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Oggetto senza certe caratteristiche: si può recedere?

Ho acquistato uno smart tv sul quale non posso utilizzare alcune applicazioni (nello specifico premium play e rai replay) perchè essendo di importazione europea non è predisposto per il mercato italiano e quindi non predisposto per sfruttare i servizi on demand specifici del nostro paese.
Non essendo stato informato dal negoziante posso esercitare il diritto di recesso? in caso positivo ci sono dei limiti di tempo dalla data di acquisto?

Non lo dici espressamente, ma parlando di «negoziante» penso che tu possa aver acquistato in un negozio fisico, dove il diritto di recesso non esiste, essendo tale possibilità prevista solo per gli acquisti a «distanza» o fuori dai locali commerciali, proprio perché uno non ha avuto la possibilità di vedere la merce e chiedere informazioni.

Una possibilità potrebbe essere a mente delle disposizioni del codice civile in tema di mancanza di qualità promesse o, ulteriormente, essenziali all’uso cui la cosa è destinata.

Il primo aspetto, cioè se la compatibilità con questi servizi era stata promessa o meno, va verificata in concreto, vedendo il materiale sia pubblicitario che di documentazione relativo al prodotto.

Va chiarito che è onere tuo verificare queste informazioni, non può essere onere del venditore dire tutto ciò che un oggetto fa o non fa, perché il venditore non può sapere a cosa è interessato in particolare ogni singolo cliente.

Il supporto a queste applicazioni, infine, può essere considerato «essenziale» per una smart tv? Io direi che difficilmente si potrebbe sostenere una cosa del genere, per un prodotto che fa comunque molte altre cose. Anche se questo aspetto si potrebbe sicuramente approfondire.

Infine, hai una polizza di tutela legale, indispensabile per poter godere di un livello adeguato di assistenza legale di qualità in una vicenda di basso valore come questa?

Direi comunque che l’unico approccio possibile per trattare questa situazione sia quello negoziale.

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Tastiera non retroilluminata: mancano qualità promesse?

Mi sono recata in un negozio di una catena e ho chiesto se le caratteristiche di un pc in offerta corrispondessero a quelle che io desideravo facendo vedere al commesso un preventivo ( più alto) fatto da un altro venditore. Questi mi ha detto di sì confermando anche il sistema operativo ( su mia richiesta). Ho acquistato il pc: I dati di base ( RAM e memoria) corrispondono ma non altri. Il pc che ho acquistato è di livello più basso rispetto a quello del preventivo che ho mostrato. Appena aperto il portatile, infatti, mi sono accorta che la tastiera non è’ ( come doveva essere) retroilluminata. In sostanza mi hanno detto ( penso in buona fede) che il pc in vendita da loro fosse identico a quello del preventivo che io volevo. Sull offerta esposta non c’era modo di vedere i dettagli della macchina e neppure sulla confezione. Ho dei margini per invocare la disciplina sulle qualità promesse?

Molto probabilmente il caso vi rientra, il problema qui è, con altrettanta probabilità, di tipo probatorio, considerato che non c’è un contratto scritto ma tutto riposa su cose che vi siete detti a voce.

È un po’ un peccato perché sarebbe stato sufficiente forse semplicemente far firmare il preventivo dell’altro venditore, che conteneva la descrizione del computer e della configurazione che volevi.

Ora se il venditore contesta di averti mai promesso queste cose come lo dimostri?

Per non dire del fatto che se non disponi di una polizza di tutela legale vertenze di questo genere sono difficili da gestire tramite avvocato.

L’unico approccio possibile direi che sia quello di trattare con il negoziante, cercando un compromesso.

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Se cambio sistema operativo al portatile perdo la garanzia?

Sto per acquistare un laptop (notebook) sul quale installare il sistema operativo Linux. Dopo aver chiesto alcune informazioni al rivenditore circa la compatibilita’ tra quel modello di portatile Asus e linux la risposta e’ stata che i driver per Linux non sono disponibili (problema minore) aggiungendo che se acquista un notebook e lo formatta installando un sistema operativo non fornito con la macchina perdo automaticamente la garanzia.
Uso linux da almeno 15 anni, sul mercato non si trovano computer senza sistema operativo o con Linux. Su tutti i computer che ho avuto ho sempre riformattato il disco fisso e installato Linux, ignara tuttavia che questa operazione mi avrebbe invalidato la garanzia di due anni.
E’ vero cio’ che afferma il rivenditore? Se fosse vero ritorneremmo ad avere il monopolio Microsoft, o meglio duopolio Microsoft-Apple che per quanto riguarda le “best practices” e l’avversione per la concorrenza hanno molto in comune.

Per me se si cambia il sistema operativo di un prodotto non si invalida automaticamente la garanzia, quantomeno quella legale contro i difetti di conformità.

Può darsi che si invalidi la garanzia di buon funzionamento, che è una garanzia convenzionale, concessa dal produttore, che quindi il produttore stesso può vincolare a clausole che dal punto di vista tecnico non hanno il minimo senso per cui cambiando il sistema operativo installato la garanzia viene meno – dico che non hanno senso perché naturalmente il fatto che sulla macchina giri Linux anziché Windows non può certo comportare una maggior usare dei componenti, anzi semmai ad esempio nel caso del disco fisso il file system di Linux è molto migliore, o a maggior ragione causare difetti hardware.

Quand’anche comunque si invalidasse la garanzia offerta convenzionalmente dal produttore, rimarrebbe comunque la garanzia di legge per i difetti di conformità, che è biennale.

Quindi non è che uno cambiando il sistema operativo rimanga senza garanzia, è un discorso molto più articolato, e a mio giudizio si è tutelati ugualmente.

Anche in caso di jailbreak di periferiche Apple a mio giudizio la garanzia rimane, checchè ne dica Apple: se ad esempio si rompe il microfono dell’iPhone, che colpa ne può avere il jailbreak? Non si può prendere il jailbreak come scusa per non sostituire componenti difettosi evidentemente.

Almeno questo è il mio modo di vedere le cose. Se poi si ha in concreto qualche problema, è come sai importante avere sempre una adeguata forma di assicurazione di tutela legale perché far valere i propri diritti potrebbe essere non così semplice.

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Se non mi sostituiscono il cellulare cosa posso fare?

lunedì 28 ottobre 2013 ho acquistato presso il centro commerciale Auchan uno smartphone in offerta. Essendo un regalo l’ho aperto una settimana dopo (lunedì 4 ottobre) ma una volta acceso il telefono non funzionava correttamente: a volte si bloccava entrando in certe app.
Visto che il problema non era dovuto ad un utilizzo sbagliato da parte mia, bensì era un problema di fabbrica, mercoledì mi sono recato all’Auchan per chiederne la sostituzione con un prodotto identico ma nuovo. Tuttavia mi è stato detto che Auchan non sostituisce smartphone già attivati (a cui è già stata inserita scheda sim) per questioni di privacy; successivamente ho contattato telefonicamente il centralino Auchan che mi ha riferito che, in base ad un accordo con Antitrust, Auchan ripara solamente gli smartphone e non li sostituisce… ma questo non va contro i diritti del consumo, se io chiedo che il prodotto mi venga sostituito? Come faccio a far valere i miei diritti?

Mi sembra una falsa questione, a mio giudizio se il telefono non funziona te lo devono sostituire e i termini di legge per la sostituzione ci sono tutti.

Piuttosto, dovresti approfondire la natura del vizio perché in tutti i sistemi operativi mobili più diffusi attualmente il crash delle applicazioni non è certo un fenomeno così raro e, specialmente se l’applicazione è fornita da terze parti, potrebbe non esserci nessuna responsabilità in capo al produttore del telefonino, fornitore di hardware e software.

Oppure ancora potrebbe essere un problema riconosciuto e risolto con un aggiornamento del firmware, cosa che smusserebbe molto il diritto alla sostituzione o al recesso.

In questi casi, l’unica possibilità sarebbe quella del diritto di recesso, però questo non è previsto per gli acquisti nei locali commerciali, ma solo per quelli on line.

Quanto alle modalità previste per tutelarsi, la cosa migliore è inviare una diffida tramite pec, meglio se tramite un avvocato, ma tieni presente che se non hai una forma di tutela giudiziaria le spese legali almeno all’inizio le devi anticipare tu e non è affatto detto che in seguito tu riesca a recuperarle.

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come gestire la casa in comune quando i conviventi non vanno più d’accordo

Un anno fa ho stipulato un contratto di mutuo e compravendita per l’acquistato di una casa con la mia ragazza al 50 %. La nostra convivenza è andata bene fino a pochi giorni fa, fino a quando ci siamo resi conto che la relazione non poteva continuare per varie problematiche. La mia domanda è la seguente: Vista la comproprietà al 50 % dell’immobile, vorrei sapere se all’interno dell’abitazione vi potrebbe accedere chiunque, anche se uno dei due proprietari è contrario. In questo caso, il proprietario che non è d’accordo a far entrare in casa una terza persona a lui non gradita, ha il diritto di vietare l’accesso a quest’ultima? 

Come spesso succede, non ci sono regole precise al riguardo. Si tratta di una normale situazione di comunione tra «estranei», visto che il vincolo affettivo tra di voi è venuto meno, come potrebbe essere quella in cui ci potremmo trovare io e te se acquistassimo una casa insieme.

Al riguardo, il codice civile si limita a dire che ognuno dei partecipanti può fare uso della cosa comune purchè non impedisca l’uso contemporaneo da parte degli altri. Con riguardo all’ingresso di altre persone, quindi, bisogna vedere se la presenza di terzi è tale da renderti impossibile fruire dell’abitazione di cui sei comproprietario o meno, naturalmente il discorso è diverso a seconda che si tratti di semplici visite o frequentazioni, da un lato, o di un vero e proprio alloggio dall’altro, analogamente a quanto avviene, ad esempio, nel caso di un parcheggio condominiale, dove ognuno può posteggiare la propria auto temporaneamente ma che non può occupare permanentemente.

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quando un rivenditore si impegna a sostituire un bene difettoso ma poi non lo fa

Buongiorno ho comprato a ottobre 2011 un armadio. me lo hanno consegnato il 16 dicembre sbagliato ( l’errore consisteva nel colore ante e nella composizione interna) sono usciti a febbraio per sistemare ante che sono ok ma internamente dopo mille tentativi l’armadio è ridotto a buchi e ancora non corrisponde alle caratteristiche di acquisto. siamo tornati al negozio x parlare con direttore che a Sue parole e documenti avrebbe risolto tutto ordinando un nuovo armadio. a oggi ancora nulla. vorremmo richiedere indietro i nostri soldi è fattibile? Abbiamo pagato l’armadio interamente alla prima consegna ottobre 2011. 

Il quesito proposto ci permette di considerare un aspetto fondamentale della tutela del consumatore. Sappiamo già, per averlo affrontato diverse volte su questo blog, che la normativa di riferimento è contenuta ora nel codice del consumo, il D.Lgs. 206/2005. Ciò posto, nella questione proposta, ad un consumatore che ha accettato, è stata proposta la “sostituzione” di un bene difettoso. Sappiamo bene che il venditore può formulare questa proposta, ovvero la sostituzione del bene in luogo della riparazione, salvo che tale sostituzione avvenga in un congruo termine, tenuto conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene.

La misura di tale congruità, pertanto, è un giudizio e non un valore assoluto. Giudizio che, in caso di controversia, sarà un giudice a dover emettere.

Nel caso in cui il rivenditore non sostituisca il bene in un tempo definito congruo, il consumatore ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo di acquisto del bene come mi pare nel caso proposto dall’utente.

quando è possibile chiedere la sostituzione di un cellulare difettoso?

Dopo 5 interventi di riparazione del cellulare XXX sempre sul medesimo elemento (tasto di accensione e stand-by) che funziona al massimo 1/2 mesi e poi si ripropone il medesimo difetto che rende inutilizzabile l’apparecchio, vorrei capire se esiste la possibilità di obbligare il produttore a sostituire lo smartphone oppure devo continuare ogni 2 mesi a rispedire l’oggetto finchè non si esaurisce la garanzia. Lo smartphone è stato acquistato 1/03/2011 ed oggi mi è stato detto di rispedirlo per la riparazione e che verrà aperta una pratica di sostituzione, ma come in precedenza mi era stato detto,tale difetto non prevede la sostituzione, posso appellarmi a qualcosa per la sostituzione.

 

Il quesito proposto ci permette di analizzare una questione giuridica di notevole importanza: quando un consumatore acquista un bene difettoso, che diritti ha nei confronti di chi gli ha compravenduto lo stesso bene?

Il Codice del Consumo, (il D.Lgs. 206/2005)  riconosce espressamente al consumatore la possibilità di chiedere, a sua scelta e senza spese a suo carico, la riparazione del bene difettoso o la sua sostituzione. A meno che uno dei due rimedi scelti dal consumatore sia impossibile o eccessivamente oneroso rispetto l’altro, il rivenditore dovrà assecondare la scelta del consumatore.

In entrambi i casi il rivenditore deve poter rimediare al difetto in breve tempo, in caso contrario il consumatore ha tutto il diritto di chiedere la risoluzione del contratto, ovverosia di chiedere le restituzione della somma versata e il risarcimento dell’eventuale danno subito a causa dell’inadempimento di controparte.

Nella fattispecie che ci occupa mi pare che “l’eccessiva difettosità” del cellulare dovrebbe imporre al rivenditore la sostituzione dello stesso.

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quando si prenota una vacanza per fare immersioni ma una volta sul posto si scopre che non si possono fare

Un uomo decide di comperare un pacchetto turistico presso una società di organizzazione viaggi con l’intento di effettuare, presso l’isola selezionata per la vacanza, delle immersioni subacquee in mare. Come espressamente dichiarato all’agenzia di viaggi, l’attività di immersione costituisce per l’uomo motivo determinante per la conclusione del contratto. Nonostante ciò, una volta sopraggiunto nell’isola, tale richiesta si rivela per il consumatore impossibile: in quei luoghi, infatti, l’attività subacquea risulta essere vietata. L’uomo decide, così, di evocare in giudizio la società di viaggi: ove, il giudice di primo grado accoglie la domanda limitatamente alla richiesta di risarcimento del danno morale, rigettando ogni altra istanza di contenuto economico; a seguire, il Tribunale investito del gravame principale, proposto dall’uomo, e da quello incidentale, proposto dalla società di viaggi, assolve quest’ultima da ogni pretesa risarcitoria. La sentenza viene così impugnata dall’uomo con ricorso in Cassazione, sede in cui viene accolto!

Ebbene, la causa è elemento essenziale del contratto, ex art. 1325, nr. 2 c.c.: essa risulta essere ‘’il perchè del contratto, ossia l’elemento essenziale che giustifica ogni spostamento di ricchezza all’interno della singola operazione negoziale’’. In tal senso, la causa assume le vesti di mero strumento di verifica che lo stesso ordinamento mette a disposizione del giudice per controllare che il singolo contratto sia meritevole di tutela, ex art. 1322.2 c.c.. La recente teoria ‘’della funzione economico-individuale’’ o ‘’causa in concreto’’ sostiene espressamente che la causa del contratto sia la ‘’sintesi degli interessi reali’’ che il contratto stesso è diretto a realizzare. Specificatamente, tale teoria fa riferimento ‘’alla concreta composizione di contrapposti interessi’’, che mediante il congegno contrattuale vengono contemporaneamente soddisfatti. Alla luce di quanto espresso, la causa viene analizzata ‘’caso per caso’’, non potendosi individuare a priori, in maniera secca, ma mediante il singolo e specifico contratto.

Nel contratto di viaggio vacanza ‘’tutto compreso’’ (cd ‘’pacchetto turistico’’ o ‘’package’’), disciplinato attualmente dagli artt. 82 et ss., d.lgs. nr. 206/2005 (cd. ‘’codice del consumo’’), la ‘’finalità turistica’’ connota la sua causa concreta ed assume rilievo, oltre che come elemento di qualificazione, anche relativamente alla sorte del contratto, con la conseguenza che l’impossibilità della prestazione da parte del consumatore-creditore, per causa a lui non imputabile, è da considerarsi causa di estinzione dell’obbligazione (…).

A fronte di tale situazione, ‘’la Corte di Cassazione nel corso degli ultimi anni ha cominciato a mantenere l’idea di dovere giungere ad applicare i dettami della giovane teoria della funzione economico-individuale’’. Nella prassi diviene essenziale la gestione della vicenda contrattuale: eventuali fattori sopravvenuti, idonei ad incidere sulla concreta funzionalità del rapporto (interesse del creditore compreso), finiscono per essere qualificati quali fattori patologici sopravvenuti dell’elemento causale del contratto, idonei, quindi, a condurre all’estinzione del medesimo vincolo negoziale. Con la sentenza nr. 4372 del 20 marzo 2012 la Cassazione afferma, nuovamente!, che: la causa va intesa come ‘’funzione economico-individuale’’ del singolo, specifico negozio (sia sotto il profilo genetico che funzionale). L’obbiettivazione (quale quella verificatasi nel caso di specie!) di un motivo, di cui la controparte sia resa espressamente partecipe, è destinata ad integrare l’elemento causale della convenzione negoziale nella misura in cui esso risulta determinante nella formazione del consenso. La prassi rivolge, quindi, l’attenzione agli interessi reali che il contratto, di volta in volta, è diretto a realizzare a prescindere dal singolo stereotipo contrattuale astratto (Corte di Cassazione, sentenza nr. 10490/2006). Nel caso di specie, il ricorso, dell’uomo, viene pertanto accolto dalla Suprema Corte con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza. Il procedimento viene, così, rinviato al Tribunale, in altra composizione, che provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Insomma, la teoria, in quaestio, brilla per la sua capacità di guardare sempre all’interesse concreto che il contratto realizza ed è proprio nella materia in oggetto che più agevolmente si riesce a scorgere la distinzione fra il ‘’tipo’’ contrattuale astratto e la ‘’ragione pratica’’ del contratto, finalità turistica. Ma ci si domanda: la nuova visione, di rivalutazione della funzione concretamente svolta dal contratto, potrebbe nella prassi risultare ‘’troppo ampia’’? O meglio, potrebbe sorgere il rischio di valorizzare ‘’un pò troppo’’ le finalità, dalle quali può desumersi l’utilità della prestazione e il suo valore d’uso? Volendo dare una risposta affermativa a tali quesiti: la causa finirebbe per coincidere coi motivi della concreta volizione, rendendo del tutto relativa una realtà contrattuale che invece ”preserva il suo valore solo se dotata della massima invariabilità e certezza strutturale”.

I dubbi interpretativi permangono…


I clienti mi chiedono i soldi indietro perché hanno acquistato per errore. Devo darglieli?

Sono titolare di un esercizio che si occupa della vendita al dettaglio di materiale elettrico. Sempre piu’ spesso mi capita che i clienti tornino indietro, con la merce pretendendo la restituzione dei soldi, sbandierando un fantomatico diritto di recesso che a quanto mi risulta non esiste per le vendite dirette effettuate in un locale commerciale. Premetto, che i beni che mi restituiscono sono stati da loro visionati al momento dell’acquisto, che gli stessi sono perfettamente funzionanti e che nella maggior parte dei casi vorrebbero restituirmeli perche’ li hanno acquistati per errore. Di solito sostituisco la merce con altra merce. Ma quando mi chiedono i soldi indietro? Grazie infinite

Partiamo dal presupposto che la regola generale nel diritto civile è che, quando si è acquistato un determinato bene, NON è possibile restituirlo al venditore pretendendo di avere i soldi indietro, a meno che non ci sia un valido motivo (ad esempio perché il bene acquistato è difettoso, oppure perché chi lo ha acquistato è stato raggirato).

L’acquisto del bene è infatti, a tutti gli effetti, un contratto vincolante, che non può essere sciolto se non c’è una ragione precisa.

A questa regola generale è posta una eccezione solo a favore del consumatore (ovvero di chi acquista come privato, senza riutilizzare i beni acquistati a scopi professionali) e solo nel caso in cui la vendita avvenga fuori dai locali commerciali (ad esempio a domicilio o per strada), oppure a distanza (ad esempio tramite internet).

Solo in tali limitati casi (e purché si rispettino i termini di legge) è possibile per il consumatore sfruttare il diritto di recesso e quindi restituire i beni acquistati e riottenere indietro il denaro pagato, senza fornire alcuna motivazione in merito (quindi semplicemente perché si è cambiata idea).

Diversamente tale diritto non sussiste, a meno che il commerciante non decida spontaneamente di soddisfare le esigenze del cliente per questioni di politica commerciale.

come leggere l’ebook della mia Guida alla separazione e al divorzio su Linux

Nei giorni scorsi mi ha contattato un collega per sapere come poteva fare a leggere il mio ebook Guida alla separazione e al divorzio, che aveva appena acquistato, su macchine linux. Lui è un utilizzatore di sistemi operativi liberi «duro e puro», non ha nemmeno periferiche portatili come iDevices o lettori di ebook, solo macchine con software GNU/Linux.

La mia guida è protetta, per scelta del mio editore, con i DRM di Adobe. Quindi, ordinariamente, può essere letta solo su PC con windows e Mac, su cui si può installare Adobe digital editions. Può essere letta anche su iPad, con bluefire, come spiego in questo precedente post.

L’unico sistema, a questo punto, per chi si trova nella stessa situazione del mio collega è quella di rimuovere i DRM. In questo articolo spiego come fare, tecnicamente, facendo anche alcune osservazioni sulla legittimità o meno di questa operazione.

Dal punto di vista tecnico, per rimuovere i DRM da un ebook protetto con il sistema di Adobe, è sufficiente usare una delle applicazioni che si trovano qui, disponibili sia per Windows che per Mac, e utilizzabili con qualche accorgimento – che va al di là dello scopo di questo post – anche con Linux.

Si tratta quindi di una operazione alla portata di tutti, che non richiede certo conoscenze da hacker o cracker.

Resta da valutare la legittimità di cose di questo genere.

Naturalmente, se il libro viene craccato o aperto per diffonderlo a persone che non ne hanno acquisito i diritti di utilizzo, la cosa è sicuramente illecita, probabilmente anche con rilievo penale. Il dubbio riguarda solo l’ipotesi di chi acquista una copia con DRM e per poterne usufruire egli stesso è obbligato a rimuovere i DRM, come nel caso del mio collega.

Da questo punto di vista, vorrei richiamare innanzitutto un mio precedente intervento su di un tema assolutamente analogo, di oramai un paio di anni fa, in cui sostenevo la possibile legittimità dell’operazione di chi scarica da internet un testo in formato elettronico se già dispone dell’edizione cartacea del libro – naturalmente deve trattarsi esattamente della stessa edizione, quindi stesso traduttore, se del caso, stesso apparato di commento e così via.

Ragionando in diritto, chi scarica un file di questo genere ottiene esattamente lo stesso risultato di chi scansiona un libro cartaceo per poterselo leggere su di un lettore di libri elettronici o sull’iPad. Difficile sostenere che sia illegittimo. È vero infatti che si fa una ulteriore copia di un’opera rispetto alla quale il diritto di far copie è ristretto, ma è sicuramente per uso personale e non ne deriva un danno né all’autore né all’editore.

Allo stesso modo, potrebbe dirsi legittima l’operazione di cui rimuove le protezioni per poter accedere egli stessi all’opera i cui diritti di utilizzazione ha acquistato, anzi in questo caso forse il ragionamento vale addirittura a maggior ragione, dal momento che mentre nel primo caso è sempre possibile un accesso tramite il cartaceo, chi acquista un ebook protetto con un sistema che non può «aprire» con le macchine che utilizza è del tutto tagliato fuori da qualsiasi acquisto.

Naturalmente, io esprimo tutto questo in termini di probabilità e non di certezza, dal momento che la questione è ancora assolutamente aperta e suscettibile di diversi inquadramenti e soluzioni, variabili anche a seconda del diritto di quale Stato è applicabile.

Vale la pena, prima di concludere, di precisare che chi rimuove una protezione, ammesso appunto che sia legittimo, ha poi comunque sicuramente, almeno a mio giudizio, l’onere di adottare tutte le misure di sicurezza volte a fare in modo che la copia libera non sia carpita illegittimamente da terzi, tramite operazioni di cracking o accesso illegittimo alle proprie macchine, perchè poi ben potrebbe essere ritenuto responsabile della diffusione illecita dell’opera, a maggior ragione se poi i terzi la immettono in circuiti di file sharing rendendola disponibile sostanzialmente a tutti, con grave danno economico per i titolari dei diritti. Queste misure dovranno essere le più varie, compresa ad esempio la configurazione di un codice di accesso per il proprio iPad, se il libro viene caricato sullo stesso, in modo che in caso di furto o perdita della periferica non ci sia il rischio di diffusione illecita dei contenuti.