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Eredità e donazione tra suocera e nuora

Volevo avere informazioni in merito ad una donazione effettuata da mio marito insieme a suoi 3 fratelli verso la madre nel 2004. (donazione comprensiva di 3 immobili). Sono sposata con un figlio maggiorenne- Mia suocera oramai in possesso del’intero patrimonio ha messo in vendita uno degli immobili- Vorrei quindi cosa devo fare per tutelarmi in caso di decesso di mio marito – per non vedere svanire mia quota di leggittima come coniuge ? Io vorrei sapere se è a me conveniente fare al piu presto ricorso all’opposizione stragiudiziale alla donazione affinchè il termine dei venti anni dalla trascrizione della donazione vengano bloccati – cosi da permettermi di ricorrere all’azione di riduzione ed all’eventuale azione di restituzione. Comunque può mia suocera vendere un immobile ricevuto da donazione sapendo tra l’altro che ci sono leggittimari senz’altro lesi? – Posso eventualmente chiedere a mio figlio di fare un testamento in mio favore per quanto riguarda i beni che potrebbe ricevere dalla nonna per tutelarmi in caso di decesso di mio figlio. Le chiedo cortesemente di fornirmi delle informazioni e la ringrazio molto fin d’ora.

Ai sensi dell’art. 769 del cod. civ. “la donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione.“.

Ai sensi del successivo art. 800 cod. civ., la donazione può essere revocata solo in presenza di due cause specificiche: la sopravvenienza di figli ovvero per ingratitudine.

Una volta che il bene entra nel patrimonio di colui che riceve la donazione, questa persona ne può disporre come ritiene opportuno, di conseguenza tua suocera può disporre dei beni ricevuti in donazione dai figli come meglio crede.

Tra l’altro non comprendo in che modo tua suocera lede i diritti dei legittimari (che sono solo il coniuge e i figli).

Per quanto riguarda la successione legittima, ai sensi dell’art. 565 cod. civ. “l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti legittimi e naturali, agli ascendenti legittimi, ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato, nell’ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo.“.

Ciò significa che eredi di tua suocera sono il coniuge (se ancora in vita) e i figli. Se, malauguratamente, uno dei figli venisse a mancare prima della madre, succedono per rappresentazione i nipoti, quindi tuoi figlio ma non certamente tu in quanto nuora.

Nei confronti di tua suocera tu non hai alcun diritto ereditario ma solo tuo marito ed, eventualmente, tuo figlio hanno diritti successori.

Per quanto concerne l’eventuale testamento di tuo figlio in tuo favore posso dirti che il testamento è, ai sensi dell’art. 587 cod. civ., “un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse“.

Il testamento è un atto personalissimo con il quale un individuo dispone liberamente e a proprio piacere dei propri beni, pertanto non si può imporre al testatore il modo di disporre dei propri beni.

Tuttavia, nel caso di prematuro decesso di tuo figlio, se questo non avrà coniuge e/o figli, posso dirti che in quanto genitore erediterai tutti (se non c’è un coniuge) o parte (in concorso con il coniuge) dei suoi beni. Se avrà un figlio, invece, non avrai diritto ad alcunchè. In ogni caso, anche facendo testamento a tuo favore, tuo figlio potrà disporre solamente dei beni in suo possesso, per cui, ad esempio, se al momento del decesso di tuo figlio la nonna sarà ancora in vita, non potrà disporre – ovviamente – di tali beni e tu comunque non ne sarai erede.

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come figlia naturale non riconosciuta posso avere l’eredità di mio padre?

Sono nata fuori dal matrimonio, nel senso che mio padre e mia madre non si sono mai sposati, ma in seguito si sono separati. Successivamente mio padre si è rifatto una vita con un’altra donna ed ha avuto altri figli (anche essi fuori dal matrimonio, in quanto anche con la successiva donna non si sposò e non li riconobbe). Nonostante tutto, spesso andavo a casa di mio padre, dove dormivo con gli altri suoi figli finché poi sono cresciuta, mi sono sposata trasferendomi dalla Sicilia a Milano e ho avuto tre figli. Mia madre è deceduta qualche anno dopo la nascita della mia terza figlia. Di mio padre non seppi più nulla, fino a quando qualche anno fa, tornai due giorni in Sicilia e li scoprii che era deceduto e nessuno me lo aveva detto. Il punto è che non sono neanche stata contattata per l’eredità. E mio padre aveva un grosso patrimonio. Ora ho 60 anni e mi chiedevo se nonostante tutto, io abbia il diritto di avere la parte di eredità che mi aspettava in quanto sua figlia naturale ma mai riconosciuta (come gli altri fratelli) e se ho il diritto ad un risarcimento per non essere neanche stata avvertita della sua morte e dei funerali. Quando avevo 14 anni ed ero a casa sua, avevo trovato un suo testamento in cui specificava ciò che mi spettava, ora non so se c’è ancora o se è stato fatto sparire dagli altri fratelli. So solo che io non ho avuto nulla ne sono stata avvertita di nulla, dopo la sua morte. Cosa posso fare o come posso agire?

L’accettazione dell’eredità è l’atto con il quale il delato (nominato all’eredità) manifesta la sua volontà di succedere al de cuius, entrando così in possesso della sua quota ereditaria.

Il successivo art. 480 cod. civ. specifica che “Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni. Il termine decorre dal giorno dell’apertura della successione e, in caso d’istituzione condizionale, dal giorno in cui si verifica la condizione.“.

Infine, l’art. 566 cod. civ., stabilisce che “Al padre ed alla madre succedono i figli legittimi e naturali, in parti uguali.“.

Fatte queste doverose premesse, si tratta di capire se tu sei stata riconosciuta da tuo papà, acquisendo così lo status di figlia naturale, e se sono trascorsi più o meno di 10 anni dall’apertura della successione.

Se sono trascorsi oltre 10 anni dall’apertura della successione non c’è più nulla che tu possa fare. Se sei stata riconosciuta e non sono ancora decorsi i 10 anni, potrai far valere i tuoi diritti ereditari.

Se non sei stata riconosciuta, come sembri accennare, allora dovrai richiedere il riconoscimento giudiziale della paternità ai sensi dell’art. 269 cod. civ., una volta ottenuto potrai far valere i tuoi diritti successori (sempre entro il termine prescrizionale dei 10 anni). Le prove ematogenetiche si possono fare anche sui cadaveri e, ultimamente, si tratta di accertamenti che si fanno anche abbastanza spesso.

Per quanto concerne, infine, il testamento che hai trovato a 14 anni non pensare subito male perchè tuo padre potrebbe aver deciso di cambiare testamento. Infatti, il testamento può essere sempre modificato oppure distrutto.

In ogni caso, prima di partire con il riconoscimento giudiziale della paternità, puoi inviare una diffida ai tuoi fratelli o comunque a coloro che hanno acquistato la qualità di eredi per vedere se sul punto è possibile riuscire a trovare un accordo che eviti la necessità di proseguire in giudizio.

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posso intestare la mia casa ai miei genitori o mio figlio per evitare che mia moglie me la pignori?

La mia ex moglie mi ha chiesto un risarcimento enorme per dei danni che non le ho mai provocato ma questa è un’altra storia. Considerando il fatto che sono proprietario di una casa nella quale vivo con la mia nuova compagna e mio figlio di tre mesi, posso intestare il medesimo immobile a lei oppure ai miei genitori o meglio ancora a mio figlio per non correre il rischio che mi venga pignorata qualora io venga condannato a risarcire la mia ex moglie? Chiaramente senza che vada contro la legge nel fare questo.

Certamente puoi intestare il tuo immobile a chi vuoi tu, genitori, compagna o tuo figlio (in quest’ultimo caso previa autorizzazione del Giudice tutelare).

Tuttavia, questa non è una garanzia per “sottrarre” il bene a tuoi eventuali creditori. Infatti, avendo la tua ex moglie instaurato un giudizio contro di te, appare evidente che questa tua donazione ad altri, altro non è che un modo per sottrarre un bene ai tuoi (eventuali) creditori.

A tal proposito, il nostro ordinamento prevedere l’istituto dell’azione revocatoria exart. 2901 cod. civ. secondo cui “Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione. Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito. Non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto. L’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione.

In sostanza, quindi la revocatoria è un mezzo legale di conservazione della garanzia patrimoniale, consistente nel potere del creditore (revocante) di agire in giudizio per far dichiarare inefficace, nei suoi confronti, gli atti di disposizione patrimoniale coi quali il debitore arrechi pregiudizio alle sue ragioni.

Sono presupposti del rimedio descritto: il credito del revocante, il pregiudizio arrecato dall’atto dispositivo del debitore alle ragioni del creditore, la conoscenza di questo pregiudizio da parte del debitore e, se l’atto è a titolo oneroso, la conoscenza del pregiudizio anche da parte del terzo.

L’atto compiuto prima della nascita del credito è revocabile se sussiste la dolosa preordinazione. Oggetto dell’azione sono gli atti che causano la perdita o la limitazione dei diritti patrimoniali del debitore o che comportano l’assunzione di passività.

Un rimedio a mio avviso molto interessante per garantire i bisogni della famiglia, è il fondo patrimoniale (non adattabile al caso in questione perchè anch’esso soggetto a revocatoria, ma comunque, ritengo, di interesse per coloro che stanno leggendo questo post) regolato dagli artt. 167 e seguenti cod. civ..

L’art. 167 cod. civ. dispone che “Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia. La costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi, effettuata dal terzo, si perfeziona con l’accettazione dei coniugi. L’accettazione può essere fatta con atto pubblico posteriore. La costituzione può essere fatta anche durante il matrimonio. I titoli di credito devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo.

Presupposto per la costituzione del fondo è il matrimonio.

La sua funzione principale è quella di soddisfare i bisogni della famiglia. Inoltre, sui beni oggetto del fondo patrimoniale non è possibile agire forzosamente, fatta però salva la buona fede del creditore che ignorava che il debito era stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (art. 170 cod. civ.). Infine, laddove il fondo fosse stato costituito fraudolentemente allo scopo di sottrarre beni alla garanzia dei creditori, sarà sempre possibile esperire l’azione revocatoria.

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Eredità della zia separata solo di fatto

Preg.mo Avvocato innanzitutto la ringrazio per la preziosa disponibilità. Espongo il mio dubbio. Mia zia era coniugata con una persona che la maltrattava e che da oltre 35 anni ha fatto perdere le sue tracce. Purtroppo lei non ha mai affrontato nessun tipo di separazione. Ora mia zia è defunta e verificando all’anagrafe comunale risulta essere ancora coniugata con questa persona che attualmente ha residenza a Berlino in Germania. Il coniuge sarebbe erede generale o spetta una quota anche ai fratelli/sorelle? Nel caso il coniuge avesse avuto altri figli da altre unioni, spetterebbe qualcosa anche a loro? Premetto che la zia non aveva beni immobili ma solo un conto corrente bancario contenente una piccola somma. Anticipatamente ringrazio.

Il coniuge, anche se legalmente separato ma non divorziato, è erede legittimo ai sensi dell’art. 536 cod. civ.. In sostanza, il coniuge ha sempre diritto ad una quota dell’eredità.

Quando, come nel caso della zia, non ci sono figli, insieme al coniuge concorrono all’eredità i genitori e i fratelli e le sorelle del de cuius.

Al coniuge spettano i 2/3 dell’intera massa ereditaria, mentre agli altri eredi, indipendentemente dal loro numero, spetta 1/3 dei beni.

In ogni caso, gli eventuali figli del coniuge separato di fatto non sono eredi della zia.

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eventuale successione tra la figlia del primo matrimonio e la figlia del secondo matrimonio

Mio padre, divorziato da mia madre da 10 anni, risposato una seconda volta con una figlia di 10 anni, mia sorellastra, all’età di 68 anni desidera fare testamento. Io ho 27 anni, e 7 anni fa mio padre decide di acquistare un appartamento con i suoi soldi per me, rogitandolo a nome mio: divento cosi proprietaria di un appartamento in cui vivo da allora, del valore di 250 mila € mantenendolo e curandolo come proprietaria. Una scrittura privata fatta successivamente tra me e lui mi porta a firmare il fatto che in caso di mia morte la casa ritornerebbe interamente a lui, o ai suoi discendenti, in caso di mancanza di miei figli. Lui ora nel suo testamento ha scritto che il valore dell’appartamento acquistato per me allora, rientrerà nell’asse ereditaria alla sua morte e che il rimanente della differenza dell’eredità dovrà essere spartita tra me e la sorellastra, considerando che la nuova moglie rinuncerà alla sua parte legittima. Mi chiedo però, qualora alla sua morte lui non disponesse di una somma di 250mila€ (che andrebbe alla pari con il valore del mio immobile), ma disponesse solo di 100mila, io dovrò liquidare la sorellastra della restante differenza per raggiungere il valore del mio immobile?Anche se io sono la proprietaria a tutti gli effetti e se ho investito i miei denari in tutti gli anni in cui ho mantenuto l’immobile?Cosa dovrei fare io per tutelarmi? Considerate il fatto che non vorrei ritrovarmi a pagare ad un’altra persona qualcosa che mi è stata teoricamente donata..

La questione è ingarbugliata e soprattutto è tutta ipotetica, cosa che rende difficoltoso dare una risposta precisa. Come si dice: dammi il fatto e ti darò il diritto.

Detto ciò, innanzitutto ritengo che la scrittura privata tra te e tuo papà non abbia alcun valore: tu puoi disporre dei tuoi beni solo facendo testamento e non anche con scritture private.

Allo stesso modo, la seconda moglie di tuo papà non è in alcun modo tenuta a rinunciare all’eredità: potrebbe benissimo decidere di ereditare ciò che le spetta di diritto.

Infatti, ai sensi dell’art. 458 cod. civ., “fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi.“.

Quanto all’immobile, ciò che tu mi chiedi si chiama collazione ereditaria.

La collazione è un istituto previsto dall’art. 737 e seguenti cod. civ. che prevede che “i figli legittimi e naturali e i loro discendenti legittimi e naturali ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati.“.

Questo accade affinchè alcune eredi non siano favoriti rispetto ad altri con donazioni effettuate in vita dal de cuius.

Detto tutto ciò, è difficile sapere se dovrai o meno liquidare qualcosa alla tua sorellastra alla morte di tuo papà poichè ciò dipende da moltissimi fattori, quali, ad esempio, l’intera massa ereditaria, se la seconda moglie di tuo papà accetterà o meno l’eredità, …

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mio papà sta male e i miei futuri coeredi vogliono già vendere tutto

Mio papà è ricoverato in casa di cura da 3 anni con 100% alzheimer e parkinson,me ne sono occupato io nell’anno precedente affittandogli un alloggio vicino a casa mia e occupandomi di tutto,alimentazione,pulizia completa,gestione conto corrente e cura della persona..la casa dove viveva colla mamma,ahimè deceduta,una villa nell’astigiano ora vuota,è al 66% di sua proprietà,l’altro terzo è del fratello che minaccia di poterla già vendere per incapacità di intendere e di volere del papà, e comunque di volerla vendere al momento della sua morte.Io ho un fratello maggiorenne che non vede l’ora,come ha fatto appena tumulata la mamma,di poter vendere ed incassare una volta deceduto il papà.Posso e come oppormi a questa loro volontà,sia per la vendita imminente del volere dello zio e sia dopo la morte? La ringrazio per l’attenzione e mi auguro possa cortesemente rispondermi.

In questo momento il problema della vendita non si pone in quanto è necessario anche il consenso – e quindi la firma – di tua papà. Inoltre, se il comproprietario volesse ‘scavalcare’ tuo papà dovrebbe fare un ricorso al Giudice tutela per la nomina di un tutore o di un amministratore di sostegno, il cui scopo sarebbe quello di prendere le decisioni nell’interesse di tuo papà nei limiti del suo compito e comunque la vendita sarebbe un atto di straordinaria amministrazione che necessita l’autorizzazione del Giudice e non solo del tutore/amministratore.

Per il futuro, ossia quando tuo papà verrà a mancare, in realtà non puoi fare molto: è diritto di ogni erede chiedere lo scioglimento della comunione, tuttavia ai sensi dell’art. 732 cod. civ. il coerede che intende alienare la propria quota deve prima offrirla in prelazione agli altri eredi.

Nel caso in cui, pertanto, un domani i tuoi coeredi vogliano alienare le loro quote, l’unico modo che hai per mantenere la proprietà è acquistarle tu.

come si fa a capire cosa deve essere fatto in esecuzione di una sentenza?

Ho notato che il vostro blog si distingue da altri per serietà ma in ogni caso io diffido dalle offerte pubblicate su internet. Confido di non sbagliarmi e pertanto sottopongo alla Vostra attenzione un quesito riguarda una sentenza, ben sapendo che la materia è flessibile, interperetabile e che nessuno possiede la sfera di cristallo:
[…]
• conferma l’ordinanza del xx.xx.xxxx, elevando a 120 i giorni entro i quali i convenuti dovranno dare esecuzione ai lavori di consolidamento;
• condanna i convenuti, in caso di mancata esecuzione dei lavori di consolidamento entro 120 giorni, a pagare in solido all’attore la somma di € xxxxxxxxxxxx,xx, oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo;
[…]
– “Dare esecuzione” significa aver completato le opere imposte o iniziare a svolgerle?
– Se al termine dei 120 giorni non è stato fatto nulla, può la parte soccombente addurre il ritardo a problemi di carattere burocratico (o altro) e richiedere (rispetto alla sentenza quindi) una proroga ai termini?

 

In realtà, in relazione all’espressione “dare esecuzione” credo che molto dipenda dal tipo di lavori che sono da effettuare.

 

Mi spiego meglio.

 

Se il lavoro è un lavoro semplice che può essere svolto in poco tempo, senza un grande dispendio di risorse (quindi senza necessità, ad esempio, di rivolgersi a un Geometra o un ingegnere), ritengo che possa affermarsi che l’espressione si riferisca alla conclusione dei lavori.

Viceversa, se i lavori da fare sono lunghi e complessi, qualora vi sia la necessità di richiedere diverse autorizzazioni, fare progetti, … ritengo possa essere sufficiente che questi siano cominciati nel termine indicato in sentenza in quanto, in effetti, il termine potrebbe essere insufficiente per portarli a termine.

 

Quanto alla seconda domanda, bisogna vedere se gli eventuali problemi burocratici sono reali o sono solo un pretesto per richiedere una proroga.

 

In diritto, è praticamente impossibile fornire risposte precise su dati astratti o su quello che eventualmente potrebbe succedere in futuro, ma è sempre necessario partire dal fatto concreto.

Ho prestato soldi ad una amica ma devo ancora riaverli

Più di 1 anno fa ho prestato ad un’amica € 1.100, di questo importo mi è stato restituito € 600 in rate di € 100 al mese senza interessi, le rimanenti € 500 non mi sono state più restituite, di questi soldi prestati non ho molte prove ma solo un foglio scritto a mano e tanti sms di mie richieste di sollecito e un suo messaggio dove c’è scritto chiaramente che non può restituirmi i soldi. Cosa posso fare per riaverli? Sono stato dai Carabinieri e mi hanno detto che loro non possono farci niente perchè è stata una mia scelta e non un obbligo, posso quindi fare una querela in tribunale o chiedere a un avvocato? 

I carabinieri hanno perfettamente ragione.

La querela non puoi sporgerla in quanto non è ravvisabile alcun reato commesso dalla persona a cui hai prestato il denaro: hai scelto liberamente di prestarglielo e lei non te lo sta restituendo, per quanto scorretto moralmente non è un reato.

L’unica cosa che puoi fare è rivolgerti ad un legale affinchè promuova un’azione nei confronti di questa amica per recuperare quanto ti spetta. Può essere che basti inviare a questa persona una raccomandata, firmata da un avvocato, per farla tornare sulla giusta strada.

In alternativa, non ti resta che valutare un procedimento avanti al Giudice di pace, informandoti però bene sui costi prima: il mio consiglio è di concordare un compenso a forfait con il tuo avvocato prima di iniziare la causa.

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Debiti contratti durante il matrimonio ma da pagare dopo la separazione

Separato consensualmente con omologazione da tre anni, possediamo in comunione un bene immobiliare, oggi oggetto di separazione promossa da entrambi. Sul bene in oggetto gravano delle spese relative a due procedimenti civili, avvenuti prima della separazione, oggi passati in giudicato con pagamento in solido per entrambi (avvocati ed altro), con notifica dopo la separazione. Pagati dal sottoscritto per evitare, ingiunzioni e precetti dalla controparte. Oggi mia moglie pone rifiuto alla regolarizzazione del pagamento della sua quota (50%), adducendo di essere in obbligo a farlo ,solo dopo la divisione del bene e la relativa vendita della sua quota. Allo stesso modo rifiuta il pagamento dell’onere sostenuto dal sottoscritto per la perizia estimativa del bene concordato insieme, ma non soddisfaciente alle sue aspettative. Domanda: ho sbagliato ad anticipare e regolarizare il tutto per evitare aggravi economici alla famiglia o la legge è regolamentata a favore di mia moglie? Come comportarmi se dovessi essere citato in giudizio??

In realtà, anche se non ne sono certa in quanto dovrei visionare la documentazione, ritengo che tu e tua moglie siate stati condannati in solido ai vari pagamenti.

Se così fosse, la parte creditrice ha il diritto di rifarsi unicamente su quella che ritiene più solvibile e spetterà poi ad un debitore rifarsi sull’altro.

Nel tuo caso sei stato tu a pagare, al fine di evitare, giustamente, una procedura immobiliare. A mio avviso hai fatto bene, anche perchè, come detto, i creditori avrebbero potuto decidere di rifarsi unicamente su di te.

Ora, però, spetta a te rifarti nei confronti di tua moglie per la quota di sua spettanza. Bisogna vedere se è sufficiente farlo con decreto ingiuntivo o bisogna farlo con citazione.

Per quanto concerne la tua ultima domanda, ossia una eventuale citazione in giudizio, sarebbe da capire cosa intendi e soprattutto chi dovrebbe citarti: detta così non vuol dire nulla.

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ho vinto un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica: devo pagare l’avvocato?

Ho vinto un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, contro l ‘Amministrazione in cui lavoro per l’annullamento di una determina di indizione delle procedure selettive per progressioni interne. Ora mi ritrovo a dover pagare anche il mio legale, oltre al danno (per non aver potuto partecipare alle selezioni per le progressioni) la beffa di pagare, senza ottenere nessun tipo di vantaggio, solo per aver ripristinato una situazione di legalità. La parcella del mio Avvocato devo pagarla io? Posso esercitare qualche diritto di rivalsa? E se si come con quale strumenti? 

Sì, devi pagare tu il tuo legale in quanto sei stato tu ad incaricarlo e quindi spetta a te saldare le sue competenze.

Quanto al resto per fornire un qualsiasi voglia parere è necessario vedere cos’è stato deciso e in che termini, anche se onestamente faccio fatica ad immaginare azioni tali che ti permettano di recuperare le spese legali da te corrisposte.