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Due aziende invece di una: che fare?

ho fatto causa per licenziamento ingiusto,la causa comprende 2 aziende separate sotto i 15 dipendenti, nel procedimento con documenti e testimonianze si e provato che le 2 aziende in realta ne sia una,il 12 febbraio esce la sentenza. nel frattempo visto come si sono messe le cose la controparte ha provveduto a chiudere per fallimento una delle aziende cioe quella dove io ero assunto.ha obbligato gli operai restanti alle dimissioni per poi aprire um altra azienda sempre a suo nome.cosa succede in caso positivo ne risponde l azienda restante?

Stai facendo a mio giudizio un po’ troppa confusione e non descrivi purtroppo nemmeno il caso in maniera sufficientemente dettagliata, cosa peraltro non facile per chi non conosce il diritto e la pratica giudiziaria.

Tu, comunque, eri dipendente di un’azienda specifica. Da quanto mi pare di capire, il tuo avvocato ha, intelligentemente, tentato di dimostrare che questa azienda, di cui era dipendente, era comunque «collegata» ad un’altra azienda, formalmente indipendente, ma che tuttavia formava un tutt’uno con la prima, con la conseguenza che ci sarebbe stata una sorta di simulazione e dissimulazione.

Questo può essere benissimo, è una cosa che nella pratica purtroppo accade, ma la cosa importante da capire è che: finché non sarà uscita la sentenza e finché la sentenza non avrà ufficialmente dichiarato tale simulazione, con ogni conseguenza di legge, non c’è nessuna prova che possa avere alcuna rilevanza e tu sei dipendente solo ed esclusivamente dell’azienda fallita.

Come dipendente dell’azienda fallita, puoi solo insinuarti nel fallimento, con un buon diritto di privilegio, cioè di precedenza rispetto agli altri creditori, e puoi chiedere l’intervento del fondo di garanzia dell’INPS.

Se, invece, sarai riuscito a dimostrare che le due aziende formalmente distinte in realtà erano un’unica azienda, forse potrai soddisfarti anche sul patrimonio della seconda, sempre che il fallimento della prima non venga esteso anche alla seconda, cosa che potrebbe benissimo capitare.

Insomma, si tratta di una situazione per nulla semplice e riguardo alla quale prima che esca la sentenza ogni discorso è purtroppo prematuro e non ha molto senso.

Leggi anche la nostra scheda sul recupero crediti, con particolare attenzione al concetto di solvenza.

In conclusione, devi aspettare la sentenza, che sarà il punto di riferimento più importante per la gestione della situazione. Nel frattempo, se vuoi approfondire ulteriormente, valuta di acquistare una consulenza, anche se non credo proprio che, per quanto ti ho spiegato, possa valerne la pena.

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La simulazione di una compravendita può risultare dall’atto stesso?

volevo sapere se un atto pubblico notarile anni ’70 con la presenza di 2 testimoni, inizialmente di donazione, può trasformarsi in atto di vendita tramite opportune postille inserite a fine atto dal notaio che sostituiscono parole chiave come “dona” con “cede” o “accetta” con “acquista” o “donazione” con “vendita”. Queste sostituzioni avvengono in tutti i punti elenco presenti nell’atto fino al 4) compreso, dal 5) in poi il testo dattiloscritto diventa coerente con un atto di vendita. La cosa che mi fa sorridere (sembra palese la donazione trasformata al volo in vendita simulata) è che il punto 6) riporta:”Il prezzo della vendita è già stato versato alla cedente …”, ovvero in data xxx si voleva fare una donazione (presenti 2 testimoni) ma poi viene fuori che ti ho pagato tot. qualche giorno fa e facciamo una compravendita. Con un atto del genere è possibile provare una donazione dietro vendita simulata?

Come ho già scritto centinaia di volte, non ha proprio senso fare domande per lo più a cazzo di cane come questa, quasi completamente isolate dal contesto di riferimento.

Il diritto non vive di regole generali e astratte, applicabili sempre e comunque, ma dell’analisi il più approfondita possibile del caso cui queste regole devono essere applicate.

Questo, se è vero in generale, è ancor più vero in una situazione particolarmente delicata come questa, in cui si tratta di valutare addirittura l’eventuale simulazione di un contratto di compravendita.

È evidente che la prima cosa che si deve fare per poter interpretare un contratto è leggerlo nella sua interezza, dopodiché andrà «contestualizzato» nella situazione personale e familiare in cui è maturato, tutti elementi che in questo caso non è possibile conoscere.

In conclusione, si può dire solo, in generale, che sicuramente la dimostrazione dell’avvenuta simulazione si può rivenire anche dal contesto del negozio stesso, ma occorre che gli elementi siano univoci e concordanti: le postille sono ammesse e di per sé non sono indice di nulla, perché le parti possono cambiare idea, il notaio aver capito male e così via.

Occorre pertanto una valutazione molto più approfondita.

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Posso dimostrare di aver pagato un prezzo più alto per il mio immobile a scopo di risoluzione dell’acquisto?

dopo 9 anni che ho comprato casa decido di rivenderla, ma il mio geometra riscontra gravi vizi urbanistici tali da non poter commerciare l’immobile. Sul contratto di compravendita ho dichiarato una cifra minore di quello che ho realmente pagato, anche se la cifra reale compare sul contratto di compravendita preliminare e sulla perizia fatta dal suo geometra al momento della vendita. Il problema è che ho perso la ricevuta del bonifico fatto ad ora circa 13 anni fa…e la banca ha cancellato ogni traccia di questo bonifico, causa prescrizione. Posso richiedere l’annullamento del contratto e la cifra per intero? Può il contratto preliminare da solo dimostrare che ho pagato + del dichiarato?

Quello che avete fatto si chiama simulazione relativa del contratto.

Avete dichiarato un prezzo inferiore a quello reale per scopi di evasione fiscale, scopi pertanto nemmeno legittimi.

Si tratta, peraltro, di una prassi di fatto molto diffusa nel nostro paese, addirittura mi pare che la Cassazione in una sentenza ne parli come di «fatto notorio».

Ad ogni modo, la regola posta dal codice civile è che la simulazione, tra le parti del contratto, può essere dimostrata solo per iscritto, con la famosa controdichiarazione, mentre non può essere dimostrata in altro modo.

Il contratto preliminare, a mio giudizio, non può essere questa prova, perché il preliminare si risolve ed «estingue» nel momento in cui viene fatto il definitivo, dove le parti possono benissimo negoziare condizioni diverse rispetto a quanto approvato in sede preliminare.

Diciamo che il preliminare potrebbe essere tutt’al più un indizio, ma piuttosto debole.

Il bonifico avrebbe potuto, sempre a mio modo di vedere, avere più forza come prova, ma se non sei in grado di recuperare la contabile non hai risolto niente.

Infine, per chiedere la risoluzione del contratto bisognerebbe valutare la natura e la consistenza dei vizi che hai riscontrato, anche in relazione ai termini previsti dalla legge per effettuare la denuncia degli stessi.

Ti conviene incaricare al più presto un avvocato, ci sono aspetti tecnici che non puoi assolutamente gestire da solo.

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Posso dimostrare che la vendita di una casa da mio padre a mio fratello dissimula una donazione?

il papà muore senza testamento lasciando 25000 di eredità ai 3 figli A,B,C.
Circa 40 anni fa il papà, tramite compravendita fittizia (da dimostrare), aveva ceduto la sua casa a A (valore oggi 160000), dove da allora abita. B,C quindi all’apertura della successione devono accettare l’eredità con beneficio d’inventario e anche proporre un’azione di simulazione della compravendita con domanda di riduzione (ripristino legittima) per usufruire della prova per testimoni.
Ma la domanda di riduzione fa decadere l’accettazione beneficiaria trasformandola in semplice e impedendo l’azione di riduzione.
Di fatto B,C perdono la possibilità di avere quanto gli spetta o sbaglio? Come si esce da questo loop…? Ovvero esiste un iter (sequenza cronologica) corretto per garantire la legittima a B,C con prova per testimoni in questa situazione?

La prima causa che devono fare B e C, se vogliono coltivare la posizione, è quella di simulazione, cui, solo se vittoriosa, potrà conseguire quella di riduzione.

Il divieto di provare la simulazione per testimoni, previsto in generale per evidenti motivi per le parti di un contratto, che possono pertanto farlo solo tramite la famosa controdichiarazione scritta, non vale per gli eredi delle parti, che a tale fine sono considerati terzi.

Almeno così sembra ragionare la giurisprudenza, secondo cui i legittimari assumono la qualità di terzi ex art.1417 cod. civ. in quanto si attivano per la realizzazione di un diritto proprio: in questo senso Cass. Civ. Sez.II, 6031/95; Cass. Civ. Sez. II, 20868/04; Cass.Civ. Sez.II, 9956/07.

Non c’è dunque nessun loop, ma è un percorso piuttosto lungo e impegnativo e dove non c’è alcuna garanzia di risultato, per tali motivi a mio giudizio sarebbe assolutamente preferibile un approccio di tipo negoziale, sia prima che eventualmente anche dopo la notifica dell’atto di citazione.

Da verificare se le due azioni possano essere proposte in via gradata all’interno dello stesso processo per ragioni di economia processuale e anche… personale.

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Se ho intestato tutti gli immobili alla mia ex convivente che non me li ridà indietro che posso fare?

Durante la convivenza , di quattro anni, con la sua ex, mio nuovo compagno ha comprato diversi immobili. Ha pagato e continua a pagare i mutui da solo dal suo conto. Aveva intestato tutti immobili, tranne la casa di famigliare, a lei. Lasciandosi lei ha preso gia diversi beni di sua scelta. Lui non credeva urgente farsi firmare niente a proposito degli altri beni. Lei ha preteso degli alimenti. Adesso lei ha deciso di tenersi tutto. L’ avvocato di lui dice che siccome lui ha pagato tutto da un conto non cointestato non si può fare niente, tranne chiedere in dietro in soldi che lui ha versato dalla fine della convivenza in poi. Lei non ha contribuito agli acquisti. L’ avvocato del mio nuovo compagno risulta che ha fatto le sue prime esperienze di lavoro proprio con l’avvocato di lei. Vorrei capire se non esiste nessuna tutela per prevenire che lui rimane a mani vuote e vede andare i risparmi di venti anni di lavoro finire nelle mani della sua ex.

Beh, è una situazione complessa, come tutte quelle in cui si intrecciano situazioni di famiglie oramai disgregate e consistenze immobiliari, su cui si può solo dare qualche spunto generalissimo sulla base di una descrizione sommaria come la tua, mentre resterebbe assolutamente indispensabile, per poter dire di più, esaminare i contratti che sono stati conclusi e le modalità, quindi i contratti di acquisto degli immobili, i mezzi di pagamento e così via.

In generale, si può dire che quando si procede ad *intestazioni fittizie* di immobili si redige, parallelamente all’atto pubblico di compravendita, una scrittura chiamata *controdichiarazione* dalla quale risulta inequivocabilmente chi è il vero titolare del contratto.

L’errore piuttosto grave di base è stato quello di non redigere la controdichiarazione e mi sembra molto strano che il notaio a suo tempo non l’abbia suggerito, immagino piuttosto che l’abbia fatto ma che il tuo compagno abbia declinato.

L’errore è grave perché la simulazione tra le parti non può essere provata per testimoni, così dispone il nostro codice civile. Quindi può essere provata solo per iscritto. Questo perché ogni contratto potrebbe essere posto nel nulla o stravolta solo mettendo insieme dei testimoni compiacenti.

Una volta eliminata la possibilità di dimostrare la simulazione, resta solo la possibilità di valutare almeno un’azione di arricchimento senza causa, sulla base dei contratti di mutuo, oppure anche di interrompere i pagamenti lasciando che la banca creditrice si soddisfi sugli immobili dati in garanzia.

Ma per valutare queste ipotesi è ovvio che sarebbe necessario un approfondimento ben maggiore di quello che si può fare in questa sede.

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Se vendo una casa alla mia ex moglie al 25% del valore possono impugnare la vendita

La cassazione mi ha condannato a pagare 38.000 euro di arretrati di assegno di mantenimento. Io ho solo una casa al 50% con la mia ex moglie il cui prezzo di mercato é di circa 400.000 euro. Lei vorrebbe acquistarlo o alla metà del valore catastale o considerare l’appartamento occupato (da lei!!!) e quindi mi offrirebbe il 50% del mio 50% ( il 25% del valore di mercato). Le domande che pongo sono:
1- è percorribile l’ipotesi della mia ex moglie senza che un domani la mia nuova famiglia possa impugnare una vendita non “a giusto prezzo”?
2- in mancanza di accordo quali alternative può suggerirmi?

È una situazione che sarebbe necessario studiare in tutti i suoi dettagli per poter dare una risposta, ad esempio non si capisce bene se questa casa è gravata da un provvedimento di assegnazione o meno.

Inoltre, la impugnabilità della vendita dipende anche dalle formule concretamente utilizzate nel contratto preliminare ed in quello definitivo.

Direi che si possa far tutto, se trovate un punto d’incontro e vi affidate a professionisti che sanno fare il loro lavoro e tutelare le esigenze di tutti.

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Se ho intestato solo a me la casa in comune cosa devo dare a mio marito?

vorrei esporvi un problema inerente una separazione per adesso consensuale e l’assegnazione della casa coniugale. Coniugata nel 2001 , nel 2004 abbiamo deciso di comprare casa, contraendo mutuo ipotecario per 25 anni. Io faccio un part time e l’ ex coniuge un full time . Il mio ex ha ereditato al decesso di suo padre dei debiti, ancora insoluti,( prima di contrarre matrimonio e mutuo ) quindi si è deciso per tutelare l’immobile che sia il muto ipotecario ( con garante i miei genitori ) che l’intestazione della casa sarebbe stato solo a mio nome. Le rate venivano canalizzate, cosi come entrambi gli stipendi, su un conto corrente cointestato.
In gennaio 2013, per “colpa” del marito c’è stata sentenza di separazione; e l’assegnazione della casa coniugale , già di mia esclusiva proprietà, a me e a nostro figlio minore.
Adesso lui mi chiede parte dei soldi della casa. Ha diritto a nulla?

Nel vostro caso, avete parzialmente simulato la compravendita iniziale, non facendo comparire tuo marito per non esporre la casa al pignoramento da parte dei creditori, ma egli è in realtà, come tu stessa riconosci, parte del contratto, quindi, a voler essere onesti, lui sarebbe titolare di metà della casa.

Ora, paragonare questa situazione, molto confusa e in cui i documenti formati non corrispondono allo stato di fatto e di diritto attuale, a quella in cui la casa, effettivamente intestata ad entrambi, viene assegnata ad uno solo diventa molto difficile a livello pratico.

La soluzione migliore, sia per convenienza, che per praticità e onestà, è sicuramente di tipo negoziale. Potresti ad esempio valutare di liquidargli una somma pari a quello che lui ha investito nell’immobile meno uno «sconto» da parametrare a tutte le altre circostanze di fatto. Raggiungendo un accordo, si potrebbe anche firmare una transazione per iscritto che metterebbe la casa al sicuro da eventuali future rivendicazioni.

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Come posso sapere a che titolo i miei genitori hanno dato 3 appartamenti a mio fratello?

Non parlo da 15 anni con i miei genitori e mio fratello a causa del mio divorzio: i miei sono ultra-cattolici. Al tempo mi sono trovata letteralmente per strada e in serissime difficoltà economiche: loro non mi hanno mai aiutata né si sono interessati, fino addirittura a sapermi ricoverata in ospedale per un incidente grave e ignorarmi. Io non gli ho mai chiesto nulla, ne sono uscita da sola. Ora apprendo da un conoscente che 5 anni fa hanno (non so con che formula) dato i loro 3 appartamenti e molto denaro a mio fratello, il quale potrebbe a breve metterli in un ricovero e chiedermi un contributo al loro mantenimento lì. Sono obbligata? C’è qualche modo per stabilire che non avendomi aiutato loro, non devo farlo io? E: se mio fratello non mi avviserà della loro morte, c’è qualcuno di istituzionale preposto a farlo tipo l’Agenzia delle Entrate per la successione?

Purtroppo, la prima cosa che bisognerebbe fare è invece proprio vedere con che formula sono state fatte queste cessioni, perché gli effetti giuridici sono diversissimi a seconda che si sia trattato, ad esempio, di una vendita oppure di una donazione. In casi come questi, inoltre, non è raro che si abbiano vendite simulate, con la necessità dunque di valutare anche questi aspetti.

Il primo passo che dovresti fare, dunque, è accertarti con precisione di quello che è successo, iniziando con il recuperare i contratti di cessione che, essendo stati necessariamente stipulati per atto pubblico, puoi recuperare presso i notai nei cui studi sono stati rogati.

Se non hai idea di chi possa essere stato il notaio, o i notai, devi passare prima da una visura sugli immobili presso la conservatoria. Da questa visura risulteranno le ultime vicende traslative e il nome del notaio rogante, al quale potrai chiedere copia degli atti per poi esaminarli con l’assistenza di un avvocato.

La questione degli alimenti, poi, è regolata nel senso che se c’è un donatario questi è tenuto prima degli altri obbligati a prestare il mantenimento, però prima di arrivare a questo bisogna fare tutti gli accertamenti di cui sopra.

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Che cosa fare quando il tuo capo vuole licenziarti e riassumerti tramite una cooperativa?

Sono un’infermiera di 48 anni assunta con contratto a tempo indeterminato (studi professionali) presso uno studio associato di medici di base della regione Veneto. Ho un’anzianità di servizio di 5 anni. I miei tre datori di lavoro mi hanno comunicato che intendono interrompere il rapporto di lavoro diretto con me e la mia collega per “passare” a una Cooperativa Sociale, la quale ci riassumerà. Noi continueremo a lavorare “come prima” nello studio ma alle dipendenze della cooperativa con il contratto delle cooperative sociali. Mi risulta che questo in base all’art. 126 del CCNL Studi Professionali sia un caso di “licenziamento simulato”. Ci hanno anticipato che dovranno chiederci di dare le dimissioni in questo modo potremo essere riassunte dalla cooperativa mantenendo lo stesso trattamento economico, ma è tutto molto fumoso. Come mi devo comportare? Rifiutare le dimissioni? Farmi licenziare e poi riassumere? Lo studio è piccolo e fino ad ora i rapporti sono stati buoni.

L’art. 126 del contratto collettivo nazionale per i dipendenti degli studi professionali prevede quanto segue: «Il licenziamento del lavoratore seguito da nuova assunzione presso la stessa sede di lavoro deve considerarsi improduttivo di effetti giuridici quando sia rivolto alla violazione dei diritti del lavoratore e sempre che sia provata la simulazione. Il licenziamento si presume comunque simulato – salvo prova del contrario – se la nuova assunzione viene effettuata entro un mese dal licenziamento».
Quindi un minimo di tutela per i casi come il tuo è prevista, anche se l’onere di dare comunque la prova della simulazione suscita un po’ di perplessità, anche a fronte dell’eventualità che il nuovo contratto venga redatto, come non mi stupirei se avvenisse, in modo da creare una parvenza di verosimiglianza, ad esempio indicando come sede di lavoro, almeno sulla carta, una diversa unità produttiva.
Bisogna, d’altro canto, guardare in faccia la realtà: con questa operazione i tuoi datori non ti danno assolutamente qualcosa in più, né ti mantengono nella stessa posizione di prima: se passi, da dipendente quale sei ora, a lavorare per loro come socia di una cooperativa sociale può anche darsi che tu mantenga lo stesso stipendio a fine mese, ma perdi molti diritti, ad esempio sei molto meno tutelata da ipotesi di licenziamento «effettivo», e probabilmente anche ulteriori e diversi trattamenti economici ne saranno intaccati, come quello pensionistico, visto che la contribuzione non è certamente corrispondente (ma di questo, ovviamente, ti accorgerai solo in futuro).
Detto questo, non mi sento nemmeno di gettare completamente la croce addosso ai tuoi datori di lavoro che stanno facendo quello che purtroppo fanno molti altri datori in questo periodo, dando luogo al più vasto fenomeno di precariato che si sia mai avuto in Italia dal secondo dopoguerra. Alcuni di questi datori vi sono veramente costretti, nel senso che se non riuscissero a trovare forme di inquadramento alternativo dovrebbero sopprimere il posto di lavoro, altri semplicemente se ne approfittano.
Alla fine di tutto, io ti consiglierei di parlare apertamente e con chiarezza con i tuoi datori di lavoro. Nelle piccole realtà economiche come sono generalmente gli studi professionali si è un po’ tutti, in una certa misura, sulla stessa barca. Ovviamente, poi, dovrai fare anche valutazioni di stretta convenienza, perché se è vero che con questa operazione ti stanno togliendo alcuni diritti, è anche vero che non ci sono molte alternative in un periodo come questo, anche se la professionalità dell’infermiere è abbastanza richiesta.

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come si possono valutare le probabilità di ottenere il riconoscimento di un lavoro dipendente?

Laureato in informatica, dipendente con contratto a tempo indeterminato (commercio) in una società di consulenza informatica (spa), attualmente consulente come programmatore presso una grande azienda da 10 anni (voglio dire che da 10 anni lavoro presso questa grande azienda come se fossi un loro dipendente). Chiedo se ho diritto a intentare una causa per lavoro presso questa azienda e quante probabilità ho di vincerla.

Posta in questo modo, la domanda non può condurre assolutamente a niente. Per vedere se un rapporto d’opera, o di consulenza, dissimula in realtà un rapporto di lavoro subordinato della cui esistenza si possa chiedere l’accertamento ad un giudice, bisogna proprio esaminare in dettaglio le modalità con cui è sempre stato svolto il lavoro. Bisogna, ad esempio, vedere se c’erano vincoli di orario, con anche, sempre ad es., cartellini da timbrare, superiori, una vera e propria subordinazione o, al contrario, libertà ed autonomia nello svolgimento delle prestazioni. È necessario, in altri termini, esaminare che cosa faceva il «lavoratore» dal mattino in cui entrava in azienda (se entrava, ovviamente) alla sera in cui se ne andava e con quali modalità. Una volta fatto questo importante lavoro preliminare di approfondimento, si può esprimere un giudizio generale circa la sussistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato, ma mai esprimere con precisione le probabilità di vittoria in una causa, perché, specialmente in materie «liquide» come questa, ci sono troppe variabili. Un avvocato serio ti può dire semplicemente se è meglio lasciar perdere o se «ci sono possibilità» di vittoria, questo secondo caso sarà quello in cui la tua situazione non appare infondata, ma ci sono discreti elementi a tuo favore. Ma più di questo non sarebbe corretto, né utile.