Per vedere se un dominio è già stato registrato da altri, si può consultare il database whois. Whois, in realtà, è un protocollo di rete che consente, mediante l’interrogazione di appositi database, di stabilire a quale provider Internet appartenga un determinato indirizzo IP o uno specifico DNS. Nel whois vengono solitamente mostrate anche informazioni riguardanti l’intestatario del dominio, da cui si può fare una prima ed approssimativa verifica circa i diritti sullo stesso. Whois si può consultare tradizionalmente da linea di comando, anche se ora esistono numerosi strumenti web-based per farlo. Per i domini .it, il database da consultare è quello tenuto presso il NIC all’indirizzo http://www.nic.it/cgi-bin/Whois/encodedWhois.cgi. Per molti altri domini, tra cui i più importanti statunitensi, si può consultare quello, mantenuto da un ente commerciale, all’indirizzo http://www.whois.net/.
In questa occasione ci occuperemo, appunto, della primissima cosa oramai necessaria per tutti coloro che vogliono affacciarsi seriamente nel mondo del cyberspazio: la scelta e la gestione del nome di dominio. Per una presenza veramente professionale, non si può certo utilizzare un nome di terzo livello, come ad esempio, alfa.191.it, ma piuttosto un vero e proprio dominio di secondo livello, come, seguendo il nostro esempio, www.alfa.it. La prima operazione da compiere al riguardo è proprio scegliere la dicitura da usare come nome di dominio. La decisione spesso segue automaticamente quella della ragione sociale o denominazione dell’azienda o del professionista, ma non sempre questo è possibile e qualche volta nemmeno consigliabile. Se un’azienda o uno studio, ad esempio, si chiamano “Rossi”, innanzitutto è molto probabile che il nome sia stato assegnato ad altri, che hanno tutto il diritto di tenerselo perchè anche loro hanno ragione sociale o denominazione identica. In secondo luogo, anche se il nome non fosse stato già “preso”, con una dicitura del genere è fortissimo il rischio di contestazioni future. Quando si costruisce un sito, lo si cura e ci si lavora sopra per attirarvi visitatori e dare pubblicità ai suoi contenuti, qualunque essi siano, si fa un vero e proprio investimento in termini di tempo e denaro. Pertanto è bene che il dominio del sito, che in fin dei conti è il suo indirizzo, rimanga sempre lo stesso, senza dover cambiare, magari a seguito di iniziative giudiziarie di terzi.
Come si fa allora ad avere un dominio “forte”, difficilmente rivendicabile da altri? Il discorso è molto semplice, valgono infatti più o meno le stesse considerazioni valevoli per il marchio: bisogna cercare di inventare qualcosa di nuovo ed originale, un elemento molto specializzato rispetto a tutto quanto già esiste, senza usare parole o denominazioni comuni o, alla peggio, combinandole con elementi diversi in modo da formare un risultato originale. Seguendo il nostro esempio precedente, ad esempio, la società Rossi spa potrebbe registrare, anzichè il “debolissimo” rossi.it, il dominio rossi4u.it (da leggersi all’americana come “rossi for you”) che è sicuramente una dicitura mai utilizzata da altri, sufficientemente specializzata da non poter essere attaccata e da consentire, per contro, di perseguire eventuali imitatori.
Una volta definita la dicitura da utilizzare come nome di dominio, rimane da valutare se registrare la stessa anche come marchio. Il nostro consiglio è quello di incaricare, sin dal principio, un avvocato o consulente esperto in proprietà intellettuale, in modo che si possa in primo luogo, tramite apposite ricerche, verificare il grado di originalità della dicitura da prescegliere per poi, una volta deciso, registrare la stessa anche come marchio, cosa che offre sempre una protezione maggiore e che rientra dunque nella già consigliata ottica di “protezione totale” dell’investimento di chi entra seriamente in internet.
A questo punto, il dominio deve essere registrato. Per fare questo, bisogna scegliere anche la gerarchia presso cui farlo. Si può registrare, ad esempio, rossi.it, oppure rossi.eu o anche rossi.com, .org, .net e così via. Non è importante, al riguardo, tanto la desinenza in sè stessa quanto l’ente gestore della medesima. Il consiglio è quello di registrare, preferibilmente, il dominio nella gerarchia .it, che è gestito dal Registro italiano, un istituto del CNR avente sede a Pisa, con la conseguenza che in caso di problemi si può godere di un referente nazionale. Tutte le altre gerarchie, infatti, sono gestite da enti esteri, comunitari nel caso del neonato dominio di tipo .eu, statunitensi nel caso dei com, org, net, etc. Può essrere difficoltoso gestire una contestazione all’estero. Ovviamente, la cosa migliore è registrare domini presso più gerarchie, quando possibile, anche per dare maggior forza al marchio. Infine, naturalmente, se una società è una multinazionale o uno studio operante effettivamente in più Stati, sarà bene che si provveda alla registrazione del dominio presso tutte le varie gerarchie nazionali di riferimento (ad esempio .de per la Germania, .fr per la Francia, .uk per il Regno Unito e così via). Resta da vedere, a questo punto, che cosa si può fare quando il dominio cui si crede di avere diritto è già stato occupato da terzi e, parallelamente, che cosa può succedere ad una azienda o studio quando terzi ritengono di avere diritti sul dominio utilizzato dai primi. In materia di dispute sui nomi di dominio, ci sono due procedure che si possono instaurare: le procedure di riassegnazione dei nomi di dominio e le classiche cause davanti alla Magistratura. Naturalmente, prima di procedere in qualsiasi senso è bene inviare una intimazione all’utilizzatore del dominio, chiedendone il rilascio ed esibendo i titoli all’uso dello stesso. Molte questioni relative all’uso dei domini vengono infatte risolte stragiudizialmente, anche perchè, a parte il caso del domain grabbing, cioè dell’accaparramento di domini a scopo di speculazione, spesso si registrano in buona fede domini corrispondenti a marchi altrui, dal momento che in sede di registrazione, a parte per i nuovi domini .eu, non si effettua nessun controllo al riguardo ma si assegna il nome al primo richiedente (principio del first come, first served). Se i tentativi stragiudiziali non hanno successo, occorre ricorrere agli strumenti della riassegnazione amministrativa o del ricorso all’autorità giudiziaria.
Le procedure di riassegnazione hanno natura amministrativa e non precludono, in seguito, il ricorso all’Autorità giudiziaria. Previste sin dal 28 luglio 2000 in Italia, sono state introdotte sulla scorta dell’esperienza statunitense delle MAP (Mandatory Administrative Procedures). Hanno lo scopo di offrire una tutela più rapida e soprattutto “specialistica”, perché resa da “giudici” più esperti del fenomeno Internet di quanto si possa solitamente avere ricorrendo alla magistratura ordinaria. Come si è visto, le procedure comunque non escludono la possibilità di ricorrere al giudice: chi vuole può farlo sia prima di ricorrere alle procedure ma addirittura anche dopo. Quest’ultimo è un po’ il limite delle procedure, che non sono vincolanti in assoluto, per cui chi non ritiene giusto il modo in cui si sono concluse può sempre fare causa. C’è però da dire che quando le decisioni sono ben motivate è difficile che i loro destinatari vogliano insistere con pretese in contrasto con le stesse. Statisticamente, insomma, le procedure hanno dimostrato di “tenere”.
Alle procedure si può ricorrere, più in particolare, quando vi sono, congiuntamente tra loro, i seguenti tre requisiti:
a) il nome a dominio contestato è identico o tale da indurre confusione rispetto ad un marchio su cui un altro soggetto vanta diritti, o al nome e cognome di un altro soggetto;
b) l’attuale assegnatario (che viene chiamato “resistente” nel procedimento) non ha alcun diritto o titolo in relazione al nome a dominio contestato;
c) il nome a dominio è stato registrato e viene usato in mala fede.
Se la procedura si conclude con l’accoglimento della domanda di chi riteneva “usurpato” il proprio nome di dominio, il Registro deve materialmente trasferire il dominio entro 15 giorni dalla decisione. L’intero costo della procedura è a carico del ricorrente, sia in caso di vittoria che di sconfitta, e non può mai essere inferiore ad un minimo stabilito dall’ente conduttore che, generalmente, è sempre inferiore a quello che si spenderebbe in caso di ricorso alla magistratura ordinaria.
Per ciò che concerne, invece, il ricorso alle tradizionali cause, si è sviluppata in materia una giurisprudenza oramai abbondante. Naturalmente lo strumento utilizzato solitamente è quello del ricorso d’urgenza, che garantisce un intervento in tempi rapidi, salvo i problemi di esecuzione nel caso in cui il dominio sia statunitense o europeo. In questi casi, comunque, è obbligatorio rivolgersi ad un legale di fiducia, preferibilmente specializzato in proprietà intellettuale.