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Twitter: come averlo senza pubblicità.

Se anche tu sei un affezionato utente di Twitter come me, ma ultimamente ti sei un po’ scocciato e infastidito della pubblicità sempre più presente nella timeline, forse ti può interessare questo post in cui spiego come poter seguire Twitter al netto completo della pubblicità.

Purtroppo, i gestori di Twitter hanno reso molto difficile la vita delle applicazioni di terze parti, così che oggi è molto scomodo, o comunque poco pratico, utilizzare un client di terze parti diverso dell’applicazione ufficiale messa a disposizione da Twitter. Questo serve perché i gestori della piattaforma vogliono che tutti gli utenti utilizzino l’applicazione ufficiale per poterli gestire meglio. Si tratta di un fenomeno che ritroviamo anche su facebook, dove sono ancora più evidenti gli sforzi degli sviluppatori di cercare di tenere le persone all’interno dell’applicazione ufficiale di facebook senza farli andare più di tanto in giro per la rete.

Una via d’uscita da queste situazioni si ritrova nel fatto che comunque tutti i social, tutte le piattaforme di microblogging come Twitter, devono comunque essere accessibili tramite il web e non solamente all’interno di apposite applicazioni.

Esiste a riguardo un browser che può essere installato anche sui dispositivi mobili e nel quale può essere aggiunta una estensione che blocca la pubblicità.

Il browser in questione è il vecchio Mozilla Firefox, che ormai personalmente utilizzo da qualche anno di default avendolo preferito sia a Safari che a Chrome.

Magari in un altro post ti parlerò anche più approfonditamente di Firefox in relazione al tema di quale browser è preferibile utilizzare oggigiorno.

In questa sede, mi limito a concludere dicendo che se vuoi seguire Twitter senza vederti la pubblicità puoi installare Firefox e aggiungere il componente aggiuntivo adblock oppure un’altra estensione analoga.

Una delle cose belle di Firefox, che mi hanno portato a preferirlo, è infatti che anche sui dispositivi mobili si possono installare i componenti aggiuntivi, a differenza di quello che avviene con Chrome e Safari che possono installare estensioni solo nelle versioni per PC o Mac.

Sempre con Firefox, una volta aperta la home page di Twitter si può, su android, scegliere di installare un collegamento nella homepage o desktop del nostro dispositivo android, in questo modo si avrà un’icona del tutto analoga a quella dell’applicazione ufficiale di Twitter, anzi è anche possibile cambiare l’icona se proprio uno vuole e metterci la stessa dell’applicazione ufficiale o comunque un’altra icona di twitter, in questo modo l’esperienza dell’utente è quasi completamente paragonabile a quella che si ha utilizzando un applicazione.

L’interfaccia web mobile di Twitter funziona estremamente bene, si può anche personalizzare il tema, mettendo la skin nera che personalmente è quella che preferisco in quanto almeno mio giudizio è molto più riposante per gli occhi. Si possono poi anche ingrandire i caratteri cosa cui ho provveduto per lo stesso identico motivo.

Buona navigazione e buon divertimento con twitter.

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diritto

Credito di oltre 200.000 euro e niente di aggredibile: che fare?

abbiamo un credito da esigere di 220.000 euri. il ns avvocato ha fatto tutto secondo le regole, ma nessuno si è presentato (il debito è diviso per tre persone di famiglia). Pare che sui conti ci sia poco o niente. adesso ha presentato il pignoramento immobiliare sulla casa dove vivono queste tre persone…sono sfiduciata perchè le vendite all’asta sono lunghe (abbiamo 67 anni) e poi, come lei ha scritto, bisogna pagare tanti soldi per la pubblicità, Cosa fare? lasciar perdere tutto? Ma possiamo anche noi detrarre questi mancati pagamenti dalle tasse? Alla fine noi onesti dobbiamo soccombere…grazie alla giustizia che non funziona

La giustizia civile, nel nostro paese, è considerata un affare tra privati. Lo Stato ti mette a disposizione gli strumenti, poi spetta a te valutare innanzitutto se del caso utilizzarli, dal momento che comportano sempre un investimento, e in quale forma; resta poi a tuo carico il rischio che questi strumenti non conducano ad alcun risultato. L’incasso di un credito da parte tua non è considerato un interesse dello Stato, che si limita ad offrirti strumenti limitati, che devi poi valutare tu se usare e come. Il discorso è diverso per la giustizia penale, che è considerata un interesse anche dello Stato, considerato che c’è un interesse pubblico a che, ad esempio, i responsabili di gravi reati siano detenuti e non possano circolare liberamente mettendo in pericolo le persone e le cose.

In realtà, anche la giustizia civile rappresenta un interesse pubblico perché, se anche su questo versante le cose non funzionano, si determina un danno per tante cose di interesse pubblico, come ad esempio, prima tra tutte, l’economia. Però questo non è sentito né dal popolo né dalla classe politica. Ognuno di ricorda della giustizia civile solo quando ne viene coinvolto direttamente e rimane scandalizzato dallo stato in cui si trova questa funzione dello Stato. Fino ad allora, nessuno ne parla. Se fai caso ai programmi dei partiti politici, si parla sempre solo di giustizia penale e mai di giustizia civile.

Se leggi, come ti consiglio, la mia scheda sul recupero crediti, vedrai che da anni suggerisco a tutti coloro che si accingono a recuperare un credito di valutare prima di fare qualsiasi cosa la convenienza di un’azione di recupero, perché in molti casi conviene davvero lasciar perdere e non perdere altri soldi.

Non è certo quello che è giusto, ma è sicuramente quello che conviene, secondo il concetto alla base del mio indirizzo strategico per la trattazione dei problemi legali.

Ma chiudiamo questa sia pur fondamentale parentesi per vedere che cosa si può dire nel vostro caso.

Innanzitutto, non è chiaro se si tratti di una obbligazione solidale o parziaria – sarebbe parziaria se derivasse, ad esempio, da una successione, solidale con ogni probabilità negli altri casi, considerato che la solidarietà è la regola. Questa è una distinzione in linea di principio molto importante, perché in caso di obbligazione solidale si può chiedere l’intero capitale ad una persona, viceversa in caso di parziarietà. Può anche darsi, peraltro, che la natura dell’obbligazione non arrivi ad avere rilevanza, se tutti e tre i debitori non sono solvibili.

«Nessuno si è presentato» è un’espressione che non consente di capire che tipo di pignoramento sia stato tentato in prima battuta, forse un pignoramento presso terzi avente ad oggetto i conti correnti bancari. Purtroppo qui non posso che confermare che se queste persone non hanno consistenze bancarie il pignoramento non avrebbe potuto finire in altro modo…

Per quanto riguarda il pignoramento immobiliare, per fortuna ultimamente le spese di pubblicità si sono abbassate molto, dal momento che solitamente la pubblicità avviene tramite la rete internet e non più mediante giornali specializzati, ma si tratta pur sempre di una procedura molto lunga e farraginosa, per non dire del fatto che bisognerà poi anche vedere che valutazione verrà fatta della casa da parte del CTU incaricato dal giudice e quali saranno le reali possibilità di collocazione sul mercato della stessa. Al riguardo, purtroppo, molti creditori spesso rimangono delusi.

In generale, bisogna dire che tutte queste valutazioni sarebbero state da fare prima di cominciare la causa per ottenere il titolo. Ora però può anche darsi che approfondendo maggiormente la situazione dei debitori si riesca a trovare qualche sostanza aggredibile. Vi consiglierei di fare una ricerca tramite un’apposita agenzia investigativa per vedere se ci sono sostanze più facilmente aggredibili in capo ai debitori.

Se volete un preventivo per questo lavoro, potete chiedercelo compilando la voce apposita nel menu principale del blog. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

come si calcolano le tasse sulle insegne pubblicitarie?

Da un mese ho aperto un’attività commerciale in Benevento e purtroppo i controlli comunali sulla tassazione pubblicitaria (insegne esterne) sono già sopraggiunti in contemporanea alla mia apertura, caso strano; da qui l’anomalia. Constatato che sotto i 5mq complessivi non si paga tale imposta, io ho 6 insegne piccole (non ho potuto metterne una piu grande) la cui sommatoria in mq è di 3,85mq che arrotondata (come per legge) al ½mq successivo mi diventa 4mq; tale conteggio non è avvenuto; mi hanno calcolato 6mq (ogni insegna inferiore a 1mq ha come valore minimo 1mq) per una spesa totale di quasi 500.00, adducendo inoltre che le mie insegne “sono visibili” da una strada importante quindi la tariffazione non viene effettuata in base alla via con cui è accatastato il mio locale, ma in base alla visibilità.

In materia, ogni ente adotta i propri regolamenti. Può darsi che nel regolamento, che dovresti poter reperire sul sito del comune o comunque richiedere presso gli uffici dello stesso, sia previsto appunto che ogni insegna inferiore al metro quadro si computi come avente estensione di 1mq, la disposizione ben potrebbe essere legittima dal momento che in molte circostanze ricorrere a presunzioni è indispensabile quando si deve disciplinare un certo fenomeno. In ogni caso, il termine per impugnare il regolamento sarebbe probabilmente già decorso. Mi lascia invece molto più perplesso il discorso della visibilità delle insegne da una strada diversa da quella su cui si trova il negozio, se accettassimo un criterio di questo genere si aprirebbe facilmente la porta all’arbitrio, per cui sul punto suggerirei di valutare di fare ricorso.

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come concedere l’uso di spazi pubblicitari sul proprio spazio web

Ho un dominio (.it) a me intestato come privato. Vorrei concedere, in maniera del tutto gratuita, ad un società l’utilizzo di uno spazio prefissato all’interno di esso per l’inserimento di banner pubblicitari. E’ possibile farlo e con quale tipo di contratto? Quale obblighi comporta all’intestatario del dominio?

E’ possibile senz’altro farlo, ma bisogna valutare sia gli aspetti contrattuali che quelli fiscali, perchè una attività di questo genere solitamente comporta un guadagno e quindi una attività richiedente partita IVA per il concedente, con la conseguenza che se la cosa non viene ben inquadrata anche dal punto di vista tributario potrebbe esserci il rischio di un accertamento.

Lasciando da parte gli aspetti legati alle imposte, per le quali occorre interpellare un commercialista, per quanto riguarda la concessione di spazi all’interno di un sito web (e non di un dominio, che è solo un indirizzo internet) si fa di solito un apposito contratto che regola i principali aspetti della materia e del rapporto tra le parti, in base a quello che le parti stesse vogliono realizzare. Questo, naturalmente, nei casi in cui non interviene una vera e propria agenzia di raccolta pubblicitaria, la quale solitamente dispone di propri contratti “standard” da proporre a tutti i titolari di siti web presso cui collocare la pubblicità.

Naturlamente, come studio, siamo a disposizione per aiutare l’utente a redigere il proprio contratto, ma, ovviamente, non possiamo farlo nel contesto del blog, bensì, sempre che l’utente lo ritenga, nell’ambito di un rapporto professionale, visto il tempo e l’impegno necessario, per la qual cosa siamo disposti a fare un chiaramente un preventivo gratuito preliminare.

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diritto

la servitù di passaggio sul fondo vicino

Io e mia moglie abbiamo comprato, qualche anno fa, un fabbricato facente parte di un piccolo borgo circondato da un bosco. In particolare, questo borgo apparteneva, in origine, ad un unico proprietario. Nel corso degli anni, però, a causa dei passaggi ereditari, questo complesso immobiliare è stato progressivamente frazionato in varie porzioni, ciascuna con un proprietario diverso. Il problema è che, fino a quando le cose “rimanevano in famiglia” non c’era motivo di discutere; ora, però, che le varie porzioni appartengono a soggetti estranei (tra cui noi, appunto), i problemi vengono a galla. Infatti, chi mi ha venduto ha garantito nel rogito la sua completa disponibilità a concedermi il passaggio sul fondo attiguo (anche quello di sua proprietà), per consentirmi di accedere alla strada pubblica; ora, però, che ha venduto anche quel fondo, la nuova proprietaria non è dello stesso avviso, e minaccia di chiudere il passaggio con un cancello. La possibilità di accedere alla strada pubblica in maniera diversa ci sarebbe, ma sarebbe estremamente dispendiosa e non consentirebbe l’accesso a mezzi diversi da semplici auto (ambulanze, camioncini dei vigili del fuoco, mezzi spalaneve…). Cosa possiamo fare? Grazie, Antonio (mail)

Al fine di inquadrare la fattispecie è opportuna una breve esposizione dei principi generali in tema di servitù.
Ai sensi dell’articolo 1027 cc, la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo (fondo servente) per l’utilità di un altro fondo (fondo dominante), appartenente a diverso proprietario. È essenziale, pertanto, questa relazione (rapporto di servizio) tra i due fondi, per cui il fondo dominante si avvantaggia della limitazione che subisce quello servente.

Nel caso di specie, in particolare, ci troviamo di fronte ad un caso di servitù di passaggio, ossia di quella servitù che concede il passaggio sul fondo, o sui fondi, altrui (escluse case e giardini). Questa spetta al proprietario del cd. fondo intercluso, ossia del fondo che non ha un accesso diretto alla strada pubblica o che potrebbe realizzarlo solo con eccessivo dispendio o disagio (per esempio, quando il fondo sia destinato ad usi agricoli o industriali, il proprietario di questo ha diritto al passaggio coattivo anche se ha un proprio accesso sulla strada pubblica, ma si tratta di un accesso insufficiente ai bisogni agricoli o industriali del suo fondo).

La costituzione delle servitù può avvenire in due modi: o coattivamente, per imposizione della legge (servitù coattive) o per volontà dell’uomo (servitù volontarie: art. 1031 cod. civ.).

Le servitù coattive sono di regola costituite con sentenza dell’autorità giudiziaria, su domanda dell’interessato; la sentenza determina anche l’indennità dovuta al proprietario del fondo servente. Nei casi espressamente previsti dalla legge, la servitù coattiva può anche essere costituita con provvedimento dell’autorità amministrativa.

Un modo di “acquisto a titolo originario”, proprio solo delle servitù, è la cosiddetta “destinazione del padre di famiglia” (art. 1062): è il rapporto di servizio stabilito fra due fondi appartenenti ad un medesimo proprietario. Se i due fondi cessano di appartenere al medesimo proprietario, il preesistente rapporto di servizio si trasforma automaticamente in una servitù di un fondo a favore dell’altro. Questo modo di acquisto vale solo per le servitù apparenti, cioè per quelle servitù che presentano segni visibili di opere di natura permanente,obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l’resistenza del peso gravante sul fondo. A tal proposito, può benissimno trattarsi del viottolo formatosi per effetto del quotidiano calpestìo da parte del proprietario del fondo dominante sul fondo servente. Nel caso che la riguarda, occorrerebbe effettuare una verifica e risalire all’effettiva titolarità dei fondi in capo ad uno stesso soggetto, però.

Ai sensi dell’art. 1061 cod. civ., poi, è possibile acquistare una servitù apparente, oltre che per “destinatio pater familias”, per usucapione, cioè, per effetto del possesso protratto per un certo tempo e per la presenza di altri requisiti. Quindi, riuscendo a dimostrare che la servitù in questione esiste da da almeno 20 anni, ossia che, nel caso di specie, il sentiero, ovvero lo stradello di accesso alla pubblica via già da un ventennio ha acquistato le caratteristiche di visibilità, permanenza e destinazione specifica, allora si potrà affermare l’esistenza del diritto di passaggio e, quindi, della servitù a suo favore.

Detto questo, occorre precisare una cosa: il fatto che il suo dante causa (cioè chi le ha venduto la porzione di immobile) abbia specificamente previsto l’esistenza della servitù a suo vantaggio non è di per sè sufficiente a far sorgere in capo a lei il diritto di passaggio. Infatti, se il concedente, poi, aliena il fondo gravato da una servitù che non è stata trascritta né menzionata nell’atto di trasferimento, il terzo aquirente non sarà tenuto a rispettare tale servitù. Nel suo caso, quindi, la mera assunzione dell’impergno di farle godere il passaggio sul fondo limitrofo non garantisce nulla, e certamente non impone  al nuovo proprietario di rispettare un impegno assunto da altri, se l’esistenza di tale “peso” non è espressamente pubblicizzata nelle forme prescritte dalla legge. Pertanto, quindi, tale impegno, assunto dal proprietario a suo vantaggio nell’atto di compravendita, ha carattere meramente obbligatorio, nel senso che comporta per il suo dante causa l’obbligo di impegnarsi a farle godere ancora del passaggio. In questi termini, quindi, non essendo stato rispettato tale impegno, nel caso lo voglia, lei avrà certmente diritto di chiedere il risarcimento per il danno subìto, qualora non venga riconosciuto il suo passaggio. L’entità di tale risarcimento, ovviamente, verrebbe quantificato in funzione dell’esborso da lei soppportato per costruire un passaggio alternativo per raggiungere la pubblica via.

In ogni caso, comunque, la nuova proprietaria non può legittimamente chiudere il passaggio, perchè questo comportamento, oltre a porsi in evidente contrasto con l’art. 833 cc. (il quale vieta i cd. “atti di emulazione”, ossia gli atti che hanno il solo scopo di nuocere o recare molestia agli altri), integrerebbe un’ipotesi di esercizio abusivo di un proprio diritto, contrario con il principio generale, quello appunto dell’abuso del diritto, insito ed immanente all’ordinamento.

l’invio massivo di email per un progetto civico – politico

Insieme a una mia amica stiamo cercando di fare qualcosa per la (tragica) situazione politica, civile e culturale che si Ú venuta a creare in Italia. Abbiamo fondato un gruppo, chiamato xxx, che vorrebbe far sentire la voce di chi abita la Rete e pensa che l’Italia abbia il diritto di essere migliore. Non siamo sostenuti e non sosteniamo nessuno tranne che una visione etica della società e della politica. Non riceviamo soldi nè da mezzi di comunicazione nè da politici. Abbiamo anche aperto un gruppo di discussione su googlegroups. La prima iniziativa che avremmo voluto attuare sarebbe caduta il 2 aprile 2008, giorno in cui ogni partecipante del gruppo nonchè ogni sostenitore esterno avrebbe postato sul proprio blog nonchè *fatto partire dalla propria casella di posta una e-mail indirizzata a partiti, organi di informazione ecc. con contenuto identico* e concordato tra i partecipanti. Ora, giunti quasi alla vigilia di questa data, ci è sorto il grave e serio dubbio di un possibile spamming. In sostanza, abbiamo cominciato a chiederci se potremmo essere passibili di denunce, visto che quel giorno 2000 indirizzi e-mail riceveranno un centinaio e passa di lunghi messaggi con lo stesso contenuto (sebbene da mittenti diversi, tengo a ribadire). Gli indirizzi, specifico, non sono privati, bensì pubblici, facilmente reperibili on-line da chiunque. Quello che vorrei gentilmente chiedere è allora: il nostro dubbio è fondato? Basterebbe inserire una nota anti-spam? (Tipo: “Il vostro indirizzo e-mail non verrà utilizzato per scopi commerciali, promozionali o lesivi della privacy, ma si trova in un semplice elenco di indirizzi reperiti sul sito istituzionale della vostra azienda/società /associazione ecc.”) L’e-mail non ha infatti contenuto commerciale, quindi lo scopo di lucro è escluso, tuttavia qualcuno potrebbe ritenere che ricevere tutte quelle e-mail, senza consenso, tutte uguali, lo stesso giorno, possa causargli un danno (requisito per ricadere nella fattispecie illecita). Potrebbe in sostanza verificarsi da parte del ricevente questo tipo di discorso: io personaggio pubblico metto on-line la mia e-mail per fini relativi alla mia professione, per utilità sociale, diciamo, e utilizzarla con fini diversi, inoltrando in questo modo massiccio la stessa e-mail, è spam? E’ un ragionamento corretto? E, nel caso, cosa si rischierebbe concretamente? (Marcello, via mail)
A mio giudizio non potete, purtroppo, per quanto possa essere lodevole e interessante, fare questa operazione. Il garante della privacy ha chiarito in diverse pronunzie come il fatto che un indirizzo di posta elettronica sia presente sulla rete internet, sia in un newsgroup che all’interno di una pagina web, non significhi assolutamente che il proprietario di tale indirizzo abbia prestato il consenso al suo utilizzo e trattamento in altre banche dati. Questo per rimanere semplicemente all’interno di quanto prevede la legge sul trattamento dei dati personali, per non dire poi delle disposizioni che vietano di inviare posta non sollecitata e cose del genere. Le diciture antispam cui ti riferisci non hanno, ti assicuro, alcun valore giuridico e di fatto solitamente fanno solo irritare ancora di più i destinatari del messaggio.
Per quanto riguarda poi l’utilizzo e lo scopo non commerciale delle spedizioni, anche questo non è rilevante dal momento che per molte persone sono parimenti indesiderabili, e in qualche caso anche maggiormente fastidiosi, i messaggi di propaganda, anche lato senso, politica, come nel vostro caso che, pur non appartenendo ad una organizzazione formalmente costituita in partico politico, avete intenzione di fare attività che, nonostante le sue peculiarità ispirate al civismo e all’emergenza, ha comunque natura politica.
I rischi sono quelli soliti, a livello di sanzioni anche monetarie da parte del garante ma soprattutto di immagine sulla rete internet che è molto sensibile, a volte probabilmente anche troppo, a queste tematiche.
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cultura diritto

l’avvocato della coop

Una volta, per schernire una persona, si diceva “va là, che sei l’avvocato della mutua” adesso dovremo forse passare alla diversa figura dell’ “avvocato della coop”? Leggete questo interessante articolo, ripreso anche dalla rassegna stampa quotidiana dell’OUA.

Il legale si afferma al Super. L’iniziativa prende piede in tutte le Coop lombarde. Ma al Cnf non piace. Mezz’ora di consulenza al costo di cinque euro. Joe Miller, l’avvocato del film Philadelphia, interpretato da Denzel Washington, distribuiva i suoi biglietti da visita anche al supermercato. E rappresentava il legale emergente, quello che si costruiva visibilità partendo dal basso. Questo 15 anni fa negli Stati Uniti. Oggi l’avvocato al supermercato lo si trova anche in Italia. Almeno per adesso in Lombardia. E non gira tra la merce ad adocchiare gli acquirenti più bisognosi di aiuto. Ha un suo ufficio e non è l’uomo in cerca della sua opportunità, dato che ha almeno dieci anni di esperienza alle spalle e le idee molto chiare: stare dalla parte del più debole, della signora anziana truffata che non ha soldi per fare causa. Stiamo parlando dell’iniziativa della Legacoop Lombardia, un servizio di orientamento legale riservato ai soci, che nella regione sono circa 750 mila sui sei milioni totali, che al costo di cinque euro possono usufruire di un appuntamento con un avvocato della durata di mezz’ora, non ripetibile, e farsi consigliare su come sbrogliare le proprie magagne col condominio, con il consorte e così via. Il tutto ristretto all’ambito civilistico. Il servizio è riservato ai soci Coop, e cioè a chi paga una tessera annuale di 25 euro per ricevere anche assistenza, e questo restringe l’iniziativa nell’ambito mutualistico, contribuendo a togliere più di qualche dubbio di carattere deontologico agli ordini territoriali chiamati a vigilare sui comportamenti della categoria. Già, la deontologia. Perché se da un lato questo tipo di assistenza non è figlia del famoso decreto Bersani del luglio 2006, visto che era già a pieni giri nel 2005, dall’altro le liberalizzazioni hanno di fatto limitato il raggio d’azione dei consigli territoriali. «Oggi, alla luce del decreto Bersani, non possiamo fare molto per frenare questo tipo di iniziative», ha spiegato il presidente dell’Ordine di Milano, Paolo Giuggioli «dobbiamo vigilare solo sul fatto che i servizi vengano offerti in modo serio, cioè in uno spazio esterno al centro commerciale, e da persone competenti». E se l’Ordine di Milano può fare poco, il Consiglio nazionale forense, guidato da Guido Alpa, ha le mani legate. «Ci sono entità che utilizzano la voglia di diritto e di giustizia dei cittadini come fosse un prendi tre e paghi due», ha commentato Giuseppe Bassu, consigliere del Cnf, «d’altra parte il rispetto delle norme deontologiche spetta alla coscienza del singolo e all’ordine territoriale. Noi non abbiamo possibilità di incidere in questo senso». || Lo sviluppo del servizio. Fatto sta che il servizio è già attivo in tutti e dieci gli ipermercati Coop della Lombardia e in otto Superstore. Con una crescita annuale omogenea, che va di pari passo con l’allargamento strutturale dei centri vendita, perché l’unico vincolo da rispettare è legato alla riservatezza dello spazio dedicato, che deve ospitare anche le attività di segreteria connesse. In ogni caso, il progetto è partito nel 2004 con uno sportello sperimentale, poi nel 2005 ne sono stati attivati altri quattro, nel 2006 un’altra dozzina, l’anno scorso altri due e la novità di quest’anno è rappresentata dall’apertura di Lodi. Da aprile, poi, anche Varese avrà un suo sportello e in altri cinque punti vendita si sta studiando l’iniziativa. || Come funziona. Innanzitutto, i soci hanno a disposizione un numero verde che li informa su dove è attivo il servizio e sulle materie trattate dagli avvocati, che al momento sono 18. Le materie restano ristrette in ambito civilistico, con il 30% delle richieste che riguarda il diritto di famiglia, un altro 30% le questioni condominiali e il restante 10% i contratti e le sanzioni amministrative. È escluso il diritto del lavoro perché il servizio è già svolto dai sindacati. «Il trend che riscontriamo è di circa 2 mila appuntamenti l’anno», ha detto il responsabile dell’iniziativa, Walter Molinaro, «non abbiamo riscontrato nessuna influenza del decreto Bersani. D’altra parte l’ordine di Cremona, l’unico ad aver sollevato dubbi, ha poi approvato l’iniziativa, sulla base delle informazioni che gli abbiamo fornito, prima del Bersani». Gabriele Ventura, da Italia Oggi del 4.2.2008.

Gli aspetti deontologici di queste iniziative mi interessano, devo confessare, relativamente. Oramai con la “rivoluzione Bersani” il mercato si è aperto, nel bene e nel male, e credo che relativamente a forme di esercizio della professione di questo genere oramai ci sia ben poco da dire, sotto il versante della correttezza professionale. Penso che siano lecite, a condizione che siano fatte con determinate modalità di tutela del consumatore.

Quello che, invece, mi lascia più perplesso è capire che grado di qualità possa avere una prestazione intellettuale che viene pagata meno di quella manuale di un operaio metalmeccanico, con tutto il sincero rispetto per il lavoro di quest’ultimo e la sua importanza. Soprattutto, mi chiedo che tipo di avvocato accetterà di andare ad aprire un banchetto all’interno della coop per guadagnare 10€ all’ora e quindi andarsene a casa con la testa fusa dopo 8 ore con 80€, sempre che non ne spenda un po’, visto che c’è, dentro alla coop per la cena. Me lo chiedo tanto intensamente che, se gli avvocati della coop saranno in grado di erogare prestazioni valide, potrei dare una buona parte del mio lavoro in outsourcing, pagarlo a questa tariffa o anche ad una tariffa maggiorata ed avere sempre un buon ritorno economico, con una maggiore velocità di consegna di atti e pareri ai miei clienti. All’interno, poi, di quella categoria, che non so identificare, di avvocati che saranno disposti ad andare a tenere questi banchetti, la selezione da parte del mondo delle cooperative, tradizionalmente legate al mondo dei partiti di sinistra, avverrà sulla base di criteri di merito o di appartenenza politica, come avviene spesso nel nostro Paese?

Poter scendere al supermercato sotto casa e tornarsene a casa con un etto di prosciutto in più e una preoccupazione in meno per l’eredità, il lavoro, i confini e così via può essere un bel sogno, ma può anche tanto presto trasformarsi in un incubo.

Che ne pensate?

Si può pubblicare l’immagine di un personaggio famoso?

Di chi sono i diritti di pubblicazione di un ritratto non fotografico e non evidentemente riconoscibile (quadro, incisione etc.) di un personaggio famoso che non lede la sua dignità ? Giuseppe

Innanzitutto bisogna sapere una cosa: questo personaggio ritratto è riconoscibile o no? Perchè nel secondo caso il problema non si pone. Si pone invece se detto personaggio è riconoscibile. Infatti, la legge prevede che ogni persona sia titolare della prorpia immagine (che, secondo la più stretta terminologia giuridica, è da intendersi come il complesso dei tratti che la caratterizzano: le sembianze, le fattezze e l’aspetto fisico).

Lei parla di un personaggio famoso, quindi di rilevanza pubblica e, in proposito, la legge sui diritti d’autore prevede che “Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente”(art. 96, primo co.). Ma quali sono queste eccezioni? Leggiamo l’articolo seguente, appunto:”Non occorre il consenso della persona ritratta quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla riputazione od anche al decoro nella persona ritrattata”(art. 97).

Se un fotografo ritrae un sportivo famoso durante una gara non necessita del suo consenso. Diverso è il caso se ne pubblica un’immagine che ne lede l’onore o la reputazione.

Quanto sopra significa che se le cose stanno come dice Lei (ritratto di persona famosa, ma non lesivo della sua dignità), allora non occorre il consenso per la pubblicazione.

Si tratta di vedere se il ritrattista che ha eseguito l’opera decide di utilizzarla a fini commerciali con scopo di lucro. Titolare dello sfruttamento della propria immagine è la persona stessa che, tuttavia, può decidere di cedere tale diritto dietro compenso. Ciò non toglie, però, che colui che paga per sfruttare economicamente l’immagine altrui, ne debba rispettare il decoro, la dignità e l’onore e debba utilizzare l’immagine solo e soltanto per i fini e nel contesto che è stato fissato nel contratto (c.d. di sponsorizzazione).

Facciamo due esempi: a) Tizio d’accordo con Caio (sportivo professionista di fama internazionale) lo ritrae ed espone il ritratto a una mostra, senza il suo consenso. Essendo Caio famoso, il consenso non è necessario, sempre che il ritratto non ne offenda il decoro o la dignità.
b) Tizio ritrae Caio (famoso anch’esso) e vende a scopo di lucro le copie dei ritratti, senza il consenso di Caio. Non può farlo perchè Caio è il titolare dello sfruttamento della propria immagine.

In conclusione: ognuno è titolare della propria immagine e del suo sfruttamento, ma può liberamente decidere di monetizzarla attraverso un contratto. A questo punto si tratta di rispettare quanto scritto nel contratto di cessione dei diritti di immagine. Se, viceversa (come nel Suo caso) si riproduce l’immagine di un personaggio famoso che non ne lede la dignità in alcun modo, allora non occorre il consenso del titolare.

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l’opponibilità del contratto di locazione non registrato

Egregio Avvocato, insieme alla mia famiglia abbiamo da circa 15 anni (io ne ho 39) in locazione un magazzino ad uso non abitativo ovviamente. Il proprietario non ha mai voluto un contratto scritto ma sono molte le persone che sapevano della locazione e che hanno visto materialmente il pagamento del canone nelle mani del proprietario. Ora siamo venuti a sapere che il proprietario sta vendendo il locale, ha già stipulato un preliminare di compravendita ed inoltre proprio oggi ci ha detto, sempre a voce, di sgomberare il magazzino entro fine mese. Mi sono informato ed ho capito che non abbiamo diritto alla prelazione perchè non è un locale in cui c’è contatto col pubblico, però volevo sapere, il nostro contratto verbale di locazione è opponibile al terzo acquirente? E’ prevista anche per le locazioni ad uso non abitativo una tutela simile a quella prevista per le locazioni abitative dall’art. 13 comma 5 della Legge n. 431/98 per far accertare e dichiarare l’esistenza del contratto di locazione di fatto e determinare i canoni? Tutto questo tenendo conto anche della legge finanziaria del 2005 (311/2004) che ha previsto la nullità per i contratti di locazione non registrati (quindi non scritti) all’art. 1 comma 346. Grazie per l’attenzione e saluti cordiali. (Andrea, mail)

L’art. 1, comma 4 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, prevede la forma scritta del contratto di locazione a pena di nullità. In mancanza della forma scritta il conduttore assume la posizione di occupante sine titulo e nei suoi confronti non può essere promosso il procedimento speciale della convalida di sfratto per morosità.

Il comma 346 dell’articolo 1 della Legge Finanziaria 2005, che mi cita, dispone la nullità dei contratti di locazione o dei contratti che costituiscono dei diritti di godimento di unità immobiliari o porzioni delle medesime, comunque stipulati, qualora si ometta la registrazione di tali contratti, rimanendo esenti da registrazione solo i contratti di locazione di durata inferiore a trenta giorni annui. In virtù di tale disposizione, quindi, un contratto non è registrato, è come se non fosse mai stato stipulato. Pertanto il proprietario perderebbe il diritto di ricevere il canone e anche l’inquilino si vedrebbe sottratta la possibilità di vedere riconosciuto il loro diritto alla locazione, trasformandosi in “occupante abusivo”. tale norma, tuttavia, opera per gli accordi intervenuti dopo il 1° gennaio 2005. Per il passato, l’inquilino-conduttore potrebbe chiedere la restituzione di quanto versato, mentre il proprietario potrebbe chiedere al giudice di determinare una somma che l’inquilino gli deve, a titolo di “indennità di occupazione”. Una procedura però a dir poco macchinosa…

Il problema di cui mi parla, Andrea, non è soltanto di natura fattuale, ma è di natura probatoria. Vertendo in tema di contratti così importanti, come quelli di locazione, il fatto che non vi sia stato un accordo consacrato in forma scritta, infatti, non è di poco conto. Mi spiego meglio. Nel nostro ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 1325 n. 4 c.c., vige il sistema della libertà delle forme per la stipulazione dei contratti; fatti salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge (per i quali è prevista la forma scritta a pena di nullità), è dunque sufficiente, perché un contratto sia valido e produttivo di effetti, che la volontà delle parti venga manifestata, qualunque sia il modo o la forma di tale manifestazione. Nulla vieta che le parti stipulino un contratto perfettamente valido anche oralmente. Lo stesso contratto di locazione rientra nel novero di quei contratti per i quali vi è piena libertà di forme, con l’eccezione, tuttavia, di quelli che prevedono una scadenza ultranovennale, per i quali la legge impone la forma scritta.

In questi casi, bisogna anzitutto valutare se in concreto le parti abbiano posto in essere, anche attraverso l’adempimento di determinati obblighi reciproci, un contratto qualificabile come locazione. L’art. 1571 prevede che “la locazione è il contratto con il quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un dato corrispettivo”. Una volta stipulato tale contratto, infatti, sulle parti sorgono degli specifici obblighi. Tra quelli del locatore vi è, ai sensi dell’art. 1575 c.c., quello di consegnare il bene al conduttore; e tra quelli del conduttore, ai sensi dell’art. 1587 c.c., quello di versare il corrispettivo canone.

Dal canto suo, lei ha regolarmete pagato il canone mensile di locazione. In questo modo si è posto in essere un vero e proprio contratto di locazione. L’unico problema che può generare un contratto “orale” (come quello da voi concluso), è, tuttavia, la difficoltà, per la parte che vuole dimostrarne l’esistenza, di offrire la prova dell’avvenuta sua stipulazione. ll contratto, infatti, deve essere registrato dal proprietario (denominato “locatore”) presso l’Ufficio del Registro, non soltanto per regolarizzare l’operazione dal punto di vista fiscale, ma soprattutto per rendere il contratto di locazione opponibile ai terzi: in sostanza, la registrazione garantisce l’inquilino rispetto ad altri che pretendano di avere dei diritti sulla casa. L’art. 1599 c.c., infatti, a questo proposito parla chiaro: “Il contratto di locazione è opponibile al terzo acquirente solanto se ha data certa anteriore alla alienazione della cosa…Le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione”.

Tale norma intende proprio tutelare la posizione del conduttore, tutte le volte in cui nella titolarità del bene possa subentrare un terzo che pretenda di vantare diritti sullo stesso. A tale scopo, peraltro, la Corte di Cassazione ha ritenuto che sia necessario l’atto scritto, essendo irrilevante la conoscenza della locazione da parte dell’acquirente; a tal fine non sono nemmeno ritenuti opponibili al terzo acquirente accordi verbali che non siano poi stati trasposti in un atto scritto. L’art. 1601 c.c., tuttavia, a parziale reitegrazione della perdita subìta dal conduttore “sfrattato”, prevede la possibilità per lo stesso di agire contro il locatore per ottenere il risarcimento del danno patìto a causa della mancata opponibilità del contratto al terzo, essendo un obbligo del proprietario quello di assicurare l’attuazione del vincolo assunto.

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diritto

l’appartamento più piccolo di quello pubblicizzato

Buonasera. Ho formalizzato in data 08/10/2007 una proposta irrevocabile di acquisto di un appartamento sito in Genova (corrispondendo a titolo di caparra euro 2500), di cui avevo letto la pubblicità in un sito internet specializzato per la vendita delle case. Qui veniva indicata una metratura di 68 mq per un corrispettivo di 141,500 €. Dopo aver visionato l’appartamento, sottoscrivevo la proposta (comprensiva inoltre della piantina in scala dell’appartamento). Successivamente, dopo aver fatto controllare la pianta da un geometra, mi avvedevo che la stessa non presenta la metratura promessa, ma più o meno 7 metri quadrati in difetto. Premesso che nella proposta è presente la clausola “così come visto e piaciuto”, è legale vendere un bene pubblicizzato in internet (di cui ho salvato la pagina web) e anche nella stampa specialistica, promettendo una metratura e poi in realtà vendere l’immobile ad una inferiore, facendo leva sulla buona fede dell’acquirente che al momento della visione non ha la possibilità di poter realmente riscontrare la metratura reale dell’immobile? Non è una clausola vessatoria? Non si tratta di pubblicità ingannevole? Grazie della disponibilità. SANDRO (mail)

In merito al primo quesito, si definiscono vessatorie le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, oppure sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, proroghe o rinnovazioni tacite del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria. Nel caso in cui ci si riferisca ad un contratto stipulato tra professionista e consumatore (art. 1469-bis e ss. c.c.) che ha per oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Pertanto, è da escludere il richiamo a tale disciplina, non essendo possibile considerare l’accaduto riconducibile alle condizioni che integrano le clausole vessatorie.

Per quanto riguarda il secondo dei due quesiti, la pubblicità ingannevole è un atto contrario alla correttezza professionale, in quanto induce in errore il consumatore, influenzandone le decisioni mediante informazioni false o il mancato apporto di informazioni rilevanti. In caso di pubblicità ingannevole è necessario decidere se essa abbia causato un danno al consumatore. La pubblicità ingannevole, disciplinata nell’ordinamento italiano dal d.lgs. 145/2007 (disciplina relativa alla tutela del professionista) e 146/2007 (che aggiorna il Codice di Consumo negli artt. da 18 a 27) è quella che, “in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente”. L’art. 21 del medesimo codice stabilisce che “per determinare se la pubblicità sia ingannevole se ne devono considerare tutti gli elementi”, tra cui, in particolare, il prezzo o il modo in cui questo viene calcolato. La competenza è dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) che, oltre a definire quali sono i casi di pubblicità ingannevole, deve intervenire per la cessazione di questa.

In concreto, in qualità di consumatore, potresti richiedere la risoluzione del contratto, dal momento che il bene che ti è stato consegnato non è conforme a quello indicato nel contratto di vendita. La sanzione amministrativa che potrà essere emessa a carico dell’operatore che ha pubblicizzato in maniera errata l’appartamento potrà andare da 10.000€ a 50.000€. Potresti, poi, presentare un’istanza all’Antitrust, indicando il sito e la pagina (che hai prudentemente conservato) contenente la pubblicità dell’appartamento; l’Autorità, accogliendo il ricorso, ordinerà la cessazione della pubblicità ingannevole, eventualmente disponendo anche la pubblicazione della pronuncia.

Al di là di questo aspetto, in ogni caso, il nostro codice civile tutela le tue ragioni, stabilendo che se il promittente venditore offre un bene la cui consistenza materiale e giuridica non corrisponde a quanto pattuito, il promissario acquirente può esercitare l’azione di riduzione del prezzo, richiedendo al giudice di fissare un prezzo inferiore a quello pattuito con il preliminare. L’azione di riduzione del prezzo configura un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni, uno strumento per riequilibrare i termini dello scambio e per far sì che la volontà espressa dai contraenti nel preliminare sia fedelmente riprodotta, negli stessi termini qualitativi e quantitativi, al momento della stipula del definitivo.

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