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Mantenimento ordinario: cosa comprende?

  1. Il mantenimento ordinario comprende i costi necessari per mantenere lo stile di vita della famiglia prima della separazione o del divorzio.
    2. Questi costi comprendono le spese della casa, come utenze, assicurazioni e manutenzione.
    3. Comprendono anche le spese di alimentazione, come cibo, vestiti e articoli di prima necessità.
    4. Non include anche invece le spese mediche, scolastiche e di istruzione, come rette scolastiche o universitarie, medicine o trattamenti medici.
    5. Le spese relative ai viaggi, come i biglietti aerei, le spese di trasporto e l’alloggio di solito non sono comprese nel mantenimento ordinario.
    6. Non comprende inoltre le spese per i servizi di cura dei figli, come le rette dei servizi di baby-sitting o le spese di istruzione extra.
    7. Non comprende, poi, le spese per gli hobby, come le lezioni di musica, i corsi di lingua, le attività sportive o i corsi di formazione.
    8. Può includere, ma dipende dalle circostanze, anche le spese per la formazione, come i corsi di formazione professionale o le spese per la ricerca di un lavoro.
    9. Può comprendere, anche in questo caso secondo le circostanze, anche le spese per l’assicurazione sanitaria, come le coperture assicurative per i figli.
    10. Infine, comprende anche le spese per l’intrattenimento, come biglietti per cinema, concerti o teatro.
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Accordi in house: se la Procura non autorizza.

Gli accordi in house per separazione, divorzio, affido, devono essere trasmessi alla Procura della Repubblica competente per l’apposizione di nullaosta, in caso di assenza di figli, o autorizzazione, in caso di figli, per poter essere perfezionati e andare a buon fine.

Il magistrato deve dunque controllare gli accordi presi dai genitori con l’assistenza degli avvocati.

Che cosa succede se il magistrato della Procura ritiene che gli accordi non siano conformi agli interessi dei figli?

Semplicemente, rimanda tutto al tribunale, dove ci sarà un altro giudice a valutare la situazione più approfonditamente.

La norma di riferimento è l’art. 6, comma 2°, ultimo periodo, del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162 (in S.O. n. 84, relativo alla G.U. 10/11/2014, n. 261), che puoi visualizzare, nel testo attuale, su normattiva.

Secondo tale disposizione:

«Quando ritiene che l’accordo non risponde all’interesse dei figli, il procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. All’accordo autorizzato si applica il comma 3»

L’impressione, leggendo la normativa nel suo complesso, è che questo rinvio al tribunale non significhi necessariamente la «morte» dell’accordo, ma l’invio ad un giudice che farà un maggior approfondimento sul caso.

Ad ogni modo, tutto avviene automaticamente.

In tali casi, la cancelleria chiede il versamento del contributo unificato.

Poi viene fissata un’udienza per la comparizione delle parti, in seno alla quale verrà valutata la bontà dell’accordo.

A quanto pare, se l’accordo verrà ritenuto corrispondente all’interesse dei figli, la separazione, il divorzio o l’affido non verranno regolati da un provvedimento del tribunale, ma continuerà ad avere vigore l’accordo stesso, autorizzato non più dal procuratore della Repubblica ma dal presidente del tribunale civile; la legge infatti parla a riguardo di «accordo autorizzato», lasciando intendere che il presidente potrà lavorare sull’accordo stesso, senza fare un provvedimento a parte.

Non dovrebbe, dunque, innestarsi ad esempio un procedimento di separazione consensuale, divorzio congiunto o affido, con emissione di un provvedimento da parte del giudice.

Ciò può avvenire solo nell’ipotesi in cui il giudice stesso non ritenga di dare l’autorizzazione, proponga delle modifiche che magari le parti non accettano, decidendo di insistere per il testo originario.

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7 cose sulla riduzione del mantenimento.

1) Il mantenimento può essere dovuto per i figli o per l’ex coniuge e può essere previsto in separazione, divorzio o affido.

2) Il mantenimento per il coniuge può venire meno quando lo stesso inizia una convivenza con un’altra persona.

3) Quando si verifica un fatto che può incidere sulla misura del mantenimento l’assegno non può essere ridotto col fai-da-te, ma bisogna sempre passare dal giudice.

4) La materia di famiglia, compreso il mantenimento, infatti é indisponibile e non se ne può disporre per contratto.

5) La riduzione del mantenimento dovuto per i figli é molto più difficile in generale da ottenere.

6) É abbastanza raro che il mantenimento per i figli venga ridotto, é più facile che venga eliminato al momento della loro autosufficienza.

7) In tutti i casi di soluzioni consensuali, come la separazione consensuale e il divorzio congiunto, ridurre il mantenimento é particolarmente difficile perché i giudici tendono a confermare ciò che uno ha firmato.

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10 cose sulla modifica condizioni di separazione, divorzio, affido.

1) La legge dice che in qualsiasi momento si può chiedere di cambiare le condizioni di una separazione, divorzio, affido.

2) Quindi, in teoria, si potrebbe sempre chiedere al giudice di cancellare, ridurre o aumentare un assegno di mantenimento oppure di variare il regime di gestione dei figli.

3) Nella realtà, i giudici non amano molto che venga chiesto loro di rivedere una situazione già regolamentata.

4) Questo è particolarmente vero se separazione, divorzio o affido sono frutto di una soluzione consensuale e non è nemmeno passato molto tempo dalla firma.

5) Infatti, se hai firmato e accettato tu quelle condizioni, come fai adesso a ricorrere alla magistratura per farle cambiare? I meri ripensamenti sono molto poco bene accetti dai giudici, che in questi casi non solo rigettano la tua domanda, ma ti condannano anche alle spese.

6) Per poter presentare una domanda giudiziale di modifica delle condizioni, é necessario che ci sia un fatto nuovo di una certa importanza.

7) Sono esempi di fatti rilevanti la perdita incolpevole del posto di lavoro, il matrimonio e l’uscita dalla famiglia di un figlio, un problema sanitario grave e così via.

8) Al di fuori di questi casi, la modifica delle condizioni a mio giudizio può avvenire solo consensualmente, tramite una convenzione di negoziazione assistita.

9) In caso di modifica consensuale, tuttavia, occorre che entrambe le parti siano d’accordo.

10) Per tentare di raggiungere un accordo, si può usare un percorso di mediazione familiare oppure si può dar corso ad una trattativa tra avvocati.

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Adeguamento ISTAT: se non lo paga?

il 5 maggio 2016 è stata omologata la sentenza di divorzio. Il mio ex marito deve corrispondere come assegno di mantenimento l’assegno mensile per nostra figlia di 310 euro nel quale atto è prevista la rivalutazione ISTAT. rivalutazione che io non ho mai ricevuto. Ho scritto e inviato diverse volte al mio ex un prospetto con l’adeguamento e gli arretrati ma sono stata completamente ignorata. come posso richiedere quanto è dovuto?

L’adeguamento ISTAT per gli assegni di mantenimento è dovuto per legge, anche a prescindere dalla richiesta, proprio perché serve a preservare l’integrità dell’assegno che serve per la cura dei figli.

In caso l’altro genitore non lo corrisponda, l’avente diritto può procedere esecutivamente, iniziando con la notifica dell’atto di precetto, utilizzando come titolo esecutivo ovviamente la sentenza di divorzio.

Di solito, le somme da recuperare tuttavia sono così basse da non rendere conveniente rivolgersi ad un avvocato per fare il recupero.

A questo problema, purtroppo, non ci sono soluzioni soddisfacenti e sicure.

Presentare una denuncia querela per mancata corresponsione della differenza corrispondente all’adeguamento ISTAT mi sembrerebbe esagerato e di difficile accoglibilità, anche se ovviamente dipende dalle somme accumulate quanto ad arretrati.

È vero che le spese per il recupero alla fine dovrebbe rimborsartele il debitore, ma non è detto che tu riesca, appunto, a fartele ridare e nel frattempo le devi anticipare tu.

Nemmeno le polizze di tutela legale coprono situazioni del genere.

Generalmente, sconsiglierei di coltivare la questione.

Forse l’unica cosa che si potrebbe tentare di fare è una diffida, fatta però questa volta da un avvocato e non da te personalmente, cosa che serve sempre a molto poco e spesso è persino controproducente.

Bisognerebbe capire però di quanti soldi parliamo.

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Formula esecutiva telematica: un altro passo in avanti.

Stamattina ho mandato via un precetto con sentenza munita di formula esecutiva in via telematica.

Anche questa innovazione, come molte altre del telematico nel processo civile, penale e amministrativo, é piuttosto utile, consente a noi avvocati di risparmiarci accessi presso le cancellerie e di
velocizzare i tempi, con il risultato finale di rendere un servizio migliore ai nostri clienti.

recupero crediti

Per ottenere una copia esecutiva di un titolo, é necessario
depositarne, sempre per via telematica, la domanda relativa. Il tribunale poi nel mio caso ha comunicato tramite PEC l’avvenuta apposizione della formula.

A questo punto, ovviamente, il titolo esecutivo munito di formula, nel mio caso una sentenza di divorzio, ma naturalmente possono essere anche altre cose, nel caso più frequente decreti ingiuntivi, può essere scaricato dal fascicolo telematico.

Nel caso in cui la notifica debba avvenire in cartaceo, come ho dovuto fare stamattina, occorre inserire una certificazione di conformità dell’esemplare analogico cartaceo all’originale che si trova nel fascicolo del procedimento. Analogamente, ritengo, nel caso di notifica via PEC quando si scarica la copia informatica, mentre penserei sia inutile, invece, nel caso di download del duplicato informatico, che non necessita di certificazione di conformità.

Non ho pagato diritti, immagino per il fatto che la certificazione di conformità é stata fatta da me come difensore.

Personalmente, sono molto felice degli strumenti telematici, che consentono di lavorare più velocemente e meglio.

Se solo penso a come si facevano queste ed altre cose appena venti anni fa…

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Padri separati: situazione sempre pesante.

Sono separato dal 2017, la mia ex moglie mi ha tradito con un Poliziotto della stradale di riccione che oggi vive in casa mia, dove oltre al mantenimento per le mie 2 figlie verso il 50% del mutuo (€ 350). Lui si è insediato in casa mia già dalla fine del 2017 ed ho testimoni che lo possono provare, dalla relazione del CTU è emerso che è il compagno della mia ex e le mie figlie (la grande) in uno sfogo mi ha detto che lui vive in quella casa. Ho denunce penali inventate da parte della mia ex, ho denunce penali da parte di lui, ho denunce penali per maltrattamenti sulle mie figlie e di tutto questo non c’è una prova ma solo invenzioni e false testimonianze, ma non ne riesco a venire fuori in quanto nel riminese questo soggetto è molto ammanicato. Pago 400 euro di mantenimento, 350 di mutuo e 500 di affitto, mentre la mia ex moglie lavorando in nero fa la vita della signora e mi massacra

È la situazione comune dei padri separati, purtroppo.

Oggi si ciancia in continuazione di cose come i «femminicidi», una vera e propria parola truffa della neolingua di chi ci governa, che vorrebbe indurre la falsa e marcia idea per cui l’uccisione di una donna sarebbe più grave di quella di un uomo, quando sono entrambi omicidi; si parla – inoltre – in continuazione di «violenza di genere» alludendo sempre e solo a quella contro la donna, come se la violenza contro i maschi non esistesse o, se esistente, non avesse pari gravità.

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Prova ad esempio a rivolgerti ad uno dei tanti «centri antiviolenza» che si trovano sul territorio e vedi che cosa ti dicono: che, nonostante il nome generico, sono solo per le donne, mentre se tu subisci violenza ti devi sostanzialmente arrangiare diversamente.

La mascolinità tutti i media concordi vogliono fartela considerare «tossica», esattamente all’opposto di quello che è davvero, perché se c’è una cosa di cui ha bisogno la nostra società attuale sono padri forti, per poter proteggere meglio che possono la loro famiglia e i figli, mentre invece il disegno generale è quello di indebolire quanto più possibile le famiglie e i figli che ci vivono dentro.

Invece non così poche donne, purtroppo, non vedono l’ora di poter dichiarare giulive che «il vero padre dei miei figli è il mio nuovo compagno» e altre dichiarazioni consimilari – naturalmente maturate dopo che il padre biologico, sicuramente non perfetto ma pur sempre «vero» padre, è stato preso, mandato fuori casa, ridotto in miseria, amareggiato e distrutto e, sostanzialmente, reso incapace di poter prendersi cura di se stesso, prima ancora che degli altri. Ovviamente, il mantra «fai il padre!» segue subito a ruota, come se dopo aver tagliato le gambe a uno lo si potesse incitare a scrollarsi di dosso l’inedia e a correre – del resto, impossible is nothing!

Di vera e propria «character assassination» a proposito della figura del maschio parla il grande Claudio Risè nel suo bellissimo saggio, recentemente integrato e riformulato, di cui ti consiglio la lettura, Il maschio selvatico. Clicca qui per acquistare una copia.

A livello legale purtroppo, almeno al momento, è tutto corretto: la casa viene affidata alla madre perché considerata, specialmente quando i figli sono molto piccoli, il genitore più in grado di occuparsene.

Anche questo è un pregiudizio positivo ben incistato nella magistratura verso le donne, tutto al contrario di quanto la retorica contro la violenza di genere vorrebbe farci credere.

Alla collocazione dei figli, segue l’assegnazione della ex casa familiare, con tutto il corredo di mobilio. Se la casa era stata acquistata con un mutuo, il padre deve uscire di casa, pagarsi un affitto e, naturalmente, continuare a pagare il mutuo.

La povera mamma – che non è colpa sua se ha «smesso di amare», come ci informano con frequenza assillante e comunque sempre costante giornali, magazine, serie tv, opere cinematografiche e «letterarie» contemporanee – avrà pur diritto di «rifarsi una vita» (come se la vita non fosse una sola, ed eterna): così si mette in casa un altro uomo, spesso colui chattando con il quale mentre era ancora sposata – faccio il divorzista da venticinque anni e purtroppo so bene di cosa parlo – ha incredibilmente scoperto di non amare più il marito, perché – dicono – l’altro (ho sentito questa frase dozzine di volte e ogni volta che la risento vorrei ancora che mi scoppiassero le orecchie) «mi ha fatto sentire come una regina»…

Come dico sempre: non ce l’ho con le donne, sono loro che ce l’hanno con me, almeno alcune, non tutte per fortuna.

Costui di solito ovviamente approfitta volentieri dell’opportunità di un’abitazione a costo zero, dando appena una mano per il pagamento delle utenze e la gestione dei figli di un altro, che si troveranno privi dell’autorità di cui hanno bisogno e che potrebbe venire solo dal padre, e si guarda bene dal corrispondere alcunché, pur abitando nella casa, a titolo di contributo per le spese del mutuo.

Nei casi meno felici, purtroppo, si continua a sviluppare contenzioso, addirittura anche penale come nel tuo caso, addirittura in modo ipertrofico come accenni.

Per tutto questo, specialmente in un assetto sociale e in una politica / magistratura come quelli contemporanei, anche se le cose stanno sia pur lentamente cambiando, non esistono soluzioni «magiche»: ogni singolo procedimento va studiato, approfondito e affrontato con cura, come se… fosse una cosa seria, come in effetti legalmente è, perché, al di là delle ragioni effettive, può concludersi giuridicamente con un provvedimento sfavorevole che non farebbe che aggravare ancora di più la tua situazione.

Cosa si può fare, dunque?

Il primo passo è sicuramente studiare bene tutta la tua situazione, attraverso un primo colloquio che, ormai, potrebbe avvenire naturalmente tramite Skype o altri sistemi di videoconferenza, e l’esame della documentazione relativa.

Probabilmente sono da preventivare alcune ore di lavoro, un’ora non credo proprio possa essere mai sufficiente.

Se credi, puoi procedere direttamente all’acquisto di una ricarica dal nostro store legale: clicca qui per valutare.

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Spese straordinarie: protocollo di Modena.

Il 25 settembre 2019, il tribunale di Modena ha approvato un «protocollo» ufficiale per la gestione delle spese straordinarie in caso di separazione, divorzio e affido di «figli non matrimoniali».

Più o meno si tratta del testo che già precedentemente veniva utilizzato, senza crismi di ufficialità, nella pratica e che ti avevo già riportato in questo post.

Ci sono alcune cose interessanti, come ad esempio una specie di «silenzio – assenso», che è privo di qualsiasi base normativa e che può valere solo come indicazione di «orientamento di massima» senza, almeno a mio giudizio, pretesa di essere vincolante, in materia di approvazione delle spese, tale per cui, secondo il protocollo, se un genitore invia all’altro la documentazione delle spese anche con mezzi informali (sms, whatsapp, email, fax, ecc.) in mancanza di contestazione motivata entro 10 giorni le spese si intenderebbero approvate.

Ti allego comunque il testo completo del protocollo così come approvato dal tribunale di Modena.

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Convivenza e spese: chi e come deve contribuire?

Io ed il mio compagno non siamo sposati, conviviamo da un paio d’anni. Lui è separato ed ha due figli che abitano con la madre a 500 km da casa mia in cui vive anche lui. Ha un lavoro stabile e guadagna discretamente, unico problema lo stipendio gli basta appena a coprire le sue spese; per casa praticamente non gli rimane nulla. Se capita un imprevisto deve anche ricorrere al mio aiuto o a quello dei suoi parenti. Sostiene che devo sopportare tutte le spese di casa io in quanto guadagno più di lui (non molto ma vero) e non ho tutte le spese che ha lui (i viaggi su e giù dai figli in particolar modo incidono molto, poi la rata della macchina e varie). Io gli ho detto che a mio avviso dovrebbe sempre comunque riservare una parte del suo stipendio, che siano 50, 100 euro per il suo di mantenimento in casa mia. Mi fa sapere cosa ne pensa, come può immaginare è motivo di varie discussioni.

Non esistono, ovviamente, disposizioni di legge, specialmente così granulari, in materia di contribuzione di ciascuno dei conviventi al menage famigliare, specialmente appunto per quanto riguarda la convivenza, che è una libera unione di fatto, dove non si applicano le regole previste per l’unione di natura matrimoniale, che i membri della coppia non hanno potuto ho voluto realizzare.

Questi aspetti sono lasciati interamente agli accordi tra i conviventi.

Peraltro, il tema del denaro e del suo utilizzo è uno degli argomenti che genera maggior conflitto all’interno della coppia. È evidente però che questo conflitto non può essere risolto con l’applicazione di norme giuridiche…

Ti proporrei di valutare il ricorso piuttosto a uno strumento come la mediazione familiare, facendo alcune sedute con il tuo compagno in cui discutere con l’aiuto di un mediatore queste e altre tematiche che eventualmente dovessero esserci con alcuni problemi all’interno della vostra coppia.

Ti consiglio di cercare un mediatore operante nella tua zona, solo se non dovessi proprio trovarne uno puoi provare a chiederci un preventivo per fare alcune sedute telematiche. ricordati di iscriverti al blog e radio solignani per non perdere post come questo che non trovi da nessuna altra parte.

Riferimenti.

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Mio marito pretende l’uguaglianza: ha ragione?

Sono sposata in regime di separazione dei beni, abbiamo 3 figli. Io lavoro come impiegata in un’azienda e guadagno 1200 euro al mese. Mio marito invece ha un’azienda sua e guadagna cinque volte più di me, ma mette in casa, per le spese della famiglia, solo 1200€ al mese, corrispondenti a quello che porto a casa io, perché dice che ognuno deve contribuire uguale all’altro. Solo che così facendo viviamo, e facciamo vivere i nostri figli, con un tenore molto più basso di quello che, in realtà, ci potremmo permettere. È giusta una cosa del genere?

L’art. 143, comma 3°, cod. civ., posto in apertura di una parte del codice intitolata «Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio», prevede che «entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».

Si tratta di una disposizione di riguardo, la cui lettura è obbligatoria anche in Chiesa, durante la celebrazione del matrimonio concordatario, insieme ai successivi articoli 144 e 147, proprio perché ritenuta particolarmente importante sul tema delle conseguenze derivanti dal matrimonio.

L’articolo in esame è molto chiaro: il contributo che deve essere prestato da ciascun coniuge non è mai parametrato a quello che fa o può fare l’altro, non vige un principio, analogo ad esempio a quello valevole per i conferimenti delle società commerciali, per cui la «quota» da versarsi ad opera di ciascun coniuge, o socio, è identica.

Vale, in realtà, il principio opposto: ogni coniuge deve dare il massimo, in base alle proprie sostanze, e quindi al suo patrimonio, e alla sua capacità lavorativa, per le esigenze della famiglia.

Come avvocato, mi sono imbattuto di applicazioni di questa disposizione soprattutto in caso di famiglie oramai, purtroppo, disgregate e quindi in occasione di separazione e divorzio.

Così ad esempio nel caso in cui i figli stiano uguale tempo con un genitore e con l’altro non è detto che non sia prevedibile un assegno dall’uno all’altro genitore. Quando, infatti, lo squilibrio tra i redditi reciproci è forte, nonostante la parità di tempi di permanenza, i giudici prevedono ugualmente un assegno, che consente ai figli di godere, anche quando stanno con il genitore economicamente più debole, di un tenore di vita non così diverso e deteriore.

Anche il concetto di «capacità lavorativa» è applicato molto spesso e largamente dai giudici. A volte si presentano genitori che, sostenendo di non lavorare oppure di lavorare in un’attività che «malauguratamente» è in rosso da anni, credono di scamparsela, mentre invece i giudici li condannano comunque a versare un mantenimento per i figli, considerando non la situazione attuale, ma la loro capacità lavorativa potenziale.

La legge vigente, insomma, non è a favore di tuo marito.

Su un piano più generale, va ricordato che la famiglia, come cennato prima, non è una società commerciale, che è un contratto, e non si basa mai su un rapporto di tipo sinallagmatico, cioè su un equilibrio tra prestazione e controprestazione, cosa che è invece tipica dei contratti.

Se io, ad esempio, ti vendo un computer dietro pagamento di un prezzo, quando tu poi questo prezzo non me lo paghi, io sono legittimato a non consegnarti il computer, c’è anche un antico brocardo latino che esprime questo inadimplenti non est adimplendum. Perché è un rapporto sinallagmatico in cui devono esserci entrambe le prestazioni, se una viene meno può essere sospesa anche l’altra.

La famiglia non funziona così, la famiglia è un contesto in cui tu consegni il computer anche quando chi lo prende non ne paga il prezzo. Non so ad esempio quante volte ti è capitato di comprarne uno per i tuoi figli… Ma vale anche nei rapporti tra i coniugi.

Insomma, in famiglia la regola non può assolutamente mai essere quella per cui le «prestazioni» dei due coniugi devono stare in corrispondenza tra loro, ma quella per cui ognuno deve fare il massimo che può per l’altro coniuge e per i figli.

Questo prima di tutto a livello concettuale, ma poi anche a livello pratico.

Come si calcolerebbe con precisione il contributo di ciascun coniuge, infatti? Se la moglie sta a casa, accudisce i figli, gestisce la casa stessa, prepara i pasti, cura le pulizie e così via, secondo lo schema classico e tradizionale di molte famiglie, e il marito può così, solo grazie al lavoro casalingo della moglie, lavorare «fuori» e guadagnare molto, quei molti guadagni che nominalmente sono solo del marito, non sono anche in realtà metà della moglie, grazie alla quale si sono potuti maturare e senza il cui lavoro non si sarebbero mai potuti avere?

Questa era ed è la logica alla base dell’istituto della comunione dei beni come regime patrimoniale tra i coniugi, logica che permane anche nelle coppie come la tua dove hai la separazione dei beni perché è una realtà fattuale anche prima che giuridica.

Per me, tuo marito su questo sbaglia. Per lavorare su questo «nodo», consiglio, considerato che siete ancora sposati, alcune sedute di mediazione familiare da un bravo professionista.