Ho letto, con interesse, una scheda dell’avv. Tiziano Solignani sul suo blog relativo alla tutela dei consumatori. Vale la pena pagare un avvocato per farsi difendere in controversie di scarso valore? Pagare 50 o 100 euro per una lettera di diffida a fronte di un problema che ha pressappoco lo stesso valore è davvero conveniente? Ciò che mi ha trovato in disaccordo è una delle sue osservazioni. Dice Tiziano: “rivolgersi alle associazioni dei consumatori; onestamente, a mio giudizio è un ottimo sistema per ottenere un’assistenza di scarsa qualità”. Il problema delle associazioni, si prosegue nella critica, è il lavoro seriale che svolgono. Una routine che finisce per svilire il problema specifico. Se a ciò, poi, si unisce l’esiguità del compenso… Ma non basta: si legge che spesso queste organizzazioni sono degli specchietti per le allodole. Veri e propri “causifici” dove l’obiettivo non è la problematica del consumatore quanto, piuttosto, l’accaparramento di clientela per fare guadagnare. Per queste ultime considerazioni, Tiziano specifica che esse non sono frutto del suo pensamento ma che sono parole nientepopòdimeno che Carlo Rienzi, presidente Codacons. Parole mai smentite, si prosegue nell’articolo, che data l’autorevolezza della fonte dovrebbero dare un’idea precisa di che cosa sia un’associazione dei consumatori.
E’ qui che inizia il mio disaccordo. A questo punto mi presento: mi chiamo Alessandro Gallucci, avvocato anch’io, collaboratore di un’associazione dei consumatori, l’Aduc. Al contrario del collega non credo di fornire un servizio di scarsa qualità. Il suo punto di vista, certamente legittimo e per certi versi addirittura veritiero, pecca, secondo me, per eccessiva genericità. Far di tutta l’erba un fascio è il modo peggiore di rappresentare una realtà variegata per certi aspetti molto lontana e per altri vicina a quanto ha scritto Tiziano nel suo post. Una parte della classe politica incapace vuol dire che tutta la classe politica è incapace? Il malvezzo dell’evasione fiscale praticata da molti medici (“senza la fattura la visita costa 100 se, invece,…”) sta a significare che tutti i dottori sono evasori? E ancora, l’immobilismo evidente raggiunto da certi sindacati certifica ex se l’inutilità della categoria? Il problema non sta nel fatto che le associazioni forniscono servizi di scarsa qualità ma nel perché, eventualmente, possa accadere questo. Chiarita la causa la si può comprendere come orientarsi e quindi a quale associazione rivolgersi per evitare brutte soprese. E’ qui necessariamente devo fare alcuni distinguo che potranno apparire autoincensanti.
Diversamente, però, non si può fare. Che dice Rienzi nella sua intervista? Ci dice che, in fondo, l’importante è mantenere un livello di soci tale da consentirgli di rimanere nel CNCU (consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti). Chi è in quel circolo, la cui utilità è pari a quelli dei capezzoli di un montone, percepisce il finanziamento pubblico. In poche parole campa di contributi. Come Renzi la pensano in tanti. La sua eccessiva spavalderia nel dichiararlo è indice di un modo di fare non condivisibile ma sicuramente migliore del silenzio o della demagogia di chi si propone come paladino dei più deboli ma in realtà è solamente il difensore del suo gettone di presenza. E’ qui che si annida la differenza tra un’associazione dei consumatori di scarsa qualità ed una che svolge degnamente il suo compito. E’ una questione di prospettiva. Se il consumatore serve per raggiungere uno scopo ben preciso vale a dire l’agognata prebenda statale, è evidente che lo si tratterà come tale: come un mezzo. A vantaggio conseguito il servizio offerto diventerà secondario e magari di scarsa qualità. Alle volte proprio perché per mantenere i benefici non ci si può permettere d’alzare troppo la voce contro chi ce li eroga. Il modo per negare o rimpallare la colpa degli effetti di questa devianza sono tanti: in Italia di “scaricabarlismo” siamo maestri. Prendiamo la class action: azione di per sé inutile, per com’è ora, che viene nominata un giorno si e l’altro pure minacciando d’azionarla per ogni unghia rotta. Chi lo fa è chiaramente in mala fede (io spero che sia solamente ignorante) ma tanto chi conosce i tecnicismi? Risultato: confusione su cosa sia davvero l’azione collettiva ma possibilità di fare un annuncio pubblico a danno zero. Tanto poi il tempo cancella tutto. Pure il metaforista Bersani è stato incredibilmente vittima di questa vera e propria mania. Fin qui sembra quasi che in fin dei conti stia dando ragione a Tiziano.
Non è così. C’è un modo diverso d’essere a servizio dei consumatori; se guardiamo ad una categoria di persone non per raggiungere contributi o privilegi ma per rendergli un servizio ottenendo in cambio il giusto dovuto, la prospettiva cambia. E’ qui che devo, gioca forza, parlare dell’Aduc. Noi non prendiamo contributi pubblici. Il nostro scopo è informare ed orientare il consumatore. La nostra offerta è diretta a lui. E’ naturale, allora, che è all’utente che chiediamo il sostentamento della nostra attività. A chi altro sennò? Se lavoriamo bene ci sarà il giusto ritorno. Noi non aderiamo al CNCU, anzi vorremmo che venisse abolito. Saremmo in difficoltà a stare seduti al tavolo e a prendere lauti contributi da chi è spesso nostro contraddittore. Sapete che si dice dei ladri di Pisa? Non vogliamo entrare in quella definizione. Siamo contrari agli elenchi di associazioni che sono rappresentative e quindi hanno diritto a far valere in giudizio questioni che, nemmeno il singolo può azionare. E’ il lobbismo deteriore che va combattuto giornalmente. Se un diritto è di tutti, se un interesse è diffuso perché non lasciare libero ognuno di difenderlo? Forse perché consentire di azionarlo a chi siede al tavolo e prende soldi da una delle sue controparti lo rende più addomesticabile?
Potrei continuare a lungo ma mi fermo qui. Credo sia chiara la differenza. Se il consumatore è solo un mezzo è evidente che come tale sarà trattato: strumento per raggiungere un fine diverso dalla sua soddisfazione. Ma se l’oggetto delle proprie attenzioni è anche il fine ultimo della propria azione, il servizio che gli rendiamo sarà necessariamente un buon servizio. Altrimenti perché quella persona dovrebbe tornare? Rischio di rendere un servizio di scarsa qualità se, a parte essere incapace, faccio quello che mi è chiesto senza che ciò sia l’effettivo scopo che mi sono prefissato. Funziona così per tutti. Anche per l’avvocato che non guarda alla soddisfazione del cliente come obiettivo ed alla sua ricompensa come naturale conseguenza ma brama solamente il denaro con il minor sbattimento possibile. Vero Tiziano?