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Separazione e divorzio online: intervista.

Ti riporto di seguito una mia intervista pubblicata a fine marzo sul «Resto del Carlino» su separazione e divorzio online.

Per maggiori dettagli, puoi consultare questa pagina.

Sempre per maggiori informazioni, puoi lasciare un commento qui sotto o contattarmi tramite modulo nel menu del blog o whatsapp qui a fianco.

Da Vignola seguo divorzi in tutto il mondo

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diritto

Come cambiare residenza al marito

Vorrei togliere mio marito dalla residenza nella casa in affitto di in quanto è domiciliato all’estero da quasi due anni, non abbiamo rapporti,

Così non si capisce niente di utile ai fini della gestione della situazione.

Se non avete rapporti nel senso che la comunione di vita tra di voi è cessata, la residenza è poco rilevante: devi valutare una pratica di separazione personale, perché la discrepanza tra situazione legale e fattuale è molto più ampia di quella di una «sbavatura» sulla residenza.

Se invece si tratta di altro, che non è dato di capire, allora si può valutare il discorso della residenza, che, in ogni caso, di solito nel caso di matrimonio si trova a coincidere nei due coniugi.

Ti suggerisco di approfondire adeguatamente la situazione con l’aiuto di un legale di fiducia. Se credi, valuta l’acquisto di una consulenza.

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Separazione: cosa dire ai figli.

Come gestire la separazione.

In questa puntata del podcast, io e la psicologa dott.ssa Barbara Cavalletti ti parliamo di alcuni temi sempre gettonatissimi dalle persone che attraversano una crisi familiare quali:
– che cosa dire esattamente ai figli;
– quando dirlo
– che cosa aspettarsi…

Tutto ciò a partire dalla lettera di una assistita di Barbara riassuntiva della sua esperienza e particolarmente significativa su tutti questi argomenti.

Ascolta la puntata, é bellissima!

Barbara é bravissima e sarà presto di nuovo con noi, iscriviti al podcast per non perdere le nuove puntate e manda anche tu la tua domanda, anche con un messaggio vocale whatsapp.

La lettera.

«Il divorzio non è per tutti.
È il destreggiarsi tra equilibri mancanti, è ingoiare rospi, è difendersi dai famigliari che vogliono a tutti costi cercare ‘di chi è la colpa’, è elaborare il lutto, è accettare il fallimento.
È piangere mille lacrime arrivando a pensare, pur sapendo di sbagliare, che si stava meglio quando si stava peggio.
È cadere e sbucciarsi, rotolare tra gli spilli cercando di rialzarsi.

Il divorzio quando hai figli è di un dolore lancinante, talmente potente da squarciare il petto in due.
È che ti manca l’aria quando tua figlia è dal papà
È che ti fai mille colpe sul perché gli altri genitori ‘tengono botta’ e tu invece hai fallito
È che ti devi riorganizzare, riequilibrare, riordinare nella testa, il tutto senza far pesare un solo grammo del tuo fallimento a tua figlia.

Ancora oggi, quando un conoscente (con figli) mi dice ‘ Mi sto separando ‘, la risposta è sempre ‘sei sicuro?’
Perché ci sono passata, e perché so tutto il dolore che si deve sopportare per sopravvivere al fallimento.
Perché diciamocelo. Il divorzio con figli, agli occhi ‘di tutti’, è IL fallimento per eccellenza della famiglia.
Perché uno dei due deve tassativamente prendersi la colpa, farsi puntare il dito contro, farsi buttare in pasto ai leoni…solo per mettere a tacere ‘i tutti’.

Bene. A distanza di molti anni, svariati colpi di testa, milioni di gocce miste a lacrime, fiori di Bach e ansiolitici, mille lacrime versate vorrei ringraziare i padri delle mie figlie.
Perché senza di loro io non sarei quella che sono, non avrei capito che non serve stare tutti sotto lo stesso tetto per rendere serena una famiglia.

Francesca ha guadagnato un ‘patrigno’
Bianca ha guadagnato un ‘tato’
Le mie figlie sono ricche. Ricche di affetto!
E io, finalmente, ho chiuso il cerchio e sono semplicemente SERENA.

Grazie, grazie infinite ai miei due papà e grazie a lei Dott.ssa Cavalletti per avermi accompagnato nel raggiungimento di questa mia nuova famiglia

 

Chi é Barbara.

Barbara Cavalletti è nata a Castelnovo Nè Monti (RE) nel 1976. Dopo aver frequentato l’università degli studi di Psicologia di Padova frequenta la scuola di specializzazione Sistemico Relazionale.

Ha lavorato come consulente presso diverse aziende nel settore delle risorse umane e nel 2001 decide di aprire un ambulatorio privato nel quale poter esercitare la sua libera professione.

Il tema dei cambiamenti generazionali, delle nuove famiglie diventano uno dei suoi principali argomenti di studio, tanto da diventare CTP e CTU presso i tribunali del territorio.

Oggi riceve nel suo studio “Risorsa Uomo” sito in Sassuolo, dove si occupa di dare risposta a singoli, alle famiglie, ai figli e alle coppie che stanno attraversando un momento di disagio e di cambiamento che mette in discussione i precedenti equilibri generando tensioni e stati emotivi ambivalenti.

L’aforisma.

«Una donna può anche cambiare idea, ma mai quando ha deciso per una cazzata»

Riferimenti.

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Separazione: posso togliermi mia figlia se non ho reddito?

sono separata ancora non legalmente possono togliermi mia figlia di 10 mesi ed AFFIDARLA a lui solo perché vivo con mia madre e non abbiamo reddito? E un altra cosa così piccola può richiedere il pernotto le spetta? Io so che un minore può pernottare dal padre solo dai 3/4 anni

Sono domande purtroppo che non hanno molto senso.

La decisione circa l’affido di un figlio viene presa dal giudice considerando tutte le circostanze del caso concreto e, comunque, non è prevedibile, per cui la prima considerazione utile da fare è che in prima battuta conviene, per questo e mille altri motivi, tentare di raggiungere, con l’aiuto di un avvocato bravo e con una grande propensione alla negoziazione, una soluzione di tipo consensuale.

Ovviamente, l’assenza di reddito non è una circostanza dirimente, non può mai esserlo, specialmente da sola, va considerata l’intera situazione dei genitori alla luce dell’interesse del minore. Anche se ti consiglio di attivarti per superare questa condizione, mettendoti alla ricerca, se possibile, di un’occupazione o chiedendo comunque ai servizi sociali se ci sono dei sussidi o degli aiuti.

Anche per quanto riguarda il pernotto è un po’ il solito discorso, dipende sempre dall’interesse del minore, dalla situazione concreta e da come lo vede il giudice. Ci sono sentenze che stabiliscono a quattro anni il momento in cui può avvenire il pernotto presso il padre, ma altre sentenze, a mio giudizio più azzeccate, sostengono che dipende sempre dalla maturità del figlio.

In conclusione, ti serve un progetto completo per la gestione della crisi familiare, da far gestire ad un avvocato scelto molto oculatamente e, se possibile, anche da un mediatore familiare. Finché ti focalizzerai su singoli aspetti non realizzerai molto di costruttivo.

Il primo passo per te è scegliere un avvocato. Se non disponi di sostanze per compensarlo, forse puoi chiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello stato.

Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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Parità di tempi: linee guida da Brindisi.

Note introduttive.

Il tribunale di Brindisi, da marzo del 2017, ha diffuso alcune linee guida operative che vanno nel senso di garantire la parità di tempi di permanenza dei figli di genitori separati presso ciascun genitore, con conseguente mantenimento diretto.

Mi sembra opportuno ripubblicarle di seguito, mettendole a disposizione di tutti i lettori del blog.

Questo orientamento è in linea con quanto previsto da altri tribunali della Repubblica e con il contratto di governo sottoscritto da Lega e M5S che, in tema di famiglia, è proprio imperniato sulla previsione di riforme anche legislative dirette a realizzare la parità dei tempi e il mantenimento diretto.

Personalmente, prima di lasciarti alla lettura delle linee guida di Brindisi, che, in attesa di riforme legislative, adesso sono un punto di riferimento importante, mi sento di fare le seguenti osservazioni:

  • la realizzazione effettiva della parità di tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore dipende sempre, in ultima analisi, dalla situazione della famiglia e dei suoi singoli membri; se un genitore lavora tutto il giorno, mentre l’altro non lavora o lavora part time credo sia difficilmente ipotizzabile una parità «secca», a meno di non pensare ad onorare così tanto il principio della parità da far stare i figli con una baby sitter pagata dal genitore cui spetterebbero piuttosto che con l’altro che li potrebbe accudire direttamente
  • nella famiglia organica, che si è avuta per secoli prima che la modernità la rendesse una specie rara, a partire dagli anni 70 per lo più, l’organizzazione era fondata proprio sulla divisione dei ruoli, dove il padre svolgeva per lo più lavoro fuori casa, mentre la madre provvedeva alla cura della casa e dei figli
  • il superamento della famiglia organica in nome di una uguaglianza tra i sessi che è, in natura, inesistente, si pone, a mio giudizio, in insanabile e netto contrasto con la biologia dell’uomo e l’antropologia. Fatto questo gigantesco pasticcio, che è stato voluto solo per far entrare la donna nel mondo del lavoro nell’industria, in modo da metterla in concorrenza con l’uomo ed ottenere prestazioni a prezzo sempre minore (come sta avvenendo in questi giorni con la nuova tratta degli schiavi dall’Africa, ben camuffata sotto il politicamente corretto termine delle «migrazioni» e dell’«accoglienza»), le «soluzioni» non possono che essere traballanti pasticci, perché costruite comunque su di un terreno insano
  • la parità dei tempi, oggi così di gran moda, così come l’ascolto del minore, spacciati per grandi conquiste sociali e giuridiche, sono temi che non riescono ad appassionarmi nè a commuovermi in alcun modo: quanto all’ascolto del minore, l’unica cosa che i minori direbbero – se solo trovassero qualcuno disposto ad ascoltarli e, soprattutto aiutarli, davvero – sarebbe che vorrebbero il papà e la mamma dentro ad una stessa casa e innamorati l’uno dell’altro, mentre tutto il resto sono cose di pressochè nessuna importanza («voglio stare più dal papà perché ha la playstation / dalla mamma perché mi porta a fare shopping»)
  • le uniche riforme legislative che mi potrebbero entusiasmare, o comunque quelle di cui ci sarebbe bisogno, sarebbero quelle che partissero dalla constatazione che l’uguaglianza uomo e donna è stato solo un grande inganno, che la famiglia deve essere organica per funzionare bene, con conseguenti ruoli diversi. Mi rendo conto che nel panorama politico, costituzionale e sociale attuale dire queste cose è peggio che bestemmiare la Madonna, ma è la verità e qualcuno deve pur testimoniarla.  Al netto di questo, le vere riforme da fare sarebbero di sostegno alle famiglie, quindi non costruire sistemi sempre più perfetti per organizzare quei fallimenti che sono le separazioni, ma sistemi efficienti e capillari sul territorio per cercare di evitare quanto più possibile le separazione e far sì che le coppie, specialmente quando ci sono dei figli, trovino o ritrovino le motivazioni per continuare a vivere insieme, cosa che ha un profondo valore individuale e sociale, dal momento che le crisi familiari sono un cancro della società.

Sarò fissato, ma l’unica via di uscita per le crisi familiari, sia a livello individuale che sociale, è quello di tornare a lavorare sui cuori. Le novità giuridiche possono essere positive, come in questo caso, ma si lavora qui solo per contenere dei danni. La separazione e il divorzio non sono un «diritto», ma solo un tragico fallimento, così come l’aborto; non sono conquiste ma vergogne: provate a guardare tutto dal punto di vista di chi ne è vittima, cioè i bambini, e tutto sarà completamente chiaro.

Vi lascio adesso alle linee guida di Brindisi. Il testo è quello ufficiale diramato da quel tribunale.

Linee guida per la sezione famiglia del Tribunale di Brindisi

La crisi della giustizia in Italia affonda le sue radici, in generale, essenzialmente nella lentezza dei processi, che spiega la maggior parte delle condanno subite a livello internazionale. Per quanto riguarda il diritto di famiglia il malessere e? aggravato da un insieme di ragioni, principalmente riconducibili a:

  1. a)  la divaricazione tra legge e prassi, per effetto della quale le aspettative create dalla riforma del 2006 (affidamento condiviso) vengono spesso disattese dal provvedimento, per cui chi se ne sente penalizzato tende o a reclamarlo – tornando dal giudice – o a non rispettarlo, ugualmente provocando per iniziativa dell’altra parte un nuovo ricorso alla giustizia;
  2. b)  lo scarsa utilizzazione delle forme alternative di risoluzione delle controversie, a dispetto del loro moltiplicarsi

Per quanto riguarda il punto a), in effetti esistono motivi non secondari per orientare il Tribunale di Brindisi verso una lettura delle norme sull’affidamento che appaia piu? in linea non solo con buona parte della dottrina, ma anche con le indicazioni che giungono dall’Unione Europea, dalle Convenzioni alla quali l’Italia ha aderito, dalle risultanze di accreditati studi scientifici come pure, in t~mpi piu? recenti, dalle ;valutazioni di enti par<;lllelial sistema giudiziario, nonche? interni ad esso. A titolo di esempio, si puo? ricordare che:

Con la risoluzione n. 2079/2015 (firmata anche dall’Italia) il Consiglio d’Europa ha invitato gli Stati membri a: assicurare l’effettiva uguaglianza tra genitori nei confronti dei propri figli (5.3); eliminare dalla loro legislazione qualsiasi differenza tra i genitori che hanno riconosciuto il loro bambino basandosi sul loro stato coniugale (5.4); promuovere la shared residence, definita nella relazione introduttiva n. 13870 “come quella forma di affidamento in cui i figli dopo la separazione della coppia genitoriale trascorrono tempi piu? o meno uguali presso il padre e la madre” (5.5).

La bonta? e superiorita? del modello realmente (e non solo nominalmente) bigenitoriale ai fini della tutela del superiore interesse del minore trova fondamento in oltre settanta ricerche, di conclusioni concordi, effettuate con metodo longitudinale analizzando centinaia di migliaia di casi (si vedano, tra i piu? recenti review quelli di Linda Nielsen (Wake For~st university, 2014) e quello di Hildegund Suenderhauf (Universita? luterana di Norimberga, 2013). Sono ivi mostrati anche i danni che i minori subiscano per effetto della frequentazione di uno dei genitori per un tempo inferiore a un terzo del tempo totale (come avviene quando un genitore ha contatti con i figli solo a w-e alternati e per un pomeriggio settimanale). Ancora piu? attuale e? poi lo studio di Emma Fransson et al. (Svezia, gennaio 2017) che attesta che i figli allevati in regime paritetico non accusano disagi maggiori dei figli di genitori non separati, a differenza di quanti crescono in affidamento esclusivo. Non a caso l’adozione di modelli paritetici di affidamento e? in netta e costante ascesa nei paesi occidentali e i genitori di livello culturale piu? elevato – e quindi meglio orientati e informati su cio? che giova ai figli – si orientano in misura nettamente maggiore verso le formule di affidamento concretamente bigenitoriali rispetto alle coppie di modesta cultura.

La dottrina (ex multis M. Finocchiaro, Arceri, Costanzo, De Filippis, Maglietta, Russo… ecc.) ha ripetutamente fatto osservare la scarsa fedelta? della giurisprudenza alle norme introdotte dalla legge 54/2006.

– La stessa cosa e? stata fatta notare anche da ufficiali organi di stato o enti da esso accreditati. Si veda, ad es., il giudizio espresso dal MIUR nella circolare 5336 (2 settembre 2015): “va constatato che, nei fatti, ad otto anni dall’approvazione della legge sull’affido condiviso, questa non ha mai trovato una totale e concreta applicazione”.

– Ancora piu? drastica e allo stesso tempo inoppugnabile, basandosi su dati oggettivi, e? la conclusione alla quale giunge l’Istituto Nazionale di Statistica (Report novembre 2016, pag. 13), sulla base di una complessa analisi dei questionari compilati dalle coppie in separazione nel lunghissimo arco di tempo dal 2000 al 2015 – ovvero passando attraverso la riforma del 2006 : “al di la? del! ‘assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice e? tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto al! ‘affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalita? ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione” .

  • –  D’altra parte neppure e? possibile sperare che nuovi interventi normativi possano porre argine a tali prassi distorte, visto che, viceversa, finora hanno provveduto piuttosto a confermarle e consolidarle. Ne e? esempio il D.lgs 154/2013 che, modificando le norme sull’affidamento dei figli in assenza di delega (in qualche parte, anzi, in senso opposto alla delega ricevuta) ha, ad es.: introdotto l’obbligo di concordare la “futura” residenza “abituale” dei figli; intaccato il loro diritto ad essere sentiti subordinandolo alla valutazione del magistrato dell’utilita? di farlo; posto l’interesse dei figli di genitori separati in subordine rispetto a quello del coniuge debole nell’assegnazione della casa familiare; e cosi? via.
  • –  Infine, a queste oggettive e convincenti risultanze si affianca la constatazione che anche presso la Suprema Corte non manca chi ammette che la legge prevede altro (ad es., si veda Cass. · 23411/2009, est. Dogliotti: “l’assegno per ilfiglio” puo? essere disposto “in subordine, essendo preminente il principio del mantenimento diretto da parte di ciascun genitore”).

    D’altra parte, per quanto riguarda il punto b), ovvero i metodi ADR che appaiono piu? efficaci e maggiormente consigliabili, non appare ragionevole che, nel momento in cui si pensano e si attivano lodevolmente una quantita? di procedure tutte rivolte al contenimento del contenzioso familiare e/o a una sua soluzione extragiudiziale – dalla negoziazione assistita al rito partecipativo, dal diritto collaborativo alla coordinazione genitoriale – non si pensi di disciplinare e incentivare la mediazione familiare, notoriamente il piu? efficace e sperimentato in ogni parte del mondo di tali strumenti, oltre tutto oggetto da tempo di una precisa sollecitazione sovranazionale. Difatti, gia? dal 1998 la Raccomandazione R (98) 1 del Comitato dei Ministri del Con$iglio di Europa ha fatto notare agli stati membri la necessita? di promuovere con ogni mezzo la Mediazione familiare, sulla base del danno psicologico che i conflitti familiari inducono nella prole, del deterioramento economico che provocano allo stato e del danno sociale che consegue ali’ abnorme dilatarsi del contenzioso.

    Concludendo, questo Tribunale ritiene, in aggiunta agli evidenti criteri di ragionevolezza e logica giuridica evidenziati d quanto precede – che non si possa non tenere conto del fatto che da parte di un numero crescente di magistrati e tribunali e? in atto una costante evoluzione verso una piu? rigorosa e fedele adesione ai principi della riforma del 2006 (tra i vari, Perugia, Catania, Salerno, ecc ), circostanza che “obbliga” questo tribunale a fare una scelta – che non puo? essere che l’adeguamento a cio? che appare meglio argomentato – non potendosi privare i cittadini della certezza dei diritti in merito ad aspetti cosi? delicati come quelli che appartengono alle relazioni familiari.

Per avviare questo processo, che si augura fruttuoso, intende anzitutto sottoporre alle categorie interessate le conclusioni alle quali si e? giunti per superare le principali criticita?

Aspetti operativi principali

Si allega un modulo con le “Istruzioni per l’uso” – redatto in collaborazione con l’avv. Mariella Fanuli e il Prof. Marino Maglietta (ass. Naz. Crescere Insieme) – dei cui contenuti potranno giovarsi qualitativamente le coppie che intendono definire consensualmente un affidamento condiviso dei figli, sia chiedendo al giudice l’omologazione dei loro accordi, sia redigendo il relativo documento all’interno dellaNegoziazione assistita.

I punti essenziali e qualificanti che si raccomanda di rispettare sono:

La residenza dei figli ha valenza puramente anagrafica, mancando qualsiasi differenza giuridicamente rilevante tra il genitore co-residente e l’altro

– Nella stessa filosofia e per le stesse ragioni, i figli saranno domiciliati presso entrambi i genitori

– ‘La scelta della “residenza abituale”, sventuramente collocata attualmente in sede inappropriata, sara? definita con riferimento alla regione o allo stato in cui i figli sono abituati a vivere, al solo scopo di definire il giudice competente in caso di allontanamento unilaterale di uno dei genitori assieme ai figli.

– La frequentazione dei genitori avverra? ispirandosi al principio che ciascun genitore dovra? partecipare alla quotidianita? dei figli, superando l’obsoleta distinzione tra genitore accudente e genitore ludico, che gia? porto?, fino dal 1987 all’introduzione dell’affidamento congiunto (si veda reklazione in Senato del Sen. Lipari). Conseguentemente, ai figli dovranno essere concretamente concesse pari opportunita? di frequentare l’uno e l’altro genitore, in funzione delle loro esigenze, all’interno di un modello di frequentazione mediamente paritetico. Cio? non significa, a parere di questo tribunale, che i figli in ogni caso debbano trascorrere necessariamente tempi identici presso ciascuno di essi. Potra? anche accadere che alla fine di un anno si constati che la presenza di un genitore e? stata (in misura ragionevole) piu? ampia di quella dell’altro, ma cio? deve essere accaduto in conseguenza delle casuali esigenze dei figli in

quell’anno, non per una imposizione legale stabilita a priori. In altre parole, se le cose sono andate cosi?, poteva anche accadere il contrario, con l’unica eccezione di oggettive e dimostrate condizioni di impossibilita? materiale, quale puo? essere, ad es., l’allattamento o una distanza tra le abitazioni tale da non consentire di spostarsi dall’una all’altra in tempi ragionevoli. Questo tribunale e? consapevole del fatto che potra? accadere che un padre fortemente impegnato nel lavoro nei giorni in cui i figli sono rimessi alla sua custodia si appoggi alla famiglia di origine ma, a parte il fatto che la frequentazione degli ascendenti ha una sua tutela anche giuridica essendo considerata costruttiva della personalita?, occorre pensare che non meno “censurabile” sotto questo profilo sarebbe il caso di una madre collocataria che, proprio perche? schiacciata dalla cura esclusiva dei figli, richiede l’aiuto di una baby-sitter: situazioni nei confronti delle quali nessuno ha mai protestato. Quanto meno la presenza equilibrata dei due genitori divide il sacrificio e riduce il rischio di interventi esterni.

Naturalmente gli spostamenti potranno avvenire secondo le richieste dei figli e l’accordo tra i genitori solo se e quando i genitori avranno raggiunto una sufficiente maturita? e messa una sufficiente? distanza dalle ragioni della rottura. Inizialmente – ma anche nel seguito, comunque, per sapere come regolarsi in caso di contenporanei impegni dei genitori – ci sara? un calendario con tempi equilibrati. Il modulo ne da? un paio di esempi.

Assegnazione della casa familiare. La soppressione della figura del “genitore collocatario”, non previsto dalla legge, semplifica anche il problema dell’assegnazione della casa familiare, fonte delle piu? aspre e durature contese, per il frequente coinvolgimento degli interi gruppi familiari. Adesso se la frequentazione e?, secondo legge, equilibrata e continuativa con entrambi i genitori la casa resta al proprietario senza possibilita? di contestazioni. Se appartiene ad entrambi si valutera? quale sia il costo della locazione di un appartamento di caratteristiche simili e al genitore che ne esce verra? scontato il 50% di tale cifra nel calcolo del mantenimento.

Quanto al mantenimento, dal comma I dell’art. 337 ter e.e., che anticipa e si salda con il successivo comma IV, discende che ciascun genitore deve assumere una parte dei compiti di cura dei figli, restando obbligato a sacrificare parte del proprio tempo per provvedere direttamente ai loro bisogni, comprensivi della parte economica. Cio? vuol dire che la forma privilegiata dal legislatore, alla quale questo tribunale si uniforma, e? quella diretta, non potendosi ritenere assolti i doveri di un genitore dalla fornitura di denaro all’altro (forma indiretta) mediante un assegno che deve restare residuale, con valenza perequativa, e limitato ai casi in ‘cui per l’abissale distanza delle risorse economiche (ad es., famiglia monoreddito) non sia possibile compensare le differenze di contributo attribuendo al genitore piu? abbiente i capitoli di spesa piu? onerosi.

Quanto alle “Spese straordinarie”, data l’estrema opinabilita? della loro classificazione (esiste una miriade di protocolli per definirle, tutti piu? o meno diversi tra loro), questo tribunale ritiene che sia piu? corretto e convincente adottare il criterio suggerito dalla Suprema Corte con decisione 16664/2012, che divide le spese non in ordinarie e straordinarie, ma in prevedibili e imprevedibili, evitando l’attuale confusione tra le spese effettivamente imprevedibili e quelle non quotidiane (tipo spese scolastiche), ma prevedibilissime. Pertanto appare corretto e funzionale assegnare in partenza le spese prevedibili all’uno o all’altro genitore per intero in funzione del reddito e stabilire che le imprevedibili verranno divise a momento in proporzione delle risorse. –

L’ascolto del minore. Per effetto delle modifiche introdotte all’art. 337-octies e.e. dal D.lgs 154/2013 in eccesso di delega, questo subordina oggi l’ascolto del minore almeno dodicenne ad una valutazione del giudice che cio? non sia “manifestamente superfluo”. Al di la? delle perplessita? che suscita una valutazione che dovrebbe avvenire prima di averlo sentito, cioe? senza sapere cosa potrebbe voler dire, l’art. 315 bis attribuisce al minore il diritto all’ascolto senza condizionamenti. Pertanto, dovendosi necessariamente scegliere tra due prescrizioni incompatibili, essendo la fonte della seconda norma il Parlamento stesso (Legge 219/2012) non si puo? optare che per la versione di cui all’art. 315 bis e.e. In pratica quanto meno l’ascolto, se richiesto, non puo? essere negato.

Infine, per incentivare il ricorso alla mediazione familiare si inviteranno le coppie a inserire il ricorso a tale strumento nell’ipotesi di contrasti insorti successivamente.

Concludendo, le presenti linee guida si collocano certamente in un contesto sociale che conserva vecchi retaggi e tradizionali attribuzioni di ruolo. Pertanto si e? ben consapevoli che gli obiettivi che si prefiggono non saranno raggiunti immediatamente, ma richiederanno un certo tempo. D’altra parte, iniziare appare indispensabile, se si pensa che dall’introduzione dell’affidamento congiunto sono trascorsi 30 anni e la giurisprudenza e? variata solo nominalisticamente. Ma soprattutto se si pensa che le norme, invece, sono cambiate, per cui la scelta per il giurista non puo? essere che a loro favore.

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Recuperare la casa familiare: si può solo negoziare

mi sono appena separato, non siamo sposati ma abbiamo due bambine. Abbiamo comprato casa di 193 mila euro. Io ho venduto una mia casa mettendo 114 mila euro subito (documentabile) la mia ex 10 mila euro tramite mutuo mensile. Attualmente è stata data a lei la casa e i giudici hanno suddiviso il mutuo di 400 euro mensili, 200 io e 200 la mia ex. I giudici consigliano di derimere la situazione della casa ma la ex non accetta nulla, vendere, acquistare la quota ecc e rifiuta la mediazione. La banca sarebbe anche disposta a bloccare il mutuo per un anno ma la ex non vuole. Io non so più cosa fare, vivo in affitto e adesso cambierò casa, più grande, e non ho più i soldi per pagare il mutuo. Cosa posso fare?

Non c’è molto che tu possa fare «d’imperio», è una situazione che, come abbiamo detto ormai dozzine di volte, puoi affrontare solo negozialmente, cioè trattando con la tua ex.

La casa familiare, attualmente, a prescindere dal titolo di proprietà e da chi l’ha pagata, è stata destinata dai giudici a servire le tue due figlie. Questa situazione perdurerà finché entrambe le stesse non saranno non solo maggiorenni ma anche autosufficienti, quindi, se sono ancora piccole, potenzialmente per altri vent’anni.

Per poter trovare una soluzione che ti consenta di recuperare valore spendibile per una tua abitazione, puoi solo negoziare con la tua ex, dal momento che la legge è dalla sua parte e le conferisce il diritto di abitare gratuitamente in quella abitazione per il tempo di cui abbiamo detto.

Per fare questa trattativa, può essere molto utile, ad esempio, andare da un mediatore familiare.

Per cui, come primo passo in assoluto, ti consiglio di rivolgerti ad un mediatore familiare e mandarle un invito a partecipare alle sedute di mediazione.

Se questo non dovesse funzionare, o non dovesse magari neppure iniziare, ci sono altre cose che si possono tentare, ma si possono vedere solo in seguito.

Fatti seguire da un bravo avvocato, esperto di diritto di famiglia e con spiccata propensione alla negoziazione: il contrario del legale «aggressivo» che le persone, che non hanno capito niente di come si gestiscono i problemi legali, si solito cercano.

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Genitore non consente spostamenti del figlio: che fare?

Sono separata con il padre di mia figlia,lui e italiano io bulgara.Voglio portare via mia figlia,ha 9 anni ma lui non vuole firmare.Ne anche per le vacanze.Qui non ho nesun parente,non ho lavoro fisso…Come devo fare?

È un problema di cui abbiamo parlato dozzine di volte nel blog, per cui ti invito anche a fare una ricerca nei vecchi post (ad oggi, abbiamo oltre 4000 post, il blog esiste da vent’anni).

«Portare via mia figlia» è una espressione troppo generica, perché non specifica dove e con quali modalità, se cioè temporaneamente o per un trasferimento definitivo.

Inoltre non specifichi nemmeno se si tratta di una separazione a seguito di un regolare matrimonio o se invece non si tratta di un figlio non matrimoniale, con affido regolamentato o meno.

Il primo consiglio che mi sentirei di darti è quello di prendere appuntamento per andare a parlare con un avvocato di persona, perché la tua capacità di descrivere il caso è purtroppo un po’ troppo scarsa e ci vuole un professionista che «in diretta» ti aiuti a far emergere tutti i dettagli che sono necessariamente rilevanti.

Detto questo, si può dire, nonostante la impossibilità di capire bene il problema, che in tutti i casi in cui uno dei due genitori non presta il consenso ad un’attività o iniziativa dall’altro genitore ritenuta invece opportuna, la soluzione è quella del ricorso alla magistratura, da valutare ovviamente nella sua opportunità secondo le circostanze.

Può darsi che il ricorso alle vie legali sia sproporzionato, ad esempio, per portare via tua figlia per una settimana di vacanza, anche se potrebbe avere un importante «effetto di sistema» sull’altro genitore che potrebbe, a seguito di un tuo ricorso vittorioso, determinarsi maggiormente a collaborare per evitare ulteriori future iniziative da parte tua, che potrebbero vederlo condannato alle spese legali.

Un’altra possibile indicazione potrebbe essere quella di rivolgerti ad un centro per le famiglie esistente sul territorio per tentare un percorso di mediazione, un approccio alternativo che molto spesso offre buoni risultati.

Ti consiglio comunque, come primo passo, di acquistare una consulenza da un avvocato in cui esporre compiutamente il caso ed ottenere i consigli più tagliati per la tua situazione.

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Mediazione familiare: modello transizionale – simbolico.

Oggi passiamo in rassegna, sempre all’interno della nostra «serie» sulla mediazione familiare, l’ultimo modello tra quelli considerati: quello transizionale – simbolico.

Questo modello, che origina dall’esperienza del Centro Studi e Ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano, concepisce la mediazione come un’esperienza di passaggio focalizzata sulla crisi della coppia, in cui la famiglia subisce una trasformazione, da compatta che era a frantumata in due contesti differenti.

Anche in questo approccio non si pongono limiti di sorta all’oggetto della negoziazione, a differenza di quanto avveniva nel primo modello, quello integrato, per cui i mediatori si occupano di tutti gli aspetti della crisi familiare, dai figli alla gestione degli aspetti economico patrimoniali.

Tendenzialmente, la mediazione viene concepita come snodantesi in diverse fasi, che tuttavia non stanno in una sequenza rigida tra loro, di talchè è più opportuno, sicuramente, parlare di momenti della mediazione, che possono avere una concatenazione diversa e potenzialmente anche parallela tra loro.

In questo contesto, il mediatore dovrà:  attuare il divorzio psichico ed emotivo elaborando il fallimento coniugale, impegnarsi in una gestione cooperativa del conflitto coniugale, ridefinire i confini coniugali e familiari equilibrando nuovamente le distanze, ristabilire una forma di collaborazione tra i coniugi soprattutto con lo scopo di consentire ad entrambi di essere davvero genitori, con un occhio di riguardo anche agli ascendenti, che sono importanti per i nipoti, anche in ossequio al nuovo art. 317 bis del codice civile.

Ogni coppia raggiungerà queste fasi con i propri tempi, proprio per questo la concatenazione di questi momenti, o micro obiettivi, può essere la più svariata.

In questo approccio, si considera che la famiglia continua, sia pure in forme diverse, come complesso di relazioni che interessano persone che vivono in contesti differenti, ma che continuano ad accudire i propri figli, con i quali mantengono legami significativi.

Per questo, in questo metodo, il mediatore viene considerato spesso un «traghettatore», un’immagine che felicemente descrive chi accompagna le parti da un assetto familiare ad un altro. Gli strumenti al riguardo sono quelli soliti, tra cui segnamente lo sviluppo della capacità di ascolto e vera «lettura» e comprensione dell’altro che abbiamo trovato anche in altri metodi passati in rassegna.

Abbiamo così terminato la rassegna dei principali modelli di mediazione familiare. Nel prossimo post della serie alcune conclusioni sulla mediazione familiare in generale.

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Mediazione familiare: il modello strutturato.

Proseguiamo, all’interno della nostra «serie» sulla mediazione familiare, con l’analisi dei vari modelli, occupandoci oggi di quello strutturato.

Tra i vari metodi ed approcci passati in rassegna sino ad ora, quello strutturato è quello più «burocraticizzato»: le virgolette sono d’obbligo, in quanto non si tratta di regole imposte per esigenze eterodeterminate, ma volte tutto al contrario a garantire un miglior risultato del processo di mediazione. Resta comunque il fatto che è sicuramente l’approccio dove il ruolo del mediatore è meno liberamente dispiegabile, quindi più che un approccio è sicuramente un metodo, in cui il mediatore deve rispettare alcuni precetti nell’accostarsi alla materia.

Un aspetto positivo di questo metodo è, paradossalmente, la minor ambizione rispetto ad esempio a quello sistemico passato in rassegna nel capo immediatamente precedente e quindi il fatto di essere molto più circoscritto ad uno o più obiettivi specifici. È un dato di esperienza comunque quello per cui quando il risultato o lo scopo cui tende un’iniziativa è ritagliato in modo più definito e circoscritto, tale scopo è solitamente raggiungibile più facilmente. Non si tratta solamente di semplificazione o del fatto che accontentandosi di un risultato percepibile come minore lo si rende più facile da raggiungere, dal momento che in mediazione non esistono risultati facili o difficili, dipendendo sempre dalla situazione e dall’atteggiamento delle parti, che dipende – quest’ultimo – spesso dal loro vissuto. Ha a che fare con il «posizionamento» dello scopo della mediazione nella mente dei suoi protagonisti, prendendo a prestito per descrivere questo fenomeno una categoria studiata dagli operatori del marketing, che non a caso è la scienza della vendita.

Se si «taglia» un obiettivo in modo molto circoscritto, esso penetra e si «posiziona» molto meglio nella mente dei protagonisti della mediazione. Un conto, ad esempio, è invitare le parti in conflitto ad una seduta con lo scopo di «cercare un metodo per riuscire ad andare un minimo d’accordo», tutto un altro conto è invitarli stabilendo come ordine del giorno una cosa molto più limitata, concreta e precisa come «stabilire chi tiene la casa familiare».

La differenza riguarda il modo di funzionare della nostra mente e probabilmente anche del nostro inconscio che, nel primo caso, si metterebbero presto in stand by, non sapendo bene cosa pensare a riguardo, proprio per la difficoltà di poter inquadrare e classificare un obiettivo così vago e generico, per quanto importante e, in linea di principio, condivisibile. Nel secondo caso, invece, le menti dei due protagonisti si metterebbero subito al lavoro alla ricerca di possibili, potenziali soluzioni al problema, presentandosi poi all’incontro ben focalizzate sul tema e in grado di discuterne a dovere, senza alcun imbarazzo specifico ulteriore rispetto a quello determinato dalla situazione.

Sappiamo, peraltro, che uno degli aspetti fondamentali della mediazione è quello di determinare le parti spesso recalcitranti a sedersi per la prima volta ad iniziare il percorso. Come si dice nella pratica dello yoga, l’esercizio più difficile di tutti è quello di aprire il lettino e mettersi a praticare. Così è anche per la mediazione, come abbiamo accennato anche precedentemente c’è l’esigenza di rompere il ghiaccio con l’idea di andare davanti ad uno «sconosciuto», il mediatore, a parlare di dettagli emotivi spesso anche molto intimi, cosa cui le persone si determinano solo se pensano che la cosa possa avere una qualche efficacia nella risoluzione dei loro problemi: contrariamente a quanto si pensa comunemente, è difficile che le parti si presentino davanti ad un mediatore semplicemente per potersi sfogare, anche perché nel momento in cui il conflitto raggiunge la gravità che presenta nei casi in cui di solito viene portato in mediazione difficilmente le parti hanno ancora voglia semplicemente di sfogarsi.

È sicuramente, da questo punto di vista, più allettante un obiettivo ben tagliato, circoscritto e posizionato, perché le parti si accostano alla seduta di mediazione investendo il loro tempo, denaro e carico emotivo ma sapendo che potrebbero uscire da quella seduta con intanto almeno un piccolo tassello della loro crisi messo a posto.

Lo svantaggio di questo approccio è che, come abbiamo accennato anche in precedenza, tutte le questioni che compongono la sfaccettata e poliedrica crisi familiare sono intimamente e fortemente legate l’una all’altra, per cui dal punto di vista tecnico sarebbe un grave errore per il mediatore affrontarle «a compartimenti stagni», dato che in caso di fallimento sul terzo o quarto tassello affrontato in ordine di tempo con molta probabilità verrebbero rimessi in discussione anche quelli affrontati precedentemente.

Non si intende dunque sostenere un metodo del genere, che sarebbe probabilmente poco produttivo, ma solo l’opportunità della definizione di un obiettivo ridotto e circoscritto in una prima fase iniziale della mediazione, quando è necessario rompere il ghiaccio e determinare le parti ad iniziare questo percorso di cui probabilmente hanno bisogno come del pane, per poi, una volta raggiunto un minimo di collaborazione e magari un embrione di decisione sul primo tassello proposto, passare subito ad affrontare la situazione più in generale o comunque i suoi nodi centrali.

In sostanza, sempre mutuando per comodità di esposizione dalla terminologia del mondo del marketing, il mediatore in questi casi deve fare upselling: le parti ad esempio sono venute in mediazione per decidere limitatamente a chi tiene la casa familiare, il mediatore deve proporre loro di affrontare, visto che il primo «nodo» è già stato gestito, anche le altre questioni sul tappeto. Considerato che le parti hanno trovato modo di decidere sulla casa, perché non parlare ora anche della calendarizzazione dei figli?

È proprio partendo da un obbiettivo circoscritto che poi si riesce ad affrontare il tutto mentre quasi sempre se si propone direttamente di affrontare tutta la situazione non si riesce nemmeno ad iniziare il percorso.

Ad ogni modo, e chiudendo la digressione a riguardo, per riprendere il tema in generale, in questo modello di discussione lo spazio lasciato agli aspetti emotivi, a differenza di ciò che avviene in quello sistemico, torna ad essere limitato, mentre si cerca più genericamente di ristabilire un equilibrio nella coppia che consenta la comunicazione e magari anche la collaborazione, focalizzandosi abbastanza sulla responsabilizzazione dei protagonisti del conflitto.

In questo approccio, si tendono a non fare incontri individuali, perdendo dunque quella dimensione di emotività che si aveva nell’approccio sistemico, che così viene grandemente compromessa, sacrificandola sull’altare del valore dell’equidistanza del mediatore, che, se incontrasse separatamente le parti, potrebbe essere visto con sospetto e non solo non essere ma soprattutto non sembrare più così equidistante.

Lo strumento adottato dal mediatore con la collaborazione delle parti è quello della definizione di regole.

Un esempio di regola potrebbe essere che tutte le comunicazioni tra le parti debbano avvenire per mezzo di telefono o di persona, abbandonando le comunicazioni per iscritto che tanto oggi vanno di moda ma che ancor di più di prestano a fraintendimenti, specialmente in situazioni di conflitto dove causano quasi sempre e regolarmente incomprensioni, ulteriori pregiudizi e così via. Manca, nella comunicazione per iscritto, la percezione del «tono della voce» e dell’atteggiamento dell’interlocutore, cosicchè la unica «chiave di lettura» delle comunicazione scritte di una parte sono i pregiudizi negativi ben radicati nell’altra, con i disastrosi risultati che tutti possono immaginare.

Una regola come questa può sembrare, vista da fuori, banale, stupida e persino demenziale, specialmente oggigiorno che siamo in piena rivoluzione digitale. Tutto al contrario, essa è invece sacrosanta e benedetta e può far recuperare una molto miglior comunicazione a molte parti in conflitto.

Sottoporsi all’applicazione di regole peraltro così banali e semplici può essere percepito come umiliante da una o da entrambe le parti, ma bisogna realizzare che in questi casi non ci si trova in una situazione normale, ma all’interno di un conflitto, che rende tutto più complicato; per quanto i protagonisti del conflitto stesso possano essere persone degne, istruite, colte, in gamba, di buon senso, non rispettando regole che paiono stupide riporteranno, sia essi stessi che presso la loro controparte, conseguenze negative che potrebbero anche compromettere l’intero risultato della mediazione.

Una parte del tempo dunque dovrà essere spesa dal mediatore per illustrare l’opportunità di rispettare le regole che vengono man mano definite, ma soprattutto di credere fino in fondo nella loro opportunità, capendo il senso di ognuna ma soprattutto dell’opportunità di procedere in questo modo, altrimenti le parti tenderanno sempre a pretermetterle. Quest’ultimo aspetto è tanto più vero nel nostro Paese, in cui la cifra comportamentale più diffusa è l’egoismo e la scarsa aderenza a regole dettate da altri, sulla scorta della presunzione per cui «non importa» e «basta un po’ di buon senso». Ovviamente, il mediatore non potrà affatto ottenere il rispetto delle regole con autoritarismo e nemmeno con autorevolezza – anche se quest’ultima sicuramente avrà forza persuasiva e dunque agevolerà il processo – ma semplicemente con una adeguata opera di convinzione, cercando di penetrare davvero nei cuori delle parti per convincerli che avere delle regole, anche quando possono sembrare stupide o banali, è una cosa opportuna e fondamentale per il loro interesse e per quello dei loro figli.

Altri tipi di regole di cui fino a poco fa non si sarebbe sentito il bisogno della formulazione o del concepimento riguardano ad esempio la pubblicazione delle foto dei figli, magari insieme ai nuovi compagni o addirittura ad opera degli stessi, sulle reti sociali (social network), episodi che riaccendono violentemente la gelosia del genitore per i figli e compromettono spesso gravemente il percorso di mediazione. Anche in questo caso si tratta di circostanze che sicuramente in astratto potrebbero essere rimesse al famoso «buon senso» delle parti ma va registrato che purtroppo così facendo non si impedisce affatto che accadano cose del genere, per cui è sicuramente – lo si dice proprio sulla scorta dell’osservazione della realtà – meglio prevedere una regola esplicita al riguardo.

Ovviamente oltre alle regole di condotta per le parti della mediazione, regolette semplici e molto circoscritte come quelle che abbiano appena accennato, che, come tali, possono più difficilmente essere messe in discussione o dare adito a problemi interpretativi, per cui sono di più facile applicabilità, non essendoci facili scuse per la parte che intendesse trasgredirle, ci sono tante altre regole possibili e opportune, che potremmo definire regole di procedura che riguardano gli incontri di mediazione e che, al di là della loro banalità, nascondono e tutelano importanti aspetti, come ad esempio presentarsi puntuali, frequentare costantemente le sedute, mantenersi in tema rispetto all’argomento che si sta trattando, non profferire offese nei confronti dell’altra parte né ricordare circostanze spiacevoli che non siano necessarie per l’argomento in questione e così via. Anche queste regole sono banalissime, ma chi ha mai partecipato ad un incontro di mediazione sa perfettamente quanto siano importanti e quanto sia a volte difficile non solo ottenerne il rispetto ma definirle e ottenere il consenso su di esse da parte di entrambe le parti.

Le regole possono essere auspicabilmente definite, in un primo nucleo, all’inizio delle mediazione, dalle parti con l’aiuto del mediatore. A costui spetterà il compito di proporre quelle più utili in generale ma anche in relazione al caso concreto, cosa che il mediatore valuterà dopo aver ascoltato le parti sia nel contenuto di quello che dicono sia soprattutto nel loro atteggiamento. Anche durante il percorso di mediazione si potranno ovviamente definire regole, starà al mediatore proporle, non come un legislatore che si pronuncia dall’alto ma più come un gioco, volta per volta in relazione ai problemi emersi, cercando di formularle sempre in maniera semplice e minimale, lasciando poco spazio per la loro elusione.

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Mediazione familiare: il modello globale / operativo.

La differenza fondamentale di questo modello rispetto al precedente, visto appunto nel precedente post della «serie», ci viene indicata già dalla denominazione di globale.

Mentre, come abbiamo visto, nel modello integrato il focus dell’attenzione è dedicato alla genitorialità, lasciando gli aspetti economici e legali alla cura dei professionisti del diritto per lo più, l’aspetto peculiare del modello globale è che il mediatore tratta tutti i conflitti che interessano i protagonisti della mediazione, sia quelli connessi alla gestione dei figli, sia tutti gli altri che quasi immancabilmente si presentano ogni volta che si è in presenza di una crisi familiare.

C’è una considerazione di buon senso collegata a questo approccio e cioè che la comunicazione deve essere fluidificata riguardo a tutti gli aspetti del conflitto, perché il disagio e il malessere che i suo protagonisti provano nella vicenda è globale ed unitario e solo artificiosamente può essere ripartito in comparti diversi, affidati a professionisti altrettanto diversi. Inoltre c’è l’opportunità di sfruttare sino in fondo, a 360 gradi, tutte quelle finestre di dialogo che, a volte miracolosamente, si riescono ad aprire, e sinchè sono aperte, senza delegare, ma soprattutto rimandare, a successivi incontri presso peraltro altre figure in occasione dei quali le parti possono benissimo essersi «richiuse» in loro stesse.

C’è anche da dire che, come abbiamo già accennato sopra parlando del modello integrato, gli accordi che si prendono in sede di mediazione sono legati da un equilibrio molto stretto tra loro, per cui non è affatto detto che vengano mantenuti tutti nel caso in cui parte di loro per qualche motivo naufraghi, anzi tutto al contrario è solitamente un dato di esperienza che, in presenza di un ostacolo relativo ad un singolo aspetto o considerazione, quasi sempre le parti si trovino a voler rimettere in discussione tutti gli accordi, specialmente quando quell’aspetto non è propriamente un dettaglio, ma un dato importante rispetto al tutto.

Vale di nuovo la considerazione per cui le persone, gli utenti, sono titolari di un problema e si rivolgono al mediatore affinchè li aiuti a risolverlo, senza potersi interessare di ripartizione di competenze, questioni di opportunità, aspetti legali che, in questi momenti, anzi particolarmente in questi momenti, sono sentiti – più che in molti altri casi – come inutili complicazioni burocratiche.

Al netto della necessità di rispettare comunque la legge, forgiando accordi che si possano sussumere tranquillamente nel suo alveo – se non altro per esigenze concrete, quali quelle di consentire il passaggio al vaglio della magistratura – va ricordato che la percezione dei problemi di famiglia da parte dei suoi protagonisti è unitaria dal punto di vista emotivo e qualsiasi frammentazione può rendere precari quei già debolissimi equilibri che il mediatore riesce faticosamente a creare e sui quali si trova a dover camminare, con la massima cautela e leggerezza possibili, per tutto il suo percorso.

L’approccio del mediatore, comunque, resta quello classico di incoraggiare entrambe le parti, con equidistanza, a farsi reciproche concessioni, nell’ottica del compromesso che resta l’unica soluzione per affrontare qualsiasi conflitto e che è in fondo una cosa nobile, tutto al contrario di quanto si pensa comunemente, perché consente la pace sociale, familiare, individuale con la rinuncia a proprie pretese, spesso anche legittime, ma che vengono messe in secondo piano per il bene superiore del raggiungimento di un assetto stabile, utile sia per gli adulti protagonisti della crisi sia per i minori stessi.

In tale approccio, si cerca di definire all’inizio del percorso alcuni criteri di equità. In realtà, questa operazione può essere interessante, perché da un lato può agevolare il raggiungimento di un compromesso facilitando dal lato emotivo la rinuncia a proprie pretese ad opera delle parti, ma porta in sé anche il rischio di cadere nel problema tipico delle norme giuridiche, quelle di essere impiegati per risolvere problemi che sono nati dopo che le stesse sono state forgiate, per non dire del fatto che formulare norme di diritto, o prescrittive, e farle adeguatamente comprendere dai loro destinatari non è affatto un’operazione semplice. Quand’anche si riuscissero a individuare criteri generali dotati di qualche validità in astratto, parti del conflitto già esasperate e con comunicazione bloccate facilmente, senza nemmeno farlo apposta, tenderanno a fraintenderle e ad usarle come «clave» l’una nei confronti dell’altra.

La mano del mediatore al riguardo deve essere delicata e molto cauta, indicando più che norme strette e rigorose, alcune considerazioni generali, sulle quali le parti non possono non essere d’accordo – come tipicamente la necessità di tutelare tutte le volte e in tutti gli aspetti in cui è possibile i figli – da richiamare durante la negoziazione e il confronto, più come un campanello emotivo che un vero e proprio «regolo» per la discussione stessa.

Nel modello globale, il mediatore ovviamente si fa garante infatti anche degli interessi dei minori e la loro presenza è talvolta anche prevista nella stanza della mediazione, prima della redazione degli accordi, in modo da rendere il metodo il più inclusivo possibile.

Nel prossimo post della serie proseguiremo l’analisi dei modelli di mediazione familiare.