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Matrimonio annullato dal tribunale ecclesiastico: quali effetti?

DOMANDA – sono separata, ho ricevuto la conferma della nullità matrimoniale religiosa, posso risposarmi in chiesa senza divorzio?

— RISPOSTA – Allora, di «default» il matrimonio celebrato in Chiesa produce effetti anche per lo Stato italiano.

È il famoso matrimonio concordatario.

Per potersi sposare senza che il matrimonio religioso produca effetti per lo Stato, occorre l’autorizzazione del vescovo.

Si può fare, dunque, un matrimonio in Chiesa senza effetti civili ma bisogna chiederlo espressamente ed avere l’autorizzazione.

Questa potrebbe essere la strada che potresti percorrere.

Ti consiglierei comunque di parlarne con il tuo consigliere spirituale o il tuo parroco.

Se vuoi approfondire ulteriormente la questione, anche se secondo me difficilmente ne potrebbe valere la pena, chiama ora lo studio al numero 059 761926 e prenota il tuo primo appuntamento, concordando giorno ed ora con la mia assistente.

Puoi anche acquistare online direttamente da qui: in questo caso, sarà poi lei a chiamarti per concordare giorno ed ora della nostra prima riunione sul tuo caso; a questo link, puoi anche visualizzare il costo.

Naturalmente, se vivi e lavori lontano dalla sede dello studio – che è qui, a Vignola, provincia di Modena, in Emilia – questo primo appuntamento potrà tranquillamente avvenire tramite uno dei sistemi di videoconferenza disponibili, o persino tramite telefono, se lo preferisci; ormai più della metà dei miei appuntamenti quotidiani sono videocall.

Guarda questo video per sapere meglio come funzionerebbe il lavoro con me.

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Ti lascio adesso alcuni consigli e indicazioni finali che, a prescindere dal problema di oggi, ti possono sempre essere utili.

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diritto

Matrimonio solo religioso: chi eredita dal coniuge?

Note dell’episodio

in questa puntata di radio solignani podcast, rispondiamo a una
domanda della nostra lettrice che si chiede come venga ripartita
l’eredità nel caso in cui venga a mancare un coniuge unito all’altro
da un matrimonio solo religioso, cioè non da un matrimonio
concordatario.

Riferimenti

Conclusioni

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diritto

Nullità ecclesiastica e mantenimento: come funziona?

mi sono separata da 8 mesi (dopo 20 anni e 3 figli), e ieri mi è arrivata comunicazione del vicariato per la richiesta di annullamento da parte di mio marito.
Tenga presente che c’è in corso un processo per separazione giudiziale … quindi ancora non c’è divorzio. Mi conferma che l’eventuale annullamento ottenuto prima del divorzio mette a rischio il mio eventuale assegni di mantenimento ?
Concedono La delibazione dopo 19 anni di matrimonio ?

In generale, la nullità del matrimonio concordatario dichiarata e poi delibata può determinare l’impossibilità di percepire un mantenimento, perché se il matrimonio è nullo dall’origine non si parla più di uno scioglimento del matrimonio ma dell’accertamento, appunto, di un vizio originario.

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Siccome la nullità ecclesiastica è stata utilizzata spesso per questo scopo in modo distorto, la giurisprudenza ha ristretto sempre di più la possibilità di effettuare questa operazione, con il solo scopo appunto di evitare di dover corrispondere un mantenimento, dando la prevalenza alla sentenza di divorzio italiana se intervenuta precedentemente o restringendo le possibilità di delibazione.

Nel tuo caso, è indispensabile definire una strategia di base a tua tutela, cosa che però si può fare solo studiando il caso in tutti i suo dettagli sia di fatto che, ormai, processuali; quest’ultimo aspetto va visto sia con riguardo alla situazione processuale nel tribunale civile italiano che con riguardo a quella in sede ecclesiastica.

Se come immagino tu hai già un avvocato che ti sta seguendo la separazione giudiziale puoi chiedere a lui di occuparsi della vicenda nel suo complesso. Se vuoi un secondo parere, puoi acquistare una consulenza dalla pagina apposita: clicca qui.

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Risposarsi in Chiesa dopo la nullità.

se una persona sposata con figlia, divorzia e fa annullamento di matrimonio alla Sacra Rota, si può risposare in chiesa? Come deve fare?

Il divorzio non c’entra niente, è un istituto del diritto statuale italiano, o di altro ordinamento, che non ha riflessi su quello della Chiesa.

fiori matrimonio

Una volta che il matrimonio ecclesiastico è stato dichiarato nullo, al termine del procedimento nei suoi due gradi di giudizio, ci si può sposare di nuovo in Chiesa.

L’unica differenza è che se non si è già ottenuto lo scioglimento del vincolo anche per il diritto italiano occorre o il divorzio o la delibazione, sempre che si voglia fare un matrimonio concordatario, cioè che sia sia religioso sia munito di effetti civili, altrimenti ci si può sposare facendo un matrimonio solo religioso.

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Mio marito pretende l’uguaglianza: ha ragione?

Sono sposata in regime di separazione dei beni, abbiamo 3 figli. Io lavoro come impiegata in un’azienda e guadagno 1200 euro al mese. Mio marito invece ha un’azienda sua e guadagna cinque volte più di me, ma mette in casa, per le spese della famiglia, solo 1200€ al mese, corrispondenti a quello che porto a casa io, perché dice che ognuno deve contribuire uguale all’altro. Solo che così facendo viviamo, e facciamo vivere i nostri figli, con un tenore molto più basso di quello che, in realtà, ci potremmo permettere. È giusta una cosa del genere?

L’art. 143, comma 3°, cod. civ., posto in apertura di una parte del codice intitolata «Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio», prevede che «entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».

Si tratta di una disposizione di riguardo, la cui lettura è obbligatoria anche in Chiesa, durante la celebrazione del matrimonio concordatario, insieme ai successivi articoli 144 e 147, proprio perché ritenuta particolarmente importante sul tema delle conseguenze derivanti dal matrimonio.

L’articolo in esame è molto chiaro: il contributo che deve essere prestato da ciascun coniuge non è mai parametrato a quello che fa o può fare l’altro, non vige un principio, analogo ad esempio a quello valevole per i conferimenti delle società commerciali, per cui la «quota» da versarsi ad opera di ciascun coniuge, o socio, è identica.

Vale, in realtà, il principio opposto: ogni coniuge deve dare il massimo, in base alle proprie sostanze, e quindi al suo patrimonio, e alla sua capacità lavorativa, per le esigenze della famiglia.

Come avvocato, mi sono imbattuto di applicazioni di questa disposizione soprattutto in caso di famiglie oramai, purtroppo, disgregate e quindi in occasione di separazione e divorzio.

Così ad esempio nel caso in cui i figli stiano uguale tempo con un genitore e con l’altro non è detto che non sia prevedibile un assegno dall’uno all’altro genitore. Quando, infatti, lo squilibrio tra i redditi reciproci è forte, nonostante la parità di tempi di permanenza, i giudici prevedono ugualmente un assegno, che consente ai figli di godere, anche quando stanno con il genitore economicamente più debole, di un tenore di vita non così diverso e deteriore.

Anche il concetto di «capacità lavorativa» è applicato molto spesso e largamente dai giudici. A volte si presentano genitori che, sostenendo di non lavorare oppure di lavorare in un’attività che «malauguratamente» è in rosso da anni, credono di scamparsela, mentre invece i giudici li condannano comunque a versare un mantenimento per i figli, considerando non la situazione attuale, ma la loro capacità lavorativa potenziale.

La legge vigente, insomma, non è a favore di tuo marito.

Su un piano più generale, va ricordato che la famiglia, come cennato prima, non è una società commerciale, che è un contratto, e non si basa mai su un rapporto di tipo sinallagmatico, cioè su un equilibrio tra prestazione e controprestazione, cosa che è invece tipica dei contratti.

Se io, ad esempio, ti vendo un computer dietro pagamento di un prezzo, quando tu poi questo prezzo non me lo paghi, io sono legittimato a non consegnarti il computer, c’è anche un antico brocardo latino che esprime questo inadimplenti non est adimplendum. Perché è un rapporto sinallagmatico in cui devono esserci entrambe le prestazioni, se una viene meno può essere sospesa anche l’altra.

La famiglia non funziona così, la famiglia è un contesto in cui tu consegni il computer anche quando chi lo prende non ne paga il prezzo. Non so ad esempio quante volte ti è capitato di comprarne uno per i tuoi figli… Ma vale anche nei rapporti tra i coniugi.

Insomma, in famiglia la regola non può assolutamente mai essere quella per cui le «prestazioni» dei due coniugi devono stare in corrispondenza tra loro, ma quella per cui ognuno deve fare il massimo che può per l’altro coniuge e per i figli.

Questo prima di tutto a livello concettuale, ma poi anche a livello pratico.

Come si calcolerebbe con precisione il contributo di ciascun coniuge, infatti? Se la moglie sta a casa, accudisce i figli, gestisce la casa stessa, prepara i pasti, cura le pulizie e così via, secondo lo schema classico e tradizionale di molte famiglie, e il marito può così, solo grazie al lavoro casalingo della moglie, lavorare «fuori» e guadagnare molto, quei molti guadagni che nominalmente sono solo del marito, non sono anche in realtà metà della moglie, grazie alla quale si sono potuti maturare e senza il cui lavoro non si sarebbero mai potuti avere?

Questa era ed è la logica alla base dell’istituto della comunione dei beni come regime patrimoniale tra i coniugi, logica che permane anche nelle coppie come la tua dove hai la separazione dei beni perché è una realtà fattuale anche prima che giuridica.

Per me, tuo marito su questo sbaglia. Per lavorare su questo «nodo», consiglio, considerato che siete ancora sposati, alcune sedute di mediazione familiare da un bravo professionista.

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Nullità del matrimonio religioso: si può fare a distanza?

La mia penso sia una delle più comuni situazioni di divorzio. Sposato per 3 anni dopo 6 anni di fidanzamento fatto di spostamenti con il treno per le lontane ubicazioni dove vivevamo. Non abbiamo avuto figli e piano piano è venuto meno il sentimento e l’affetto che c’era inizialmente, venendo fuori quello che eravamo realmente e che non eravamo riusciti a capire negli anni passati. Ci siamo separati in modo consensuale ed ottenuto con i tempi canonici anche il divorzio. Mi sono sposato di nuovo e vivo, dopo più di 20 anni, una situazione sentimentale ottima con 2 splendidi figli. Ho deciso di chiedere l’annullamento del matrimonio ma vige una situazione logistica e di rapporti sociali complicata. La mia ex vive ad Udine ed io vivo a Roma e le nostre amicizie sono terminate con la nostra separazione. So che c’è il bisogno della presenza di entrambi e di eventuali testimoni. Come si può risolvere la questione? Si possono fare delle transazioni remote?

Immagino che tu ti riferisca alla nullità del matrimonio concordatario, che penso desideriate per potervi sposare in Chiesa per motivi di fede.

Per quanto concerne questo tipo di nullità, al momento non è previsto un procedimento di tipo telematico, anzi è richiesta una presenza effettiva delle parti che sono esaminate a fondo dai giudici del tribunale ecclesiastico.

Se vuoi ottenere la nullità, dunque, devi rassegnarti a partecipare attivamente al processo, investendo anche negli spostamenti per raggiungere la sede del tribunale competente.

Avendo già tu ottenuto il divorzio, non sarà poi necessaria la delibazione, per cui almeno questo passaggio potrai risparmiartelo.

Se vuoi un preventivo per il processo di nullità del matrimonio, puoi chiederlo compilando il modulo allegato.

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Nullità ecclesiastica: posso smettere il mantenimento?

ho avuto lo scioglimento del matrimonio religioso , ora dovrei fare la delibazione in Corte d’Appello . cerco di capire cosa cambierà economicamente tra noi ex coniugi . c’è molta confusione in proposito , alcuni dicono che non ci saranno piu obblighi di mantenimento , altri l’opposto siccome la mia ex signora mi ha letteralmente messo nel lastrico facendo sparire in vari modi tutto il capitale mobiliare , mi è impossibile continuare a pagarle gli alimenti

Il punto è vedere se nella vostra situazione si è già formato il giudicato di un tribunale italiano, con, ad esempio, una sentenza di divorzio divenuta definitiva per lo spirare dei termini di impugnazione, cioè solitamente appello.

Qualora non si fosse formato, in ogni caso, bisognerà vedere che cosa ne penserà la corte d’appello in sede di delibazione, che potrebbe persino anche essere denegata.

Il problema è che la possibilità di ottenere la delibazione della sentenza di nullità religiosa viene spesso utilizzata, nella pratica, per eludere l’applicazione della legislazione italiana in materia di crisi familiare e specialmente le disposizioni in materia di solidarietà post coniugale che determinano l’obbligo di prestare il mantenimento.

Partendo di fatto da questa considerazione, spesso non dichiarata apertamente, ma che è un realtà oggettiva – come dimostri tu stesso con le tue parole, che riguardano per lo più tale eventualità – i giudici hanno assunto orientamenti via via più restrittivi al riguardo, perché non in fondo è ammissibile che la nullità ecclesiastica sia utilizzata come escamotage per non pagare il mantenimento.

Ti consiglio di approfondire la tua situazione con un avvocato adeguatamente preparato che possa studiare il caso nei suoi dettagli, accertando gli elementi che accennavo sopra e valutando la convenienza, possibilità e legittimità della richiesta di delibazione.

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Matrimonio in Chiesa prima della delibazione: è trascrivibile?

Il Tribunale Ecclesiastico ha dichiarato la nullità di un matrimonio nell’anno 2014. L’interessato si è risposato solo in Chiesa nello stesso anno 2014. la Corte di Appello ha delibato la sentenza nell’anno 2016. Si può trascrivere incomune l’atto di matrimonio? Il Comune sostiene di no in quanto gli sposi non hanno mantenuto lo stato libero dal momento del matrimonio al momento della richiesta di trascrizione

Temo abbiano ragione i funzionari dell’ufficio di stato civile del comune interessato.

Prima di fare qualsiasi valutazione al riguardo, bisognerebbe innanzitutto vedere con quali formalità è stato celebrato il matrimonio cattolico, se cioè concordatario – cosa che non mi pare possibile, perché all’epoca per lo Stato italiano non c’era lo stato libero dello sposo – o se solo religioso, come ad esempio il matrimonio che ho celebrato io stesso, e che richiede l’autorizzazione del Vescovo.

Questo potrebbe essere appunto il primo problema, cioè la mancanza della natura concordataria del matrimonio celebrato illo tempore. I due matrimoni non sono affatto corrispondenti, ci sono alcune formalità nel matrimonio concordatario, come la lettura degli articoli del codice civile, che sono indispensabili per la trascrivibilità, che nel matrimonio solo religioso non hanno luogo.

Anche ammettendo che fosse stato celebrato un matrimonio formalmente trascrivibile e che vi sia la prova di questo, tuttavia non mi sento di dar torto agli ufficiali di stato civile in quanto mi pare che manchino i presupposti per trascrivere un matrimonio del genere.

Credo che l’unica sia celebrare un matrimonio civile, che resterà regolato anche per quanto riguarda le invalidità dell’atto, dal diritto civile italiano, come accade in tutti gli altri paesi del mondo in cui non vige il sistema concordatario, dove ognuno fa il «doppio» matrimonio.

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Nullità del matrimonio religioso e mantenimento: che fare?

sono separata da 3 anni. Allo scadere dei tre anni mio marito ha chiesto l’annullamento alla Sacra Rota adducendo come motivazione il fatto che ero quella che si imponeva nella coppia e lui subiva. Il matrimonio è durato 8 anni e in questo tempo mi sono dovuta sempre far carico di tutti i problemi perché lui non si interessava mai a nulla. Sono assolutamente certa che lo sta facendo per evitare l’assegno di mantenimento poiché siamo in stato di separazione e non di divorzio. Come posso agire per difendere il mio diritto ad avere un mantenimento? Sono indigente (730 pari a 0) lui mi da 400 euro di mantenimento ma io sono costretta a pagare il mutuo che ho con lui per la casa e ne spendo 480. Possibile che non ci sia nulla da fare?

In effetti, può ben darsi che la richiesta di nullità del matrimonio religioso sia finalizzata a togliere il mantenimento che versa a tuo favore in dipendenza della separazione e che continuerebbe poi a erogare anche in caso di divorzio.

Tieni presente che, dopo la nullità ottenuta dal tribunale ecclesiastico, egli dovrebbe comunque poi fare anche la delibazione in corte d’appello, quindi si tratta di un percorso abbastanza lungo, e comunque non così immediato insomma.

Ad ogni modo, quello che puoi fare per difenderti di fronte a questa strategia è innanzitutto quello di costituirti nel procedimento ecclesiastico, opponendoti alla dichiarazione di nullità del vincolo; da questo punto di vista, bisogna vedere che cosa è stato scritto di preciso nel libello.

La seconda, e probabilmente più importante, cosa che dovresti fare è iniziare subito le pratiche per il divorzio, in modo da arrivare prima con il divorzio civile rispetto alla delibazione in sede di corte d’appello.

A questo riguardo, dovresti puntare ad ottenere almeno una sentenza parziale sul vincolo, in modo da anticipare il più possibile la definizione del procedimento divorzile.

Ti consiglio di incaricare per prima cosa un bravo avvocato per valutare la situazione e partire appena possibile con la pratica di divorzio che, facilmente, a questo punto sarà giudiziale, visto che lo scopo di tuo marito rende improbabile soluzioni consensuali come gli accordi in house. Con più calma, poi, potrai sentire anche un avvocato ecclesiastico.

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Nullità del matrimonio religioso dopo il divorzio: che succede?

La mia ex moglie,(siamo divorziati dal 2008),chiede l’annullamento del matrimonio religioso.
Ho una figlia di 15 anni che vive con lei che si è risposata con rito civile.
Anch’io mi sono risposato nel 2009.
La sentenza di divorzio prevede la contribuzione di euro 400,00 mensili per il mantenimento di mia figlia.
Vorrei capire cosa comporta per me l’annullamento del matrimonio religioso,e capire cosa si va a modificare, anche nella relazione con mia figlia, dal punto di vista giuridico.

Dopo la sentenza di nullità ecclesiastica, sarebbe necessario procedere con la delibazione della stessa presso la Corte d’Appello territorialmente competente.

La giurisprudenza italiana è diventata sempre più restrittiva sulla possibilità di delibazione di una sentenza ecclesiastica quando c’è una sentenza di divorzio già passata in giudicato.

Anche quando ammette la delibazione, peraltro, la regola che sembra ormai essersi assestata è quella per cui l’eventuale delibazione comunque non inficia le disposizioni contenute nella sentenza di divorzio già passata in giudicato.

Generalmente, dunque, temo proprio che la nullità del matrimonio religioso eventualmente dichiarata in sede ecclesiastica avrebbe poca, se non nulla, rilevanza sugli aspetti civili, ormai regolati dalla sentenza di divorzio, anche se ovviamente il caso andrebbe visto in concreto studiando la documentazione, a partire dalla sentenza stessa e dal libello della causa ecclesiastica, oltre a tutte le circostanze dello stesso.