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pubblicità su display in vetrina

Desidero esporre nella vetrina del mio negozio vetrina un display lcd, dalle dimensioni molto contenute, che metta in sequenza delle immagini di prodotti trattati dal mio punto vendita al fine di attirare più attenzione da parte dei passanti, nonchè porne un’altro presso la vetrina di un’altro negozio il cui titolare è un mio caro amico affinchè con immagini a rotazione possiamo intercambiarci la pubblicità dei nostri prodotti. All’ufficio preposto al rilascio autorizzazioni del mio Comune mi dicono però che ciò non si puo’ autorizzare in quanto infrange il codice stradale art. 23? Sussiste tale divieto? (Pietro, via posta elettronica)

L”art. 23 comma 1 del Codice della Strada pone effettivamente lungo le strade il divieto collocare, oltre ad insegne, cartelli, manifesti, segni orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, anche tutti gli altri impianti di pubblicita’ o propaganda di genere diverso, che per dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione possano ingenerare confusione, ridurre la visibilita’ o l’efficacia in relazione alla segnaletica stradale, o anche solamente arrecare distrarre l’attenzione agli utenti della strada con il conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione. La stessa disposizione vieta, oltre ai cartelli e agli altri mezzi pubblicitari rifrangenti, anche le sorgenti e le pubblicita’ luminose che possono produrre abbagliamento.

Bisogna però rifarsi alle singole definizioni del Regolamento di Attuazione del Codice della Strada stesso, all’art. 47 comma 8 per comprendere che per impianto di pubblicita’ o propaganda si intende qualunque manufatto finalizzato alla pubblicita’ o alla propaganda sia di prodotti che di attivita’, che non appartenga ai classici mezzi pubblicitari come insegne, cartelli, manifesti ecc., e che puo’ essere luminoso sia per la luce propria che per la luce indiretta.

Nel suo caso, ritengo che i display a cristalli liquidi siano da sussumere entro la definizione di “impianto di pubblicita’ o propaganda”, con l’ulteriore specificazione di essere luminoso, e ciò per luce propria.

Orbene, l’art. 50 comma 1 del Regolamento di Attuazione del Codice della Strada, descrivendo le caratteristiche dei cartelli e dei mezzi pubblicitari luminosi, dispone che essi non possono avere luce ne’ intermittente, ne’ di intensita’ luminosa superiore a 150 candele per metro quadrato, o che comunque provochi abbagliamento.

Il suo proponimento di esporre immagini in rapida sequenza e a rotazione sembra proprio violare questo divieto, mentre occorre valutare se i suoi monitor raggiungano l’intensità luminosa suddetta per capire se sono illegittimi.

Al comma 2, lo stesso art. 50 prevede che riguardo ai mezzi pubblicitari luminosi, per non generare confusione con la segnaletica stradale occorre adottare particolare cautela nell’uso del colore rosso e del verde, e del loro abbinamento, specialmente in corrispondenza e in prossimita’ di intersezioni.

In base a ciò, per evitare problemi è necessario un’adeguata scelta di colori che non comprendano quelli suddetti.

Infine, l’art. 52 comma 11 dispone che è vietata la collocazione di mezzi pubblicitari a messaggio variabile, aventi un periodo di variabilità inferiore a cinque minuti, in posizione trasversale al senso di marcia dei veicoli.

Essendo quello da lei voluto un esemplificazione tipica di mezzo pubblicitario a messaggio variabile, è necessario perciò che ciascuno di tali messaggi resti visibile stabilmente per più di cinque minuti.

Evidenzio però che tali limitazioni sono stabilite sulle strade extraurbane, mentre entro i centri abitati il limite ammesso è fissato dai regolamenti comunali. A titolo esemplificativo, il Comune di Spilamberto, in provincia di Modena, vieta la collocazione di cartelli ed altri mezzi pubblicitari a messaggio variabile aventi un periodo di variabilità inferiore ai 10 minuti in posizione trasversale al senso di marcia dei veicoli.

Pertanto ritengo che nella sua situazione, sebbene quanto detto aiuti a comprendere il quadro normativo, occorra analizzare le specifiche disposizioni contenute nel regolamento del comune ove è situato il suo negozio.

Se vuoi un preventivo per la tua pratica, te lo possiamo fare gratuitamente. Tieni presente che grazie al nostro network possiamo operare in ogni parte d’Italia e quindi anche presso l’autorità giudiziaria competente nel tuo caso.

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la forma della donazione

Buongiorno, vorrei chiedervi un chiarimento. Sono proprietaria di un locale adibito a garage, al piano terra di una palazzina dove, fino a qualche mese fa, avevo la proprietà anche di un appartamento, che poi ho venduto ad una coppia di signori i quali, non avendo automobili, hanno deciso di acquistare appunto solo l’appartamento, lasciandomi l’autorimessa. Ora, che ho un mio appartamento in un altro condominio con un garage molto spazioso, non ho più nessuna utilità nel mantenere la proprietà di quel locale, pertanto vorrei trasferirne la proprietà ai miei genitori, mediante donazione. Per farlo, devo affidarmi ad un notaio, oppure posso rivolgermi ad un avvocato? Grazie, Michela.

 

La donazione è un negozio solenne: deve essere fatta, pertanto, per atto pubblico (cioè dinanzi ad un notaio), a pena di nullità, ed alla presenza irrinunziabile di due testimoni. Il nostro legislatore, infatti, di fronte ad un atto giuridico che impegna, anche notevolmente, un soggetto, richiede che tale soggetto presti molta attenzione a ciò che fa, per questo prevede che vi sia qualcuno super partes ad “affiancarlo” nel momento in cui dispone dei suoi beni con un atto che può depauperarlo anche in misura rilevante.

L’atto pubblico è richiesto qualunque sia l’oggetto della liberalità. Unica eccezione alla solennità della forma è prevista per le donazioni di modico valore o manuali, ove a tale requisito si sostituisce la trasmissione materiale del possesso attraverso la consegna. Non può esserci, quindi, donazione manuale di un bene immobile (in questo caso, però, la modicità del valore deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante, nel senso che la donazione non deve incidere in modo apprezzabile sul suo patrimonio, altrimenti è necessario concludere una donazione formale).

Essendo un contratto, la donazione richiede l’incontro della volontà delle parti contraenti: l’accettazione, quindi, necessaria per la validità della donazione, può essere fatta nell’atto stesso o con atto pubblico posteriore. In questo caso la donazione non è perfetta se non dal momento in cui l’atto di accettazione è notificato al donante. Prima che la donazione sia perfetta, tanto il donante quanto il donatario possono revocare la loro dichiarazione (art. 782 c.c.).

A titolo di maggiore esaustività tengo a riicordarle che nonostante la donazione sia un contratto per spirito di liberalità, vi sono comunque oneri a carico del donatario: per le imposte dovute valgono le regole dettate dal relativo testo unico, il d.lgs. 346/90. Come per la successione, la legge 383/2001 aveva a suo tempo eliminato le imposte sulla donazione, reintrodotte poi dalla Finanziaria 2007 (legge 296/06) e dal decreto fiscale collegato (d.l.262 convertito nella legge 286/06).

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come agire contro lo spam

Ho ricevuto al mio indirizzo di posta elettronica un’e-mail informativa da me assolutamente mai richiesta. A quanto mi è stato detto, mi corregga se sbaglio, questo invio viola l’art. 13 D.Lgs 30 giugno 2003, n. 196. Segue il testo della mail in oggetto: [omissis] Oltre alla violazione che le ho sopra esposto, il mio indirizzo, nell’invio della suddetta e-mail informativa, è stato lasciato “in chiaro”, mettendolo a conoscenza di tutti gli altri destinatari, ponendo così in essere quella che a mio parere è una palese violazione della mia privacy. Cosa posso fare per tutelarmi? Una denuncia ai carabinieri è sufficiente? Quanto mi costerebbe agire contro queste persone, considerato anche il fatto che ho diritto al gratuito patrocinio? (Antonio, via mail)

Se hai veramente diritto al gratuito patrocinio, sul quale punto ti invito a consultare i precedenti post del blog per approfondimenti,  ti consiglierei la soluzione del ricorso al Tribunale, che in materia di violazioni delle disposizioni sul trattamento dei dati personali è competente per materia. La questione dello spam tende ad essere un po’ sottovalutata, nel senso che presentando una denuncia alla Procura probabilmente questa finirebbe nel cassetto a dormire, cosa che del resto è comprensibile dal momento che ci sono in effetti reati molto gravi di cui quotidianamente si occupano le autorità. Instaurando invece un giudizio civile si ha più controllo sui tempi e comunque si arreca un fastidio discreto allo spammer che così la prossima volta ci penserà due volte prima di utilizzare indirizzi e-mail illegittimamente per farsi pubblicità gratuita. Nel caso in questione, peraltro, come ha giustamente sottolineato, ci sono due violazioni: in primo luogo l’invio di posta non sollecitata ed in secondo luogo la cessione a terzi dell’indirizzo di posta elettronica. Con il gratuito patrocinio non ci sarebbero comunque spese. Aggiungo solo che io stesso ho fatto causa a diversi spammer sfruttando le mie coperture di tutela giudiziaria, non ho timore di apparire eccessivamente pignolo, la propria casella di posta elettronica e la relativa pulizia sono un bene importante.

come scegliere un nome di dominio

Per vedere se un dominio è già stato registrato da altri, si può consultare il database whois. Whois, in realtà, è un protocollo di rete che consente, mediante l’interrogazione di appositi database, di stabilire a quale provider Internet appartenga un determinato indirizzo IP o uno specifico DNS. Nel whois vengono solitamente mostrate anche informazioni riguardanti l’intestatario del dominio, da cui si può fare una prima ed approssimativa verifica circa i diritti sullo stesso. Whois si può consultare tradizionalmente da linea di comando, anche se ora esistono numerosi strumenti web-based per farlo. Per i domini .it, il database da consultare è quello tenuto presso il NIC all’indirizzo http://www.nic.it/cgi-bin/Whois/encodedWhois.cgi. Per molti altri domini, tra cui i più importanti statunitensi, si può consultare quello, mantenuto da un ente commerciale, all’indirizzo http://www.whois.net/.

In questa occasione ci occuperemo, appunto, della primissima cosa oramai necessaria per tutti coloro che vogliono affacciarsi seriamente nel mondo del cyberspazio: la scelta e la gestione del nome di dominio. Per una presenza veramente professionale, non si può certo utilizzare un nome di terzo livello, come ad esempio, alfa.191.it, ma piuttosto un vero e proprio dominio di secondo livello, come, seguendo il nostro esempio, www.alfa.it. La prima operazione da compiere al riguardo è proprio scegliere la dicitura da usare come nome di dominio. La decisione spesso segue automaticamente quella della ragione sociale o denominazione dell’azienda o del professionista, ma non sempre questo è possibile e qualche volta nemmeno consigliabile. Se un’azienda o uno studio, ad esempio, si chiamano “Rossi”, innanzitutto è molto probabile che il nome sia stato assegnato ad altri, che hanno tutto il diritto di tenerselo perchè anche loro hanno ragione sociale o denominazione identica. In secondo luogo, anche se il nome non fosse stato già “preso”, con una dicitura del genere è fortissimo il rischio di contestazioni future. Quando si costruisce un sito, lo si cura e ci si lavora sopra per attirarvi visitatori e dare pubblicità ai suoi contenuti, qualunque essi siano, si fa un vero e proprio investimento in termini di tempo e denaro. Pertanto è bene che il dominio del sito, che in fin dei conti è il suo indirizzo, rimanga sempre lo stesso, senza dover cambiare, magari a seguito di iniziative giudiziarie di terzi.

Come si fa allora ad avere un dominio “forte”, difficilmente rivendicabile da altri? Il discorso è molto semplice, valgono infatti più o meno le stesse considerazioni valevoli per il marchio: bisogna cercare di inventare qualcosa di nuovo ed originale, un elemento molto specializzato rispetto a tutto quanto già esiste, senza usare parole o denominazioni comuni o, alla peggio, combinandole con elementi diversi in modo da formare un risultato originale. Seguendo il nostro esempio precedente, ad esempio, la società Rossi spa potrebbe registrare, anzichè il “debolissimo” rossi.it, il dominio rossi4u.it (da leggersi all’americana come “rossi for you”) che è sicuramente una dicitura mai utilizzata da altri, sufficientemente specializzata da non poter essere attaccata e da consentire, per contro, di perseguire eventuali imitatori.

Una volta definita la dicitura da utilizzare come nome di dominio, rimane da valutare se registrare la stessa anche come marchio. Il nostro consiglio è quello di incaricare, sin dal principio, un avvocato o consulente esperto in proprietà intellettuale, in modo che si possa in primo luogo, tramite apposite ricerche, verificare il grado di originalità della dicitura da prescegliere per poi, una volta deciso, registrare la stessa anche come marchio, cosa che offre sempre una protezione maggiore e che rientra dunque nella già consigliata ottica di “protezione totale” dell’investimento di chi entra seriamente in internet.

A questo punto, il dominio deve essere registrato. Per fare questo, bisogna scegliere anche la gerarchia presso cui farlo. Si può registrare, ad esempio, rossi.it, oppure rossi.eu o anche rossi.com, .org, .net e così via. Non è importante, al riguardo, tanto la desinenza in sè stessa quanto l’ente gestore della medesima. Il consiglio è quello di registrare, preferibilmente, il dominio nella gerarchia .it, che è gestito dal Registro italiano, un istituto del CNR avente sede a Pisa, con la conseguenza che in caso di problemi si può godere di un referente nazionale. Tutte le altre gerarchie, infatti, sono gestite da enti esteri, comunitari nel caso del neonato dominio di tipo .eu, statunitensi nel caso dei com, org, net, etc. Può essrere difficoltoso gestire una contestazione all’estero. Ovviamente, la cosa migliore è registrare domini presso più gerarchie, quando possibile, anche per dare maggior forza al marchio. Infine, naturalmente, se una società è una multinazionale o uno studio operante effettivamente in più Stati, sarà bene che si provveda alla registrazione del dominio presso tutte le varie gerarchie nazionali di riferimento (ad esempio .de per la Germania, .fr per la Francia, .uk per il Regno Unito e così via). Resta da vedere, a questo punto, che cosa si può fare quando il dominio cui si crede di avere diritto è già stato occupato da terzi e, parallelamente, che cosa può succedere ad una azienda o studio quando terzi ritengono di avere diritti sul dominio utilizzato dai primi. In materia di dispute sui nomi di dominio, ci sono due procedure che si possono instaurare: le procedure di riassegnazione dei nomi di dominio e le classiche cause davanti alla Magistratura. Naturalmente, prima di procedere in qualsiasi senso è bene inviare una intimazione all’utilizzatore del dominio, chiedendone il rilascio ed esibendo i titoli all’uso dello stesso. Molte questioni relative all’uso dei domini vengono infatte risolte stragiudizialmente, anche perchè, a parte il caso del domain grabbing, cioè dell’accaparramento di domini a scopo di speculazione, spesso si registrano in buona fede domini corrispondenti a marchi altrui, dal momento che in sede di registrazione, a parte per i nuovi domini .eu, non si effettua nessun controllo al riguardo ma si assegna il nome al primo richiedente (principio del first come, first served). Se i tentativi stragiudiziali non hanno successo, occorre ricorrere agli strumenti della riassegnazione amministrativa o del ricorso all’autorità giudiziaria.

Le procedure di riassegnazione hanno natura amministrativa e non precludono, in seguito, il ricorso all’Autorità giudiziaria. Previste sin dal 28 luglio 2000 in Italia, sono state introdotte sulla scorta dell’esperienza statunitense delle MAP (Mandatory Administrative Procedures). Hanno lo scopo di offrire una tutela più rapida e soprattutto “specialistica”, perché resa da “giudici” più esperti del fenomeno Internet di quanto si possa solitamente avere ricorrendo alla magistratura ordinaria. Come si è visto, le procedure comunque non escludono la possibilità di ricorrere al giudice: chi vuole può farlo sia prima di ricorrere alle procedure ma addirittura anche dopo. Quest’ultimo è un po’ il limite delle procedure, che non sono vincolanti in assoluto, per cui chi non ritiene giusto il modo in cui si sono concluse può sempre fare causa. C’è però da dire che quando le decisioni sono ben motivate è difficile che i loro destinatari vogliano insistere con pretese in contrasto con le stesse. Statisticamente, insomma, le procedure hanno dimostrato di “tenere”.

Alle procedure si può ricorrere, più in particolare, quando vi sono, congiuntamente tra loro, i seguenti tre requisiti:

a) il nome a dominio contestato è identico o tale da indurre confusione rispetto ad un marchio su cui un altro soggetto vanta diritti, o al nome e cognome di un altro soggetto;

b) l’attuale assegnatario (che viene chiamato “resistente” nel procedimento) non ha alcun diritto o titolo in relazione al nome a dominio contestato;

c) il nome a dominio è stato registrato e viene usato in mala fede.


Se la procedura si conclude con l’accoglimento della domanda di chi riteneva “usurpato” il proprio nome di dominio, il Registro deve materialmente trasferire il dominio entro 15 giorni dalla decisione. L’intero costo della procedura è a carico del ricorrente, sia in caso di vittoria che di sconfitta, e non può mai essere inferiore ad un minimo stabilito dall’ente conduttore che, generalmente, è sempre inferiore a quello che si spenderebbe in caso di ricorso alla magistratura ordinaria.

Per ciò che concerne, invece, il ricorso alle tradizionali cause, si è sviluppata in materia una giurisprudenza oramai abbondante. Naturalmente lo strumento utilizzato solitamente è quello del ricorso d’urgenza, che garantisce un intervento in tempi rapidi, salvo i problemi di esecuzione nel caso in cui il dominio sia statunitense o europeo. In questi casi, comunque, è obbligatorio rivolgersi ad un legale di fiducia, preferibilmente specializzato in proprietà intellettuale.

come fare un banner

Vorrei realizzare dei banner pubblicitari da utilizzare per promuovere, su alcuni siti molto frequentati, la mia azienda. Ci sono delle regole precise da seguire? (Federico, via mail)

La rete è diventata, ormai da tempo, un ottimo strumento di promozione delle proprie attività ed il cosiddetto link pubblicitario, realizzato spesso sotto forma di banner, costituisce sicuramente un efficace strumento di comunicazione delle proprie offerte

Questo genere di messaggio è concepito tecnicamente per attirare un navigatore ad un sito web commerciale attraverso un collegamento ipertestuale alla pagina dell’inserzionista. La particolarità di tale “mini-spot”, rispetto ad analoghe forme di pubblicità, consiste nel cosiddetto sistema di pagamento click through: l’azienda pubblicizzata rileva il numero di click effettuati sul banner ed invia una somma di denaro all’ospitante in proporzione a tali contatti.
L’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (competente per tutto ciò che attiene la vigilanza nel settore pubblicitario) ha cercato di imporre regole abbastanza precise per l’uso di questo strumento viste le sue potenzialità economiche e soprattutto i notevoli rischi di truffe ed abusi che si porta dietro. L’AGCM ha sostanzialmente precisato che la pubblicità on line è soggetta alle stesse regole ed gli stessi principi che disciplinano la pubblicità tradizionale. Il messaggio sponsorizzato deve pertanto rispettare il principio generale di trasparenza, completezza e immediatezza dell’informazione accessibile al consumatore (il nuovo codice del consumo, emanato nel 2005, parla più semplicemente di messaggio pubblicitario “palese, veritiero e corretto”).

Nel caso del banner la principale differenza rispetto alla pubblicità tradizionale riguarda l’elemento ipertestuale (link) che consente, in maniera totalmente interattiva, di spostarsi da un documento all’altro (anche esterno alla pagina web originariamente visitata). L’offerta pubblicitaria diventa così più complessa in quanto lo spot vero e proprio può essere seguito direttamente dalla vendita immediata del materiale pubblicizzato.

A riguardo, in piu’ di un’occasione, l’Autorità ha sanzionato diverse società di telecomunicazioni che, in maniera subdola, pubblicizzavano tramite bannerweb contentente alcuni servizi telematici definendoli “gratuiti”. Cliccando Il banner si veniva dirottati su un’autonoma pagina un modulo di registrazione e le condizioni generali di contratto del servizio pubblicizzato. Da un’esame accurato delle clausole contrattuali era emerso che l’adesione prevedeva una serie di oneri passivi non economici a carico dell’utente (obbligo della ricezione di email pubblicitarie, consenso al trattamento dei propri dati personali per finalità commerciali). La mancata accettazione di queste condizioni impediva l’accesso al servizio. Occorre precisare che la legge riconosce al consumatore il diritto di non essere destinatario di comunicazioni d’impresa veicolate attraverso tecniche di comunicazione a distanza (categoria in cui rientrano le comunicazioni telefoniche tramite telefono, fax o email). Tuttavia quest’ultime diventano lecite se il consumatore fornisce il proprio consenso. L’Autorità ha ritenuto tali messaggi ingannevoli dal momento che gli operatori stabilivano come condizione per la fornitura del servizio “gratuito” l’accettazione obbligatoria di materiale pubblicitario che consentiva loro, al contrario, di ottenere indirettamente un rientro di natura economica, in pieno contrasto con la gratuità dell’offerta. Tali circostanze, unite all’estorsione vera e propria del consenso, erano dunque idonee ad indurre i consumatori in errore, influenzandone, in maniera indebita, le proprie scelte commerciali.

Attenzione dunque a programmare correttamente la vostra “campagna pubblicitaria”. Il banner è sicuramente un mezzo di comunicazione veloce e dai costi assolutamente sostenibili, neanche lontanamente paragonabili a quelli di una qualunque messaggio pubblicitario tradizionale, che necessita spesso dell’intervento di agenzie qualificate in materia di marketing e notevoli mezzi tecnici. Bisogna inoltre prestare molta attenzione alla confezione del messaggio ed evitare formule pubblicitarie poco chiare o addirittura subdole o ingannevoli, che potrebbero essere sanzionate dal Garante. Quest’ultimo può intervenire dietro richiesta dei concorrenti commerciali, dei consumatori o delle rispettive associazioni di tutela, del Ministro delle attività produttive, nonché di ogni altra pubblica amministrazione che ne abbia interesse in relazione ai propri compiti istituzionali, anche su denuncia del pubblico. Diverse sono le sanzioni previste: l’Autorità può deliberare il divieto di diffusione della pubblicità non ancora portata a conoscenza del pubblico o la continuazione di quella già iniziata; può inoltre disporre la pubblicazione della pronuncia o di un’apposita dichiarazione di rettifica in modo da impedire che la pubblicità ingannevole continui a produrre effetti; può infine determinare l’applicazione di una sanzione pecuniaria fino a 100.000 euro che tenga conto della gravità e della durata della violazione.

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come farsi pagare da aucland

Vorrei portare alla vostra conoscenza un fatto e magari ottenere una risposta, che io da solo non ho potuto avere. Attualmente molti siti internet offrono la possibilità di guadagnare esponendo i banner pubblicitari, pagando per ogni click univoco che porti al loro sito. Interessato da questa proprosta ho deciso di affiliarmi ad una società come Aucland (www.aucland.it) ben nota in Italia per le sue aste, esponendo i loro banner sul mio sito. Il contratto stipulato tra le parti riporta da un punto di vista economico, che saranno accreditate all’affiliato “0,15 € ogni volta che un visitatore clicca su un banner Aucland caricato sul sito dell’affiliato stesso” Dopo diverso tempo ho raggiunto 597 click totalizzando 96,05 € convertite in credito su Aucland, oppure 48,03 € (esattamente la metà) se pagate tramite assegno. Cifra alquanto irrisoria, ma raggiunta senza alcuna violazione delle politiche di Aucland, e di diritto di mia proprietà. Raggiunto il valore minimo di € 25 per ottenere l’assegno, ho richiesto chiarimenti in merito alla Società, cercando di ottenere informazioni anche sul come poter spendere quanto sopra nelle varie aste promosse dai navigatori. Non ho ricevuto nessuna risposta in merito. Tornando nel pannello di controllo del sito, risulta che non è possibile convertire il credito in assegno, o meglio il testo di contratto presente nella pagina non ha subito variazioni, è quindi ancora presente la duplice possibilità, ma la possibilità di scelta si limita a convertire il credito in “credito spendibile su Aucland”. Provo ad inviare una e-mail per la seconda volta ma non trovo nessuna risposta dallo Staff. Decido di vendere attraverso il loro servizio, all’asta, alcuni personal computer. Attivando le varie opzioni di vendita (vendita pubblizzata in home page, testo in grassetto…….) mi viene addebitato un costo di 14,04 €, non scalato dal credito raggiunto, ma che risulta dover essere saldato con Assegno intestato a AUCLAND Via Quadronno, 6 Route des Dolines 20122 Milano. Ad oggi, dopo alcune settimane dalla vendita, non conclusa tra l’altro, non ho inviato nessun assegno, in quanto ad ogni mia e-mail di richiesta di chiarimenti e soprattutto di richiesta per il versamento di quanto dovuto, non mi è stata inviata nessuna replica. Ora quello che mi chiedo è: possibile che solo in Italia società del genere si sentano autorizzate a truffare i clienti, ben sapendo che nessuno farà mai causa per 100 €? Il contratto è stato rispettao in ogni parte, i banner regolarmente esposti, eppure nessun corrispettivo economico versato. Da quello che ho potuto constatare in rete non sono la prima persona che ha questi problemi con Aucland. Forse Vanna Marchi esiste anche in rete. Mi rivolgo a voi sperando in una risposta, non tanto per i € 96, ma per una mera questione di principio. (Mauro, via mail)

Il problema descritto dal lettore sembra sia ben noto e diffuso, basta fare una piccola ricerca in rete per trovare discussioni di persone che si chiedono come fare a farsi pagare (http://groups.google.com/groups?hl=it&th=182a60d49f0ad862&seekm=9haobc%24n7c%241%40nreadB.inwind.it&frame=off) o che addirittura si spingono oltre, con definizioni non proprio gentili nei confronti di Aucland (http://groups.google.com/groups?hl=it&th=49518979afc24c60&rnum=3). E’ difficile riuscire a stabilire se si tratti delle oramai diffuse difficoltà gestionali delle iniziative della new economy ovvero se l’atteggiamento di Aucland sia il portato di una cosciente politica aziendale, basata sulla considerazione per cui, al di là di proteste più o meno vibranti, la quasi totalità degli utenti preferirà, vista l’esiguità delle somme in ballo, lasciar perdere e non prendere nessuna iniziativa nei confronti di Aucland. Ad ogni modo, e quale che sia il retroscena della vicenda, il lettore, e tutti coloro che si trovano nella medesima condizione, hanno diritto di essere pagati. Addirittura, dal momento che, entrando nel sito di Aucland è possibile per ogni sottoscrittore visualizzare il proprio credito, si può provare a ottenere una ingiunzione di pagamento, fornendo come prova scritta la “stampata” con il prospetto del credito maturato, nonché il testo del contratto e la corrispondenza scambiata sia al momento della conclusione del contratto che eventualmente in seguito. L’ingiunzione, o decreto ingiuntivo, è un procedimento molto più veloce di quello ordinario, che serve appunto per il recupero di crediti che sono liquidi, cioè determinati nel loro ammontare, esigibili e forniti di prova scritta. Il ricorso diretto ad ottenere l’ingiunzione di pagamento si può presentare presso il Giudice di Pace del proprio luogo di residenza e, se la somma dovuta è inferiore a £1.000.000, si può presentare anche senza l’assistenza di un avvocato, anche se non sarà facilissimo districarsi nelle varie fasi del procedimento e tra i diversi uffici senza l’aiuto di funzionari davvero molto disponibili. Ovviamente la strada è più agevole se si sceglie di avvalersi di un professionista di propria fiducia: in questo caso, per quanto riguarda gli onorari del legale, sarà il Giudice a stabilire chi li deve pagare, anche se nel momento in cui concede un’ingiunzione, il Giudice condanna sempre controparte al pagamento anche delle spese legali.

pubblicità nel sito web del comune

Sono il Webmaster del sito del Comune di Villata (http://utenti.tripod.it/ComVillata), in provincia di Vercelli, ho 13 anni e sono un esperto di informatica.
Dato che nel mio Comune ci sono molti negozi e altre attività commerciali, vorrei sapere se io posso fare pubblicità di questi, sul nostro sito, oppure se non posso fare pubblicità sul web di queste attività commerciali. (Matteo, via mail)

Innanzitutto,bisogna richiamare ancora una volta il fatto che le attività che si svolgono su Internet sono soggette alle stesse, medesime leggi che le governano quando sono svolte in ambiti diversi. In altri termini, il nostro giovane lettore potrà fare pubblicità sul proprio sito web alle stesse, identiche condizioni previste dalla legge italiana per l’esercizio dell’attività in questione nei modi tradizionali. Ovviamente, poi, se la pubblicità dovesse avvenire a pagamento, occorrerebbe che il nostro lettore fosse titolare di una attività commerciale, con tanto di … partita Iva per intenderci, cosa che non può ancora fare essendo minorenne anche degli anni 14. Inoltre, in questo caso, essendo la pubblicità svolta sul sito di un ente comunale, il quale sarebbe sicuramente partecipe dell’operazione e destinatario dei profitti almeno in parte, ci sarebbe da … scontrarsi con le rigide regole sulla contabilità delle Amministrazioni ed occorrerebbe sicuramente almeno una previa delibera dell’ente stesso.
Qualora invece si trattasse di una promozione che l’ente pubblico comunale intendesse erogare ai servizi ed esercizi commerciali della zona al fine di diffonderne la conoscenza, sviluppare il turismo, senza chiedere alcun corrispettivo in cambio, allora le regole sarebbero in parte diverse e sicuramente meno stringenti, ma in ogni caso rimarrebe la necessità di una formale delibera dell’ente, auspicabilmente all’interno di un programma in tal senso, mentre non sarebbe poi difficile, in questo caso, sorgere problemi di tipo più politico che giuridico quali ad esempio “Perché il negozio di Tizio lo avete messo sul web e il mio ancora no?”.