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Come difendersi da una accusa di diffamazione per messaggi scritti in un gruppo su facebook

Mi sono ficcato in un bruttissimo problema. Il fatto è che sono stato offeso su facebook su un gruppo da una tipa. Io stupidamente, al posto di fregarmene ho risposto con la stessa patetica moneta, ovvero con offese pensando che finisse lì. Questa tipa, allora, è andata a denunciarmi salvando tutte le offese che le sono arrivate da me e cancellando il post iniziale di offese creato da lei, almeno da quel che dice. Io le offese non me le son salvate perchè non avrei mai pensato che sarebbe arrivata a denunciarmi e adesso non posso più salvarle perchè cancellate dal moderatore. Io sono del Veneto mentre lei della Campania. Quindi secondo la tua esperienza come finirà la questione? Su internet ho scoperto che per diffammazione aggravata potrei rischiare 3 anni o una multa di 15000. Ammetto di essere stato stupido e impulsivo, ma che comunque è stata lei ad iniziare con un augurio di morte accompagnato con innumerevoli insulti. Sono spacciato? Piuttosto di pagare vado in carcere.

Intanto, bisogna vedere se questa persona ha presentato effettivamente la denuncia o no. In realtà, tante denunce vengono minacciate, ma poi molte persone quando devono avere a che fare con carabinieri o avvocati preferiscono lasciar perdere. Per verificare se è stata depositata, si può presentare una istanza del 335.
Per quanto riguarda invece le prove del fatto, che potrebbero essere utile se il procedimento poi andasse avanti, forse si può recuperare tutta la discussione originale dalla cache del tuo browser, lo stesso con cui l’avevi visualizzata la prima volta (e sempre che questo non sia avvenuto, ad esempio, tramite l’app di facebook del telefonino); puoi sentire da un tecnico informatico o magari anche solo un amico esperto di computer se riesce ad accedere alla cache e a recuperare la discussione originale.
Per il resto, è impossibile dire come possa finire una vicenda di questo genere, anche con tutta l’esperienza del mondo. Soprattutto, ne stiamo parlando senza nemmeno aver menzionato le espressioni esatte che sono state utilizzate, che sono la prima cosa da esaminare per vedere se c’è il reato di diffamazione o meno. Se sei incensurato, posso dirti che è pressoché impossibile che tu finisca in carcere, con ogni probabilità la pena che ti sarebbe mai applicata se le cose dovessero mettersi per il peggio sarebbe sospesa, qualunque essa possa essere.
Un tentativo che si potrebbe fare è un approccio negoziale tramite un legale esperto della materia e dotato appunto di buone capacità di negoziazione, per sistemare la questione in modo amichevole.

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se un venditore dopo che non accetto un suo preventivo mi offende posso denunciarlo?

Alcune settimane fa decido di entrare in un autosalone con mio padre per farci fare un preventivo di un auto dando in permuta il mio usato. Il venditore di turno mi fa il suo prezzo e noi ci prendiamo un giorno per pensarci. Il giorno dopo entro in un’altra sede sempre di proprietà della stessa concessionaria per avere un altro preventivo della stessa auto. Con mio stupore il prezzo proposto è di 2000 euro in meno del primo ed io senza pensarci firmo il contratto. La sera stessa il primo venditore mi scrive una mail accusandomi di essere stato sleale ed irrispettoso per aver cercato un preventivo migliore all’interno dello stesso gruppo anche se in un’altra sede e nonostante gli abbia risposto che era mio diritto chiedere quanti piu preventivi volevo lui ha replicato continuando ad offendermi chiamandomi disonesto sleale e uomo privo di rispetto nei confronti del suo lavoro. Ci sono i presupposti per una denuncia per diffamazione?

Sarebbe assolutamente demenziale da parte mia rispondere a questa domanda, per la quale è evidente che sia necessario leggere le mail in cui si sarebbero sostanziate le offese, che potrebbero condurre peraltro non al reato di diffamazione ma di ingiuria (a meno che non siano state mandate in copia ad altre persone).

In generale, si può solo dire che il reato potrebbe esserci senz’altro. Tu non hai fatto nulla di illegittimo (e ci mancherebbe altro!) e il venditore non ti poteva dire assolutamente nulla. Già esprimere semplice rammarico per la mancata accettazione di un preventivo denota a mio giudizio una totale mancanza di stile, mettersi addirittura a offendere e inveire è veramente troppo. Penso che tu ti sia imbattuto in una persona che ha perso la testa, io al posto tuo gli scriverei una diffida in cui gli chiederei il risarcimento del danno, restando poi disponibile ad accettare anche comunque una semplice lettera di scuse.

Se invece vuoi coltivare la questione (è una decisione tua, io non posso giudicare non avendo vissuto i fatti, nè avendo letto le mail), meglio acquistare una consulenza da un avvocato avente ad oggetto innanzitutto l’analisi degli scritti e comunque l’invio della diffida.

se si fa parte dei commentatori di un blog verso cui è stata fatta una denuncia per diffamazione cosa si può fare?

Qualche giorno fa su un blog che si occupa di argomenti faceti come tv e reality le moderatrici hanno messo in home page un avviso per gli utenti in quanto alla loro porta si è presentata la polizia postale.Pare che qualcuno nel lontano 2009 si sia ristentito di qualche commento, facendo partire una denuncia per diffamazione. Per di più l’archivio del blog non contiene più tali dati risalenti a tale data cosi quindi non è possibile rileggere e constatare a che tipo di messaggi ci si riferisca. Oltre le moderatrici chiamate come “testimoni o persone informate sui fatti” gli utenti coinvolti non sono stati contattati. Infatti privatamente una moderatrice mi ha detto di aver letto il mio nick tra il cumulo di pagine presentatele dalla polizia,ma ripeto io non sono stata contattata da nessuno. Come dovrei reagire secondo voi? Attendere che dal giorno alla notte qualcuno citofoni a casa mia? Presentarmi a casa di questo signore, visto che mi è stato detto chi è il denunciante?

Innanzitutto, dovresti presentare una istanza ex art. 335 cpp.

Contattare il denunciante, cosa che non andrebbe comunque fatta presentandosi a casa sua, ma per lettera, meglio ovviamente se tramite un legale, sarebbe del tutto prematuro; è una cosa, semmai, che si può valutare di fare in seguito, nel caso ci sia un problema effettivo da risolvere e che si possa pensare di farlo tramite negoziazione con lo stesso.

Per il resto, gli archivi dei blog, se non sono stati conservati dagli autori, generalmente si possono ricostruire tramite servizi come way back machine o altri, che a me stesso è capitato di usare tante volte nei processi.

quando c’è la diffamazione di un minore a mezzo pec alla scuole e ai genitori

Il genitore di una compagna di classe di mio figlio, anche rappresentante di classe, ha inviato alla pec della scuola e alla mail personale di vari genitori il messaggio che testualmente riporto ( preavvertendo che quando affermato non è mai stato comprovato , e, anzi da “sommarie informazioni” assunte dallo psicologo della scuola, è risultato infondato) : “A tutti i genitori degli alunni della classe II Sez. A,e p.c. alla Preside ****alla Coordinatrice di Classe %%%%% ed a tutto lo Staff di Dirigenza di cui siamo forniti di indirizzo(..)La presente per segnalare a tutti i genitori che, nella giornata di ieri 11.01.2013, si è verificato un atto di bullismo posto a danno di una alunna della nostra classe da parte di cinque ragazzi appartenenti a classi diverse della scuola, di cui, purtroppo, uno frequentante la classe dei nostri figli.A tal fine riporto di seguito quanto previsto dal codice penale, nonchè dalle Regole dettate dall’Istituto stesso ( segue citazione codice )Il più delle volte l’atto di bullismo viola sia la legge penale, sia quella civile, quindi può dar vita a due processi, l’uno penale e l’altro civile.Bullo minorenne La colpa è sua[2], degli insegnanti (che hanno il dovere di vigilare sui ragazzi), dell’amministrazione scolastica (che ha il dovere di controllare che sussista una vigilanza) e dei genitori (coloro che hanno il dovere di educare il ragazzo). l’art. 2046 c.c. pone una regola fondamentale per i casi di bullismo, secondo l’articolo difatti chiunque è autore di un fatto lesivo risponde esclusivamente nei limiti in cui è in grado di comprendere la portata ed il del significato della propria condotta, purché lo stato di incapacità non derivi da sua colpa.Anche il minore, se ritenuto capace di intendere di volere[3], è chiamato a rispondere degli atti di bullismo, insieme ai genitori ed alla scuola. Essendo spesso il bullo un minorenne sono molti i casi in cui si prevedono responsabilità da parte di soggetti che rispondono per lui. Il bullismo è talvolta avvallato dall’eccessiva tolleranza di alcuni professori e dalll’educazione che le famiglie danno ai loro figli. Invito tutti i genitori a parlare con i propri figli in modo chiaro e perentorio per evitare che tali episodi si possano ripetere, nonchè far comprendere loro la gravità delle conseguenze di questo gesto su sè stessi, la propria famiglia e sulla fragilità di una persona che subìsce tale aggressione morale ed, infine, invitare il figlio a collaborare ed aiutare i più deboli.I genitori del ragazzo della II° A (compagno di classe della ragazza aggredita) coinvolto nell’episodio, saranno chiamati a rispondere del comportamento del figlio innanzi al Dirigente Scolastico ed al Dottore Psicologo dell’Istituto.Certo della collaborazione di tutti i genitori, dei loro figli e del personale scolastico, porgo distinti saluti. (nome)(Rappresentante di Classe per i genitori di II° A).”
Praticamente un padre, su racconto della figlia, smentito poi dagli interessati (episodio accaduto tra ragazzini in assenza di testimoni adulti in cui a mio figlio viene peraltro contestato il solo fatto di essere stato presente) ha inviato questa orribile comunicazione a contenuto diffamatorio. la madre inoltre è entrata in classe durante lo svolgimento di una lezione, ne ha tratto fuori mio figlio e lo ha pubblicamente fatto oggetto delle stesse accuse, prima che la prof. riuscisse a sottrarlo alle sue “attenzioni”. La scuola si è dissociata per incompetnza dalle accuse rivolte , ma la mail ha comunque girato per l’intero istituto e tutti sapevano chi erano i ragazzini accusati ( peraltro senza prove concrete di nessun tipo) …vorrei pertanto presentare una querela per diffamazione , visto che, tra l’altro, i genitori di che trattasi continuano a importunare mio figlio all’uscita della scuola. Episodi simili erano già accaduti anche nella scuola frequentata precedentemente dalla ragazzina, ripetente e di quasi due anni maggiore del mio (oltre che più grande più grossa e più aggressiva)… Penso di sapere già che ne sussistono gli estremi ma gradirei averne comunque conferma. Non vorrei, per motivi economici, rivolgermi ad un avvocato, quindi pensavo di presentare querela al giudice di pace. E’ comunque obbligatorio farsi assistere da un legale o posso gestire da sola l’intera procedura?

Per presentare la querela, non hai bisogno dell’assistenza di un legale, ma puoi fare da sola, anche se è altamente sconsigliato, specialmente in materie delicate come queste, procedere col il fai-da-te. Oltre all’invio della pec, mi pare che sia grave anche, e forse sotto alcuni profili soprattutto, il fatto che un genitore si sia rivolto direttamente a tuo figlio, e non a voi genitori, anche se bisogna vedere ovviamente con quali modalità. Per «gestire l’intera procedura» invece direi che dipenda molto dalla piega che prenderà eventualmente il procedimento, purtroppo senza un legale ogni volta che succede qualcosa nel processo è di difficile «lettura» per chi non ha esperienza di queste cose e il dubbio di fare la cosa sbagliata è sempre presente. Puoi consultare, comunque, la nostra scheda pratica con alcuni consigli generali su come si redige una denuncia querela.

quando si dà dell’«ignorante» ad un blogger in un commento

Tre giorni fa ho commentato un post in un blog commentandolo e ( forse esagerando) ho definito colei che l’ha scritto ignorante, ho ricevuto una risposta con un ricatto , se non avessi scritto le mie scuse mi avrebbe fatto una causa, io sapendo che avevo sbagliato per avergli dato dell’ignorante ho chiesto scusa ma ho detto che avevo sbagliato a dirle ignorante me il mio pensiero era quello che avevo scritto, ora questa signora del blog mi ha detto che nn vedendo scuse nel messaggio procederá per vie legali (anche se avevo chiesto scusa). Vorrei dei consigli su cosa fare, anche se lei di me conosce solo l e-mail che non é intestata a me.

Io non mi preoccuperei eccessivamente, sono molto di più le querele minacciate di quelle presentate effettivamente, e il fatto non mi sembra così grave. Dal punto di vista giuridico, potremmo discutere per giorni sulla carica offensiva del termine da te impiegato di «ignorante», ma comunque non si potrebbe prescindere dal contesto, un conto ad esempio è un blog di satira, o di politica, un altro conto può essere invece un blog tecnico o sul quale magari scrivono degli insegnanti o dei docenti o anche solo degli appassionati di letteratura, contesti in cui l’utilizzo del termine è sicuramente più spregiativo. Ti consiglierei comunque di formulare di nuovo le tue scuse senza fare tanti distinguo e cercare di raggiungere un accordo.

quando si diffama e si pubblica il numero di cellulare di una ragazza su un forum

Circa 1 mese fa son entrato in un forum mi son iscritto inserendo un nick e una password,e qua ho intravisto dei discorsi che mi sembravan rivolti ad una ragazza che conosco,dopodiche ho cominciato a inserire commenti pure io su questa mia conoscenza ho messo il nome (ma non il cognome) la via e il paese dove abita e una parte del suo numero di cellulare, mi son lasciato un po andare e ho messo cose un po diffamatorie, sta di fatto che questa e venuta a conoscenza del tutto (ho negato di esser io l autore di queste discussioni), e entrata pure lei in questo forum,ha visto le discussionisu di lei, e tramite non so chi si e accorta che al nick in questione in questo forum( cioe io) e un email che gli avevo spedito tempo fa risultava lo stesso ip mi ha messo nell angolo,io x cercar di discolparmi le ho detto che l email l ho spedita tramite un pc a casa di un amico, e le discussioni cosi dettagliate su certi particolari su di lei in questo forum e che io raccontavo un po tutto a questo mio amico anche le sue cose personali(non so se mi ha creduto). da questo forum son stato bannato,ho mandato varie email all amministratore domandadogli se esiste la possibilita di cancellare le mie discussioni,ma ancora niente non ho ricevuto risposta e su questo forum ci son ancora i messaggi che ho messo. mi dispiace molto di quello che ho fatto in 20 min.ho rovinato un amicizia di 4 anni,non l ho fatto con cattive intenzioni.a cosa vado incontro?

In quello che hai fatto c’è sia la diffamazione, nella sua versione un po’ più grave per essere stata commessa con un mezzo assimilabile alla stampa come un forum telematico, sia le violazioni delle norme in materia di tutela dei dati personali, dal momento che il numero di cellulare non era sicuramente un dato ostensibile, specialmente nello stesso contesto. Ora quel che succederà dipende dalla presentazione o meno da parte della ragazza o dei gestori del forum, per cui ti consiglierei innanzitutto di presentare una lettera scritta di scuse alla ragazza, quindi di depositare una istanza del 335 in Procura per vedere se già esiste un procedimento a tuo carico. Infine, per quanto riguarda la richiesta di rimozione dei commenti, ti converrebbe risalire al titolare del dominio su cui è ospitato quel forum per poi mandargli una raccomandata o una pec. Ti consiglierei di farti seguire da un legale.

quando un pubblico ufficiale viene diffamato su facebook

Mio fratello svolge un lavoro di rilievo nella città in cui viviamo,rappresenta un pubblico ufficiale,sempre a contatto con i cittadini e spesso anche con la maleducazione e l’arroganza di chi le regole non vuole rispettarle. Recentemente è capitato che una persona abbia pubblicato sul suo profilo del social network facebook una serie di offese ed insulti facendo nome e cognome di mio fratello che io ho potuto direttamente leggere in quanto la persona suddetta rientra tra gli “Amici” presenti sul mio profilo del social network, ritenendo a tal proposito che la persona abbia agito consapevole che tali insulti sarebbero stati a me visibili. E’ possibile agire per vie legali contro questa persona? Ci sono gli estremi della diffamazione? A mio avviso sì, mio fratello è una figura pubblica e ritengo tutto ciò è illegittimo.

Per prima cosa, ovviamente, bisognerebbe leggere i messaggi che sono stati pubblicati e il modo in cui sono stati riferiti a tuo fratello, dal momento che per valutare se esiste un reato di diffamazione occorre per prima cosa vedere se il messaggio ha il giusto grado di offensività e che non si tratti, sotto un altro profilo, di critiche, che possono essere legittime. Anzi, per le persone che hanno un profilo pubblico marcato, solitamente i giudici ammettono, proprio in considerazione dell’interesse pubblico, l’adozione di un linguaggio maggiormente polemico di quello che avviene, ad esempio, per le persone che conducono una vita strettamente privata. Ovviamente non è così facile stabilire il confine tra un linguaggio aspro e polemico, ma in fondo legittimo, e le vere e proprie offese.

Ad ogni modo, immaginando ora per comodità che il messaggio sia oggettivamente diffamatorio, la denuncia si può presentare. La competenza, essendo il reato stato commesso tramite facebook, è del tribunale e non del giudice di pace. Prima di procedere con una denuncia di questo genere, tuttavia, io suggerirei di inviare una diffida con richiesta di risarcimento del danno, che può essere utile anche nell’ottica di raggiungere una soluzione amichevole, in quanto tale sempre preferibile, salvo rare eccezioni.

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Facebook: la prima condanna ai danni per diffamazione.

Riportiamo di seguito la prima sentenza italiana che condanna una persona al risarcimento dei danni per diffamazione commessa tramite il noto social network facebook. Se ne consiglia la attenta lettura a tutti i frequentatori di quello, ma anche di altri, spazi telematici. Ricordo che è molto poco intelligente offendere altre persone per iscritto, in un contesto in cui tutto rimane tracciabile e documentabile, dal momento che ciò rende molto più facile portare in tribunale situazioni come queste.


Tribunale di Monza

Sezione IV Civile

Sentenza 2 marzo 2010, n. 770

Repubblica Italiana

In nome del Popolo Italiano

TRIBUNALE DI MONZA

Sezione IV Civile

Il Tribunale di Monza, Sezione Quarta Civile, in persona del magistrato dott. PIERO CALABRO’

in funzione di Giudice Unico

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al RG n.4456/09, promossa con atto di citazione notificato in data 12.3.2009

da

F. B., rappresentata e difesa dagli avvocati M.Costantin e R.Mandelli, presso lo studio dei quali in Meda largo Europa n.7 ha eletto domicilio…..…………………………………………………………..

PARTE ATTRICE

contro

T. P., rappresentato e difeso dagli avvocati S.Paganessi, G.Violini e C.Dehò, presso lo studio della quale in Monza via Magellano n.38 ha eletto domicilio………………………………………

PARTE CONVENUTA

Oggetto della causa : risarcimento danni da fatto illecito

All’udienza del 22.12.2009 i procuratori delle parti precisavano le

CONCLUSIONI

come da n.3 fogli vistati dal G.U. ed allegati al processo verbale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 12.3.2009 F. B. conveniva in giudizio, innanzi a questo Tribunale, T. P. per sentirlo condannare all’integrale risarcimento “del danno morale soggettivo o, comunque, del danno non patrimoniale” sofferti in conseguenza della subìta lesione “alla reputazione, all’onore e al decoro” cagionatale in data 1.10.2008 dal convenuto mediante l’invio di un messaggio per il tramite del social network “Facebook”.

Deduceva F. B.:

-che, conosciuto T. P. su “Facebook”, ebbe ad intraprendere con il medesimo una relazione sentimentale;

-che, anche al termine di tale relazione, continuò a comunicare ed interagire con il convenuto e con i numerosi comuni “amici” del sito;

-che, portatrice di una patologia (una forma di strabismo definita “esotropia congenita”) ben nota a T. P., si vide inviare da quest’ultimo tramite “Facebook” in data 1.10.2008 il seguente messaggio: “Senti brutta troia strabica che nn sei altro… T consiglio di smetterla. Nn voglio fare il cattivo sputtanandoti nella tua sfera sociale dove le persone t stimano (facebook, myspaces, ecc.).Purtroppo nn siamo Tommy Vee o Filippo Nardi …quindi nn appetibili sessualmente per te. T consiglio di caricare le foto ove la frangia nn t nasconde il litigio continuo dei tuoi occhi e nello stesso tempo il numero di un bravo psichiatra che può prescriverti al più presto possibile, pastigle rettali da cavallo con funzione antidepressiva (se t piaceva il dito nn mi immagino il farmaco). Con queste affermazioni, vere, chiedo di eclissarti e di smetterla di ossessionarmi come il tuo grande idolo e modello comportamentale… Mentos! Ah… Tutti i miei orgasmi erano finti … =) ihoho”;

-che tale messaggio, oltre ad infierire sul predetto difetto visivo (per il quale era solita nascondere l’occhio sinistro con la capigliatura), aveva in modo grave leso la propria reputazione, il proprio onore e il proprio decoro;

-che il conseguente pregiudizio morale o, comunque, non patrimoniale era suscettibile di essere liquidato nella misura di € 26.000,00 ovvero in quella ritenuta di giustizia.

T. P., costituitosi in giudizio, contestava l’avversa domanda e ne chiedeva la reiezione.

Eccepiva, in particolare, l’assenza di prova della riconducibilità a sé, quale autore, del messaggio de quo e la sua riferibilità all’attrice quale destinataria (non apparendo il suo nome sulla pubblicazione chat prodotta in atti).

Invocava, in via subordinata, l’esimente di cui all’art.599 comma II° CP e la ulteriore norma di cui all’art. 1227 CC, avendo reagito al comportamento persecutorio tenuto da F. B. a seguito dell’interruzione del rapporto sentimentale, decisa dallo stesso convenuto.

Compiutamente trattato il processo e precisate le conclusioni, la causa era trattenuta per la decisione dal Tribunale in composizione monocratica ai sensi dell’art.50ter CPC.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La presente controversia, di indubbia peculiarità, trae le proprie origini dal rapporto instaurato tra le odierne parti per il tramite del sito web denominato “Facebook”.

Trattasi, come è ormai notorio, di un c.d. social network ad accesso gratuito fondato nel 2004 da uno studente dell’Università di Harvard al quale, a far tempo dal settembre 2006, può partecipare chiunque abbia compiuto dodici anni di età: peraltro, se scopo iniziale di “Facebook” era il mantenimento dei contatti tra studenti di università e scuole superiori di tutto il mondo, in soli pochi anni ha assunto i connotati di una vera e proprie rete sociale destinata a coinvolgere, in modo trasversale, un numero indeterminato di utenti o di navigatori Internet.

Questi ultimi partecipano creando “profili” contenenti fotografie e liste di interessi personali, scambiando messaggi (privati o pubblici) e aderendo ad un gruppo di c.d. “amici” : quest’ultimo aspetto è rilevante, anche ai fini della presente decisione, in quanto la visione dei dati dettagliati del profilo di ogni singolo utente è di solito ristretta agli “amici” dallo stesso accettati.

“Facebook”, come detto, include alcuni servizi tra i quali la possibilità per gli utenti di ricevere ed inviare messaggi e di scrivere sulla bacheca di altri utenti e consente di impostare l’accesso ai vari contenuti del proprio profilo attraverso una serie di “livelli” via via più ristretti e /o restrittivi ( dal livello “Tutti” a quello intermedio “Amici di amici” ai soli “Amici”) per di più in modo selettivo quanto ai contenuti o alle stesse “categorie” di informazioni inserite nel profilo medesimo.

Quindi, agendo opportunamente sul livello e sulle impostazioni del proprio profilo, è possibile limitare l’accesso e la diffusione dei propri contenuti, sia dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo.

E’ peraltro nota agli utenti di “Facebook” l’eventualità che altri possano in qualche modo individuare e riconoscere le tracce e le informazioni lasciate in un determinato momento sul sito, anche a prescindere dal loro consenso: trattasi dell’attività di c.d. “tagging” (tradotta in lingua italiana con l’uso del neologismo “taggare”) che consente, ad esempio, di copiare messaggi e foto pubblicati in bacheca e nel profilo altrui oppure email e conversazioni in chat, che di fatto sottrae questo materiale dalla disponibilità dell’autore e sopravvive alla stessa sua eventuale cancellazione dal social network.

I gestori del sito (statunitensi, secondo la Polizia Postale), pur reputandosi proprietari dei contenuti pubblicati, declinano ogni responsabilità civile e/o penale ad essi relativa (come dimostra, eloquentemente, una recentissima e dibattuta controversia giudiziaria riguardante il motore di ricerca “Google”).

In definitiva, coloro che decidono di diventare utenti di “Facebook” sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono : rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto.

Il caso di specie è emblematico in tal senso.

Due giovani si conoscono e socializzano tramite “Facebook” e tra loro ha inizio una relazione da entrambi definita sentimentale, con sviluppi non lineari ed irreprensibili, descritti dal convenuto in modo minuzioso, pur se irrilevanti ai fini della presente decisione.

In tale contesto si inserisce l’invio da parte di T. P. di un messaggio a mezzo “Facebook” a F. B., datato 1.10.2008 e del seguente eloquentissimo tenore: “Senti brutta troia strabica che nn sei altro… T consiglio di smetterla. Nn voglio fare il cattivo sputtanandoti nella tua sfera sociale dove le persone t stimano (facebook, myspace, ecc.). Purtroppo nn siamo Tommy Vee o Filippo Nardi … quindi nn appetibili sessualmente per te. T consiglio di caricare le foto ove la frangia nn t nasconde il litigio continuo dei tuoi occhi e nello stesso tempo il numero di un bravo psichiatra che può prescriverti al più presto possibile, pastigle rettali da cavallo con funzione antidepressiva (se t piaceva il dito nn mi immagino il farmaco). Con queste affermazioni, vere, chiedo di eclissarti e di smetterla di ossessionarmi come il tuo grande idolo e modello comportamentale … Mentos! Ah… Tutti i miei orgasmi erano finti … =) ihoho”.

Trattasi, in tutta evidenza, di un messaggio denotante la conoscenza non solo della imperfezione fisica sofferta da F. B., ma anche e soprattutto di alcune sue presunte preferenze maschili e abitudini sessuali.

Per di più, il messaggio presuppone precedenti conversazioni non gradite al mittente (“T consiglio di smetterla”) e che trovano riscontro nelle difese del convenuto, laddove ha lamentato il preteso comportamento persecutorio di parte attrice e la propria conseguente giustificata reazione.

Difese che, ad onor del vero, si appalesano ictu oculi come contraddittorie nel momento in cui alla contestazione della provenienza del messaggio è poi soggiunta la non riferibilità a F. B. del suo contenuto.

Immeritevoli di accoglienza appaiono, comunque, le generiche eccezioni svolte dal convenuto in relazione alla effettiva provenienza del messaggio de quo, posto che è ampiamente documentata dall’attrice la partecipazione di T. P. alla discussione in chat messaggistica sul profilo di un comune “amico Facebook” (tale G. F.) a commento di una foto che li ritrae assieme, l’inserimento di F. B. in tale conversazione web e la replica finale suggellata dal messaggio del quale oggi si discute (doc.2).

Maggiormente dimostrativo della provenienza dal convenuto del messaggio in esame è l’ulteriore scambio di messaggi avvenuto tra le parti in ora tarda (ore 22,37 attrice – ore 1,03 convenuto: doc.3), dal quale si evince anche la volontà di T. P. di rivendicare nuovamente il contenuto di quanto in precedenza scritto (“Se fosse stato per me il commento l’avrei lasciato, ma il mio amico l’ha voluto cancellare…”) e di voler sin da allora individuare una possibile scappatoia nella pretesa non riferibilità all’attrice delle gravi espressioni adottate (“Non vedo il tuo nome scritto nel commento pubblico della mia foto con i miei amici”).

Quest’ultima affermazione del convenuto è, di contro, dimostrativa del carattere pubblico delle offese arrecate: offese certamente riconducibili in modo immediato e diretto a F. B., non solo per la riferita forzata condivisione con i comuni “amici Facebook” delle abitudini di vita dell’attrice e dei suoi asseriti comportamenti vessatori (v. pag.4 comparsa di risposta), ma anche più semplicemente per la evidente circostanza che il messaggio ingiurioso è immediatamente successivo a quello inviato dalla stessa F. B. a commento della foto pubblicata dal comune “amico Facebook” G. F. (il quale, poi, a detta dello stesso convenuto ebbe a “cancellare” il messaggio de quo).

La nota impossibilità di registrazione nel social network a nome di un utente già registrato (confermata anche in via documentale dall’attrice: docc.4-5-6) e l’assenza di formali denunzie del convenuto concernenti eventuali e non dimostrati “furti d’identità” (anzi escludibili, alla luce dell’utilizzazione del medesimo recapito email, in altre occasioni pubblicato: doc.7) consentono di affermare la provenienza del messaggio da T. P..

Se a ciò si aggiungono le ulteriori considerazioni già ampiamente svolte in relazione alle note caratteristiche di “Facebook”, ai suoi altrettanto notori e conosciuti limiti ed alla consapevole accettazione dei conseguenti rischi di una sua non corretta utilizzazione, non possono sussistere ragionevoli dubbi sulla affermazione di civile responsabilità del convenuto quanto agli effetti ed ai pregiudizi arrecati dal messaggio del giorno 1.10.2008 e dalla reale (e (ancor potenziale) sua diffusione.

Dunque, T. P. dev’essere condannato al risarcimento dei danni arrecati per tale via a F. B., dovendosi al riguardo escludere le invocate scriminanti o diminuenti di cui all’art.599 c.II° CP ed all’art. 1227 CC, certamente apparse incongrue anche in ossequio alla stessa prospettazione dei fatti offerta dalla difesa del convenuto.

Relativamente al quantum debeatur, ribadito che parte attrice ha limitato le proprie richieste al risarcimento “del danno morale soggettivo o, comunque, del danno non patrimoniale” sofferto quale diretta conseguenza della subìta lesione “alla reputazione, all’onore e al decoro” cagionatale dal convenuto mediante l’invio del messaggio oggetto di causa, appare utile brevemente in diritto premettere come, recentemente, la Suprema Corte abbia riaffermato l’autonomia del danno morale rispetto alla più ampia categoria del danno non patrimoniale (Cass. 12.12.2008 n.29191), in apparente contrasto con le note decisioni adottate dalle Sezioni Unite (Cass.Sez.Un. 11.11.2008 numeri 26972 e 26975), che hanno negato valenza autonoma al danno morale, relegandolo al rango di sottocategoria del danno non patrimoniale.

Peraltro, per quel che qui rileva, le Sezioni Unite avevano affermato “che, nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive -tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali- un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata: sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”.

Nel caso di specie, avendo parte attrice invocato la liquidazione “del danno morale soggettivo o, comunque, del danno non patrimoniale” per tale via e in modo esclusivo individuato, le anzidette problematiche interpretative ben possono considerarsi irrilevanti, così come la stessa querelle riguardante la eccepita necessità di individuare, ai fini della liquidazione, una fattispecie di reato nell’ambito delle vicende discusse in giudizio.

Come è noto, il danno non patrimoniale trae la propria specifica origine dall’art.2059 CC, alla luce del quale simile pregiudizio deve essere risarcito “solo nei casi determinati dalla legge”: tale possibilità risarcitoria sembrava dunque limitata alle sole ipotesi di reato, così come previsto dall’art.185 CP. A seguito dell’intervento della Corte Costituzionale (sent. 30.6.2003 n.233) può ormai dirsi del tutto superata questa interpretazione limitativa, di talchè ogni lesione di valori di rilievo costituzionale inerenti la persona comporta il ristoro del danno non patrimoniale sofferto.

Qui va rimarcata la risarcibilità, attesi i limiti della domanda attrice, del solo danno morale soggettivo inteso quale “transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima” del fatto illecito, vale a dire come complesso delle sofferenze inferte alla danneggiata dall’evento dannoso, indipendentemente dalla sua rilevanza penalistica.

Rilevanza che, peraltro, ben potrebbe essere ravvisata nel fatto dedotto in giudizio, concretamente sussumibile nell’ambito della astratta previsione di cui all’art.594 CP (ingiuria) ovvero in quella più grave di cui all’art.595 CP (diffamazione) alla luce del cennato carattere pubblico del contesto che ebbe a ospitare il messaggio de quo, della sua conoscenza da parte di più persone e della possibile sua incontrollata diffusione a seguito di tagging.

Elemento, quest’ultimo, idoneo ad ulteriormente qualificare la potenzialità lesiva del fatto illecito, in uno con i documentati problemi di natura fisica ed estetica sofferti da F. B. (doc.1).

Alla luce di quanto accertato in fatto, della evidente lesione di diritti e valori costituzionalmente garantiti (la reputazione, l’onore, il decoro della vittima) e delle conseguenti indubbie sofferenze inferte all’attrice dalla vicenda della quale si discute, in via di equità, può essere liquidata ai valori attuali, a titolo di danno morale ovvero non patrimoniale, la somma di € 15.000,00.

Le spese processuali seguono la soccombenza del convenuto e si liquidano come da dispositivo.

La presente sentenza dev’essere munita, ai sensi di legge, della clausola di provvisoria esecutività di cui all’art. 282 C.P.C..

p.q.m.

Il Tribunale, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta con atto di citazione notificato il 12.3.2009 da F. B. nei confronti di T. P., così provvede:

1)condanna T. P. al pagamento, in favore di F. B., della somma di € 15.000,00 oltre agli interessi legali dalla data del fatto al saldo;

2)lo condanna, altresì, al pagamento delle spese processuali in favore di parte attrice, liquidate nella misura di € 4.400,58 (di cui € 186,58 per esborsi, € 1.214,00 per diritti ed € 3.000,00 per onorari), oltre spese generali, IVA e CPA come per legge;

3)dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.

MONZA, 2.3.2010 IL GIUDICE UNICO

(dott. Piero Calabrò)