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quando lo stipendio cala e si perde la casa

Sono in procinto di divorziare giudizialmente, dopo una separazione molto combattuta, durante la quale ho sempre versato un assegno di mantenimento pari a €450 per mia figlia e per la mia ex moglie (nullafacente da anni) più tutte le spese straordinarie (mediamente di €100,00 / mese). Nel 2000 quando fu stabilito l’assegno percepivo uno stipendio di €2.500, adesso ne ho uno da €1.300! Il giudice in via provvisoria ha stabilito il mantenimento mensile globale a €450, in attesa dell’udienza definitiva che si terrà ad ottobre 2007. Nel frattempo ho avuto la disdetta del contratto di locazione dell’appartamento in cui vivo dalla nascita (43 anni) poichè non ho accettato l’aumento che mi hanno proposto da €380 a €700… Praticamente dovrei vivere con €650,00 e pagarci un affitto, relative utenze, cibo e così via. Vorrei al riguardo chiedere quanto segue.

 

a) Perchè la mia ex moglie insiste oltre al mantenimento di €450 solo per mia figlia, a volere una cifra simbolica per lei di soli €10,00?

 

b) Esiste o no una proporzionale tra quello che io guadagno e quello che devo passare come mantenimento -> €450,00 + spese straordinarie(quasi sempre di €100 mensili) e il mio stipendio -> €1.300,00

 

c) Mi conviene tener duro sulla mia proposta di €350,00 solo per mia figlia e niente per la mia ex…perfettamente in salute e perennemente disoccupata (ha ammesso davanti al giudice di arrangiarsi!)? Ho speranze di poter ospitare mia figlia in modo dignitoso e non sotto un ponte?

 

d) O è meglio cedere al “tipico” suggerimento del mio legale: “meglio una brutta transazione che una buona causa” (Stefano, via mail)?

Cominciando dalla fine, il suggerimento del legale è sempre valido. Purtroppo le decisioni dei giudici, specialmente in materia famigliare, sono non rare volte deludenti, quindi sicuramente bisogna cercare al massimo grado di trovare un accordo che, sia pure tramite un compromesso, è sempre preferibile ad una cattiva decisione, i cui squilibri possono ripercuotersi sull’intera famiglia. Poi c’è la tendenza dei giudici della fase di merito a confermare quasi sempre i provvedimenti presi dal presidente in fase di urgenza, quindi se i provvedimenti sono stati già questi è bene sapere che gli stessi sono dotati di una certa forza inerziale e costituiscono già un piccolo punto di riferimento.

Per quanto riguarda i punti b) e c), è opportuno rispondere insieme. Sicuramente la misura del contributo al mantenimento è proporzionale al reddito di cui gode il genitore tenuto allo stesso, ma si deve tenere anche conto della sua capacità lavorativa. Quindi non solo del reddito attuale, ma anche di quello potenziale, dal momento che, quando si mettono al mondo dei figli non ci si può accontentare di uno stipendio minimale ma si deve cercare di conferire più sostanze possibili in famiglia. Se lo stipendio ha subito questa brusca diminuzione, sarà bene dimostrarne dunque i motivi e l’impossibilità di acquisire un diverso posto di lavoro in cui godere di uno stipendio maggiore. Naturalmente queste considerazioni valgono anche per la madre che, quindi, se ha capacità lavorativa, può essere invitata a sfruttarla, anche se al riguardo hanno rilevanza altre circostanze quali il fatto che la bambina frequenti durante la scuola un asilo o comunque una scuola ovvero sia tutto il tempo a carico della madre, con conseguente difficoltà o impossibilità di iniziare un lavoro full-time o anche part-time, e così via. In ogni caso, la capacità lavorativa della madre, per quanto riguarda la misura del mantenimento della figlia, è rilevante solo relativamente, dal momento che alla figlia deve comunque essere garantito un “reddito” adeguato per le sue esigenze di vita.

Per quanto riguarda il punto a), mi pare una cosa senza senso. Forse la moglie vuole poter dire, un domani in occasione della richiesta di un contributo maggiore, di averne sempre goduto, ma le si potrà comunque opporre che si trattava di una cosa simbolica. Quindi mi pare piuttosto insensata come richiesta, soprattutto se definita come irrinunciabile.

A livello più generale di strategia processuale, forse una idea potrebbe essere quella di presentare una istanza al giudice istruttore per la modifica dei provvedimenti presidenziali, facendogli presente tutte le circostanze rilevanti tra cui principalmente la diminuzione dello stipendio e la impossibiltà di conseguirne uno maggiore e l’aumento del canone di locazione con riferimento al canone medio praticato sulla piazza, per vedere la sua disponibilità a variare i provvedimenti presidenziali. Se questi verranno cambiati in senso favorevole al padre, potrà essere un impulso in più per controparte per venire a transazione a condizioni più favorevoli per il padre. Se invece il ricorso sarà rigettato, sarà viceversa un segnale importante da valutare per il padre per accettare un accordo più meno secondo le condizioni attuali, in ogni caso si sarà un po’ anticipato il risultato finale.

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quando l’ex coniuge non ha niente

La mia ragazza è in corso di separazione con l’ex marito,con un ricorso datato 23/12/2005.In questo ricorso, consensuale, si era stabilito,parlando solamente della figlia nata nel 2001, che il padre pagasse (solamente) €150 mensili. Tralasciando la validita’ morale di questa sentenza, l’ex marito da Settembre 2006 non conferisce piu la somma stabilita nella sentenza. Presentato il problema ad un avvocato,ci stiamo scontrando con l’incredibile impossibilita’ non solo di avere i soldi fino ad ora non corrisposti, ma la continuita’ della situazione. Impossibilita’ spiegata dall’avvocato con il fatto che l’ex marito, essendo alle dipendenze di un agenzia di lavoro temporaneo e non avendo niente intestato perche’ vive con i genitori, risulta nella facolta’ di non adempiere ai soli obblighi stabiliti dalla legge. E’ davvero possibile tutto cio’? Da chi puo’ essere tutelata una madre? Potrei avere qualche consiglio,sperando di essermi spiegato sufficientemente? (Francesco, via mail).

Quando l’ex coniuge, tenuto a corrispondere il mantenimento, non ha sostanze “aggredibili” ci sono appunto questi problemi. In altri paesi, come ad esempio la Germania, dal momento che i minori devono comunque mangiare, è lo Stato che passa gli alimenti e che poi si fa avanti con il genitore inadempiente per averli indietro. In Italia, purtroppo, tutto è lasciato all’iniziativa dei singoli. Va premesso, al riguardo, che non si capisce, allo stato, come mai il legale già consultato abbia escluso la pignorabilità delle retribuzioni derivanti dall’agenzia di lavoro interinale. Queste retribuzioni sono tranquillamente pignorabili come qualsiasi altro “stipendio”. Forse ci sono particolarità, tuttavia, che nel caso concreto lo impediscono.

Ad ogni modo, due ulteriori cose che si possono provare sono queste:

a) presentare una denuncia – querela per violazione degli obblighi di assistenza ai sensi dell’art. 540 cod. pen.; questa cosa non consente di conseguire direttamente il mantenimento ma potrebbe essere uno stimolo per la parte inadempiente a corrispondenre quanto dovuto;

b) agire nei confronti dei genitori del padre inadempiente, cioè i nonni della bambina, ai sensi dell’art. 148, comma 1°, cod. civ. che richiede la dimostrazione che la madre, da sola, non gode di “mezzi sufficienti” per mantere i figli.

Naturalmente la situazione deve essere, prima di qualsiasi iniziativa, valutata attentamente in tutte le sue particolarità, a partire dall’età della bambina, dalle sue esigenze concrete, dal novero di spese straordinarie che si sono rese necessarie negli ultimi anni, dal reddito della madre e così via. Prima, tuttavia, di ricorrere per cambiare la misura del mantenimento, bisogna a questo punto vedere se possibile conseguire quanto è già stato stabilito e che non viene correntemente pagato.

Una nota per quanto riguarda le spese legali: se la madre ha un reddito basso, può chiedere di essere assistita in regime di gratuito patrocinio, non dovendo nemmeno pagare il legale per tentare il recupero.

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non si possono interrompere gli alimenti

Sono separato e divorziato da 8 anni. Pago 1200 euro al mese di alimenti x i 2 figli (15 e 21 anni). La casa di mia proprietà (grande, lussuosa e onerosa) é assegnata a loro. Ho proposto loro un altro mio appartamento un po’ più piccolo e leggermente decentrato, nel quale hanno già vissuto in passato, ma loro rifiutano. Non vorrei più pagare (x contenere un po’ i costi) i 600 euro al maggiorenne che fa l’Università e, di sera, il pizza-scooter, e con il quale non ho rapporti affettivi da tantissimi anni. Posso interrompere gli alimenti a lui sin d’ora ? Cosa rischio? (Piero, via mail).

Non si può. Non è legittimo, infatti, interrompere di propria iniziativa il pagamento di alimenti che sono stati previsti in un provvedimento della Magistratura. Non si tratta di pagamenti e basta, ma del mantenimento di un figlio che, fino a che non ha acquistato la indipendenza economica, ne ha diritto. Anche quando l’avrà acquistata, peraltro, gli alimenti non potranno essere interrotti e basta, ma occorrerà che sia il Tribunale ad accertare l’avvenuto raggiungimento dell’indipendenza e a dichiarare che gli alimenti non sono, per tale motivo, più dovuti.

Nella situazione attuale, dunque, il lettore può, se vuole coltivare la questione, rivolgersi al Tribunale presentando un ricorso per la modifica delle condizioni del divorzio. Assai difficilmente, se il figlio fa ancora l’Università, sempre che la frequenti con profitto, anche se alla sera fa un lavoretto, il Giudice autorizzerà il padre a non pagare più niente del tutto. Potrà, al massimo, se ve ne sono le condizioni, ridurre l’assegno da corrispondere attualmente.

Anche la questione dell’assegnazione della casa, mediante l’offerta di una valida alternativa, può essere sottoposta al Giudice, che potrebbe anche accogliere le istanze del padre, se ne ravvisa le condizioni considerando i suoi redditi, il suo patrimonio e quelli della madre, ciò anche se tuttavia, essendovi ancora un figlio di soli 15 anni, ci sarà comunque la tendenza, almeno in partenza, a confermare la residenza attuale che rappresenta l’ambiente di vita del minore, che si tende sempre a conservare.

Interrompendo gli alimenti, invece, il lettore subirebbe un pignoramento, in sede civile, e, in sede penale, un procedimento per violazione degli obblighi in materia di assistenza, dove non sarà, peraltro, così scontato distinguere tra soldi versati per il quindicenne e soldi versati per il ventunenne, con la conseguenza che la cosa potrebbe essere aggravata per il coinvolgimento di un minore.

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quando l’ex coniuge si risposa, chi mantiene i figli?

Sono divorziato da mia moglie da due anni, i nostri due figli sono stati affidati a lei e pago €800,00 di mantenimento per loro. Fra qualche mese la mia ex moglie si risposa: devo continuare a pagare il mantenimento dei miei figli? (Paolo, via e-mail)

Assolutamente sì. Il fatto che l’ex coniuge si risposi, non incide sul mantenimento dei figli che incombe sul coniuge non affidatario (o non collocatario, nel caso di affido condiviso).

Gli obbligati al mantenimento dei figli sono i genitori – e non certamente il nuovo marito dell’ex moglie – che hanno l’obbligo di mantenerli fino a quando questi non siano economicamente autonomi, quindi, tale obbligo, non cessa con il compimento dei diciotto anni.

Discorso diverso, invece, è il caso in cui anche l’ex moglie abbia diritto all’assegno di mantenimento: questo obbligo cessa nel momento in cui l’ex moglie si risposa e, secondo alcuni nuovi orientamenti, anche nel caso in cui abbia una nuova convivenza.

 

(con la collaborazione della Dott.ssa Antinisca Sammarchi)

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quando il marito lascia la casa coniugale

Sono sposata da tre anni e mio marito ha abbandonato il tetto coniugale da 9 mesi. Ancora non abbiamo fatto la separazione volevo sapere visto che lui non mi passa un centesimo per nostro figlio cosa devo fare? E quanto deve darmi visto che lavora in nero e guadagna dei bei soldini? Come posso tutelare i diritti di mio figlio? (Palmira, via mail)

Alla lettrice conviene, anche a prescindere dai contenuti, depositare subito un ricorso per separazione giudiziale, che poi, nel caso vi sia per qualche motivo un accordo con suo marito, potrà sempre trasformare in consensuale. In questo ricorso, chiederà quanto vuole come mantenimento per il figlio e, se del caso, anche per lei come moglie. Non si può dire ora una misura precisa di quello che potrebbe essere il mantenimento perchè dipende da cosa fa il marito, anche in nero, e da dove vive il nucleo famigliare. Quello che si può dire, però, è che molti giudici non si fanno ingannare da dichiarazioni dei redditi molto basse, specialmente se si tratta di lavoratori autonomi, anche piccoli artigiani, e prevedono come mantenimento somme che più che a quanto viene dichiarato sono adeguate a quello che di solito guadagna un autonomo medio di quel settore (ad esempio, se il marito gestisce o collabora ad un bar in nero, presumono che guadagni come un barista medio).

Il padre, avendo abbandonato il tetto coniugale e soprattutto non corrisposto alimenti per nove mesi al figlio, potrebbe anche essere denunciato per violazione degli obblighi in materia di assistenza. Essendoci un minore, tuttavia, la querela, una volta presentata, non potrebbe più essere “rinunciata” quindi il mio consiglio è quello di non fare questa mossa, almeno per il momento, anche al fine di favorire un accordo, presentando però subito, senza perdere ora tempo in trattative che è invece meglio fare dopo, un ricorso per giudiziale.

 

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i figli maggiorenni bisogna continuare a mantenerli

Sono divorziato da due anni, in sede di separazione mia figlia è stata affidata alla madre con obbligo di mantenimento da parte mia. Il mese scorso mia figlia, studentessa, è diventata maggiorenne: devo continuare a pagare il mantenimento? (Luigi, via e-mail)

La risposta è sì, l’obbligo di mantenere un figlio non cessa con il raggiungimento della maggiore età dello stesso ma fino a quando il figlio non raggiunga l’autonomia economica, per cui anche nel caso in cui il figlio faccia dei lavoretti saltuari questi non liberano il padre dall’obbligo del mantenimento.

L’unica cosa che è possibile fare, una volta che il figlio abbia compiuto i diciotto anni, è versare direttamente a lui l’importo del mantenimento e non più dall’ex coniuge. Questa novità è stata introdotta dalla Legge n. 54 dell’8 febbraio 2006 in materia di affido condiviso (art. 155-quinquies cod. civ.).

(con la collaborazione della Dott.ssa Antinisca Sammarchi)

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diritti dell’ex compagna e dei figli

“Dopo due anni di relazione e un figlio, riconosciuto da entrambi, io e il mio compagno ci siamo lasciati. Quali sono i miei diritti?” (Anna, via mail)

La lettrice, che non era sposata con il suo partner, non può vantare alcun diritto nei confronti dell’ex compagno o convivente. Un discorso diverso riguarda il figlio, che è invece pienamente tutelato.

Un genitore infatti è sempre tenuto a mantenere il figlio, anche se nato fuori dal matrimonio.

Pertanto, il consiglio è quello di rivolgersi al Tribunale dei Minorenni, competente in via esclusiva per i rapporti di convivenza, depositando possibilmente un ricorso congiunto in cui stabilire le regole in materia di affidamento – che può anche essere congiunto o condiviso, anche con collocazione presso uno dei genitori – nonchè diritto di visita e entità del mantenimento del figlio. Questo ricorso sarà poi ripreso dal Tribunale in un suo provvedimento che sarà vincolante per entrambi i genitori.

Nel caso in cui il padre non sia disposto a firmare un ricorso congiunto, la madre farà bene a depositare da sola un ricorso in cui chiede che il Tribunale dei Minorenni stabilisca le stesse condizioni e cioè a chi spetta l’affidamento, quali sono i diritti di visita e quale è l’importo del mantenimento per il figlio.

Naturalmente, per fare tutto ciò ci sarà bisogno dell’assistenza di un legale che potrà essere lo stesso se si d eciderà di depositare un ricorso congiunto.

Il consiglio è quello di muoversi in fretta in quanto il Tribunale dei Minorenni ha dei tempi molto lunghi – ci possono volere anche sei mesi prima che venga fissata l’udienza – ma soprattutto quello di fare comunque normare il rapporto dal Tribunale, anche in caso di adempimento spontaneo da parte dell’ex compagno, dal momento che, a tutela del minore, è sempre bene che le condizioni di “separazione” dei conviventi siano previste in un provvedimento del Tribunale.

(con la collaborazione della Dott.ssa Antinisca Sammarchi)

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mancato pagamento del mantenimento per i figli

“Mio marito non paga il mantenimento per nostra figlia stabilito dal giudice quando ci siamo separati. E’ vero che posso denunciarlo?” (Monica, via mail)

Certo, non pagare gli alimenti per i figli è un reato. Si può presentare, anche direttamente – ma preferibilmente con l’assistenza di un legale di fiducia visto che ci sono molti aspetti tecnici importanti – una querela ai sensi dell’art. 570 cod. pen. per violazione degli obblighi in materia di assistenza famigliare.

Per completezza è opportuno precisare che nel nostro ordinamento si distingue tra ‘alimenti’ e ‘mantenimento’, cosa che viene in rilievo nei casi in cui il coniuge non paga del tutto quanto stabilito dal giudice o lo paga solo in parte. Sono alimenti quei mezzi necessari alla mera sopravvivenza, pertanto sono corrisposti solo nella misura in cui la persona che ne ha diritto possa ‘sopravvivere’ (artt. 433 e seguenti cod. civ.). Al contrario, il mantenimento non si limita a coprire la mera sopravvivenza, ma è comprensivo anche di vacanze, divertimenti e così via. Se un padre non paga nemmeno gli alimenti, il suo comportamento è valutato più severamente.

Questo stesso comportamento, del mancato pagamento degli alimenti, oltre che nel penale può essere fatto valere anche civilmente con un ricorso ai sensi dell’art. 709 ter, comma 2, cod. proc. civ. a seguito del quale il genitore inadempiente può essere condannato al risarcimento del danno nei confronti del figlio. I giudici hanno recepito abbastanza bene questa nuova norma e le condanne sono abbastanza frequenti.

Naturalmente, prima di adottare qualsiasi iniziativa è bene valutare preventivamente la solvenza del genitore inadempiente, analogamente a quanto si fa con i recuperi crediti di tipo commerciale, dal momento che è perfettamente inutile munirsi di titoli che poi non si possono far valere concretamente.

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La reversibilità in caso di divorzio.

Dopo il divorzio, spetterà a mia moglie, in caso di mio decesso, la pensione di reversibilità?

Il trattamento di reversibilità spetta:

  • al coniuge, anche se separato o divorziato, a patto che non abbia contratto un nuovo matrimonio. Il coniuge separato con addebito può ottenere la pensione ai superstiti solo se titolare di un assegno alimentare fissato da tribunale a carico del coniuge scomparso. Il divorziato ha diritto al trattamento se titolare di assegno divorziale. Inoltre la data di inizio del rapporto assicurativo del coniuge deceduto deve risultare anteriore alla sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti del matrimonio. Se lo scomparso aveva contratto un nuovo matrimonio dopo il divorzio il diritto al trattamento di reversibilità spetta sia al coniuge superstite e sia quello divorziato (ovviamente con assegno divorzile);

  • ai figli che alla data di scomparsa del genitore siano minori, studenti o inabili o a suo carico (si intendono figli quelli legittimi, legittimati, adottivi, naturali, riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati, nati da precedente matrimonio dell’altro coniuge). I figli aventi diritto al trattamento sono i minorenni, gli studenti fra i 18 e i 21 anni, a carico dello scomparso, che non prestano attività lavorativa, gli universitari per la durata del corso legale di studi (comunque non oltre i 26 anni), sempre a patto che non svolgano attività lavorativa e fossero a carico del genitore. Il diritto spetta anche ai figli inabili con grave infermità fisica o mentale tale da non consentire lo svolgimento di un’attività lavorativa;

  • ai nipoti minorenni che erano a carico della nonna o del nonno scomparso;

  • in mancanza del coniuge, dei figli e dei nipoti il diritto spetta anche ai genitori e, in mancanza di questi, anche ai fratelli celibi o alle sorelle nubili.

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revisione dell’affido dei figli

Sono un padre separato, ho due figli che sono stati affidati alla madre, ho sentito che è entrata in vigore da non molto tempo una legge che prevede che i figli vengano affidati di norma congiuntamente ad entrambi i genitori, posso fare qualcosa per vedere di più i miei figli? (Giacomo Chirchi, via mail).

La legge in questione è la 8 febbraio 2006, n. 54, oramai in vigore da un anno. Questo provvedimento prevede effettivamente che, di norma, i figli debbano essere affidati ad entrambi i genitori e non ad uno solo come accadeva prima, nel 99% dei casi a favore della madre. La stessa legge prevede anche, all’art. 4, il diritto di tutti i genitori la cui separazione o divorzio sono già stati regolati dal Tribunale di chiederne la revisione.

Prima di partire in quarta, tuttavia, è bene esaminare approfonditamente la situazione. L’affido condiviso, nonostante il favore riconosciutogli dalla legge, non è sempre praticabile, bisogna vedere le condizioni in cui si trovano i coniugi e, soprattutto, quelle dei figli. Il Tribunale di Modena, così come gli altri tribunali italiani, nel corso dell’ultimo anno ha applicato piuttosto restrittivamente la nuova legge, dando luogo al condiviso in relativamente pochi casi e in ogni caso dopo valutazioni molto attente, prudenti ed oculate, quasi sempre peraltro condivisibili. Tanto che la nuova legge si è tradotta, in pratica, per lo più in un diverso regime della potestà sui figli, che prima spettava solo al coniuge affidatario, mentre ora spetta ad entrambi, anche se i figli rimangono ugualmente quasi sempre collocati presso la madre. Diciamo che il padre (o il coniuge non affidatario) ha più voce in capitolo, ma ha sempre più o meno le stesse modalità di visita e frequentazione dei figli. Naturalmente ci sono anche casi in cui il condiviso viene realizzato effettivamente, ma appunto dipende dalla situazione concreta.

In primo luogo, è necessario che i due ex-coniugi risiedano abbastanza vicino, perché è ovvio che se uno è rimasto a Modena mentre l’altro magari è andato ad abitare fuori regione un congiunto è materialmente impossibile. Questo tipo di condiviso richiede una collaborazione settimanale tra i genitori separati, ruotanti intorno al luogo che rimane il centro principale di vita del minore. In altri termini, se il figlio va a scuola a Modena, non si può pensare a farlo gestire in congiunto da un genitore che si trova lontano.

In secondo luogo, è necessario che ci sia bassa conflittualità tra i coniugi. Quando ci si separa, si litiga sempre. Nessuno si separa con una stretta di mano e non si tratta mai di una passeggiata. Ci sono coppie che, magari con l’aiuto del validissimo strumento della mediazione famigliare, riescono a prendere atto della rottura e a gestirla civilmente e altre che invece non ci riescono. Questo è un dato di fatto. Un congiunto tra due genitori che litigano tutte le volte che si vedono o anche solo si sentono per telefono, non potrà mai funzionare, perché richiede molta più collaborazione e presenta molte più occasioni di incontro del sistema tradizionale, quando il genitore non affidatario entra in scena solo il fine settimana, magari a settimane alterne. Ottenere un congiunto significa, ad esempio, far portare il bambino a scuola da un genitore e farlo venire a prendere dall’altro, fargli trascorrere il pomeriggio con quest’ultimo e poi di nuovo con l’altro. Quindi, se la conflittualità è alta, la cosa è ingestibile.

Per quanto riguarda le situazioni già regolate da un giudice con un affidamento ad un solo genitore, come nel caso del nostro lettore, farle passare ad un congiunto è ancora più difficile, perché il Tribunale di solito, non senza più di una ragione, considera rispondente all’interesse del minore mantenere le sue abitudini di vita, senza rivoluzionarle solo perché è entrata in vigore una nuova legge. In non pochi casi il un padre ha richiesto, proprio sulle base delle disposizioni della nuova legge, un congiunto, ma il giudice lo ha negato considerando che, sostanzialmente, i minori si trovavano da molti anni presso la madre senza problemi e non era opportuno sradicarli e far cambiare loro completamente abitudini di vita.

Ovviamente, ci sono poi anche dei casi in cui il congiunto rimane indicato ed è effettivamente la soluzione migliore: occorre esaminare la situazione degli ex coniugi e della prole e vedere assolutamente caso per caso. Peraltro, per aumentare i diritti di visita non è assolutamente necessario andare sul congiunto, si può far leva sulla maggiore età e maggior autonomia, anche di giudizio, acquisita dalla prole e richiedere, magari, un diritto più ampio per il fine settimana, un giorno infrasettimanale, più ore in una determinata occasione e così via. Naturalmente, poi, se si ritiene che la propria ex consorte non sia adeguata per la cura della prole si può sempre chiedere l’affidamento esclusivo. Non è vero che i giudici affidano sempre i figli alla madre, certo statisticamente questo tipo di affido è predominante, però ci sono anche le eccezioni che “confermano la regola”