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Dopo la CTU preventiva 696 bis cpc: ci sono decadenze?

E’ stato presentato un ricorso di ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO art.696 bis c.p.c.per l’accertamento di danni in un appartamento in condominio.Il CTU dopo aver esperito tutte le fasi procedurali previste anche quelle conciliative conclusosi con un accordo tra le parti (ma di fatto mai conclusosi del tutto per l’inerzia dell’amministratore) ha presentato la sua relazione documentando sia i danni rilevati che la transazione non andata a buon fine del tutto . Domando se il giudice deve validare con un suo atto la perizia depositata e, se questa sia vincolata da termini prescrittivi per iniziare un processo di risarcimento dovuto a infiltrazioni di acqua nelle fondamenta come ampiamente documentato da un Ing, e da un Geologo nominati dalla controparte ( condominio).

Il procedimento ex art. 696 bis cod. proc. civ. si conclude con il deposito dell’elaborato da parte del tecnico nominato dal giudice e non con un provvedimento da parte del giudice, perché non è un procedimento di merito, che si conclude con una sentenza, ma una procedura di mero accertamento ed eventuale conciliazione.

Bene ha fatto il CTU, non essendosi formalizzato l’accordo, per una ragione o per l’altra, a depositare il suo elaborato.

Certamente che ci sono dei termini di prescrizione e/o decadenza, anche perché con il deposito dell’elaborato scatta il termine ultimo di conoscenza ufficiale dei vizi e dei problemi sulla cosa oggetto di discussione, cioè non si può ovviamente sostenere, dopo che è stata formata questa relazione, che non si fosse a conoscenza degli stessi.

Il termine è variabile e dipende sia dalle circostanze che dall’inquadramento giuridico della situazione e più in particolare dal tipo di contratto o figura negoziale sottesa alla situazione.

Nella pratica, io solitamente aspetto due o tre mesi al massimo, cosa che mi mette al riparo da tutti i termini postulabili dopodiché procedo con il giudizio di merito.

In molti casi la decadenza si verifica dopo un anno dal deposito dell’elaborato. Personalmente, mi è capitato di eccepirlo ad un condominio per conto di un costruttore che mi aveva conferito mandato: a seguito dell’eccezione il condominio non ha più potuto intentare alcuna azione di merito.

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Responsabilità medica o malpractice: come agire?

Nell 2010 sono stato sottoposto in ospedale comunale a una biopsia escissionale laparoscopica per sospetta linfoadenopatia pelvica. Durante l’intervento avviene la lesione dell’uretere inglobato in uno degli linfonodi interessati da linfangite neoplastica e lo si converte in laparotomia, cioè in normale intervento chirurgico, allestendo la ureterostomia in attesa di effettuare una futura riparazione. Dopo una chemioterapia con esito positivo per un anno e mezzo sono costretto di vivere e lavorare (sono responsabile commerciale) con forte disagio della ureteroscopia applicata al mio rene destro, che perdo durante successivo intervento di riparazione alla fine di dicembre 2011. Adesso mi trovo con una l’invalidità parziale e un ernia postoperatoria lasciatami ed ancora da sistemare. Se fossi sottoposto alla chemio dopo una biopsia andata bene sarei adesso perfettamente sano, con due reni funzionanti. Posso ancora chiedere un risarcimento e come dovrei procedere?

La prescrizione delle azioni per il risarcimento del danno è duplice: di cinque anni, per quella aquiliana o da fatto illecito, pertanto già spirata, e di dieci anni, per quella contrattuale. Puoi dunque ancora esercitare la azione di responsabilità contrattuale. Solitamente, quando si intenta causa per un problema di questo genere di esercitano, per sicurezza, entrambe le azioni anche perché ognuna è sottoposta a condizioni e regole diverse, anche in tema di onere della prova, ma puoi, se credi, anche agire sulla base della sola responsabilità di tipo contrattuale.

La prescrizione per l’azione aquiliana potrebbe essere più lunga qualora nel fatto in questione fosse ravvisabile un reato – di lesioni, ovviamente – e a determinate condizioni definite, man mano, dalla giurisprudenza a seconda della presenza o meno di una denuncia querela o meno, anche se non in modo del tutto univoco. Questa è tuttavia una indagine che probabilmente non vale la pena di fare, sia perché a naso condurrebbe ad una risposta più facilmente negativa che positiva, sia perché, residuando l’azione contrattuale, non c’è bisogno di sperticarsi per resuscitare azioni di cui non si ha la stretta necessità.

Ciò chiarito, prima di fare qualsiasi cosa, il primissimo passo è quello di acquisire una consulenza medico legale: occorre cioè il parere tecnico e qualificato di un medico legale che, valutato il caso alla luce dell’andamento dei fatti e delle norme applicabili, stabilisca se il danno che hai oggettivamente subito è ascrivibile a responsabilità dei medici o, invece, no, come ad esempio nel caso in cui ci sono sì danni, ma questi rientrano nelle complicanze normalmente prevedibili per interventi del genere.

L’attività chirurgica, infatti, è per se stessa un’attività tipicamente pericolosa, ad eccezione probabilmente degli interventi routinari, come ad esempio l’appendicectomia, dove sia pur utilizzando le regole di comune prudenza e i dettami della scienza medica, il paziente può comunque riportare un danno, che però non è «colpa» dei sanitari, ma del fatto che si è andati ad intervenire in situazioni che sono già di loro rischiose.

Questa prima valutazione la può fare solo un medico legale serio, competente, preparato ed onesto. Non ho usato a caso questi aggettivi, ognuno di essi corrispondente ad un requisito fondamentale, la ricorrenza del quale farai bene ad accertare nel momento in cui conferirai incarico, perché si tratta di caratteristiche niente affatto scontante per chi si rivolge ad un professionista in Italia. Ovviamente, lo stesso discorso vale anche per gli avvocati, i commercialisti e così via.

Se un bravo medico legale dirà che nel tuo caso c’è effettivamente responsabilità, e dunque «colpa», dei sanitari che ti hanno operato nel danno che hai riportato, il medico legale stesso tratteggerà una quantificazione del tuo danno, esprimendolo in punti percentuali, come danno biologico, invalidità temporanea e permanente.

A questo punto, la palla tornerà in mano al tuo avvocato di fiducia che, come primo passo, invierà una diffida con la richiesta di risarcimento ai sanitari che sono intervenuti e alla struttura all’interno della quale sei stato operato, se del caso.

In molti casi, sia i sanitari che le strutture sono titolari di un apposito contratto di copertura assicurativa, per cui molto spesso il passo successivo è quello di instaurare e condurre una trattativa con la compagnia di assicurazione tenuta per la responsabilità civile dei medici.

Nel caso in cui non si giungesse ad un accordo al riguardo, noi di solito procedimento con il deposito di un ricorso ex art. 696 bis cod. proc. civ. e cioè con un ricorso per CTU preventiva, per maggiori dettagli sul quale ti rimando alla relativa scheda.

Ma qui dipende dalla situazione e dalle motivazioni per cui l’accordo che viene proposto non è ritenuto soddisfacente, sono valutazioni che si fanno con l’aiuto del proprio legale di fiducia.

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Ricorso per CTU preventiva: è meglio della mera trattativa?

il mio Avvocato mi avrebbe consigliato un ricorso ex art. 696 bis c.p.c. in quanto l’assicurazione della persona che mia ha investito ormai il 29/08/2012, mi ha risarcito una somma incongrua, considerando i conteggi fatti, la perizia di parte, il lucro cessante, l’inabilità totale parziale temporanea ed assoluta e inoltre considerando che nell’incidente la polizia stradale mi ha dato totale ragione. La mia domanda è sapere se la conciliazione che può chiedere il CTU, non la possa tentare, in primis il mio Avvocato; lui a questa mia domanda risponde: “Non credo che sia possibile una preventiva mediazione (tramite società autorizzata)”

La conciliazione del legale e quella del CTU sono due cose completamente diverse.

Quella che può tentare di svolgere un avvocato è solo una trattativa con il legale avversario, all’insegna del dialogo, dell’approfondimento in comune e sempre che si riesca ad instaurare un clima con un minimo di buona fede tra i legali.

Di solito, ogni legale in ogni pratica che tratta svolge un tentativo di conciliazione, o una trattativa, di questo genere, per prassi, convenienza, praticità, ma non sempre, nonostante ogni miglior impegno, ci sono i presupposti per raggiungere un accordo.

Una cosa diversa rispetto al ricorso 696 bis che potrebbe fare il legale è la mediazione facoltativa, che sarebbe il tentativo di mediazione svolto presso un organismo di mediazione autorizzato dal ministero, ma in materia in cui la mediazione non è obbligatoria.

Questi tipi di mediazione sono praticati abbastanza spesso nel nostro studio e devo dire che i risultati sono abbastanza buoni, specialmente in situazioni che prima erano difficili da sbloccare.

Tuttavia nel caso di un sinistro stradale, dove la contestazione è peraltro, se ho ben capito, più sul quantum che sull’an del risarcimento, a mio giudizio non conviene affatto la mediazione, molto meglio, come consiglia il tuo avvocato, la CTU preventiva, dove un tecnico nominato dal presidente del tribunale non solo avrà il compito di tentare la conciliazione ma, qualora la conciliazione non dovesse riuscire, effettuerà anche una valutazione scritta dell’ammontare del tuo danno, con una perizia che potrai usare nella successiva causa civile, in caso la questione non si componesse nemmeno dopo il deposito della stessa.

Per questi motivi, mi sembra azzeccato il consiglio del tuo avvocato.

Ti consiglio di leggere attentamente la nostra scheda dedicata alla CTU preventiva.

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Delibera condominiale e ATP: come è meglio muoversi?

un condomino ha chiesto un ATP per problemi di infiltrazioni, affermando una responsabilità del condominio. Il giud.ha fissato l’udienza “riservandosi la nomina di CTU e alla fissazione dell’udienza, per il conferimento dell’incarico e la formulazione dei quesiti all’esito del contraddittorio” Quali obblighi abbiamo come condominio: è necessario nominare un CTP o/e avere un avvocato o può rappresentarci l’amministratore? Il CTU viene obbligatoriamente nominato a fronte della richiesta di ATP? Le spese del CTU chi le deve sostenere e, se è fattibile, a quanto ammontano mediamente? Il CTU ha l’obbligo di proporre una conciliazione? In questo caso chi ci deve rappresentare? Se non risolutiva, ho letto sopra, chi ha chiesto l’ATP deve fare comunque causa, ho capito bene? Il condomino vuole la revoca di una delibera che ha stabilito l’applicazione dell’art.1126 cc, proprio per quei problemi, in caso neg .impugnerà. A vostro avviso dovremmo revocare la delibera

È necessario, se vi volete costituire nel procedimento, come io vi consiglierei senz’altro, nominare un vostro avvocato.

Solo eventualmente, ma anche in questo caso è probabilmente consigliabile, potete nominare un vostro CTP, mentre l’avvocato è indispensabile perché si tratta di un procedimento dove la difesa tecnica è necessaria; non assumendone uno, verreste dichiarati contumaci.

L’amministratore vi rappresenterà nei rapporti con l’avvocato, che comunque rimane necessario.

La prassi utilizzata corrisponde ad una tra le più diffuse, anche nel mio tribunale di Modena il presidente, prima di nominare il CTU e formulare il quesito, attende che sia costituito il contraddittorio, cioè che anche la parte che «subisce» il ricorso abbia potuto svolgere le proprie difese, che possono riguardare aspetti molteplici e diversi tra loro, tra cui la stessa ammissibilità del ricorso, cosa eventualmente accertata la quale non avrebbe più alcun senso nominare un tecnico; a parte questioni di ammissibilità, peraltro, il resistente può formulare osservazioni utili e di cui tener conto nella formulazione dei quesiti.

Questa prassi, dunque, è sicuramente più garantista e corretta di altre, più veloci ma meno tutelanti per chi riceve la notifica di un ricorso depositato da altri.

I compensi del CTU vengono dal giudice posti a carico provvisoriamente di chi ha presentato il ricorso, significa che intanto paga il ricorrente poi a seconda del merito le spese potrebbero essere addossate al resistente che si troverà quindi a doverle rimborsare. Non ci sono ovviamente standard di riferimento quanto agli importi, specialmente senza sapere di che materia si tratta.

Per quanto riguarda la conciliazione, l’obbligo c’è nel procedimento di cui al nuovo art. 696 bis cod. proc. civ., sul quale rimando comunque alla lettura della apposita scheda relativa, ma è una buona prassi anche nel «vecchio» procedimento per accertamento tecnico preventivo, se non altro perché spesso è il miglior sistema per definire il caso.

Quanto alla natura del procedimento, si tratta di un cautelare o procedimento di istruzione preventiva che non si conclude con una pronuncia di merito, per cui chi anche si dovesse veder riconosciute le proprie ragioni in questa sede dovrebbe, in caso di mancata ottemperanza, promuovere poi una successiva causa vera e propria; anche questa è una evenienza comune, specialmente quando non si concilia, cui si provvede di solito nelle forme di cui all’art. 702 bis cod. proc. civ..

Per valutazioni circa il da farsi relativamente alla delibera condominiale, che a quanto capisco è il problema sottostante, ti sembrerà incredibile ma dovrei innanzitutto visionarla e poi capire tutte le altre circostanze del caso in cui si colloca.

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CTU preventiva: quand’è che si raggiunge una conciliazione?

a seguito di un sinistro stradale con ragione al 100%, e successiva perdita di lavoro, siamo arrivati a effettuare atp conciliativa ar t696 bis sia per la parte medico legale (che si e conciliata in sede) sia per la parte del danno economico(ove non si e conciliata in sede in quanto non si sono presentati dalla parte dell’assicurazione). le mie domande sono due…… dato che per la parte medico legale la conciliazione e andata in porto e l’assicurazione ritiene che non vuole pagare in quanto secondo loro dovrei fare causa per tutte due situazioni sia medico che economica posso fare emettere un decreto ingiuntivo solo per la parte medico all’assicurazione intanto che paghino l’atp conciliatoria e successivamente andare in giudizio per la solo parte economica?

La tua domanda purtroppo non è molto chiara e ci sono diversi aspetti che invece andrebbero visti per poter dare una risposta completa.

Tenterò comunque di dire quel che posso.

Innanzitutto, se è una procedura ex art. 696 bis cod. proc. civ. non è un’ATP, acronimo di Accertamento Tecnico Preventivo, che del resto è abbastanza desueto, ma una vera e propria CTU preventiva, uno strumento che usiamo anche noi molto spesso, per approfondimenti sulla quale ti rimando all’apposita scheda.

La parte che tuttavia non è chiara riguarda soprattutto l’avvenuta conciliazione.

In caso di conciliazione vera e propria, infatti, dovrebbe essere stato formato un processo verbale. Infatti, i commi 2° e 3° dell’art. 696 bis cod. proc. civ. prevedono che «Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione.|| Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale».

Pertanto, se ci fosse un vero e proprio verbale di conciliazione, non ci sarebbe alcun bisogno, né, probabilmente sarebbe ammissibile, di un decreto ingiuntivo, in quanto sarebbe sufficiente richiedere l‘apposizione della formula esecutiva in cancelleria.

Se questo non si può fare, può essere che la conciliazione non sia stata formalizzata e si sia semplicemente raggiunto un generico parallelismo tra le opinioni dei vari consulenti, oppure che sia stata anche formalizzata, ma sia limitata all’ammontare del danno, senza estendersi anche ai profili relativi all’an del dovuto, cioè alla debenza stessa del credito, che, per quanto a tuo giudizio scontata, se non viene messa nero su bianco impedisce che si possa parlare di una vera e propria conciliazione.

In conclusione, per capire se e che cosa può essere possibile fare sarebbe necessario consultare i verbali del procedimento.

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Infiltrazioni: è responsabile il condominio o i singoli proprietari?

Vivo in un condominio al terzo e ultimo piano, e il mio appartamento ha delle chiazze da infiltrazione di acqua. Ho provato prima a tinteggiare la parete, ma le macchie sono ricomparse. Ho chiamato l’amministratore ma mi sembra che non si stia interessando. Cosa posso fare? Penso che il problema sia del tetto o della struttura condominiale, non mio.

Il problema è purtroppo frequente. Innanzitutto, anche se ogni condòmino ha una parte in proprietà esclusiva è corretto ritenere il condomìnio responsabile, lo ha detto anche la Cassazione recentemente.

Ha riconosciuto la corresponsabilità del condominio (e non solo del proprietario del lastrico solare) per i danni da infiltrazioni d’acqua al proprietario del locale sottostante.

Come scrivevo prima, il lastrico solare può essere: condominiale, oppure destinato all’uso esclusivo di uno solo.

E’ necessario stabilire di chi sia la proprietà, del condominio o di un solo condomino.

La Corte ha stabilito che vi è responsabilità non solo del proprietario del lastrico, ma anche del condominio, dato che, se pur in diverso modo, in caso di danni sono dimostrati inadempienti dell’obbligo di custodia del lastrico. Quindi, in base a tale principio, la responsabilità di chi ha la custodia si presume e spetterà a quest’ultimo dimostrare che, in assenza dell’evento eccezionale, il danno non si sarebbe verificato.

Il primo passo per trattare questi problemi, anche per determinare le cause delle infiltrazioni e, ulteriormente, da quali parti provengono (se parti comuni o di proprietà individuale) è il ricorso per CTU preventiva, sul quale rimando alla lettura della scheda relativa.

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Tetto rifatto che presenta problemi: che fare?

sono locataria di un appartamento al quale l’anno scorso ho rifatto il tetto NUOVO! Ora succede l’incredibile (per me): l’ho affittato e da questo inverno c’è una muffa rigogliosa che appesta tutte le pareti, in alcuni punti la parete intera. Ora che è Maggio devono spruzzare l’antimuffa una volta alla settimana un pò dappertutto. Forse per la gomma che il carpentiere ha messo sotto le tegole che fa da tappo…chissà. la domanda è: visto che gli inquilini non se vanno e si lamentano (addirittura buttano via materassi e mobili elettrodomestici dicono) entro quanto tempo devo chiedergli di andarsene per sistemare prima che marcisca del tutto?

Tu non sei locataria, ma locatrice, cioè sei la proprietaria e lo hai concesso in locazione.

Ciò chiarito, non puoi sfrattare i conduttori, o locatari, solo perché devi eseguire delle opere, ma devi rispettare il contratto, cercando di eseguire le opere consentendo il parallelo godimento dell’immobile agli inquilini, altrimenti potresti trovarti a doverli anche indennizzare della loro necessità di reperire un’altra abitazione, con costi di trasloco connessi.

Più che agli inquilini, io penserei all’impresa che ha eseguito i lavori di rifacimento del danno, che, magari, non sono stati eseguiti a regola d’arte o presentano dei problemi.

Qui ci sono dei termini precisi per la denuncia dei problemi, trascorsi i quali perdi ogni diritto.

Per questi motivi, ti consiglierei di rivolgerti davvero prima possibile ad un avvocato, che possa fare la diffida o lettera con la denuncia dei problemi, e curi la pratica contro l’appaltatrice, di solito con un ricorso ex art. 696 bis cod. proc. civ. se la vertenza non viene definita prima bonariamente.

Ricordati che se non hai una polizza di tutela legale, devi compensare tu l’avvocato che incarichi, senza tante garanzie di recuperare poi queste spese dai veri responsabili, per cui chiedi sempre un preventivo.

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Infiltrazioni di acqua: come trattare il problema?

ho fatto una ristrutturazione di un magazzino ora ho fatto 3 stanze ho demolito rifatto fondamenta fatto pareti esterni e con cappotto sopra vi e un balcone di 1,5 x 16 e fino alla gronda circa 4 x 20 piano con carta catramata il problema è che ho un infiltrazione di acqua e nei muri interni s circa 1 metro x 3 e venuta fuori umidità con una schiuma bianca che poi diventa gialla posso fare causa a chi ha costruito perché l’acqua si infila nel muro.

Ovviamente, per poter accertare se questo è possibile o meno bisogna innanzitutto capire le cause concrete di questo problema.

Ma, prima ancora di questo, e per prudenza, è bene effettuare la denuncia dei vizi a chi ha eseguito i lavori, cosa per la quale ti consiglio di rivolgerti rigorosamente ad un avvocato, dal momento che in materia sono previste decadenze in cui, chi non conosce approfonditamente le leggi, rischia di incorrere.

Il primo passo, quindi, è far intanto spedire una diffida con la denuncia dei vizi, o del problema, per come appare adesso, da parte di un avvocato. Ci sono dei termini molto brevi, che variano a seconda del tipo di contratto che si ritiene essere stato concluso nel caso concreto (es. vendita, appalto, ecc.), per cui è una cosa per cui devi muoverti subito.

Dopo la diffida, e se il problema non si risolve magari con un intervento più o meno spontaneo del responsabile, il passo successivo sarebbe quello di incaricare un tuo tecnico (geometra, architetto, ingegnere civile, ecc.) di fiducia di «capire» intanto quali sono le cause del problema e stendere una breve relazione sul punto.

Questa relazione sarà poi da inviare al responsabile, con una seconda comunicazione, se del caso.

Qualora, poi, non si riuscisse ancora a definire concretamente la questione, il passo successivo in questi casi di solito non è direttamente la causa ma il ricorso per CTU preventiva ex art. 696 bis cod. proc. civ.., di cui parlo più approfonditamente nella relativa scheda, spiegando anche perché conviene farlo anziché fare subito la causa vera e propria.

Con questo ricorso, la causa del problema verrebbe accertata da un tecnico che non è più quello tuo di parte ma quello ufficialmente incaricato dal tribunale e quindi neutrale o imparziale, che al termine depositerà una relazione che costituisce prova a tutti gli effetti, utilizzabile in causa.

Questo tecnico, tra l’altro, ha anche il compito di tentare ulteriormente la conciliazione.

Terminata la fase di CTU preventiva, se non fosse intervenuta la conciliazione, né il problema fosse stato sistemato in alcun altro modo, a quel punto non rimarrebbe che fare la causa.

Naturalmente, anche una vertenza del genere, pur partendo da una responsabilità contrattuale, si risolve, una volta che ottieni una sentenza positiva, in un recupero credito, per cui, prima di procedere oltre con qualsiasi passo ulteriore rispetto alla diffida iniziale, che rappresenta un investimento minimo da parte tua, devi valutare con cura la solvenza del responsabile, come spiego meglio nella scheda appunto sul recupero crediti che ti invito a leggere con attenzione.

Per quanto riguarda i costi, se malauguratamente non hai una polizza di tutela legale, tutte le spese e il compenso dell’avvocato che andrai a incaricare saranno a carico tuo, almeno inizialmente; ovviamente, l’avvocato cercherà di recuperare questi oneri dalla controparte, ma non c’è nessuna garanzia che vi riesca, in tutto o in parte. Per cui chiedi sempre un preventivo, a tutti i professionisti che chiamerai ad interessarsi al caso: avvocato, tecnico, ecc.

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Mancata insonorizzazione scoperta dopo 4 anni: si può far qualcosa?

Ho un grosso problema di scarsa insonorizzazione: nel lontano 2011 abbiamo sostituito i pavimenti dell’immobile, purtroppo gli operai quella volta, contando sulla ns. buona fede e ignoranza in materia edilizia, non hanno posato la lana di vetro tra la base ed il massetto. Al piano di sotto l’appartamento risultava sfitto, ma appena son venuti ad abitarci, ci siamo accorti che sentiamo tutto, ma proprio tutto(anche quando copulano)..il che genera forti imbarazzi(trattasi di 3 famiglie con figli piccoli)..ci sono i margini, a distanza di 4 anni per far causa alla ditta che approntò il restauro? Abbiamo speso 19 mila euro(mal spesi evidentemente), ma la sfortuna maggiore è stata essersi accorti tardi del lavoro mal eseguito.
Ci avevano tuttavia detto, in via preliminare, che il massetto isolava acusticamente, ma ciò non è vero!

Il problema è che i vizi di un lavoro andrebbero denunciati entro un certo termine, però nel vostro caso questo termine si può far risalire, forse, al momento in cui li avete effettivamente scoperti, e cioè a quando i locali sottostanti hanno iniziato ad essere abitati.

Questa ricostruzione sarebbe corroborata anche dal fatto che comunque si tratta di vizi per rendersi conto dei quali occorre fare particolari valutazioni tecniche, vizi insomma un po’ diversi da quelli constatabili ad occhio nudo, per i quali alcuni giudici, a volte, ritengono che il termine per la scoperta risalga non al momento in cui l’utente, genericamente, se ne accorge, ma a quello, successivo, in cui acquisisce la valutazione di un tecnico.

Inoltre, sarebbe ulteriormente corroborata dal «dolo» dell’esecutore dei lavori, che aveva sostenuto che l’isolamento si sarebbe prodotto solamente con il cassetto.

In conclusione, si può tentare il recupero del danno che avete subito, nonostante il tempo passato.

Il primo passo è sempre la diffida tramite legale, dopodiché si può valutare, in caso non si siano conseguiti risultati, un ricorso ex art. 696 bis per CTU preventiva.

Attenzione che anche queste pratiche sono poi destinate a tradursi in un recupero crediti, con tutti i possibili problemi di solvenza che ci possono essere in questi casi.

Ti consiglio di leggere attentamente le schede su: diffida, CTU preventiva, recupero crediti. Date un’occhiata anche a quella sulle immissioni o problemi di vicinato.

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Posso essere risarcito per problemi ad un’auto che ho già venduto?

Ho comprato un TOYOTA RAV4 – a 3000 km guasto iniettore (cambio in garanzia) – a 5500 km pulizia filtro carburante per presenza acqua (a mie spese) – a 6000 km guasti 4 iniettori (cambio in garanzia). Ho rivenduto l’auto dopo 6 mesi per disperazione. Ho inviato raccomandata casa madre. Sono stato contattato da TOYOTA per un accomodamento che non ho accettato perché ridicolo. Mi hanno risposto dicendo che i guasti si sono verificati per un pieno fatto male. Le loro deduzioni sono a mio parere completamente arbitrarie: a 3000 e 6000 km non hanno riscontrato acqua nel carburante o altre anomalie di questo genere. Il danno è di 8500 €.

Credo che avresti dovuto, prima di vendere il veicolo, far eseguire una perizia tecnica dapprima da un tuo tecnico privato di fiducia, almeno per capire l’origine dei problemi e lo stato del motore e, in seguito, magari un ricorso ex art. 696 bis per CTU preventiva, che è lo strumento che si utilizza in questi casi.

Adesso, dopo aver perso il possesso dell’auto, non hai in mano che la documentazione, peraltro formata fuori da qualsiasi contesto processuale, dei tre interventi, che ti possono essere, come in effetti sono stati, contestati, indicando la causa dei problemi oggetto degli stessi in altri fattori, come il rifornimento con carburante contaminato, un evento che come è noto in effetti peraltro capita anche abbastanza di frequente.

Infine, non hai alcuna azione diretta nei confronti di Toyota a mio giudizio, ma solo nei confronti del soggetto dal quale avevi acquistato a suo tempo il veicolo.

Direi che attualmente ci sia davvero poco spazio per fare iniziative legali su solide basi, puoi fare un tentativo ma sei un po’ fuori tempo massimo.