L’avvocato di mia sorella ha rimesso il mandato x etica nelle prime fasi di trattative x successione genitori. Posso chiedere a costei di difendere le mie ragioni o è vietato dalla deontologia?
Direi che se anche non fosse vietato dalla deontologia, cosa per verificare la quale bisognerebbe capire meglio la situazione, sarebbe probabilmente vietato dall’eleganza, cui un libero professionista deve sempre comunque cercare di accedere.
Il fatto è che nello svolgimento del proprio incarico l’avvocato in questione è venuto a conoscenza di informazioni riservate di pertinenza di tua sorella che poi potrebbe utilizzare contro la stessa a tuo favore nel caso assumesse la tua difesa…
Puoi comunque chiedere direttamente a questo avvocato cosa ne pensa, anche se la vedo abbastanza grigia.
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Ormai lo sanno (e qualche volta se ne approfittano) tutti, sono finiti anche i tempi in cui generalmente si guardava agli avvocati come a privilegiati – cosa che peraltro non è mai stata molto vera, come spiego in questo precedente post.
La crisi è innanzitutto economica, nel senso che ci sono difficoltà concrete e spesso anche determinanti e insuperabili per una chiusura positiva dei bilanci a fine anno, ma è anche, e dunque soprattutto, di valori, di significato, di senso, di dignità e così via, per una categoria in cui erano accorse persone di buona volontà che sono rimaste spesso deluse.
Non è – devo dirtelo subito – il mio caso.
Io sono ancora molto soddisfatto da tutti i punti di vista della mia professione, credo che traspaia anche da tutto quello che quotidianamente comunico tramite il blog e i social.
Ho persino scritto un post, che ha avuto un enorme successo (segno che il tema è molto seguito), in cui elenco i motivi per cui fare l’avvocato è ancora bellissimo, che ti invito a leggere con attenzione.
Ugualmente, c’è una larga fetta di avvocati in sofferenza ed è di loro ma soprattutto a loro che mi va di parlare, dopo aver ricevuto diverse richiesto in questo senso e aver letto diversi resoconti e persino qualche sfogo sui social.
Se senti di far parte di questa categoria, leggi attentamente perché questo post è per te.
Le cause della crisi.
Qual è il punto di partenza di qualsiasi discorso riguardo ad un argomento come questo?
Bisogna, a mio giudizio, innanzitutto comprendere le cause di questa situazione, economica ed emotiva, fallimentare.
Qui, ti voglio dire, quasi nessun avvocato riesce nemmeno a identificare con precisione le origini vere dei problemi attuali e questo, sinceramente, lascia un po’ da pensare, dal momento che un avvocato è comunque anche un imprenditore, che cose come queste dovrebbe capirle bene o quantomeno intuirle.
I falsi motivi
Solitamente, gli avvocati in difficoltà se la prendono con varie cose che, alla fine, non sono così rilevanti, sono più che altro dei capri espiatori per dare una spiegazione che non si riesce o vuole dare in un altro modo.
Il primo sono i clienti che non pagano.
Questo, di solito, è il primo «motivo» che viene individuato.
Qui voglio darti una notizia.
I clienti, di qualsiasi impresa, azienda, organizzazione, onlus, forma di governo o di Stato, non pagano tendenzialmente mai volentieri e, se possono farlo senza grandi rischi di conseguenze, evitano di farlo.
È una notizia incredibile, ma ti assicuro che è vera.
Riformulando la cosa in altri termini, è evidente che il problema del cash flow è uno dei vari problemi che ogni imprenditore, avvocati compresi, deve affrontare e gestire in modo efficace.
Personalmente, ho risolto questo problema impostando i pagamenti anticipati, sia per quanto riguarda la sezione del commercio che si svolge in forma elettronica tramite il sito, sia per quanto riguarda gli incarichi che vengono conferiti tradizionalmente in studio.
Ovviamente, faccio preventivi gratuiti, prima di iniziare qualsiasi lavoro.
Le persone, incredibilmente, quando sanno cosa vanno a spendere valutano e, se decidono di darmi l’incarico, pagano anche subito volentieri.
Io dò chiarezza, ricevo denaro.
Ma chiudiamo la parentesi, perché questo non è il motivo della crisi economica della categoria.
Altro motivo frequentemente molto gettonato sono le tasse da pagare.
Ora, a parte che molti professionisti fanno tanto lavoro fuori fattura, dal momento che non hanno magazzino, non vendono beni, ma servizi impalpabili, che le fatture non si scaricano e quindi i clienti preferiscono pagare «a nero» piuttosto che farsi dare una fattura che a loro non serve a nulla, a parte questo, dicevo, c’è da dire che le tasse sono uguali per tutte le aziende e i professionisti di qualsiasi tipo.
La grande notizia, qui, è che gli avvocati non pagano un centesimo in più di tasse rispetto a qualsiasi altra azienda o professionista.
L’unica cosa che c’è di vero è che abbiamo una cassa forense che vuole una parte dei nostri guadagni a scopi pensionistici. Ma ogni categoria ha la sua cassa e, se non ce l’ha, ha comunque l’INPS, per cui ogni attività economica, anche qui, paga una parte dei ricavi – sempre solo quelli fatturati ovviamente – per scopi previdenziali.
La realtà è che queste – ed altre – sono solo scuse, non c’è altro modo per dirlo.
È vero i clienti che tendono a non pagare sono un problema, lo Stato e la cassa che vogliono dei soldi, spesso anche se non li hai guadagnati, sono sicuramente un altro problema, ma la realtà è che ci sono molti avvocati che guadagnano e fanno buoni affari.
Nel 2018, in Italia.
«Ah, ma allora sono quelli che sono figli d’arte, hanno le mani in pasta con la politica, il tricche tracche, i cuggini, questo e quello…»
Altra scusa.
Non c’entra niente.
Quelli che conosco io, e io stesso nel mio piccolo, non abbiamo avuto appigli, aiuti, preferenze, incentivi vari, ma ci siamo guadagnati da soli non tanto la nostra clientela ma l’assetto attuale che abbiamo dato ai nostri studi e che ci consente di utilizzarli come macchine ed organizzazioni per guadagnare in modo abbastanza soddisfacente.
Sei pronto, adesso, per sapere quali sono le reali cause della condizione economica deteriore di una grande fetta degli avvocati oggigiorno?
Le scie chimiche!
No vabbè, parliamo seriamente.
I veri motivi.
Le reali cause dello stato fallimentare in cui versano molti studi legali e singoli professionisti sono principalmente due:
il peccato originale, a monte dell’inizio dell’attività, di non aver «pensato l’azienda»
e quello successivo, e permanente, di non fare marketing, anzi di non capire nemmeno che il marketing, nelle limitate forme in cui è consentito agli avvocati, è assolutamente necessario.
Con il secondo punto, si comprende come una delle cause più gravi di sottosviluppo economico è il codice deontologico forense, che, da questo punto di vista, letteralmente è il martello con cui sono stati inchiodati i chiodi che hanno chiuso la bara della professione forense.
Ma di questo diremo meglio più avanti.
Vediamo adesso, in positivo, le due principali cause che abbiamo appena enunciato.
Non aver pensato l’azienda.
Se chiedi ad un avvocato perché ha scelto di studiare giurisprudenza ed è finito a fare la professione, nel 90% dei casi ti risponde che era il desiderio dei suoi genitori…
Che dolce!
Poi, subito a ruota, questo avvocato di solito si incazza perché questo tenero ed onesto desiderio dei suoi ascendenti, che tanti sacrifici hanno fatto (magari timbrare dal lunedì al venerdì all’INPS), è oggi frustato dai kattivih clienti che non pagano, dallo Stato che – cavolo santo – vuole troppe tasse, dalla cassa che è troppo esosa!!!1! e così via, come abbiamo visto poco fa.
Il problema invece è proprio che non si fonda un’azienda perché è il desiderio dei tuoi – onore a loro – genitori!
È una cosa molto banale, ma realmente molti avvocati lo sono diventati per questo ed è alla fine completamente demenziale dal punto di vista del business e del fare impresa.
Fondi un’azienda quando hai un’idea di business inizialmente interessante, di cui verifichi con cura la fattibilità sotto tutti i profili rilevanti a riguardo.
Se poi è la tua principale o unica azienda, quella con cui devi mantenerti e mantenere la famiglia, i controlli li farai tutti tre volte.
Molti avvocati non si sono chiesti ad esempio:
in che posto vivo o comunque intendo aprire il mio studio legale?
in questo posto che ho scelto ci sono buone occasioni di clientela?
in che stato versa nel mio paese e nel posto da me prescelto la vendita di servizi legali?
quali sono i collettori di clientela di cui posso pensare di arrivare a disporre?
quali sono le forme di lead generation che potrò svolgere una volta aperta la mia bottega?
Molti avvocati non sono neanche in grado di comprendere bene cosa significhino queste domande.
Se consideriamo questo, capiamo che non è per nulla stupefacente che molti avvocati si trovino, economicamente, nella merda, perché un cazzo di ciabattino sotto casa con la terza elementare ha più istinto imprenditoriale di loro.
La conclusione è che molti avvocati sono diventati avvocati e hanno aperto la partita IVA come professionisti completamente alla cazzo!
Non ho, mi dispiace, un altro modo per dirtelo.
E, pensa un po’, non si aprono imprese alla cazzo.
Si possono fare tante cose alla cazzo, ma se apri un’impresa alla cazzo, sei destinato a chiudere entro al massimo tre anni.
Salvo – e qui tornano i cari genitori – che qualcuno non ti paghi la cassa forense, le tasse, i fornitori e tutte quelle spese che tu non riesci a pagare perché non guadagni «ancora» abbastanza.
Ciò, ovviamente, solo al momento e per poterti consentire di «ingranare».
Peccato che sono 15 anni che stai ingranando…
Non fare marketing.
Nessuna organizzazione, nessuna, compresa la Chiesa cattolica, può sopravvivere se non svolge attività di lead generation.
Te lo ripeto perché è bene che, oggi, in questo momento, questo concetto ti entri nella zucca una volta e per sempre: nessuna organizzazione, impresa, società, impresa individuale, onlus del cazzo può sopravvivere se non svolge attività di lead generation.
La lead generation è l’attività di generazione di prospetti, cioè di contatti con potenziali clienti, con soggetti, appartenenti al vasto pubblico cui si rivolge la tua organizzazione, che in parte, in seguito, possono diventare clienti paganti, a seguito di conversione.
Ora, quali attività di marketing stai facendo?
Hai lasciato anche tu i tuoi biglietti da visita dal tuo barbiere o dalla tua parrucchiera?
Ti dò una piccola notizia: non serve a un cazzo. Anzi, serve al contrario a qualificarti come un professionista per ladri di galline.
Hai sentito parlare di internet, blog, social network?
Ah sì, ti sei iscritto anche tu a quel sito che gli avvocati si possono iscrivere e poi scrivono le materie di cui si occupano così poi i visitatori si possono collegare e vedere quali sono i professionisti della loro zona e poi scegliere e tramite un comodo modello di contatto on line subito scrivere all’avvocato che hanno scelto e comodamente da casa, sia i clienti che il professionista, possono chiedere e ricevere una bella consulenza, che poi è un sistema bellissimo e meraviglioso ma alla fine nessuno fa mai un cazzo o ha mai venduto una consulenza che sia uno tramite siti del genere?
Forse è il caso di riconsiderare la materia…
Il codice deontologico.
Torniamo adesso un attimo sul tema prima accennato delle regole di deontologia.
La deontologia forense, ovviamente, non è un male in sé.
È assolutamente evidente che un avvocato debba essere in primo luogo onesto, se vuole essere davvero utile agli altri.
È davvero la primissima qualità di ogni avvocato.
Solamente, si tratta di una «qualità dell’essere» che, come spesso accade, non può essere rinforzata a forza di codici e sentenze… Un po’ come fare il padre, come sanno benissimo gli avvocati, come me, che si occupano di diritto di famiglia.
Il codice deontologico attuale è il martello con cui sono stati picchiati i chiodi che hanno chiuso la bara in cui è stata rinchiusa la professione forense, rendendo molto difficile, e in alcuni casi impossibile, per qualsiasi organizzazione legale svolgere attività di generazione contatti.
La cosa meravigliosa è che lo scopo di queste disposizioni, volte a escludere pressoché completamente forme di marketing per gli avvocati, sarebbe quello di… garantire la dignità degli avvocati stessi.
Ma qui c’è un grande e tragico errore di fondo.
Il fatto, peraltro assai evidente, è che la dignità di una qualsiasi categoria la si può garantire solo dando efficacia al lavoro e al ruolo che svolge e quindi consentendole di raggiungere un certo livello di benessere anche economico.
Che dignità può avere un avvocato che a 35 anni si fa pagare la bolletta del telefono di studio e magari anche di casa dai genitori, anche al netto del rispetto delle regole deontologiche?
Vuoi scommettere che se togli quasi completamente la possibilità di lead generation ad una categoria la sua economia peggiorerà grandemente e, con essa, anche la sua dignità, il suo significato, la coscienza del suo ruolo, l’effettivo svolgimento della sua funzione sociale?
La dignità attuale della professione.
È un fenomeno che è ormai sotto gli occhi di quasi tutti.
Ma prendiamo uno scampolo di letteratura che, come sempre accade, ce lo descrive meglio di altro.
«Il fatto è che qui da noi gli avvocati sono diventati come gli assicuratori, o gli agenti immobiliari. Ce ne sono a bizzeffe, uno più affamato dell’altro. Basta fare due passi in una strada anche periferica e contare le targhette affisse ai portoni.
Un avvocato, oggi, per una nomina anche d’ufficio è disposto a piroette e carpiati della dignità fantasiosissimi. E la molla non è l’ambizione economica o il desiderio di prestigio sociale: nemmeno più questo. Qui si tratta, ma davvero, di stare sul mercato con un minimo di sensatezza (cioè, pagare le spese e portare qualche soldo a casa) o chiudere baracca.
E la vera tragedia è che questa politica della sopravvivenza accomuna ormai trasversalmente sfigati e garantiti, privilegiati e poveri cristi. Nel senso che il rampollo dell’avvocato di successo ha una fame di procacciamento pratiche mediamente pari o addirittura superiore a quella di chi è professionalmente figlio di n. n. È la nuova cultura della concorrenza, palazzinara e bulimica, che ha equiparato avidità e bisogno, ponendo sul piano di una falsa parità contendenti che partono da posizioni completamente diverse. Ricchi e poveri che lottano per le stesse cose: ecco a voi la morte del principio di uguaglianza.
Io ho visto cose che voi non avvocati non potete neanche immaginare. Ho visto professionisti anziani leccare sfacciatamente il culo a magistrati ventinovenni. Ho visto avvocati giovanissimi portare personalmente il caffè a tutti i carrozzieri del quartiere nella speranza di una pratica d’infortunistica stradale. Ho visto appostamenti all’ingresso degli obitori, con volantinaggio di biglietto da visita all’arrivo della barella.
Ho visto contabili di camorra e specialisti della punizione corporale per ritardato pagamento del pizzo, trattati con un ossequio e un’attenzione degni di un’alta carica dello Stato. Ho visto colleghi fare anticamera a cancellieri miserabili in cambio di una nomina d’ufficio, con pagamento anticipato di percentuale fissa sull’onorario.
Ho visto guardie carcerarie spendere il nome di questo o quel collega con i parenti dei detenuti in cambio di un abbonamento alle partite di calcio.
Ho visto colleghi poco più che trentenni accordarsi con cancellieri notoriamente farabutti per truccare un’asta fallimentare, pilotando l’assegnazione dei beni all’incanto. Ho visto le loro foto sul giornale qualche tempo dopo. Ho visto sinistri stradali così sputtanatamente falsi da farti venire voglia di prendere le parti dell’assicurazione (che è un po’ come se uno, una bella mattina, si convertisse all’antisemitismo militante).
Ho visto patrocinanti in Cassazione brigare per diventare amministratori di condominio. Ho visto professori universitari telefonare a indagati eccellenti offrendo il proprio patrocinio pur sapendo che era già stato nominato qualcun altro, millantando conoscenze personali con il pubblico ministero titolare dell’inchiesta e svalutando fra le righe le capacità professionali del collega.
Ho visto l’avvocato a cui il professore universitario stava cercando di fare le scarpe riferire lo scandaloso retroscena a un gruppo di giovani colleghi e neanche venti minuti dopo incontrare il professore all’ingresso del tribunale e abbracciarlo come un fratello ritrovato in un programma di Maria De Filippi.
Ho visto lo stesso avvocato convincere l’indagato eccellente che sì, effettivamente sarebbe stata una mossa saggia estendere il patrocinio anche al professore, perché un simile collegio difensivo gli avrebbe assicurato la vittoria della causa con fiato di trombe. Ho visto, all’udienza, l’indagato eccellente seduto fra l’avvocato e il professore: sembrava più preoccupato di loro che dei giudici. Ho sentito il professore, in piena arringa, prendere una cappella giuridica di una tale grossolanità che se fosse capitato a uno studente all’esame sarebbe stato messo alla porta. Ho visto l’avvocato abbozzare e vergognarsi come un complice, dribblando lo sguardo allibito dei giudici.
Ho visto il figlio dell’avvocato diventare assistente di cattedra del professore universitario che aveva cercato di fregare l’incarico a suo padre.
Ho visto tante altre cose, ma se non mi fermo va a finire che facciamo notte».
(Diego De Silva, «Non avevo capito niente»).
Questi sono i successi di decenni di deontologia forense, di regole che hanno avuto come unico effetto quello di tarpare le ali alla pressoché totalità degli avvocati, specialmente i più giovani.
Ho visto applicare la deontologia.
Avvocati di 60, 70 anni, dentro agli ordini, ai consigli distrettuali, al CNF, gente che ha avuto grandi soddisfazioni professionali, avendo iniziato la professione negli anni 60 o 70, quando c’erano ancora vaste miniere non sfruttate, che applicano sanzioni ad avvocati di 30 o 40 anni, che cercano di lavorare sulle poche briciole rimaste, perché hanno messo un annuncio o un’insegna un po’ più grande di quanto ritenuto dovuto fuori dalla porta…
Facciamo come il protagonista del libro di De Silva: lasciamo perdere.
Che cosa fare?
Innanzitutto, quello che non devi fare è sprofondare nell’atteggiamento di dare la colpa di «tutto» a cose che, pur avendo una loro efficacia causale, non la esauriscono affatto.
Il tuo atteggiamento, come ti ho già fatto capire, non deve e non può essere quello di maledire il codice deontologico, le sue ingiustizie, i clienti, le tasse, le scie kimike e il mondialismo.
Focalizzati sul fatto che, come in tutti i settori economici, ci sono avvocati che ce l’hanno fatta e stanno alla grande.
La grande notizia è: ci sono diverse cose che puoi fare, una volta che avrai smesso di lamentarti a cazzo.
Alla fine, infatti, o cambi settore, cambi lavoro, anche in base alle tue vere propensioni (come ti ho già detto, il lavoro lo devi scegliere tu e non i tuoi genitori!), oppure, se scegli di restare, in qualche modo, nel settore dei servizi legali, di continuare a fare l’avvocato, devi rassegnarti a fare tutta l’attività di lead generation che puoi, ripensare completamente la tua azienda, ragionare come un vero imprenditore.
Di cosa fare nello specifico, parleremo meglio in un altro post, ché questo ormai è anche già troppo lungo.
Ti elargisco però una piccola anticipazione: devi scrivere.
Libri, blog, social.
Scrivi su quello che conosci, mostra e dimostra il tuo know how e la passione che ti muove per le cose che ti interessano.
Oltre a un punto di vista diverso e differenziante dal solito.
Un po’ come questo blog, che è stato fondato più di vent’anni fa per dimostrare che esiste un modo diverso di trattare i problemi legali.
Questo è quello che facciamo qui alla redazione del blog degli avvocati dal volto umano e ti garantisco che funziona.
Cosa puoi fare, nell’attesa del prossimo post in cui dettaglierò i vari modi in cui un avvocato può fare marketing?
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io e mio marito ci separiamo e visto che lui è d’accordo io vorrei continuare a pagarmi il mutuo e diventare proprietaria quindi al 100%, ma lui accetta solo se gli viene dato un docum. dalla banca dove lui esce da tutto. Il mio avvocato, che non fa più i trasferimenti della proprietà all’interno dell’atto di separazione, e che quindi ha un notaio con cui collabora, sotto consiglio dei giudici, anche se non ho ancora capito bene i motivi, hanno parlato quindi di accollo del mutuo fuori e prima della separ. Abbiamo un lavoro fisso, io sui 1100 al mese part time lui prende una base di 1400 e con gli straordinari arriva a 1800 ma a me non vuole dare più di 500. abbiamo 2 figli io chiedo 600 e su questo c’è lite..il mutuo è di 550 una curiosità ci siamo andati dal avv 1 volta per capire a cosa andavamo incontro la 2 per mettere giu un accordo non trovato, è vero che ora io non posso più tenere lo stesso avv?
La liberazione di tuo marito è una decisione discrezionale della banca. Non avete alcun diritto di ottenerla, potete solo negoziare con la banca per vedere se è disposta a concederla, offrendo ovviamente qualche contropartita al riguardo, come ad esempio ulteriori garanzie.
Raramente la banca concede la liberatoria, per cui tieni questo fatto in adeguata considerazione per evitare che le trattative per la vostra separazione si arenino o diventino eccessivamente lunghe per questo specifico aspetto.
I trasferimenti immobiliari in sede di separazione sono sempre stati problematici, con orientamenti circa la loro ammissibilità e validità vari e diversi nel tempo susseguitisi nei vari tribunali della penisola; personalmente, in oltre vent’anni non ne ho mai fatto uno e mi sono sempre rifiutato di farne, per la convinzione che ognuno debba fare il suo mestiere, se vogliamo che le cose abbiano la speranza di venire fatte bene.
Nel vostro caso, la strada migliore è un accordo in house, o convenzione di negoziazione assistita, dove voi, facendo anche la separazione, vi promettete (funziona, a questo riguardo, come un contratto preliminare) la cessione, che poi andrete a realizzare dal notaio stipulando un contratto definitivo. È una soluzione che ha anche tanti altri vantaggi, tant’è vero che rappresenta la procedura tipica per le alienazioni immobiliari anche al di fuori di un contesto di separazione, con la tipica sequenza contratto preliminare / contratto definitivo.
L’avvocato che vi ha seguiti entrambi non può per ragioni di conflitto di interesse e incompatibilità seguire sulla stessa questione uno solo di voi due contro l’altro, significherebbe andare contro un ex cliente dal quale ha peraltro ricevuto informazioni confidenziali e riservate che quindi potrebbe sfruttare in modo illecito a vantaggio di chi gli è rimasto come cliente. Qualora non trovaste un accordo e la separazione dovesse diventare giudiziale, ognuno di voi due dovrebbe rivolgersi ad un altro legale.
sono socio amministratore pro tempore di una piccola societa’ coperativa di trasporti abbiamo perso una causa di lavoro con un nostro dipendente lavoratore aspettiamo da un momento all’altro pignoramento dalla controparte. Come fare per non essere pignorati veicoli intestati alla societa’ coperativa tenendo presente che per fare tutti i passaggi di propieta’ dei mezzi in possesso andremmo a spendere all’incirca la stessa somma che siamo stati condannati in sentenza.
Un avvocato non può assolutamente, né in privato né tantomeno in pubblico, fornire consigli diretti a consentire ad un debitore, quale siete voi -ufficialmente, a prescindere dalle vostre ragioni di merito – di sfuggire alle legittime pretese, accertate con un titolo giudiziale, del suo creditore.
Può benissimo darsi che la sentenza sia ingiusta, non sarebbe né la prima né l’ultima, ma la regola è che comunque le sentenze, fino a che non sono eventualmente riformate da giudici di sede diversa, purtroppo si devono rispettare, salva sempre la sospensione o inibitoria da parte del giudice competente a prevederla, di solito per gravi motivi.
Quello che potreste chiedere ad un avvocato dunque sarebbe di lavorare su di un appello, sempre che ce ne possano essere i presupposti e, una volta fatto l’appello, di vedere se possibile ottenere la sospensione della sentenza impugnata.
Se, invece, i presupposti per l’appello mancassero, l’unica cosa possibile per evitare il pignoramento ed eventualmente risparmiare qualcosa sul debito che avete nei confronti del vostro ex dipendente è quello di far fare ad un legale competente, preparato e con buone attitudini negoziali, una trattativa per il raggiungimento di un accordo che preveda, in sostanza, uno sconto a fronte del pagamento immediato e magari alla rinuncia all’appello.
E’ deontologicamente corretto che un avvocato esprima il suo dissenso con aggressività e con un linguaggio “pesante” in un video nella sua pagina facebook, con tanto di commenti e condivisioni che inneggiano al suo ” coraggio”? La sua formazione e competenza della legge non dovrebbe insegnargli che come ogni altro cittadino ha il diritto di esprimere il proprio dissenso, ma più di un qualunque cittadino dovrebbe esprimerlo civilmente?
Come si fa ad esprimere un giudizio, addirittura di correttezza deontologica, su di un video senza averlo visionato?
Questa è, ovviamente, la prima cosa da dire. E probabilmente sarebbe anche l’ultima.
Volendo aggiungere qualcos’altro, si può richiamare come le tue considerazioni siano vere, in linea di principio, ma, anche a seconda dell’argomento trattato, in alcuni settori, come quello ad esempio della politica, si ammette generalmente una maggior animosità, perché fa un po’ parte del modo di agire comune e quindi in definitiva del costume.
Certo da un avvocato ci si aspetta un contegno generalmente più serio, però è anche vero che ci sono molti legali che fanno ben di peggio di cose del genere. E il costume attuale non è più così attento a questi aspetti come avveniva in passato, dove il legale veniva percepito come appartenente ad una categoria di persone a sé stante.
Stiamo comunque parlando di niente, perché come ho già detto centinaia di volte il diritto e la pratica giudiziaria vivono di casi e problemi concreti, illustrati col maggior dettaglio possibile, e non di questioni astratte campate per aria o comunque slegate dai fatti da cui originano.
Dopo grande attesa è stato pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 13 ottobre 2015, il Codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato a fini di informazione commerciale, promosso dal Garante della privacy e redatto insieme a varie associazioni di categoria, imprenditoriali e dei consumatori.
Il Codice – che entrerà in vigore il 1° ottobre 2016 – individua criteri e indirizzi uniformi per quanto concerne il trattamento dei dati provenienti da fonti pubbliche o pubblicamente accessibili.
Ecco le principali novità.
Allo scopo di comporre un fascicolo di informazione commerciale, dovranno essere utilizzati solo i dati personali del soggetto cercato o i dati di persone fisiche o giuridiche che hanno legami giuridici o economici con l’interessato.
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Coloro che operano nel settore dovranno utilizzare solo dati aggiornati, pertinenti e non eccedenti l’attività di informazione commerciale.
Le società dovranno adottare misure per garantire la sicurezza, l’integrità e la riservatezza delle informazioni commerciali.
Finalmente una maggiore tutela della dignità e della riservatezza delle persone, nel rispetto della libera iniziativa economica.
Non rimane che attendere il 1° ottobre 2016, data a partire dalla quale sarà considerato illecito qualunque trattamento dei dati personali per finalità di informazione commerciale, non conforme al testo sottoscritto.
Alcuni colleghi avvocati storcono il naso di fronte alla ricezione di una mail inviata tramite posta elettronica certificata, perché la paragonano ad una raccomandata, che sarebbe poco deontologico scambiarsi tra colleghi.
Personalmente, ho deciso, dopo ampie esperienze negative di consegna delle mail ordinarie, di utilizzare per lo più la posta certificata, ma solo perché più sicura circa l’effettiva consegna dei miei messaggi e più rispettosa delle esigenze di riservatezza dei clienti e del segreto professionale.
Molti avvocati, a tutt’oggi, purtroppo continuano ad usare caselle di posta elettronica di qualità scadente, fornite da provider gratuiti di massa, i cui filtri antispam non funzionano a dovere e magari registrano i miei messaggi come falsi positivi, nonostante io abbia settato le firme DKIM e i record SPF come previsto dalle buone regole del settore e come consigliato dal mio provider.
Alcuni colleghi, poi, purtroppo sono imbranati e si perdono letteralmente le mail in mezzo a tutte quelle della posta elettronica «ordinaria», proprio perché al contrario magari ci sono tanti falsi negativi, newsletter, pubblicità, ecc..
Sinceramente mi sono scocciato di ricevere richieste di riscontro, magari via fax e magari dopo mesi, rispetto a mail che ho invece riscontrato subito; mi sono scocciato, inoltre, di colleghi che non mi rispondono e che poi, interpellati telefonicamente, dichiarano di non aver mai ricevuto il mio messaggio.
Non è un modo efficiente di lavorare e l’efficienza la dobbiamo a tutti: al sistema giudiziario, ai nostri clienti, a noi stessi e ai nostri familiari, che sono i primi a risentire delle inutili perdite di tempo nello svolgimento del nostro lavoro.
Io credo che questo valore, l’efficienza del sistema, e la tutela degli utenti, vengano prima di peraltro solo supposte questioni di «rispetto» tra colleghi, visto che il rispetto consiste in ben altro che nella scelta del modo di comunicazione, peraltro sempre all’interno della categoria della posta elettronica.
Per questi motivi, invio sempre le mie mail di lavoro ai colleghi preferibilmente tramite posta elettronica certificata.
Naturalmente i destinatari sono liberi di considerarmi inelegante, ma io devo seguire le priorità che mi sembrano più importanti, non per il mio interesse ma per quello di tutti gli assistiti e delle persone che hanno a che fare con me.
Ad alcuni colleghi vorrei poi anche dire che, anziché stare a puntualizzare sull’uso della posta certificata piuttosto che ordinaria, dovrebbero farsi un indirizzo di posta elettronica serio, cosa che come ho cennato sopra è peraltro anche parte del problema.
Mi riferisco ad esempio a quelli che si presentano con caselle di «libero», «virgilio», «gmail» e compagnia bella, servizi che andavano bene 10 anni fa per usi personali e non certo professionali, dove invece, anche per la tutela e il trattamento dei dati personali di tutte le parti che vengono in contatto con un avvocato, sono completamente inadatti.
Agli avvocati, infatti, bisognerebbe vietare completamente di utilizzare gmail, visto che google legge e indicizza i messaggi di posta elettronica di tutte le proprie caselle, e non la posta certificata, che è invece un metodo molto più riservato e sicuro.
Per la cronaca, e gli eventuali interessati, io uso fastmail.fm, ma ce ne sono tanti altri, basta cercare, e pagare il canone periodico previsto.
Ho a che fare con un incidente stradale in cui ho subito lesioni. Ho deciso di farmi assistere da un medico che dovrà compilare una relazione sui danni subiti. E’ sufficiente un medico chirurgo per firmare la relazione ( ce l avrei in casa) o deve essere specializzato in medicina legale.
Credo che un medico iscritto all’albo ma non specializzato in medicina legale non potrebbe farti una consulenza medico legale nemmeno se lo volesse, per motivi deontologici legati alla necessità che ogni incarico sia svolto da un medico competente per svolgerlo.
Gli stessi medici legali con cui mi è capitato di lavorare negli ultimi anni in caso di problemi riguardanti un’area di pratica particolare, la più frequente delle quali era ortopedia, si sentivano tenuti ad associare alla valutazione del caso un ulteriore specialista.
Quand’anche si potesse fare, credo che un documento del genere avrebbe molto meno valore e persuasività di una relazione redatta da un vero e proprio medico legale.
Non ti consiglierei di andare al risparmio, poi ovviamente dipende dalla natura e dall’entità delle lesioni e dalla tua idea di risarcimento da conseguire.
Alcune settimane fa decido di entrare in un autosalone con mio padre per farci fare un preventivo di un auto dando in permuta il mio usato. Il venditore di turno mi fa il suo prezzo e noi ci prendiamo un giorno per pensarci. Il giorno dopo entro in un’altra sede sempre di proprietà della stessa concessionaria per avere un altro preventivo della stessa auto. Con mio stupore il prezzo proposto è di 2000 euro in meno del primo ed io senza pensarci firmo il contratto. La sera stessa il primo venditore mi scrive una mail accusandomi di essere stato sleale ed irrispettoso per aver cercato un preventivo migliore all’interno dello stesso gruppo anche se in un’altra sede e nonostante gli abbia risposto che era mio diritto chiedere quanti piu preventivi volevo lui ha replicato continuando ad offendermi chiamandomi disonesto sleale e uomo privo di rispetto nei confronti del suo lavoro. Ci sono i presupposti per una denuncia per diffamazione?
Sarebbe assolutamente demenziale da parte mia rispondere a questa domanda, per la quale è evidente che sia necessario leggere le mail in cui si sarebbero sostanziate le offese, che potrebbero condurre peraltro non al reato di diffamazione ma di ingiuria (a meno che non siano state mandate in copia ad altre persone).
In generale, si può solo dire che il reato potrebbe esserci senz’altro. Tu non hai fatto nulla di illegittimo (e ci mancherebbe altro!) e il venditore non ti poteva dire assolutamente nulla. Già esprimere semplice rammarico per la mancata accettazione di un preventivo denota a mio giudizio una totale mancanza di stile, mettersi addirittura a offendere e inveire è veramente troppo. Penso che tu ti sia imbattuto in una persona che ha perso la testa, io al posto tuo gli scriverei una diffida in cui gli chiederei il risarcimento del danno, restando poi disponibile ad accettare anche comunque una semplice lettera di scuse.
Se invece vuoi coltivare la questione (è una decisione tua, io non posso giudicare non avendo vissuto i fatti, nè avendo letto le mail), meglio acquistare una consulenza da un avvocato avente ad oggetto innanzitutto l’analisi degli scritti e comunque l’invio della diffida.