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Accordi in house: entro quanto tempo vanno trasmessi?

Gli accordi in house per separazione, divorzio, modifica condizioni vanno trasmessi al comune competente per la trascrizione nei registri dello stato civile.

Ciò deve avvenire entro un termine previsto dalla legge.

Prevede infatti a riguardo l’art 6, comma 3°, della legge 162/2014 che «l’avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’articolo 5».

La legge non dice da quale giorno decorre questo termine, per cui nel silenzio della disposizione a riguardo sembra lecito pensare che sia, più probabilmente, il giorno in cui l’accordo in house è stato concluso.

Ma cosa succede, ad esempio, se la Procura tarda a concedere il suo nulla osta o la sua autorizzazione?

Personalmente, sia pure dopo centinaia di accordi in house conclusi e portati a compimento, in svariate parti d’Italia peraltro, non mi è mai capitato che una Procura impiegasse più di due o tre giorni a comunicare il suo provvedimento, peraltro sempre tramite pec, in modo più efficiente.

Ovviamente, un bravo avvocato in considerazione di questo termine cosa deve:

  • depositare immediatamente subito dopo la conclusione l’accordo in house in procura;
  • andarlo immediatamente a ritirare subito dopo l’emissione del provvedimento, di nulla osta o di autorizzazione, da parte della procura
  • spedirlo subito dopo il ritiro al comune competente

L’ultima fase, di spedizione al comune competente, è agevolata dal fatto che molti comuni attualmente accettano la trasmissione (e in alcuni casi, come nel mio Comune di Modena, addirittura impongono) tramite pec, che ovviamente è immediata.

Per maggiori informazioni sugli accordi in house, consulta la nostra scheda pratica. Per valutare approfonditamente se un accordo in house è praticabile nel tuo caso, acquista una consulenza. Oppure acquista direttamente l’accordo in house per separazione o divorzio.

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400 euro di mantenimento: non sono troppi?

Nella puntata di oggi del podcast, parliamo di separazione giudiziale, mantenimento, reclamo e modifica delle condizioni. A partire da un messaggio vocale lasciatoci da un utente.

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Affido ai servizi sociali: conviene il ricorso in cassazione?

Da 12 anni combatto per difendermi legalmente dal mio ex marito che malgrado ne ha fatte di tutte a. me e ai miei figli è sempre uscito ridendo dalle varie udienze dicendomi vai dove vuoi mio padre è un massone io ti distruggo! E così è stato dopo un rincorso in appello aa Corte di Genova per riprendermi i miei figli in affido dallo scorso anno ai serv. Soc, motivazione del Giudicee nostre dispute economiche, tenendo conto che io non ho nulla il mio ex molto molto ricco gra, je ai Giudice nel corso degli anni li ha privati di tutto. Oggi i miei figli hanno 17anni nessun Giudice ha mai accettato la richiesta che vengano sentiti, neanche in appello che ha mantenuto l’affido ai s. Soc che non solo non accettano le relazioni dell’ASL ma li minacciano se non fanno quello che loro stabiliscono, naturalmente su richiesta del padre, di chiuderli in una struttura. Cmq il giudice senza motivare con termini di legge il suo rifiuto ha lasciato me e i. miei figli senza giustizia, addirittura negando loro il tenore di vita, dicendo che sarebbero troppo viziati, quindi non ne hanno diritto! Secondo lei con lo schifo di corruzione che c è nel ostro paese se vado in cassazione, tenendo conto che non ho possibilità economiche rischio di piangere di più di quanto ho pianto? E i miei figli che hanno visto di tutto da quando avevano 5anni.he fine possono fare con un padre che pur di distruggermi li fa passare per inadeguati?

Per sapere se una sentenza di appello è impugnabile in cassazione e, ulteriormente, se, una volta accertatane la impugnabilità, ciò sia ulteriormente conveniente, bisogna prima studiare approfonditamente le due sentenze precedenti e i fascicoli relativi.

Al netto di questo, si può fare qualche osservazione generale.

Intanto, il giudizio di cassazione non è un terzo grado di giudizio, dove la materia può essere di nuovo completamente ridiscussa, come avviene, almeno tendenzialmente, in appello, ma un grado di legittimità, in cui si dibatte per lo più sull’applicazione corretta o meno delle norme giuridiche, anche se gli aspetti di fatto in qualche modo a volte rientrano.

Ovviamente, è un grado di giudizio in cui la corte giudica «a fascicolo chiuso» cioè sulla base di un fascicolo già formato e dove è escluso che si possano introdurre nuove prove, documenti, tantomeno CTU e così via.

Soprattutto, la considerazione che mi pare assorbente è il fatto che i tuoi figli abbiano già 17 anni, con la conseguenza che il prossimo anno le disposizioni in materia di affido sono destinate comunque a cadere, anche se ovviamente se ci sono altre disposizioni sul mantenimento queste permangono sino al raggiungimento dell’autosufficienza.

A seconda delle modifiche, comunque, che si riterrebbero opportune per l’interesse dei minori, si potrebbe forse anche lasciar passare in giudicato la sentenza di appello per poi presentare un’istanza di modifica condizioni, ma anche questo va valutato accuratamente.

Se vuoi approfondire la situazione, puoi, se credi, valutare l’acquisto di una consulenza. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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Figlio che vuole trasferirsi dal padre: come fare?

il figlio più grande di mio marito (15 anni) ha chiesto ad entrambe i genitori, in un incontro congiunto da lui richiesto, di potersi trasferire da noi (da 5 anni lui e suo fratello di 11 anni vivono con la mamma a seguito di separazione e successivo divorzio), mantenendo comunque i rapporti con la mamma come erano quelli con il padre (1 we si ed uno no e 1 giorno a settimana). Viviamo in due paesi distanti 18 km e lui ha chiesto, ovviamente, anche di cambiare scuola. Mio marito ed io ci siamo subito detti favorevoli, mentre la madre si oppone chiedendo un perizia psicologica per il ragazzo (che è stabilissimo psicologicamente) volendo però stare lontana da avvocati e tribunale perché non “ha soldi per pagare». Mio marito ha trovato una psicologa specializzata in problematiche adolescenziali e ha chiesto a lei di comunicare la sua volontà al ragazzo: lei si rifiuta di farlo. Come ci si può comportare per evitare traumi al ragazzo che è stressatissimo?

Mi sembra evidente che ci si trovi di fronte ad una mamma che, per mille motivi magari che al momento non possiamo indagare, ma tra i quali potrebbe annoverarsi anche il timore di perdere un mantenimento, non vuole proprio sentirci.

Ad ogni modo, le strategie non sono molte, o meglio la strategia può essere solo una, molto semplicemente.

In prima battuta, dovete provare a invitare la madre davanti ad un mediatore familiare, per vedere se possibile instaurare un percorso di una o più sedute in cui discutere di persona il problema e trovare una soluzione concordata.

Nel caso in cui ciò avvenisse e si raggiungesse un accordo, bisognerebbe poi formalizzarlo tramite un accordo in house, per maggiori dettagli sul quale rimando alla scheda relativa.

Se la madre non venisse alla mediazione familiare, oppure, pur partecipando, non si raggiungesse nessun accordo, l’unica soluzione per determinare il cambio delle condizioni sarebbe un ricorso appunto per modifica condizioni, in cui chiedere, in prima battuta, l’audizione del figlio di 15 anni che vuole trasferirsi dal padre.

Ovviamente se la cosa si potesse definire tramite un accordo davanti al mediatore sarebbe preferibile per svariati motivi, dunque vale la pena investire un po’ di tempo, attenzione e denaro in questo tentativo.

Solo se la mediazione dovesse fallire, si potrebbe considerare il passaggio alla fase successiva.

Se vuoi un preventivo, sia per la fase di mediazione che per quella di ricorso in giudizio, puoi chiederlo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.

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Il criterio del «tenore di vita» è davvero finito?

Interessante resistenza dei tribunali di Matera e Mantova rispetto all’imminente e per alcuni già iniziata modifica dell’orientamento della Cassazione in materia di diritto alla corresponsione dell’ assegno divorzile.

Tribunale di Matera 7 marzo 2018 Tribunale di Mantova, 24 aprile 2018

A) Nella causa per la modifica o revoca dell’assegno divorzile instaurata da un uomo nei confronti dell’ex moglie, nanti il Tribunale di Mantova, viene citata fra gli elementi a supporto della richiesta la considerazione che l’importo dell’assegno, pari all’epoca (2004) ad € 350,00.= ad oggi rivalutato in € 411,47 era stato determinato sul parametro del “tenore di vita” tenuto dalla stessa in costanza di matrimonio.

Dato l’allontanamento o presunto tale da detto parametro dopo la pronuncia del maggio del 2017, l’uomo riteneva di essere probabilmente nel sicuro alveo della modifica o esclusione del riconoscimento economico alla sua ex signora. Le richieste dell’uomo erano supportate anche dal fatto che la ex aveva anche ottenuto una quota del tfr, e che ad oggi godesse di pensione propria, pertanto non avesse più diritto a percepire anche assegno divorzile quantomeno in tal misura.

I giudici di merito respingono però con forza le richieste dello stesso, specificando che il requisito dell’assegno divorzile determinato per tenore di vita non debba per forza ritenersi superato per il nuovo orientamento detenuto dalla sentenza della Suprema Corte nel maggio del 2017 ma che anzi non può qualificarsi come giustificato motivo ai sensi dell’art. 9 della legge sul divorzio il mero mutamento di giurisprudenza in ordine ai criteri con cui deve attualmente essere commisurato l’assegno di divorzio.

L’esclusione della rilevanza del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non significa che vengano quindi modificati i parametri che sono a fondamento dell’an della misura. (cfr. sul tema Cass. n. 11504/2017). “atteso che, in caso contrario, si verrebbe ad estendere a rapporti esauriti, perché coperti dal giudicato,una diversa interpretazione della regola giuridica a suo tempo applicata ma con efficacia retroattiva ciò che non è consentito nemmeno alla legge (perlomeno in via generale: v. art.11 disp prel cc) e che produrrebbe un risultato valutato come irragionevole dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. sul tema Cass. n. 15144/2011);- ritenuto inoltre che non può neppure essere invocato il principio del c.d. “prospective overruling” atteso che il mutamento di giurisprudenza ha riguardato una norma di carattere sostanziale e non processuale (cfr. Cass. n. 6862/2014).”Iil ricorso pertanto non viene considerato meritevole di accoglimento.

B) Pronuncia ancora più solida nell’incardinamento alle norme è il provvedimento del Tribunale di Matera, sent. del 7 marzo 2018. Facendo esclusivamente riferimento alla norma sul divorzio, 898 del 1970 ed ai suoi articoli che disciplinano la regolamentazione della fine del rapporto matrimoniale.

La sentenza analizza sistematicamente che la previsione dell’assegno divorzile va intesa come un’eccezione alla drastica chiusura dei rapporti fra marito e moglie alla cessazione del rapporto di coniugio. Come tale, è un’elemento tassativo che non può e non deve essere soggetto alla valutazione di questo o quel parametro giurisprudenziale, come quello del tenore di vita mantenuto in costanza di matrimonio. Il requisito per beneficiare di assegno divorzile deve fondarsi sulla oggettiva mancanza di mezzi di sussistenza o sull’impossibilità di procurarseli da parte di chi lo richiede.

Ci si chiede allora, se questo rigido criterio di valutazione, assolutamente legittimo perchè legato indissolubilmente al dato normativo, possa riuscire a risolvere i conflitti o a ridurli almeno, oppure non porti gli scontri al punto di dover ridefinire il concetto di cosa sia per il singolo individuo un “mezzo di sussistenza”, un elemento cioè che per un soggettto è di essenziale importanza. Come tre pasti al giorno per qualcuno o il cellulare di ultimo modello per qualcun altro.

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Modifica condizioni affido in tribunale: cosa può succedere?

Il padre di mio figlio si è rivolto al Tribunale civile per chiedere riduzione dell’assegno di mantenimento e modifica degli orari e dei tempi di visita del minore.
Puo ottenere qualcosa?
Ad oggi c’è un provvedimento del tribunale dei minori che tutela ampiamnete i diritti di visita padre figlio
inoltre a seguito di un percorso di mediazione familiare sono stati già modificati in senso ampliativo orari e giorni

Grazie per la stima, ma purtroppo non sono in grado di prevedere cosa possa decidere un giudice, specialmente senza aver nemmeno letto il ricorso introduttivo e aver visto il fascicolo del procedimento.

Messe da parte le utopie, l’unica cosa che ha senso fare in una situazione come questa è cercare di preparare la miglior difesa possibile, con l’assistenza di un bravo avvocato, per cercare di ottenere le migliori condizioni di affido nell’interesse di tuo figlio, che può essere siano quelle attuali, quindi il loro mantenimento, oppure condizioni in parte diverse da quelle attuali.

Ovviamente, anche un compromesso con il padre potrebbe essere una buona soluzione, per evitare di trascinare la lite per molto tempo e con molte spese.

È un peccato che sia stato abbandonato il percorso della mediazione familiare, dove forse si sarebbero potuti concordare cambiamenti accettati da entrambe le parti, senza bisogno di andare davanti ad un giudice.

Se vuoi un preventivo per la fase di assistenza nel procedimento di modifica condizioni, puoi richiedercelo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.

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Divorzio in comune senza mantenimento: può chiederlo dopo?

sono divorziato dal 2017 da un matrimonio in regime di separazione dei beni. Io e la mia ex abbiamo usufruito del divorzio breve consenziente in Comune, entrambi eravamo d’accordo di non farci affiancare da un avvocato e non abbiamo stabilito nessuna condizione economica, tipo assegni di divorzio e di mantenimento, in quanto senza figli ed entrambi autonomi lavorativamente parlando. Semplicemente lei si è presa le cose di sua proprietà io mi sono tenute le mie. La mia domanda ora è questa: può la mia ex , alla luce di tutto questo, andare in tribunale e richiedere un mantenimento o un qualsiasi risarcimento? Lei convive con un altro uomo da quando abbiamo ottenuto il divorzio, io invece mi sono risposato. Siamo sempre stati in buoni rapporti finora, ma temo che questo suo nuovo compagno possa indurla a fare tali richieste.

Personalmente, come sa chi segue regolarmente il blog, sono abbastanza sfavorevole alla separazione e divorzio in comune senza alcuna assistenza da parte di un avvocato, proprio perché, al di là dell’operazione in sé, ci sono alcune cose da capire che, senza l’intervento di un legale, sono destinate invece a rimanere oscure e a genere, di conseguenza, dei problemi.

Purtroppo, quando dico che separarsi o divorziare in comune è sconsigliabile, le persone, non conoscendomi e non sapendo che spesso consiglio cose contro il mio interesse, pensano che, al contrario, voglia solo guadagnarci.

In realtà, un buon compromesso, che poi è quello che consiglio in questi casi, potrebbe essere quello di fare separazione e/o divorzio in comune, ma chiedendo al contempo una consulenza di approfondimento ad un avvocato. Con una spesa contenuta di massimo due-trecento euro, si può affrontare la cosa con molta più cognizione di causa.

Detto questo, in linea di principio le condizioni di divorzio possono sempre cambiare, ovvero ognuno dei coniugi può depositare in tribunale un ricorso per modifica condizioni – salvo che non si tratti di modifiche consensuali, che possono essere fatte con un accordo in house.

Quindi in astratto la tua ex moglie questo diritto ce l’avrebbe.

Tuttavia, la nuova convivenza, per giurisprudenza piuttosto costante, fa venir meno il diritto ad un assegno di mantenimento da parte dell’ex coniuge, perché determina la decadenza della solidarietà post coniugale che, se il coniuge ha formato un nuovo nucleo, anche di fatto, con un’altra persona, non ha più ragione di esistere.

Tra l’altro la Cassazione, con la sentenza 6855 del 3 aprile 2015, ha chiarito che la solidarietà post coniugale viene meno per sempre nel momento in cui si è instaurata una convivenza stabile e duratura, anche qualora questa convivenza, in seguito, dovesse venir meno.

In conclusione, credo che molto ben difficilmente la tua ex moglie potrebbe presentare un ricorso per vedersi riconosciuto un assegno di mantenimento.

Per ulteriori approfondimenti, puoi valutare di acquistare una consulenza, anche se non credo che nel tuo caso ne possa valere la pena.

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Errore in separazione consensuale: come rimediare?

5 mesi fa ho fatto richiesta tramite gli avvocati delle parti di modificare una sentenza di separazione consensuale che non aveva previsto, per dimenticanze di tutti, una cancellazione di una nota di trascrizione messa dalla mia ex a seguito di sentenza di separazione legale poi trasformata in consensuale. Una giudice del tribunale di Tivoli dovrebbe apportare la modifica che mi permetterebbe di cancellare la nota e quindi poter fare il rogito della vendita. Hai qualche suggerimento da dare per accelerare l’iter?

La descrizione del caso è troppo scarna per poter tratteggiare una soluzione vera e propria, si può solo abbozzare.

Intanto, un giudizio di separazione, sia essa giudiziale o consensuale, ha un oggetto necessariamente circoscritto alle questioni riguardanti la separazione, senza possibilità di estenderlo, salvo che ciò non avvenga incidentalmente per accordo delle parti, e questo ovviamente solo in sede consensuale, a questioni immobiliari o comunque a questioni diverse da quelle che riguardano la separazione stessa e quindi rapporti tra i coniugi, figli e così via.

In generale, contro un provvedimento giudiziale si può utilizzare, in caso di vere e proprie dimenticanze che non siano però questioni di merito, lo strumento della «correzione» della sentenza o ordinanza.

Questo strumento si può utilizzare appunto solo per evidenti errori materiali e non anche per questioni di merito. Ad esempio, se il giudice fa un errore nel calcolare un totale, quando invece i dati di partenza sono esatti ed appare evidente che c’è un errore solo sul totale. Non si può invece usare quando una parte ritiene che il giudice non sia incorso in una svista, ma abbia valutato i fatti di causa in modo diverso da quello che riteneva lei: ad esempio ha condannato il debitore a pagare 1000€ perché ha valutato il danno come ammontante a quella somma e non invece a quella diversa, di 4000€, richiesta dal danneggiato. In questo secondo caso, non si può certo usare il procedimento di correzione, ma si deve usare l’impugnazione prevista a seconda del grado di giudizio in cui ci si trova, tra cui l’appello o, ricorrendone le condizioni, il ricorso per Cassazione.

A me ad esempio è capitato un caso di correzione in una sentenza in cui avevo chiesto il rimborso di due biglietti aerei e il giudice nel dar ragione senza alcune eccezioni al mio cliente ha previsto il rimborso di uno solo di essi, per una svista. Richiesta la correzione, la stessa è stata infatti concessa.

Detto questo in generale, nel vostro caso la situazione è complicata dal fatto che, se ho ben capito, la conclusione del procedimento è stata consensuale, con la conseguenza che non abbiamo una vera e propria sentenza, ma un decreto di omologa che, a livello di contenuti, non aggiunge nulla al verbale di separazione consensuale reso dai coniugi, ma si limita a «suffragarlo» certificandone la conformità alle disposizioni di legge.

Per cui a mio giudizio non si può chiederne la correzione, proprio per la struttura del procedimento di separazione consensuale.

A ben vedere, alla fine occorre fare una modifica condizioni, che si potrebbe, per praticità, realizzare preferibilmente con un accordo in house. Ovviamente, per dar corso a questa soluzione, occorre il consenso di entrambi i coniugi. In mancanza, direi che l’unica cosa prospettabile sarebbe un ricorso, di tipo contenzioso, per modifica condizioni.

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Bambina e nuovo compagno: il padre può vietarlo?

sono separata legalmente dal 05/12 (in realtà da Giugno 2017). Ho un compagno da Luglio 2017.Ho una bimba di 3 anni. ho accettato il divieto da lui imposto che fino al 28/02 la mia bimba non dovesse vedere altri uomini diversi dal padre in casa mia. Gradualmente e fuori dall’ambiente familiare la mia bimba ha conosciuto il mio compagno e si trova bene, gioca insieme a lui, e non sembra provare malessere. La vedo serena. Inoltre il mio compagno è entrato nella mia famiglia e quindi capita di essere a cena tutti insieme con bimba e i miei. Il padre potrebbe ostacolare una possibile mia nuova convivenza togliendomi l’affidamento (ora abbiamo affid. condiviso, collocamento preferenz. presso di me e lui la vede mart e giov dalle 19.30 con pernottamente + weekend alternati da sab matt a dom sera). Se si, in base a cosa un giudice decide per il divieto di frequentazione del nuovo compagno della madre? Dovrebbero intervenire gli ass. sociali per valutare la cosa?

Non mi pare che possa accadere una cosa del genere, anche se il perno del discorso rimane sempre l’interesse dei minori.

È comunque una valutazione che in prima battuta sarebbe lasciata al padre. Al momento, infatti, c’è un titolo che regola la vostra separazione, dove peraltro l’ingresso di nuove figure presso i vostri figli è espressamente regolato.

Per poter chiedere modificazioni (modifica condizioni) a questo titolo – sarebbe importante sapere, tra l’altro, se si tratta di una soluzione consensuale o di un provvedimento del tribunale reso in una separazione giudiziale, anche se sembra più la prima – il padre dovrebbe pensare, e successivamente dimostrare, che il nuovo compagno, per sue caratteristiche, può essere nocivo per vostra figlia.

Il ricorso alle assistenti sociali mi sembra un po’ esagerato.

Piuttosto sarebbe bene che tu e il padre della bambina iniziaste un percorso di mediazione familiare, dove tutti questi aspetti potrebbero essere affrontati dialogando, per quanto difficile possa essere.

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Pago 500€ per due figli e faccio l’operaio: non è troppo alto?

Sono in fase di separazione, ho due figlie di 8/13 anni.Da un anno vivo in una casa in affitto lontano dal paese dove vivevo fino alla separazione circa 20 km.Un primo accordo non firmato mi vedeva debitore su base standard di 500 euro + extra visto che guardando circa 1500 euro.Sono turnista in fabbrica e soggetto a cassa integrazione e contratti di solidarietà, per cui il mio stipendio appunto dipende dalla mole di lavoro svolto.La permanenza delle bambine presso la mia abitazione è non inferiore a 15gg, tempo doppio rispetto all’accordo e quindi ragione della mia non firma.Durante questo anno appunto essendomi spostato fuori città le spese sono aumentate in funzione dei km fatti, risparmio di casa ma spendo triplo per costi auto, le bambine vivono da me per il periodo menzionato suddiviso per i turni che svolgo.Durante lo stesso anno ho conosciuto avvocati e un ex giudice minorile i quali mi dicono che la cifra è errata rispetto ai tempi di permanenza massimo 250.Posso ricorrere?

Il caso purtroppo non è descritto con la chiarezza necessaria per poter dare delle indicazioni valide.

Ricorrere esattamente a che cosa? E «in fase di separazione» che cosa significherebbe in particolare? Parli di un «primo accordo non firmato» e non si capisce davvero che cosa sia accaduto nel tuo caso e quale sia la situazione attuale. Può darsi che ci siano solo trattative, nel corso delle quali stai facendo degli adempimenti spontanei, che sia stata conclusa una separazione consensuale, che ci sia stata una separazione giudiziale dopo una prima proposta di bozza non sottoscritta dai coniugi, che ci sia una separazione giudiziale tout court e, in questo ultimo caso, bisognerebbe ulteriormente capire in quale fase ci si trovi.

Capire esattamente la situazione in cui si versa è fondamentale per poter passare in rassegna i tipi di rimedi o impugnazioni che si possono praticare per la situazione medesima.

Tanto per fare un esempio, se hai sottoscritto un verbale di separazione consensuale e sono passati, putacaso, tre mesi, è estremamente improbabile che tu possa ottenere una modifica condizioni in assenza di forti elementi di novità rispetto al quadro esistente al momento in cui la separazione è stata consensualizzata. Leggermente diverso il caso in cui la separazione è giudiziale, e le condizioni sono state dettate, sempre ad esempio, dal giudice, ma anche qui bisogna capire se parliamo dei provvedimenti presidenziali, se istruttore è un altro giudice o lo stesso presidente, quanto tempo è passato dalla definizione precedente e così via.

Insomma, così non si può proprio ragionare né tantomeno abbozzare una strategia valida.

Già impugnare una situazione tentando di cambiarla e volgerla a proprio vantaggio è un affare delicato e da condurre con la massima attenzione anche avendo tutte le informazioni disponibili, quando poi se ne parla solo in generale, astraendo completamente dalla situazione in cui ci si trova, è davvero inutile e insensato.

Si possono, dunque, fare solo delle considerazioni di portata generale.

Il primo consiglio è quello di richiedere queste informazioni al tuo attuale avvocato, che conosce il tuo caso meglio di chiunque altro e può darti un primo parere di sicuro valore, anche se magari non condivisibile è comunque una indicazione utile. Qualora non fossi soddisfatto dell’opinione del tuo legale al riguardo, potresti sempre richiedere un secondo parere ad un altro legale, ma in quel caso dovrai metterlo in grado di capire bene come stanno le cose, dandogli copia del fascicolo e, se possibile, facendolo anche interloquire col primo legale.

La seconda considerazione che ti posso fare è che la valutazione degli importi dei mantenimenti, nelle situazioni di famiglia, non è mai algebrica o strettamente matematica ma equitativa. Non ci sono criteri di riferimenti precisi al riguardo, non vedo come possano dei giuristi come quelli da te interpellati stabilire con tale sicurezza che l’importo da te corrisposto è troppo alto, a mio modo di vedere si possono al riguardo stabilire solo delle valutazioni di massima, senza mai essere tranchant proprio perché non si tratta affatto di inserire dei dati in un computer che poi manderà fuori il risultato.

Alla luce di tutto questo, in conclusione, quello che ti consiglierei è di interpellare bene il tuo legale attuale al riguardo, qualora la sua opinione non fosse soddisfacente valutare di investire un po’ di soldi per un secondo parere – considera che ci vorranno almeno un paio di ore di lavoro – di un altro avvocato specializzato in diritto di famiglia e soprattutto con un po’ di sale in zucca.

A parte questo, un consiglio che è sempre valido e potrebbe essere utile anche nel tuo caso sarebbe quello di invitare la tua ex moglie ad un percorso di mediazione familiare in cui tutte queste tematiche potrebbero essere affrontate con un approccio negoziale che in casi come questi potrebbe dare eccellenti risultati.