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Fallimentare: il vecchio libro dell’Università.

Fallimentare: il vecchio libro dell’Università.

A volte, ho bisogno di riprendere fuori i libri dell’Università, quasi 30 anni fa ormai, per alcune cose che devo approfondire per gli atti che scrivo nella professione.

Questo libro, poi, era vecchio già allora, ma il professore non voleva sentire ragioni, dovevamo studiare su questo.

Tra l’altro era fuori catalogo, non si poteva ordinare da nessuna parte. Ricordo che ebbi la fortuna di trovarne una copia presso una libreria di testi usati di Bologna, mi pare si chiamasse Tinarelli, non so se esiste ancora.

Aveva qualche evidenziazione molto scarsa, ma era utilizzabile.

Purtroppo, all’epoca feci l’errore di sostenere questo esame prima di quello di procedura civile e così diverse cose purtroppo mi
sfuggirono, sarebbe stato preferibile fare l’inverso.

Ad ogni modo l’esame andò bene, presi 30, insieme ad una mia amica che adesso fa la dirigente nella pubblica amministrazione.

Incredibile quante cose ti può fare venire in mente un vecchio libro.

Tra l’altro ho risolto anche il problema per cui l’avevo preso in mano, cioè controllare se per le azioni immobiliari nel concordato preventivo si applica o meno l’art. 24 della legge fallimentare, con conseguente competenza funzionale, e inderogabile, del tribunale fallimentare: non si applica.

Un avvocato conosce appena il 5% del diritto: il resto della sua professionalità consiste nel sapere sempre dove andare a cercare la parte che gli manca.

Buono a sapersi, perché devo mandare via un atto di citazione in questi giorni.

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Avvocati: facciamo anche basta lamentarsi?

Ho appena finito di parlarti di avvocati in difficoltà, dignità della professione forense, lamentele inutili in questo post che ha già avuto molto successo e che ti invito di nuovo a leggere attentamente, che compare questa «lettera», sul Corriere della Sera del 17 maggio 2018 scorso.

Vale la pena di commentarla, perché è un eccellente esempio di un altro avvocato che, a mio giudizio, non ha, almeno in questo caso, capito bene le vere cause dei suoi problemi e di atteggiamento sbagliato per tentare di risolverli.

Non so te, io rimango sempre davvero molto perplesso davanti a lettere e atteggiamenti come questi, specialmente perché provengono da persone che, disponendo di titoli, abilitazioni e percorsi scolastici di successo, dovrebbero avere in teoria qualcosa di particolarmente ben funzionante tra le orecchie…

Vediamo però di nuovo cosa c’è che tocca in ragionamenti del genere, richiamando alcuni concetti di base, anche al limite della brutalità, per chiarire certi aspetti il meglio possibile una volta per tutte.

Il lavoro è un prodotto.

Il lavoro, innanzitutto, è un prodotto, esattamente come tutte le altre cose che fanno parte del mondo dell’economia.

Questo vuol dire che tu puoi avere fatto studi brillantissimi, avere superato ogni cosa col massimo dei voti, avere tre master, sei, persino dodici, quattro lauree, ma se non sei utile alle persone o alle aziende nessuno è disposto a compensare quello che fai.

Pensi di essere sottopagato? Comunque ti stanno pagando una somma che è la misura dell’utilità del tuo lavoro per loro che ti pagano, in relazione alla possibilità di averlo da altri tuoi «concorrenti» nel caso in cui tu non sia più disposto a darlo.

È ingiusto?

Io lo trovo giustissimo, anzi uno dei tanti segni della logica che c’è nel disegno di Dio.

Sei utile agli altri? Ti pago. Non servi a un cazzo? Mi dispiace, non ti pago.

Il problema del nostro Paese, tutto all’opposto, è proprio che a volte si pratica il contrario, si erogano stipendi, retribuzioni, prebende, privilegi a gente che non è produttiva sotto alcun profilo.

Voglio che ti ficchi bene questo concetto nella zucca.

L’Università non serve per il lavoro.

L’Università non serve a rendere il tuo lavoro produttivo. Può essere tutt’al più un misero punto di partenza, soprattutto quando costituisce un titolo che ha valore legale, ma dopo ci devi costruire sopra molto di più e – no, mi dispiace – non certo prendendoti seconde o terze lauree e nemmeno dei master.

Dopo, se vuoi acquisire competenze e professionalità utili alle persone e alle aziende, devi imparare delle cose che – guarda un po’ – non si studiano a scuola, perché l’alta formazione, quella vera, e necessaria, alla scuola pubblica e all’università italiane non le trovi.

L’università ti serve per la tua cultura personale, per la tua formazione come persona, come uomo, come donna.

Se hai creduto che ti facesse diventare una persona il cui lavoro sarebbe stato per ciò stesso richiesto sul mercato, allora non hai capito un cazzo né della formazione né del mondo del lavoro.

Tutto questo – sia chiaro – vale sia a Roma, che a Milano, che al Sud che in qualsiasi altra parte di questo universo; magari non vale in altri universi paralleli, ma in questo funziona così.

L’Italia non deve niente a nessuno.

«Per quale motivo l’Italia rinnega i propri giovani?»

Ma l’Italia non ti deve davvero un cazzo.

Stiamo parlando di lavoro.

È tua responsabilità investire su te stesso, sulla tua formazione, sul modo in cui organizzi la tua azienda o il tuo studio in modo da renderli utili e funzionali per la gente.

Ma me lo spiegate perché, quando uno sta parlando dei compensi che vorrebbe ricavare dallo svolgimento del proprio lavoro, si lamenta dell’Italia e non pensa invece a rendersi utile agli altri, che è il primo indispensabile passo per potersi collocare sul mercato e ottenere dei ricavi?

Non vorrei parlarmi addosso, ma io ad esempio anni fa, faccio un esempio solo, tra i mille che potrei fare, mi sono messo a pensare come avrei potuto dare chiarezza sui costi dei servizi legali alla gente – cosa che rappresentava un problema molo sentito del settore – e mi sono inventato i contratti flat, con cui una persona o una azienda finalmente, quantomeno su base annuale, possono avere certezza sui costi legali.

E da lì ho guadagnato bene. Ma prima di guadagnare ho dato qualcosa.

Non ho lanciato maledizioni al mio Paese, che non c’entra niente: ma insomma voi quando andate a lavorare tutte le mattine ci andate per cercare di fare qualcosa di utile o ci andate per lamentarvi che voi sareste bravissimi e utilissimi però l’Italia non funziona e allora niente?

Di cosa stiamo parlando?

È arrivata la bella figa 🙂

«Eppure ho capacità, presenza e i titoli che mi permetterebbero un lavoro ben pagato».

Titoli: abbiamo già visto che non servono a un cazzo. Il lavoro è un prodotto, se è utile vale e viceversa.

Presenza: ma chi sei, una bella figa? Cioè io ti dovrei pagare e affidarti i problemi legali della mia azienda perché poi arrivi te e Gabriel Garko famme na pippa? Ma di cosa stiamo parlando?

Capacità. È l’unica parola che possa avere un senso. Di nuovo però il lavoro è un prodotto e, come tutti i prodotti, ha bisogno di lead generation. Quindi le capacità innanzitutto ci vogliono, poi ci vogliono sistemi o canali di lead generation. Altrimenti stiamo parlando di nuovo del nulla.

«È normale che un giovane come me abbia questi problemi nel chiedere (e aspettarsi) una retribuzione dignitosa e ragionevole?»

Per i motivi che ti ho già spiegato, è così che funziona il mondo, compreso quello del lavoro, ed io lo trovo persino giusto, anzi giustissimo.

Perché si dovrebbero dar soldi alle persone solo perché hanno delle lauree ma non sono utili agli altri?

Quello che, a dire la verità, non trovo normale io è che una persona che ha goduto di borse di studio, superato brillantemente gli studi e l’esame di abilitazione alla fine dei conti non arrivi a voler capire ed accettare queste cose che persino chi ha studiato alla famosa università della vita capisce molto bene.

L’importante è dare la colpa a qualcosa?

«Vorrei che questa storia venisse raccontata per dare voce a tutti quei ragazzi che, come me, non sono figli di professionisti, non appartengono a famiglie facoltose, sono privi di conoscenze importanti e vengono da un Sud che esclude e non dà opportunità: non tutti hanno almeno la fortuna d nascere e crescere in città come Roma e Milano».

Con questa conclusione, abbiamo di fronte a quanto pare l’ennesima persona che non solo comprova di non capire, almeno in questa occasione, quali sono le reali cause dei suoi problemi – e questo, da chi aspirerebbe ad essere un professionista, cioè una figura che sta sul mercato per dare consigli a privati e aziende, è particolarmente significativo – ma si occupa della sua situazione solo, in fondo, per lamentarsene.

Esattamente come ho descritto nel mio post già richiamato, dove ho parlato proprio di chi adduce come scusanti per il proprio mancato successo i clienti che non pagano, le tasse, la cassa, e preferisce trascorrere il suo tempo a lamentarsene anziché svegliarsi, capire quali sono le reali problematiche e iniziare a lavorarci davvero sopra.

Io sono figlio di due impiegati, non vengo affatto da una famiglia facoltosa o con conoscenze importanti, ma la gente mi cerca e mi paga per il semplice fatto che sono in grado di dare solo un servizio utile e che, per questo servizio, svolgo tutti i giorni attività di lead generation.

Tutto il resto sono cazzate.

Cosa vuoi fare?

E tu?

Vuoi stare a lamentarti con Tony o vuoi stare con me ad investire su te stesso e cercare di prendere in mano efficacemente la tua vita?

Se vuoi stare con Tony, mandagli una mail al suo smaltante indirizzo at hotmail.it. Fondate un’associazione e magari chiedete all’Italia un reddito di cittadinanza speciale per avvocati di bella presenza delusi dal kattivoh mercato.

Se vuoi stare con me, invece:

  • iscriviti subito alla newsletter o al gruppo telegram. Così non perderai altri articoli come questo. Non ti preoccupare, gli articoli sono sempre solo uno al giorno, dal lunedì al venerdì;
  • dai un’occhiata alla nostra campagna per la ricerca di nuovi autori e, se credi, mandami la tua candidatura, la vaglierò con piacere.

E… se tu sei Tony, l’invito vale anche e soprattutto per te.

Sono certo che sei una persona con delle vere capacità, semplicemente non hai mai incontrato nessuno che ti abbia proposto certe riflessioni che invece sono quelle che ti potrebbero a mio modo di vedere servire.