è già di per sé un titolo esecutivo e quindi in realtà la posizione del debitore non viene nemmeno effettivamente aggravata rispetto a quella che era già inizialmente in cui c’era già un titolo esecutivo azionabile a suo carico. In altri casi, è la forza del documento che consente di rendere provvisoriamente esecutivo il decreto. E’ ad esempio il caso in cui l’obbligazione di pagare la somma di denaro è contenuta in un atto pubblico, cioè un atto stipulato davanti ad un notaio.

Il secondo comma, come abbiamo anticipato, è diviso in due parti, che riguardano due ipotesi molto diverse tra loro.

La prima ipotesi è quella in cui c’è pericolo nel ritardo. Si tratta del caso, cui abbiamo già accennato, in cui il creditore, se il decreto non venisse emesso provvisoriamente esecutivo, potrebbe perdere la possibilità di recuperare il suo credito perché ad esempio il debitore si sta disfacendo di tutte le sue sostanze. Ovviamente qui per comprovare una situazione del genere il creditore deve far vedere che il debitore è un soggetto poco solvibile o comunque con dei precedenti negativi, come protesti, pignoramenti, altre ingiunzioni e così via.

La seconda ipotesi è quella in cui c’è documentazione proveniente dallo stesso debitore che è particolarmente significativa al riguardo dell’esistenza del credito che si vuole far valere e che quindi lo rende molto più probabile quanto da sola esistenza ed esigibilità del solito. Il caso tipico è quello del riconoscimento espresso di debito fatto dal debitore espressamente per iscritto.

In tutti questi casi, il decreto ingiuntivo può essere rilasciato dal giudice provvisoriamente esecutivo quindi chi lo riceve può fare sì opposizione ma intanto deve pagare, altrimenti gli può venir fatto un pignoramento.

Cosa riceve il debitore in questi casi.

In questi casi, di solito, l’unico spazio di tempo di cui dispone Il debitore è quello di 10 giorni dalla notifica dell’atto di precetto che avviene appunto sempre in queste ipotesi insieme al decreto ingiuntivo. Il debitore quindi riceve, senza che gli fosse necessariamente stato recapitato alcun altro preavviso in precedenza, un decreto ingiuntivo e un atto di precetto che gli ingiungono di pagare entro 10 giorni la somma portata dal decreto ingiuntivo.

Addirittura, il codice di procedura civile consente, in alcune ipotesi in cui si può ritenere che vi sia pericolo nel ritardo e che quindi sia necessario procedere di urgenza, di esentare il creditore anche dal termine di 10 giorni dal precetto. Purtroppo a volte cose di questo genere avvengono, devo dire che nella mia esperienza mi sono capitate diverse volte.

In questi casi, il debitore apprende che c’è un decreto ingiuntivo a suo carico direttamente al momento in cui arrivano per fargli il pignoramento, oppure quando gli pignorano il conto corrente in banca. Si tratta quindi di un modo ancora più drastico e lacerante di procedere al recupero crediti. Ovviamente, in questi casi il debitore che riceve un pignoramento immediato può fare ben poco per opporsi al pignoramento stesso e lo deve sostanzialmente subire, salvo cercare in seguito di difendersi nei modi previsti dalla legge.

I possibili rimedi.

Veniamo adesso al tema vero e proprio di questo articolo, che è quello di guardare che cosa può fare, alla fine, chi riceve un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, lasciando perdere l’ipotesi ancora più marginale in cui ci sia l’esenzione anche dal termine del precetto e che abbiamo menzionato poco fa solo per completezza di trattazione, ma dove comunque i rimedi sono più o meno gli stessi.

In linea generale, chi riceve un decreto ingiuntivo ha come abbiamo visto a propria disposizione il rimedio della opposizione a decreto ingiuntivo.

L’opposizione a decreto ingiuntivo di solito si propone con un atto di citazione con il quale viene aperto un giudizio ordinario a cognizione piena sul caso e sulla materia oggetto del decreto ingiuntivo. Il debitore, presentando l’opposizione, dichiara di non accettare la riduzione del rito a quello sommario e chiede che sul suo caso venga fatta piena luce da parte di un giudice in un giudizio pieno, perché ritiene ad esempio che il credito che è stato valutato contro di lui non sia dovuto o sia dovuto solo in parte.

Il caso tipico, ad esempio, è quello in cui un committente fa eseguire dei lavori come, sempre ad esempio, dei lavori di ristrutturazione o di intervento di tipo casalingo, l’appaltatore ritiene di aver svolto i lavori in modo corretto e vanta un credito al pagamento del suo corrispettivo mentre il committente o appaltante ritiene al contrario che nei lavori ci siano dei vizi e che quindi il corrispettivo non sia dovuto, e magari sia dovuto anche addirittura un risarcimento del danno, o che sia dovuto solo in parte. Ma gli esempi nella pratica sono davvero innumerevoli.

Quindi il primo rimedio che viene messo a disposizione del debitore che riceve un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo è l’atto di citazione o ricorso per opposizione a decreto ingiuntivo stesso.

Il problema in questi casi però è diverso e richiede un intervento ulteriore.

Non ci si può limitare solo a fare opposizione.

Se, infatti, per reagire ed opporsi ad un decreto ingiuntivo normale e cioè non provvisoriamente esecutivo è sufficiente l’atto di citazione in opposizione o ricorso a seconda dei casi, nel caso del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo questo non è sufficiente per un motivo molto semplice.

Il motivo risiede nel fatto che il decreto ingiuntivo è appunto provvisoriamente esecutivo e quindi il debitore ha bisogno che la esecutorietà provvisoria del decreto venga sospesa o, anche se questo provvedimento è di dubbia ammissibilità, revocata.

Questo perché quando si notifica un atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, ad esempio, si devono rispettare dei termini a comparire.

Ciò significa che non si può chiamare l’udienza, ad esempio, dopo una settimana, in modo che il giudice inizi subito il giudizio di opposizione e decida anche sulla sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto, ma bisogna chiamare un’udienza nel rispetto dei termini che la legge prevede in tutti i casi in cui si instaurano delle nuove cause, per consentire alla persona nei cui confronti le cause vengono fatte valere un tempo sufficiente per preparare la propria difesa.

Quindi per la prima udienza bisogna aspettare almeno 45 giorni.

Il problema è che in questi 45 giorni, trascorsi i primi 10 giorni di cui all’atto di precetto, il creditore può promuovere, e di solito promuove, un pignoramento.

Per impedire questo, il rimedio che deve utilizzare il debitore che ha ricevuto un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo è un ricorso, che deve essere depositato subito dopo aver depositato o iscritto a ruolo la causa di opposizione a decreto ingiuntivo, con il quale chiedere la fissazione di una udienza molto più a breve termine per la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto.

Oppure che, ancora meglio, questa sospensione o inibitoria venga concessa inaudita altera parte, così come del resto è stata concessa la provvisoria esecutorietà del decreto.

Riassumendo, chi riceve un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo se vuole essere davvero tutelato e non subire un pignoramento che potrebbe essere fortemente ingiusto deve fare due cose e le deve fare in questo ordine:

  • notificare o depositare la opposizione a decreto ingiuntivo;
  • depositare un ricorso per la sospensione della esecutorietà del decreto ingiuntivo stesso anteriormente alla prima udienza del giudizio di opposizione.

Il ricorso per la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo, secondo alcuni, va indirizzato al presidente del tribunale, anche perché è di solito il presidente del tribunale che firma i decreti ingiuntivi muniti di clausola di provvisoria esecutorietà poiché trattasi, evidentemente, di una materia abbastanza delicata.

In ogni caso non è così importante a chi indirizzare questo ricorso, l’importante è che sia confezionato e depositato il prima possibile indirizzandolo sia al giudice nominato per il giudizio di opposizione, o che sia nominato in futuro, perché molte volte questo ricorso si deposita prima che venga nominato il giudice, sia, se questo giudice lo ritiene, al presidente. Quindi il giudice designato se lo ritiene sarà lui a trasmettere il fascicolo al presidente affinché sia proprio quest’ultimo a decidere sulla sospensione dell’esecutorietà. Se invece ritiene di essere facoltizzato lui stesso a decidere, potrà farlo direttamente.

Purtroppo cose del genere capitano.

Questa materia la conosco abbastanza bene perché è uno dei primi grandi problemi processuali di cui mi sono trovato ad occupare all’inizio della mia carriera di avvocato, quando un’azienda mia cliente ricevette 3 decreti ingiuntivi tutti e tre provvisoriamente esecutivi da un Tribunale del Nord Italia per una somma che oggi sarebbe pari a circa €300.000 e quindi una cosa abbastanza consistente. In quel caso, dopo aver studiato i rimedi che si sarebbero potuti praticare, confezionai i tre atti di citazione in opposizione e altrettanti ricorsi per la sospensione dell’esecutorietà dei decreti ingiuntivi. In due casi su tre il giudice concesse la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, evitando così dei pignoramenti abbastanza importanti alla parte da me assistita e ciò ovviamente molto prima della data di prima udienza del giudizio di opposizione.

Oggi, dopo 22 anni di professione da allora, mi sono capitati molti altri casi del genere, anche se per fortuna non si tratta di casi così frequenti. In queste ipotesi, la strategia processuale da adottare è sempre quella. Mi è sembrato quindi utile condividere con tutti questo approccio strategico che credo rimanga ad oggi l’unico praticabile e comunque il miglior tentativo che si può fare di difesa efficace di chi riceve un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.

Hai ricevuto un decreto ingiuntivo?

Se hai ricevuto un decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo o meno, e vuoi un preventivo per fare opposizione e l’eventuale ricorso per la sospensione dell’esecutorietà, puoi chiedercelo compilando il modulo apposito, indicando la somma portata dal decreto è, se possibile, allegandolo. Ti faremo una quotazione di tipo flat.

Sei un avvocato e un tuo cliente ha ricevuto un decreto provvisoriamente esecutivo in una situazione particolarmente delicata? Scrivici dal modulo dei contatti per eventuali consulenze o per valutare l’assunzione di un mandato congiunto, soprattutto per la gestione della fase cautelare.

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Rinuncia a mantenimento per divorzio: è possibile?

io e la mia ex moglie dopo la separazione circa 4 anni fa abbiamo firmato insieme ai nostri avvocati una scrittura privata con la quale io le davo tutti i miei risparmi circa 120 mila euro e lei rinunciava agli assegni di mantenimento x i figli e anche l’assegno di divorzio. Adesso che io ho chiesto il divorzio mi ricattata se non gli do almeno 300 euro al mese non mi da il divorzio. Avv. lei cosa ne pensa. se io affronto un divorzio giudiziale il giudice potrebbe concedere questo assegno divorzile che chiede dopo tutto quello che gli ho dato e con un accordo scritto e firmato.

Non ha senso, innanzitutto, disquisire di una situazione dove c’è un documento legale sottoscritto dalle parti senza poterlo visionare, cioè senza averlo nemmeno letto.

Al netto di questo, in via generale si può comunque dire che la materia del mantenimento è indisponibile, come quasi tutto in materia giuridico familiare, dove non si hanno obbligazioni, ma obblighi di famiglia, di natura sostanzialmente diversa, perché non suscettibili di valutazione patrimoniale – questo è un discorso che è ostico anche per diversi avvocati, quindi non ti preoccupare se non lo comprendi fino in fondo, ma te lo dovevo fare perché tecnicamente è la premessa necessaria per la conclusione successiva.

Il succo del discorso, comunque, è che non si può validamente rinunciare all’assegno di un divorzio che deve ancora essere trattato, formalizzato, deciso, né per 120.000 euro, né gratuitamente, e nemmeno per tutto l’oro del mondo, perché appunto è una materia sottratta alla disponibilità delle parti e, al contrario, il giudice conserva sempre il potere di prevedere o meno un assegno se lo ritiene giusto secondo le circostanze.

Ora, sarebbe comunque importante vedere che cosa avete scritto in questo benedetto documento e capire se quanto ti ho riportato sopra ti era stato fatto presente dai legali che avevate all’epoca e specialmente dal tuo, e si tratta dunque di un aspetto su cui hai fatto confusione tu, o se invece è una cosa che è stata completamente ignorata, anche perché in questo caso potrebbero esserci anche profili di negligenza in capo al legale che ti ha seguito – ovviamente uso il condizionale perché la situazione è da valutare, al riguardo, ben più approfonditamente.

Se vuoi, appunto, approfondire, valuta, come al solito, di acquistare una prima consulenza.

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Posso ottenere un decreto ingiuntivo con un assegno e una mail?

Il giorno 21/lug/2014, alle ore 11:14, arnaldo bertolani <posilipo2001> ha scritto:

vorrei sapere se e possibile fare un decreto ingiuntivo.le spiego brevemente, nell aprile 2013 ho prestato, 15000 euro ha un amico tramite assegno,lui lo stesso giorno mi ha mandato un e mail in cui mi ringrazziava per il prestito che mi avrebbe reso dopo un anno. adesso pero non vuole piu rendermelo, dicendo che con quei soldi io avrei acquistato quote della sua societa,premetto che io non ho mai acquistato nessuna quota, e mai ho firmato nessun contratto.se e possibile vorrei anche avere un preventivo

Un assegno, di solito, è ritenuto prova scritta sufficiente per concedere un decreto ingiuntivo.

Se questo, poi, è accompagnato da una mail del debitore che conferma che il pagamento è avvenuto a titolo di prestito, la prova dovrebbe essere ancor più valida.

Naturalmente, la mail del debitore potrà essere, dal debitore stesso, contestata, anche quanto alla sua autenticità, nell’eventuale e successiva fase di opposizione, ma intanto in sede monitoria può sicuramente aiutare.

Inoltre, anche in caso di contestazione, il giudice rimarrebbe a mio giudizio libero di valutarla.

C’è anche da dire che l’acquisto di quote sociali, per contro, non è un’operazione che si realizzi verbalmente di solito, ma quantomeno per scrittura privata se non per atto pubblico.

Direi, insomma, che i presupposti per tentare il recupero ci siano sicuramente. Il preventivo te lo mando per posta privata.

Leggi però con attenzione la nostra scheda pratica sul recupero crediti.

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Se l’artigiano che mi doveva fare lavori di ristrutturazione lascia il cantiere a metà che posso fare?

Vorresi sapere come dovrei comportarmi nei confronti di una persona che ha fatto dei lavori di ristrutturzione per la mia casa,interrompendo i lavori a meta’,creandomi molti disagi.oltre a dei soldi per inizio lavori,ad un certo punto ha voluto un assegno di 22000 euro per proseguire,e da quel momento non si e’ fatto piu’ vedere,di conseguenza dopo molti tentativi di contattarlo,mi ha consegnato un assegno di pari valore (22000) della madre,pero’ non e’ stato possibile riscuoterlo perche’ l’intestataria del conto corrente era sua mamma la quale non risultava nel contratto dei lavori che si stavano eseguendo.Tengo a precisare che non ho mai ricevuto nessuna fattura dei lavori eseguiti da questa persona e di conseguenza non ho potuto usufruire delle varie detrazioni.Gradirei sapere come potrei risolvere questi problemi e se potrei rivolgermi alla finanza per tu tti questi danni subiti.

La Guardia di Finanza ovviamente si occupa della violazione delle norme in campo fiscale e non di far recuperare danni subiti da privati cittadini, che sono considerati vicende private che spetta ai cittadini azionare tramite un loro avvocato o altro professionista.

Non è nemmeno corretto che l’assegno della madre non si potesse incassare perché non collegato al contratto: l’assegno infatti come tutti i titoli di credito è un documento astratto che prescinde sempre dalla causa sottostante e che secondo me avresti potuto benissimo porre all’incasso, anche se con quali esiti poi non si sa.

In generale, bisognerebbe approfondire meglio le circostanze del caso per come si è instaurato ed evoluto, ed effettuare probabilmente le denunce dei vizi e dei problemi nei confronti dell’artigiano previste dalla legge e nei termini indicati.

Anche facendo questo, tuttavia, potrebbe non essere possibile recuperare i danni o il corrispettivo pagato per lavori non svolti: a questo riguardo, occorrerebbe effettuare una valutazione sulla solvenza di questo artigiano, che ti consenta di vedere se possa valer la pena spendere soldi con un avvocato per tentare il recupero o se invece, tutto al contrario, rischi solo di spendere altri soldi per niente.

Visti i valori in ballo, ti consiglierei di ordinare una consulenza da un avvocato per approfondire meglio la situazione.

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diritto

Se il mio inquilino mi dà un assegno fasullo posso denunciarlo per truffa?

ad agosto ho affittato un appartamento e a saldo del mese + l’anticipo mi è stato dato un assegno chiedendomi di aspettare qualche giorno per l’incasso però quando sono andata a versare l’assegno la banca non lo ha accettato in quanto, oltre ad essere a vuoto, il mio inquilino non poteva neppure firmarlo in quanto era già stato protestato. Adesso sono due mesi che mi prende in giro dicendomi entro fine settimana pago poi non paga mai. A questo punto mi rivolgerò a qualcuno per lo sfratto ma da Lei volevo sapere se ci sono le basi per denunciarlo per truffa?

A differenza di quel che accade di solito, dove i presupposti non ci sono e si tratta di vicende esclusivamente civili, in una situazione del genere potrebbero anche esserci i presupposti per truffa, anche se per verificarlo bisognerebbe conoscere meglio sia il fatto sia la sua dimostrabilità molto più in concreto e nel dettaglio.

In ogni caso, comunque, quand’anche questi presupposti ci fossero, comunque con una denuncia per truffa credo che risolveresti poco, ti conviene concentrare i tuoi sforzi sulla notifica dello sfratto, che è il sistema più rapido, o meno lento se vogliamo, per risolvere di fatto il problema.