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Cessione di azienda e locazione immobili: cosa comprende?

Abbiamo comprato una licenza de un bar in 2008 il locale diponeva anche de un magazzino incluso in affitto di muri ma non in planetaria del locale …anno scorso e morto il propietario di muri e la Sorela la ereda il magazzino e in questo momento ni ha intimato verbalmente di liberaré magazzino fino al fine di mese ….com’è possibile procedere grazie per la risposta in anticipo

Se ho capito bene, avete acquistato un’azienda e, di conseguenza, siete subentrati nel contratto di locazione dei locali all’interno dei quali si svolge l’attività.

Adesso c’è il problema di capire esattamente quale fosse l’oggetto del contratto di locazione a suo tempo stipulato con la persona successivamente venuta a morire.

Per fare questa indagine, è assolutamente necessario esaminare la documentazione, a partire dalla locazione stessa.

Inoltre bisogna verificare, a monte di ciò, se della cessione dell’azienda era stata fatta adeguata comunicazione al locatore, a suo tempo, dal momento che in caso di contestazione potrebbe essere sollevato anche questo profilo.

Se vuoi procedere con questo lavoro, cosa che, nel caso, ti consiglierei di fare con una certa urgenza, chiama il mio studio al numero 059 761926 e concorda giorno ed ora del tuo primo appuntamento che, se vivi e lavori lontano dal mio ufficio, potrà ovviamente avvenire tramite zoom o altri sistemi di video chiamata; oppure acquista direttamente da qui, nel caso saremo poi noi a chiamarti.

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10 cose sui danni e problemi nelle locazioni.

1) Il primo modo di difendersi dalle situazioni in cui il tuo inquilino danneggia il tuo appartamento o crea altri problemi é la prevenzione: stipula una polizza di tutela legale per la proprietà con UCA, Arag o Das.

2) Se il tuo inquilino ti ha lasciato la casa danneggiata, puoi soddisfarti innanzitutto sul deposito cauzionale versato all’inizio del contratto.

3) Se il deposito non fosse sufficiente, e/o ci fossero altri problemi come canoni impagati, preavviso non dato, ecc., bisogna inviare all’ex inquilino una diffida tramite un avvocato richiedendogli di pagare il dovuto.

4) Se l’inquilino non paga, bisogna valutare la sua solvenza e cioè vedere se vale la pena fargli causa, se, dunque, possiede beni o sostanza aggredibili, altrimenti fargli causa, anche vincendola, é inutile.

5) In casi di particolare gravità, si può valutare anche una denuncia penale, con particolare accuratezza e prudenza, comunque scrivendola molto bene.

6) Se l’ex inquilino é solvente, ma non paga il dovuto, si può procedere con una causa, che ha di solito le forme meno lente del ricorso ex art. 447 bis cod. proc. civ..

7) Prima di procedere con la causa chiedi un preventivo scritto al tuo avvocato, tenendo presente che non è garantito in assoluto che tu vada a recuperare quello che intanto anticipi, anche in caso di vittoria della causa.

8) Per questo genere di cause, solitamente offro una tariffazione con struttura a flat: il cliente paga un tot ogni anno e i singoli appuntamenti a metà prezzo, oltre le spese documentate; altri studi possono regolarsi diversamente.

9) Un altro buon sistema di prevenzione, accanto alla polizza di tutela legale, é quello di farsi assistere da un avvocato per la redazione del contratto, anziché usare il solito modulo – non é nemmeno così costoso, in genere, come si pensa e tutto sommato é preferibile.

10) Al posto del deposito cauzionale, sempre al momento della stipula del contratto, si può chiedere al conduttore di depositare una fideiussione bancaria o assicurativa come garanzia, che si solito é più tutelante della cauzione.

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Compenso a percentuale per recupero crediti?

ho iniziato a gennaio un corso di formazione presso un privato che si è rivelato poi un’Associazione culturale (non era chiaro dall’inizio). Tramite quota associativa fittizia di 1 Euro le persone potevano iscriversi al corso per soli soci, costo totale oltre 2000 Euro. Il corso, dopo le prime lezioni e il pagamento di oltre metà del costo totale, è stato sospeso causa Covid e riprenderà tra alcuni mesi. Io non potrò partecipare per altri impegni presi precedentemente e vorrei la restituzione di almeno una parte del denaro versato. Ho inviato lettera raccomandata citando art. 1463 cod civile ma l’organizzatore non ritiene di dover restituire nulla. E’ possibile un recupero credito con contratto a percentuale?

È molto difficile ipotizzare di tariffare a percentuale un recupero credito di questo genere, per diversi motivi che può essere utile spiegare bene.

Innanzitutto, la sorte capitale è piuttosto bassa. Anche riconoscendo allo studio una percentuale sensibilmente alta, ad esempio il 50%, il massimo che si realizzerebbe sarebbe di circa 1000€, cosa che, specialmente se si rende necessario un recupero giudiziale, senza poter utilizzare il procedimento più veloce per ingiunzione, e, inoltre, specialmente nel caso in cui fosse necessario servirsi di un corrispondente in loco, rappresenterebbe un compenso largamente incipiente in proporzione al lavoro che sarebbe necessario.

Un’altra considerazione da fare è quella per cui ci sarebbero comunque delle spese da affrontare per contributo unificato, marche, eventuale registrazione decreto e così via, che sono da tenere in conto perché comunque non sarebbero coperte da un compenso a percentuale, che è sempre al netto di tutte le spese vive da affrontare per portare avanti la pratica.

Infine, c’è un’alea o rischio al momento piuttosto alta, nel senso che un’associazione culturale potrebbe benissimo non presentarsi solvente, col rischio appunto di fare un’intera causa o procedura di recupero senza poi trovare nulla di pignorabile con la conseguenza che la sentenza o il titolo possono tranquillamente essere appesi al muro, in apposita cornice, a futura memoria.

Se consideri adeguatamente tutte queste circostanze comprendi che per un avvocato lavorare a queste condizioni è sostanzialmente improponibile, sarebbe come presentarsi alla Mercedes per prendere un’auto con dieci euro. Le persone ipotizzano cose di questo genere solo perché non si rendono conto di cosa significhi e cosa comporti a livello lavorativo e di spese sostenere un recupero crediti in determinate situazioni.

Quello che puoi fare è far inviare da un avvocato una lettera di diffida, dal momento che la diffida di uno studio legale ha sicuramente una efficacia maggiore di quella di un privato, che, spesso è purtroppo controproducente, perché trasmette il messaggio esattamente opposto e cioè «non sono disposto ad investire in questa posizione», che è un messaggio di fronte al quale la controparte si mette ovviamente bella tranquilla.

Se la diffida non dovesse avere seguito fattivo, l’unica sarebbe vedere se possibile utilizzare il sistema del ricorso per ingiunzione, ma anche qui con estrema prudenza.

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Coronavirus e sfratti: cosa dice la legge?

Il #conduttore di un mio immobile ad uso commerciale di lavanderia non mi sta più pagando il canone di #locazione. Posso procedere con lo #sfratto?

In questo momento, purtroppo no, essendo gli sfratti stati bloccati dalla normazione emergenziale sul #coronavirus, almeno a livello esecutivo.

Il provvedimento è contenuto nell’articolo 103, comma 6, del decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”), secondo cui: «L’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020».

Dunque, non solo gli immobili adibiti ad uso di civile abitazione, ma anche quelli ad uso commerciale «godono» dell’esenzione dall’esecuzione del procedimento di sfratto.

La legge non consente naturalmente la sospensione del pagamento del #canone, ma consente agli inquilini in difficoltà di recedere in anticipo dal #contratto per giusta causa, osservando il periodo di #preavviso.

Come deve essere letta questa disposizione?

La legge parla di «esecuzione» dei provvedimenti di rilascio degli immobili, quindi sembra riferirsi solo agli sfratti già divenuti esecutivi, cioè «confermati» appunto dal provvedimento del giudice.

Questo sembra lasciare aperta la porta alla possibilità che tu, proprietario dell’immobile, possa comunque intanto già intimare lo sfratto, cosa che come noto avviene con citazione a comparire ad una determinata udienza, che non richiede la collaborazione, almeno all’inizio, dell’apparato giudiziario (in questo momento bloccato).

Il giudice, poi, nel momento in cui ci sarà l’udienza, qualsiasi forma la stessa assuma, potrà convalidare lo sfratto e munirlo di esecutività, restando naturalmente inteso che non potrai metterlo in esecuzione prima del 30 giugno, salvo naturalmente ulteriori proroghe di questa scadenza a seconda delle decisioni del governo. La legge, infatti, non preclude la convalida, ma solo la messa in esecuzione.

Però è ancora presto per sapere se questa lettura è corretta, bisognerà attendere qualche pronuncia, per la quale i tempi non sono affatto brevi, dal momento che la giustizia è per molti versi in stato di sospensione anch’essa.

Si può naturalmente sempre tentare, diciamo che può essere un modo per mettersi avanti – un po’ come si fa con le licenze per finita locazione – per poter poi già disporre di un titolo esecutivo nel momento in cui lo stesso tornerà ad essere azionabile.

Al di là della «convalidabilità» di uno sfratto intimato in questo periodo, non so però dirti quali possano essere i tempi per l’udienza, già non eccelsi al di fuori dell’epidemia: anche a questo riguardo è sempre un tentativo che si può fare.

Al momento, potrebbe essere una buona idea quella di inviare al tuo conduttore una diffida al pagamento dei canoni insoluti, prospettando comunque l’ipotesi dell’intimazione dello sfratto in mancanza, nonchè del recupero giudiziale. Se vuoi un preventivo per questo lavoro, puoi chiederlo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.

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Ritardo nei canoni locazione commerciale: che succede?

il locatore del locale commerciale dove siamo da 11 anni mi ha inviato una email intimandoci a tornare regolari al pagamento (nel contratto si paga entro il 5 del mese, noi pagheremo il canone anticipato di Novembre (scadenza contrattuale 05.11.18) il 10 Dicembre, avendo anticipato al locatore copia della contabile del bonifico)…
Ci ha scritto che se dal 5 Gennaio non torneremo regolari non ci intimerà lo sfratto, ma direttamente procederà con lo sfratto esecutivo
Fino a quanti gg di ritardo potremmo ritardare il saldo del canone di locazione per non ricevere l’intimazione allo sfratto? E dopo l’intimazione, si potrebbe estinguere la convalida dello sfratto saldando l’arretrato con le spese legali? Infine, la carenza della sottoscrizione di una eventuale polizza obbligatoria è motivo di risoluzione del contratto? Da notare che altri inquilini non hanno sottoscritto questa polizza, e non hanno ricevuto questa lettera…

La presunta differenza tra intimazione di sfratto e sfratto esecutivo diretto non ha alcun senso, non so che cosa vi abbia scritto in effetti.

Ad ogni modo, lo sfratto può essere intimato quando la morosità supera l’importo di due mensilità di canone, mensilità che può essere dovuta anche per oneri accessori e non per il solo canone, e ciò dal giorno stesso in cui la morosità arriva ad avere questo ammontare, senza che siano previsti termini di alcun tipo.

Una volta che lo sfratto sarà stato intimato, non sarà più possibile alcuna forma di sanatoria. Nelle locazioni commerciali, non è previsto il termine di grazia. Inoltre, anzi soprattutto, vale il principio della cristallizzazione dell’inadempimento, per cui se anche pagate tutti gli arretrati dopo la notifica dello sfratto, lo sfratto viene poi comunque convalidato e dovete rilasciare l’immobile.

In conclusione, se superate le due mensilità di morosità potete ricevere una sfratto contro cui poi potrebbe non esserci rimedio, se non negoziale.

Nel caso, invece, vi rendeste morosi ma non di due mensilità, potreste sempre ricevere un decreto ingiuntivo per il pagamento.

Per quanto riguarda la polizza, bisognerebbe esaminare il contratto. Se questa fosse prevista a pena di risoluzione, la risoluzione non potrebbe tuttavia essere richiesta con lo sfratto, ma con un procedimento per rito locatizio.

Valuta, se vuoi approfondire, di acquistare una consulenza.

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Arresto dell’altro contraente: si può recedere per giusta causa?

Posso recedere dal contratto di agenzia per giusta causa considerato che il contraente è stato arrestato questo martedì per frode, evasione, danni all’erario ed il suo deposito petrolifero sequestrato?

Come spiego meglio in questa scheda dedicata, che ti invito a leggere con attenzione, la «giusta causa» è una «clausola aperta»: ciò significa che la ricorrenza o meno della stessa viene valutata da un interprete che, alla fine, è sempre, nei casi in cui viene sollevata una contestazione, un giudice.

Non esiste un catalogo di cose che costituiscono sicuramente «giusta causa», anche se è vero che ci sono situazioni che sono già state giudicate dalla magistratura e ritenute tali, costituendo un precedente, che, tuttavia, per svariati motivi, non è mai vincolante nel nostro sistema giudiziario, sia perché i giudici devono rimanere liberi, sia perché in realtà è molto difficile che si presentino due casi assolutamente congruenti ed identici, ma ogni situazione è diversa.

Quindi la decisione di recedere o chiedere la risoluzione o comunque lo scioglimento o l’uscita da un contratto per «giusta causa» è sempre basata su di una valutazione di massima che poi può rivelarsi tanto azzeccata quanto non condivisa dal giudice.

È estremamente importante, di conseguenza, che la lettera o diffida con cui si comunica la decisione di «tirarsi fuori» dal contratto sia ben formulata e argomentata perché, nell’incertezza ineliminabile circa la sussistenza o meno della giusta causa, è bene che almeno le motivazioni addotte siano articolate nel modo migliore possibile.

Nel tuo caso, può darsi benissimo che ci siano i presupposti per ritenere, ragionevolmente, sussistente la giusta causa, anche se bisognerebbe capire meglio di che tipo di contratto si tratta e soprattutto in quale settore economico interviene, per vedere se gli eventi che hanno colpito l’altra parte sono così determinanti.

Occorrerebbe quindi fare questo approfondimento poi, in caso la probabile sussistenza della giusta causa sia verificata, procedere con la lettera in cui tale circostanza viene formalmente comunicata e denunciata alla controparte.

Se vuoi procedere, il prodotto da valutare è questo.

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Comodato precario di fondo rustico: come avere la restituzione?

Mia madre, proprietaria di terreno agricolo, ha concesso ad un conoscente il suddetto in comodato d’uso gratuito (senza durata predeterminata!!) con regolare registrazione presso l’Agenzia delle entrate. Ora, per motivi personali, mia madre vorrebbe rescindere tale contratto, come bisogna procedere? Basta una semplice raccomandata A/R inviata al comodatario (art. 1810 c.c) oppure bisogna passare per l’Agenzia delle entrate? Quanto tempo bisogna dare al comodatario per lasciare il bene? infine, se non provvede a lasciare il terreno entro il termine cosa succede con i suoi beni presenti all’interno, casetta in lamiera, gazebo, attrezzi da lavoro ma ancor peggio i suoi animali?

Il comodato fatto senza determinazione di durata è possibile e legittimo e si chiama precario.

In questo tipo di comodato, il proprietario può richiedere in qualsiasi momento la restituzione della cosa. Secondo il codice civile, non sarebbe previsto nemmeno un adeguato preavviso, dal momento che si tratta di un contratto pur sempre gratuito, ma a mio giudizio almeno tre mesi, per correttezza, è bene lasciarli, anche in considerazione della natura immobiliare ed agricola, cioè produttiva, dell’oggetto del comodato.

Il primo passo quindi è mandare la richiesta di restituzione del bene ai sensi dell’art. 1810 del codice civile che giustamente hai citato anche tu.

Volendo tutelarsi al massimo grado, si potrebbe valutare di intimare, parallelamente, anche una licenza per finita locazione, applicabile anche al comodato secondo una recente sentenza del Tribunale civile Mantova, 15 maggio 2018.

In mancanza, e qualora il comodatario non liberasse l’immobile, si dovrà poi procedere con un giudizio ex art. 447 bis cpc (rito locatizio) per riottenere la disponibilità dell’immobile, libero da persone, cose e animali.

Se avete fondati sospetti che il comodatario possa restare inottemperante alla richiesta di restituzione, vi consiglio di valutare la licenza per finita locazione.

Per quanto riguarda la lettera di «disdetta» o più propriamente la richiesta di restituzione, ti sconsiglio di farla da solo, mentre ti consiglio di farti assistere da un bravo avvocato. Il rischio di scrivere cose inesatte o addirittura per voi dannose è sempre troppo alto in contesti del genere. Se vuoi un preventivo da parte nostra, puoi chiedercelo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.

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Faccio da garante per ex moglie: come mi tutelo?

devo fare da garante alla mia ex moglie (madre di mio figlio di 4 anni) per l’acquisto di una casa dove andrà ad abitare con mio figlio e con la quale abbiamo fatto una separazione consensuale che prevede un riconoscimento di un assegno di mantenimento mensile di 400 euro e che lei vada ad abitare con mio figlio nella nuova casa. Come posso tutelarmi qualora lei in futuro diventasse inadempiente? Posso fare ad esempio una scrittura privata? Che mi consigliate di fare?

Se l’operazione viene svolta come avviene di solito in casi del genere, tu dovresti comparire come fideiussore nel contratto di mutuo stipulato per atto pubblico davanti ad un notaio.

In queste condizioni, non avrebbe alcun senso fare una scrittura privata a parte, dal momento che risulta già da un atto avente maggior valore di prova, l’atto pubblico stipulato davanti ad un notaio, che tu intervieni nel mutuo non in qualità di co-mutuatario, bensì di garante.

Da questa qualità di fideiussore, o garante, discende direttamente per legge che, se il mutuatario, cioè la tua ex moglie, non paga il mutuo e la banca chiede a te il pagamento nella tua qualità appunto di garante e tu effettivamente paghi, poi hai un’azione di regresso nei confronti della tua ex moglie per quello che sei stato costretto a pagare.

A questo punto, piuttosto, il problema potrebbe essere quello della solvenza della tua ex moglie, come spiego meglio nella scheda sul recupero crediti, che ti invito a leggere con attenzione, mentre a livello documentale, come contratto, non credo ci sia molto altro che si possa fare.

L’unica cosa che ti consiglierei è quella di far vedere ad un avvocato il testo del contratto di mutuo che andrai a sottoscrivere insieme alla tua ex moglie, in modo da verificare bene ed in concreto che il quadro sia effettivamente quello sopra delineato e non vengano impiegate formule o clausole che potrebbero far pensare, anche solo in parte, a conclusioni diverse. Se vuoi far fare a noi questo lavoro di controllo, assistenza e consulenza, puoi acquistare una consulenza dalla voce apposita nel menu principale del blog.

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Sovraindebitamento: quando si hanno troppi debiti.

Sto con una persona che ha divorziato a giugno di questo anno, quindi due mesi fa. Durante la separazione consensuale all sua ex era stato dato un assegno di 50 euro (poi abbiamo capito perché: la pensione di reversibilità). È successa una cosa gravissima. Il suo ex marito non poteva più pagare le rate del mutuo che gravavano solo su di lui e le ha detto di pensarci per un po’ o di vendere la casa (lei lavora a nero full time e ha 50 anni ma il suo lavoro di sarta con riconoscimento e ben 6 attestati di scuole di moda e design le permetterebbero di fare molto di più ma nn vuole per ovvi motivi). Lei cosa fa? In fase di divorzio giudiziale le tolgono i 50 euro ma nn si pronunciano sul mutuo con la conseguenza che lei gli fa bloccare 1150 euro di stipendio su 1350. Aveva ed ha ancora 437 euro da pagare x una finanziaria. Doveva mangiare, pagarsi un’affitto. Insomma, inizia la depressione, l’ansia…prende malattie, ansiolitici…il suo lavoro è a rischio e ha 58 anni. È gravissimo. Non viene tutelato dal suo avvocato anzi, non si oppone al decreto e optano per un accordo, da strozzini. 250 euro al figlio maggiorenne (che aveva sempre pagato) 100 euro a lei e un quinto dello stipendio x gli arretrati. Morale? Se aggiungiamo i debiti non gli bastano neanche. HA FIRMATO PER PAURA di non poter più pagare i debiti con la findomestic, diceva che preferiva nn mangiare (ancora nn viviamo insieme ma è come se lo fosse). La mia famiglia lo aiutava. Insomma. C’e Un modo per impugnare quest’accordo fatto ovviamente sotto ricatto? Lei non ha bisogno del mantenimento, vive alla grande. Macchina, casa, vizi, e lui in miseria. In più lui deve restituire 40 mila euro a tanta gente anche ai miei perché ultimamente gli abbiamo acquistato un’auto di seconda mano perché viaggiava con i mezzi visto che nn poteva più permettersela!!! Quindi ha anche i costi dell’assicirazione, tutto avvenuto dopo la firma. Possiamo agire in qualche modo?

È un situazione molto complicata, formatasi nel corso del tempo e ora gli spazi di manovra sono piuttosto ridotti.

La prima cosa da fare sarebbe esaminare l’accordo che è stato sottoscritto a suo tempo, nell’impossibilità, in questa sede, di farlo, posso fare solo alcune osservazioni generali.

La transazione non si può ovviamente impugnare per «ingiustizia», né sostenendo genericamente di averla sottoscritta per paura, specialmente se parliamo di un uomo «adulto e vaccinato». Naturalmente, non discuto che ciò sia quello che è avvenuto nella realtà, quello che bisogna capire è che se ammettessimo che tutti potessero firmare contratti e poi elegantemente sottrarvisi, sostenendo di aver firmato solamente «per paura» o in preda ad altre emozioni poco piacevoli, tanto varrebbe non fare più nessun contratto, perché ogni contratto non avrebbe più valore vincolante.

Insomma, quando si raggiunge un accordo e si firma, suggellandola, una transazione, bisogna pensarci bene, perché è un contratto legalmente vincolate, di fronte al quale ci sono davvero pochi margini di manovra. È vero che in alcuni casi molto circoscritti le transazioni possono essere impugnate, ma non mi sembra questo essere il vostro caso.

Al di là dell’accordo, peraltro, mi pare che ci sia stata una gestione finanziaria inadeguata per molti anni e in diverse occasioni.

Quando una persona si trova in situazioni del genere, lo strumento che si consiglia di valutare solitamente è quello della composizione della crisi da sovraindebitamento, una specie di «fallimento privato», mutuato dall’esperienza statunitense della bankrupcy (hai mai visto la scena finale del film «A civil action» con John Travolta? In quel caso è lui, un avvocato, a finire in bancarotta), in cui il debitore mette sul piatto tutto quello che ha o può avere e si cerca di raggiungere, eventualmente con l’intervento di un giudice, un accordo coi creditori, che dovranno accettare di essere soddisfatti solo in parte e, magari, col tempo.

Questo strumento naturalmente non fa miracoli, rappresenta un istituto con il quale si interviene per gestire una situazione di insolvenza, di grave difficoltà, cercando di mettere in fila tutte le cose, per quanto possibile, che già non sarebbe poco.

È importante capire che tutto quello che è avvenuto a questo uomo, per quanto ingiusto e portatore di conseguenze negative e persino inique per lui, è perfettamente legittimo. Il debito con la finanziaria l’ha contratto lui, il mutuo l’ha contratto lui, dall’altra parte ci sono dei creditori che hanno diritto di essere pagati. Quindi, in linea generale, il diritto non vi assiste, non vi può aiutare.

L’unico modo in cui può venirvi incontro, in cui ci può essere un aiuto, è tramite l’attivazione di una di queste procedure di sovraindebitamento, una volta che ne saranno stati accertati i presupposti.

Per avere maggiori informazioni sul sovraindebitamento, puoi leggere innanzitutto la scheda apposita e dedicata. Poi se vuoi un preventivo per la valutazione di fattibilità, puoi chiedercelo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani, anche per evitare problemi del genere in futuro.

Per quanto riguarda invece i problemi personali di ansia, depressione e simili, fate attenzione a non agganciare mai in assoluto e per non nessun motivo il vostro stato emotivo all’andamento di pratiche legali o giudiziarie, perché questo si tradurrebbe sicuramente in una tragedia per voi. È bene che quest’uomo lavori con uno psicologo o un counselor su questi problemi, se non dispone di risorse per compensarli può rivolgersi al servizio pubblico. Anche qui non sto parlando di ciò che è giusto, ma di ciò che sicuramente conviene fare.

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Prendo i soldi tra 6 anni: l’avvocato lo pago subito?

ho ottenuto un credito che però mi pagheranno fra sei anni. il compenso dell’avvocato comprendeva una parte fissa e una parte variabile legata a una percentuale del credito ottenuto. la mia domanda è: può il legale chiedermi il compenso della parte variabile prima che io venga materialmente pagato? O deve aspettare l’esecuzione del pagamento.

È impossibile rispondere ad una domanda del genere senza vedere il contratto che hai stipulato con il tuo avvocato in materia di compensi.

Si possono, dunque, solo fare alcune osservazioni di carattere generale.

Innanzitutto, per un compenso di questo genere è comunque necessario un contratto scritto, altrimenti si applicano i parametri forensi, cioè i criteri di tariffazione valevoli «di default» quando non è stato pattuito un sistema diverso. Ogni pattuizione sui compensi che deroga dal regime dei parametri può avvenire solo per iscritto, se fatta in altra forma non è valida.

Per quanto riguarda la questione specifica, non esiste una regola a riguardo, né nel codice civile, né nella legge professionale, né nel codice deontologico, che sono testi normativi molto più generici, specialmente con riguardo al compenso determinato in ragione percentuale, che rappresenta una novità di pochi anni fa per il nostro Paese.

In assenza di regole sul punto, ovviamente sarebbe bene che il contratto avesse previsto questo aspetto, ma è evidente che un esito del genere magari poteva non essere prevedibile, dal momento che solitamente le vertenze si concludono al loro termine, anche quando terminano transitivamente, oppure è previsto un piano di pagamento ma su un termine più breve.

Difficilmente, immagino, che il contratto possa prevedere qualcosa di specifico, ma va comunque letto e interpretato con attenzione, perché ci possono essere clausole che, pur non riguardando questo tema specifico, sono rilevanti rispetto ad esso, appunto sotto un profilo ermeneutico.

Probabilmente non resta che ragionare in base ai principi generali.

Il compenso a percentuale non è, concettualmente, un patto di quota lite.

Questo significa che il risultato ottenuto dal cliente rileva solo come parametro per la determinazione del compenso dell’avvocato, ma non concreta, né integra, né costituisce la «cosa» su cui può soddisfarsi direttamente l’avvocato.

Infatti, la quota lite è vietatissima dal codice deontologico, perché ritenuta poco dignitosa.

Insomma, un avvocato e un cliente non concordano, quando fanno un patto di compensi a percentuale sul ricavato, che si spartiranno quello che il cliente eventualmente riuscirà a portare a casa ma – è una distinzione concettuale che nella pratica sfuma spesso ma comunque esiste – che il compenso dell’avvocato per il lavoro da lui svolto venga determinato con riferimento non al tempo (ore) spese sulla materia, non sulla base dei parametri, non a forfait, ma sulla base del recuperato o ottenuto, anche solo in via transattiva.

Queste considerazioni vanno accostate al fatto che il tuo avvocato il suo lavoro lo ha già svolto, portandoti alla conclusione della transazione che in qualche modo desideravi, comunque hai accettato, in ogni caso sembra essere vantaggiosa per te. Questo lavoro va pagato, in linea di principio, subito, dal momento che il credito da compenso da contratto d’opera non è soggetto ad un alcun termine e sorge man mano che il lavoro viene svolto.

Il criterio per determinare il quantum del compenso dell’avvocato è fornito da quello che hai recuperato o recupererai ed è indicato nella transazione e corrisponde, sostanzialmente, al valore dell’affare.

Questo è tanto vero che molti contratti di determinazione del compenso a percentuale stabiliscono che, ad esempio, anche in caso di revoca o rinuncia al mandato il compenso si determinerà in base comunque a quello che è il valore dell’affare o a quello che sarà ottenuto dal cliente con un successivo avvocato.

Insomma, con il contratto di determinazione del compenso a percentuale il cliente ha spesso l’impressione di entrare in una vera e propria società con il proprio avvocato, dove si dividono vantaggi e perdite (o situazioni sfavorevoli), mentre in realtà la nostra legislazione è piuttosto contraria a che questo avvenga, almeno in maniera così netta, e, di fatto, ciò non si verifica.

Ora, è chiaro che molto sta anche alla correttezza delle parti del contratto, non so di quali cifre si parli e quali siano le circostanze, ma forse si può trovare un accomodamento che ti consenta di pagare il tuo legale senza dover tirare fuori denaro di tasca tua, o almeno concordare anche nel tuo caso un piano rateale.

La questione non è comunque definibile in modo netto, ma se dovessi proprio scegliere una risposta alla tua domanda originaria ti direi che secondo me, in diritto, è più facile che la soluzione sia che tu purtroppo intanto devi pagare il tuo legale che ha svolto compiutamente il suo lavoro, poi ovviamente si possono cercare accomodamenti tra voi che rendano la situazione più leggera e praticabile per tutti.