Io e mia moglie abbiamo comprato, qualche anno fa, un fabbricato facente parte di un piccolo borgo circondato da un bosco. In particolare, questo borgo apparteneva, in origine, ad un unico proprietario. Nel corso degli anni, però, a causa dei passaggi ereditari, questo complesso immobiliare è stato progressivamente frazionato in varie porzioni, ciascuna con un proprietario diverso. Il problema è che, fino a quando le cose “rimanevano in famiglia” non c’era motivo di discutere; ora, però, che le varie porzioni appartengono a soggetti estranei (tra cui noi, appunto), i problemi vengono a galla. Infatti, chi mi ha venduto ha garantito nel rogito la sua completa disponibilità a concedermi il passaggio sul fondo attiguo (anche quello di sua proprietà), per consentirmi di accedere alla strada pubblica; ora, però, che ha venduto anche quel fondo, la nuova proprietaria non è dello stesso avviso, e minaccia di chiudere il passaggio con un cancello. La possibilità di accedere alla strada pubblica in maniera diversa ci sarebbe, ma sarebbe estremamente dispendiosa e non consentirebbe l’accesso a mezzi diversi da semplici auto (ambulanze, camioncini dei vigili del fuoco, mezzi spalaneve…). Cosa possiamo fare? Grazie, Antonio (mail)
Al fine di inquadrare la fattispecie è opportuna una breve esposizione dei principi generali in tema di servitù.
Ai sensi dell’articolo 1027 cc, la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo (fondo servente) per l’utilità di un altro fondo (fondo dominante), appartenente a diverso proprietario. È essenziale, pertanto, questa relazione (rapporto di servizio) tra i due fondi, per cui il fondo dominante si avvantaggia della limitazione che subisce quello servente.
Nel caso di specie, in particolare, ci troviamo di fronte ad un caso di servitù di passaggio, ossia di quella servitù che concede il passaggio sul fondo, o sui fondi, altrui (escluse case e giardini). Questa spetta al proprietario del cd. fondo intercluso, ossia del fondo che non ha un accesso diretto alla strada pubblica o che potrebbe realizzarlo solo con eccessivo dispendio o disagio (per esempio, quando il fondo sia destinato ad usi agricoli o industriali, il proprietario di questo ha diritto al passaggio coattivo anche se ha un proprio accesso sulla strada pubblica, ma si tratta di un accesso insufficiente ai bisogni agricoli o industriali del suo fondo).
La costituzione delle servitù può avvenire in due modi: o coattivamente, per imposizione della legge (servitù coattive) o per volontà dell’uomo (servitù volontarie: art. 1031 cod. civ.).
Le servitù coattive sono di regola costituite con sentenza dell’autorità giudiziaria, su domanda dell’interessato; la sentenza determina anche l’indennità dovuta al proprietario del fondo servente. Nei casi espressamente previsti dalla legge, la servitù coattiva può anche essere costituita con provvedimento dell’autorità amministrativa.
Un modo di “acquisto a titolo originario”, proprio solo delle servitù, è la cosiddetta “destinazione del padre di famiglia” (art. 1062): è il rapporto di servizio stabilito fra due fondi appartenenti ad un medesimo proprietario. Se i due fondi cessano di appartenere al medesimo proprietario, il preesistente rapporto di servizio si trasforma automaticamente in una servitù di un fondo a favore dell’altro. Questo modo di acquisto vale solo per le servitù apparenti, cioè per quelle servitù che presentano segni visibili di opere di natura permanente,obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l’resistenza del peso gravante sul fondo. A tal proposito, può benissimno trattarsi del viottolo formatosi per effetto del quotidiano calpestìo da parte del proprietario del fondo dominante sul fondo servente. Nel caso che la riguarda, occorrerebbe effettuare una verifica e risalire all’effettiva titolarità dei fondi in capo ad uno stesso soggetto, però.
Ai sensi dell’art. 1061 cod. civ., poi, è possibile acquistare una servitù apparente, oltre che per “destinatio pater familias”, per usucapione, cioè, per effetto del possesso protratto per un certo tempo e per la presenza di altri requisiti. Quindi, riuscendo a dimostrare che la servitù in questione esiste da da almeno 20 anni, ossia che, nel caso di specie, il sentiero, ovvero lo stradello di accesso alla pubblica via già da un ventennio ha acquistato le caratteristiche di visibilità, permanenza e destinazione specifica, allora si potrà affermare l’esistenza del diritto di passaggio e, quindi, della servitù a suo favore.
Detto questo, occorre precisare una cosa: il fatto che il suo dante causa (cioè chi le ha venduto la porzione di immobile) abbia specificamente previsto l’esistenza della servitù a suo vantaggio non è di per sè sufficiente a far sorgere in capo a lei il diritto di passaggio. Infatti, se il concedente, poi, aliena il fondo gravato da una servitù che non è stata trascritta né menzionata nell’atto di trasferimento, il terzo aquirente non sarà tenuto a rispettare tale servitù. Nel suo caso, quindi, la mera assunzione dell’impergno di farle godere il passaggio sul fondo limitrofo non garantisce nulla, e certamente non impone al nuovo proprietario di rispettare un impegno assunto da altri, se l’esistenza di tale “peso” non è espressamente pubblicizzata nelle forme prescritte dalla legge. Pertanto, quindi, tale impegno, assunto dal proprietario a suo vantaggio nell’atto di compravendita, ha carattere meramente obbligatorio, nel senso che comporta per il suo dante causa l’obbligo di impegnarsi a farle godere ancora del passaggio. In questi termini, quindi, non essendo stato rispettato tale impegno, nel caso lo voglia, lei avrà certmente diritto di chiedere il risarcimento per il danno subìto, qualora non venga riconosciuto il suo passaggio. L’entità di tale risarcimento, ovviamente, verrebbe quantificato in funzione dell’esborso da lei soppportato per costruire un passaggio alternativo per raggiungere la pubblica via.
In ogni caso, comunque, la nuova proprietaria non può legittimamente chiudere il passaggio, perchè questo comportamento, oltre a porsi in evidente contrasto con l’art. 833 cc. (il quale vieta i cd. “atti di emulazione”, ossia gli atti che hanno il solo scopo di nuocere o recare molestia agli altri), integrerebbe un’ipotesi di esercizio abusivo di un proprio diritto, contrario con il principio generale, quello appunto dell’abuso del diritto, insito ed immanente all’ordinamento.