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l’eee pc con disco a stato solido

Gentilissimo avvocato Solignani, la ringrazio per il lavoro sul suo blog, con particolare attenzione ho seguito la sezione in cui parla dell’ eee pc dell’ASUS, forte delle motivazioni scritte da lei, ho deciso di acuistare anche io la macchina sopra descritta presso il negozio affiliato all’iniziativa del Ministero, BOW.it. Ad una loro prima mail nella quale mi dicevano l’impossibilità di applicare tale iniziativa alla macchina scelta, mi sono permesso di indicare le sue indicazioni trovate sul suo blog e inoltrarle al negozio. Dopodichè mi hanno mandato un altra mail nella quale mi hanno scritto: “Buonasera, Le comunico che tra i requisiti per beneficiare del Contributo di 200 € previsti dal Ministero e’ prevista la presenza di un’unita’ disco rigido interno. L’asus EEE PC utilizza un particolare supporto chiamato solid state disc non assimilabile a questa categoria. Per questi motivi non possiamo elargire questo contributo.” Ora a me pare che qui ci sia un pò una presa in giro e soprattutto un modo continuo di svincolare queste poche e rare belle iniziative dello Stato. Le chiederei cortesemente, se possibile, di sapere come secondo lei mi dovrei comportare. La ringrazio molto per il tempo dedicatomi e le auguro una buona giornata cogliendo l’occasione per ringraziarla del lavoro che sta svolgendo. (Marco, mail)

Un Disco a stato solido (dall’inglese Solid state disk, comunemente abbreviato SSD) è un dispositivo di archiviazione dati che utilizza unicamente la “Fisica dello stato solido” per la memorizzazione delle informazioni digitali. La parola disco, contenuta nel nome, non deve trarre in inganno: il dispositivo non contiene alcuna parte meccanica e nessun disco magnetico, come nei “Disco rigido” convenzionali, per questo motivo è più corretto, anche se meno intuitivo, chiamare il dispositivo Drive a stato solido (dall’inglese Solid state Drive, SSD).

I dischi a stato solido si basano sulla memoria flash di tipo NAND per l’immagazzinamento dei dati, ovvero sfruttano l’effetto tunnel per modificare lo stato elettronico di celle di transistor; per questo essi non richiedono parti meccaniche e magnetiche (dischi, motori e testine), portando notevoli vantaggi per la sicurezza dei dati. L’uso della parola disco è principalmente dovuta al fatto che gli SSD dovranno, per un certo periodo, affiancare i dischi rigidi tradizionali.

Non per eccesso di fiducia, ma più che una presa in giro, in questo caso mi sembra che il disguido possa derivare da una diversa intrepretazione della normativa che prevede la possibilità di elargire il beneficio previsto dal Ministero. Infatti, in virtù della definizione di Disco a stato solido appena illustrata, effettivamente tale requisito proprio del pc che ha appena acquistato non può essere assimilato al requisito richiesto dalla normativa: infatti, il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 8 giugno 2007, pubblicato nella Gazz. Uff. 18 giugno 2007, n. 139, nel definire i requisiti che deve avere il computer da acquistare, prevede, alla lettera a) (art. 2 d. cit.), la necessaria presenza di "un’unità centrale e unità disco rigido interno".

E’ quindi evidente che occorre la presenza di un disco rigido nel pc, affinchè questo possa essere ritenuto compatibile con la tipologia di macchine suscettibili di finanziamento da parte del Ministero.

Purtroppo a me sembra davvero soltanto un problemna di linee di vedute diverse, più o meno tassative, ma tali da fare la differenza. A questo punto, quindi, potrebbe magari contattare il servizio clienti della ASUS, e cercare di ottenere maggiori informazioni sulla differenza tra il componente del suo pc e il disco rigido richiesto dal Ministero, ma sinceramente non so quanto possa essere utile insistere ancora.

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Tribunale di Bolzano – Sentenza n. 145/05 del 31 marzo 2005

Buongiorno. Sono il direttore di una rivista di clinica odontoiatrica (i lettori sono dentisti) e all’interno di questa curo varie rubriche. Chiedo dove posso reperire il testo integrale della sentenza del GIP di Bolzano 145 del 31.3.2005. Grazie per l’attenzione.

Gentile direttore, non avendo trovato la sentenza sulle mie banche dati, Le indico il link dell’indirizzo internet dove puo’ trovare per esteso le motivazioni della sentenza che cerca. Spero sia quella giusta. 

Ecco il link

il copyright sui giochi

Anzitutto i complimenti per il sito e la vostra organizzazione. Ho questa piccola questione.E’ mia intenzione (per diletto personale) trasportare in forma informatica (in Access) un vecchio gioco da tavolo della Editrice Giochi. Ho consultato il loro sito, pare che non ci sia la possibilità senza il consenso esplicito, di fare questo genere di “trasformazioni”. Allora gli ho mandato diverse email (fin da ottobre scorso) per l’autorizzazione, spiegando uso e finalità dell’operazione, ma senza ricevere mai risposta. Forse danno per scontato che la risposta è “no”, ma mi piacerebbe avere un riscontro. La mia intenzione è convertire il gioco senza intento commerciale, per pubblicarlo sul mio blog come esempio di programmazione (è un gioco molto semplice, di simulazione del gioco del calcio con carte e dadi, e che si presta ad essere convertito senza troppo sforzo). Il blog è di natura tecnica, ospitato su un sito di professionisti della programmazione, e può venir consultato da un numero imprevedibile di utenti: quindi non posso rischiare di subire un’azione legale per aver pubblicato qualcosa di protetto :o), piuttosto lascio perdere. (Marco, via mail)
Conviene, purtroppo, lasciar perdere. Anche le formule alla base dei giochi sono oggetto di privativa e coperte da diritto d’autore, quindi una riproduzione di questo genere, se non autorizzata dal titolare dei diritti, è da considerarsi illegittima e pertanto dare aggio al proprietario dei diritti di intentare un’azione legale, che in questi casi è sempre il ricorso d’urgenza, un particolare tipo di azione legale molto veloce e di conseguenza anche impegnativa in termini di risorse di tempo e di denaro. Hai fatto benissimo a spedire delle mail per chiedere l’autorizzazione, mail che tuttavia un domani potrebbero anche essere utilizzate, se realizzassi il gioco, come indice di una tua mala fede.
Volendo provare ad insistere, l’unica sarebbe inviare una raccomandata a/r alla sede legale della Editrice Giochi, per vedere se in qeusto modo si degnano di darti una risposta che, tuttavia, rischia di essere negativa. L’unico modo in cui potresti fare la cosa sarebbe realizzare un “fork” del gioco che però possieda decisive e determinanti caratteristiche individualizzanti e originali, tali da farne concludere per l’esistenza di un gioco a sè stante, del tutto nuovo e solo vagamente ispirato al vecchio. Ma anche in questo caso saresti a rischio di un procedimento legale.
Il discorso, infine, potrebbe essere diverso solo se la cosa avvenisse per esclusivo scopo didattico o di approfondimento scientifico e il programma fosse accessibile e distribuito solo all’interno di una comunità ristretta di utenti, ad esempio i frequentatori di un tuo ipotetico corso su Access ai quali potresti voler mostrare che tipo di applicazione di gioco si può realizzare con questa “piattaforma”.
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Commercializzazione del software libero

Come designer di siti web e sviluppatore di piccoli gestionali per aziende, avrei intenzione di aderire in toto alla filosofia del software libero, o meglio, all’opportunità anche economica offerta dalle licenze GNU GPL. Mi spiego meglio. Sostituendo la compravendita di software con un servizio di locazione/personalizzazione di software libero, è possibile limitare i costi di sviluppo e fornire un prodotto di buona qualità e concorrenziale. La questione è: questi software sono per licenza privi di qualunque garanzia sul loro corretto funzionamento, quindi cosa mi può accadere in caso di perdita dati e danno ai miei clienti? E se parte del codice licenziato lo scrivessi io stesso? Se sviluppassi programmi licenziati GPL e ne fornissi commercialmente delle personalizzazioni a livello aziendale? Posso tutelarmi semplicemente in forza di questo tipo di licenza? Ovvero: è possibile fornire del software senza alcuna garanzia ai propri clienti, ancorchè con la massima trasparenza contrattuale ed esplicito consenso del cliente? Grazie Ammetto di non essere ferrato sull’argomento. Pe quanto ne so, il software libero non deve necessariamente essere sviluppato a titolo gratuito, ma puo’ essere modificato e rivenduto, purchè si rispettino i termini dellla licenza d’uso. Puo’ quindi, come fa (o intende fare) Lei, essere locato ad esempio ad imprese e, magari, con un ritorno economico derivante dalla fornitura di assistenza o di know-how.

Se Lei crea un software libero, ne detiene senz’altro i diritti di copyright con l’applicazione della relativa normativa. Se, invece, ne modifica uno creato da altri e poi lo commercializza, in base ai termini di licenza GNU GPL, è tenuto a rendere pubbliche le modifiche. Questo garantisce chi lo riceve e lo utilizza, ad esempio, di potere verificare se, in caso di problemi, questi derivino dalle modifiche o dalla sorgente.

E’ chiaro che se Lei è proprietario di un software (e del copyright) e quest’ultimo non funziona, dovrà risponderne a chi lo ha acquistato da Lei. Il consiglio che posso darLe (in caso di locazione di software liberi da Lei modificati) è quello di mettere per iscritto con i contraenti quelli che sono i Suoi apporti effettivi al software, per coprirsi le spalle in caso di malfunzionamento derivante da elementi già presenti nel software prima del Suo intervento.

Un’ultima cosa: non è vero che i software liberi sono del tutto privi di garanzia sul loro corretto funzionamento. Se Lei ha creato un software libero e qualcuno lo modifica in violazione della GNU GPL, è responsabile di perseguire legalmente l’autore della violazione. Quindi se, ad esempio, una impresa a cui è stato venduto un software libero di sua creazione, ma modificato illegittimamente, dovesse subire danni a causa di queste modifiche, anche agendo contro di Lei come autore del software, sarebbe autorizzato ad agire legalmente nei confronti dell’autore delle modifiche in violazione della licenza per rivalersi.

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bloccare il software quando l’acquirente non paga

Si sta discutendo sul malcostume di committenti che, commissionato un software, non lo pagano nel momento in cui è terminato. A seguito di regolare contratto è lecito inserire, ad insaputa del committente, un “blocco a scadenza” del software per costringere, poi, il cliente a pagare? Se questo è inserito come clausola vessatoria può essere considerato legale?
E’ sicuramente un’idea molto interessante. Direi che tutto sommato una prassi di questo genere potrebbe essere legittima, in effetti, magari configurando in un certo modo il contratto di sviluppo e/o concessione del software. L’art. 1460 del codice civile prevede e regola, per lunga tradizione, la famosa “eccezione di inadempimento”, per cui, nei contratti con prestazioni corrispettive, come è indiscutibilmente quello di realizzazione e sviluppo del software, la parte adempiente, nel nostro caso lo sviluppatore, può sospendere l’esecuzione della propria prestazione e quindi la funzionalità del software quando l’altra parte non adempie la propria, cioè non paga il corrispettivo pattuito. In base a tale disposizione, dunque, l’utilizzo del software potrebbe essere legittimamente interrotto, più che una clausola in questo senso, tuttavia, sarebbe bene conformare l’intero contratto, stabilendo apertis verbis che il software non viene ceduto ma ne viene solamente garantito l’utilizzo, conformandolo più come una locazione – come peraltro pare che in effetti sia da considerare la licenza software, secondo molti – che come una compravendita. Ripeto, è sicuramente un’idea interessante che si potrebbe provare a sviluppare adeguatamente.
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le clausole di esonero dalla responsabilità nelle licenze software

Mi domandavo se le clausole di declino di responsabilità  per danni diretti o indiretti derivanti dall’uso che si mettono sempre in calce ai contratti di licenza d’uso o di intervento tecnico abbiano effettiva efficacia legale o siano solo dissuasivi per il cliente. Inoltre mi chiedevo se una licenza oem venduta separatamente da un HW implichi un reato oppure se semplicemente renda la licenza irregolare. La differenza è sottile ma sostanziale, infatti nel primo caso sarei io a commettere un illecito nella vendita, nel secondo caso sarebbe il cliente ad avere acquistato un prodotto che teoricamente non dovrebbe usare. Insomma, la grande domanda che tutti si pongono in questo periodo, stimolati anche dalla sentenza del 2006 del tribunale di bolzano in merito, è: le limitazioni delle licenze oem che validità  hanno?
Le clausole di limitazione della responsabilità in effetti hanno poco valore. In primo luogo, il codice civile consente che la responsabilità possa essere esclusa, per contratto, solo quando deriva da colpa lieve (art. 1229), per cui in caso vi sia colpa grave o, naturalmente, dolo anche in presenza di clausole di esclusione la responsabilità rimane. In secondo luogo, clausole di questo genere solitamente sono contenute solo nelle condizioni generali, messe sul cd allegato al software o scritte in piccolo sulla custodia (shrink-wrap licences) e quindi nemmeno mai sottoscritte dall’utente, quando invece le clausole di esonero da responsabilità sono clausole vessatorie (art. 1341, comma 2°) e richiedono addirittura una doppia firma. Per non dire poi delle disposizioni a tutela del consumatore, ora contenute nel codice del consumo, che comminano l’inefficacia delle clausole vessatorie indipendentemente dal numero di firme apposte…
Per quanto concerne, invece, la diversa questione delle licenze OEM, non mi pronuncio sulla natura o meno di reato dell’illecito, visto che non sono un penalista e non mi sento di dare risposte precise sul punto, al massimo proveremo a sentire cosa ne pensa la collega Massa, però il discorso di base è molto semplice. Il software è di “proprietà” della casa produttrice, che determina a suo piacimento se, come e quando altri soggetti terzi possono effettuarne copie. La licenza OEM determina la legittimità della copia solo se questa viene effettuata in congiunzione con la vendita di hardware, individuato dalla stessa licenza OEM. TUtti coloro che danno corso ad una copia senza che vi siano le condizioni previste dalla licenza commettono un illecito e possono essere chiamati a risponderne a titolo concorsuale, naturalmente se l’intento con cui viene commesso l’illecito è quello dello scopo di lucro le sanzioni possono essere più gravi e anche penali.
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rimborsabile la copia di windows secondo il gdp di Firenze

Giudice di pace di Firenze, sent. 5384/07

25 ottobre 2007

Vendita di un computer in “bundle” con il sistema operativo e altro software – diritto dell’acquirente al rimborso del prezzo del sistema operativo e dell’altro software in caso di mancata volontà di utilizzo – sussiste L’acquirente ha il diritto di restituire il software precaricato al produttore del computer e di ottenere la restituzione della quota di prezzo relativa al materiale restituito.

N. 3065/06 R.G.
N. 5384/07 R.S.

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

In nome del Popolo Italiano
Il Giudice di Pace di Firenze, Dott. Alberto Lo Tufo, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta al n. 3065/06 R.G. promossa da
– PIERACCIOLI MARCO con gli Avv.ti A. Maria Fasulo e Claudia Moretti del Foro di Firenze;
Attore

contro

– HEWLETT PACKARD ITALIANA SRL in persona del suo procuratore speciale Avv.Giovanna Ligas, con gli Avv.ti Ruggero Diaferio e Lorenzo Tassone del Foro di Milano e Paola Errani del Foro di Firenze;
Convenuta
Avente ad oggetto: pagamento somma.
Andata in decisione sulle seguenti conclusioni:

per l’attore: accogliere le pretese di cui in citazione, riconoscendo altresì che la restituzione del software di cui trattasi può avvenire con la restituzione dei certificati di autenticità e dei CD senza onerose modalità, con vittoria di spese;

per la convenuta: respingere come chiesto in comparsa le domande attoree del tutto carenti di fondamento giuridico e di fatto, con rimborso delle spese di causa.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto ritualmente notificato il sig. Marco Pieraccioli citava dinanzi a questo Giudice la società Hewlett Packard Italiana, esponendo di aver acquistato nel Settembre 2005 un computer tipo notebook marca Compaq con preinstallato software Microsoft (Windows XP e Works 8) e di aver richiesto alla produttrice Hewlett Packard il rimborso del costo di quest’ultimo previa restituzione dello stesso, come da istruzioni riportate nella relativa licenza d’uso (Eula).
Aggiungeva che peraltro nonostante contatti e diffide, tale rimborso gli era stato negato dalla convenuta sulla scorta di una inscindibilità tra struttura hardware e software, in realtà inesistente. Concludeva pertanto perché il giudice, accertato il suo diritto in tal senso, condannasse la Hewlett Packard a rimborsargli la somma di Euro 140,00 da ritenersi corrispondente al prezzo del detto software sul mercato, oltre interessi e con vittoria di spese.
Si costitutiva la convenuta la quale precisava che la inscindibilità tra apparecchiatura e sistema operativo dei suoi prodotti, era non tecnica ma commerciale in conformità agli usi invalsi nello specifico settore nel quale era prevalente l’interesse dell’utente finale ad avere un prodotto completo. Aggiungeva che in ogni caso quanto unilateralmente predisposto nella licenza d’uso (Eula) dalla Microsoft non poteva impegnarla e che, non avendo per quanto detto una sua procedura per il rimborso del solo software, aveva comunque offerto all’attore il rimborso, rifiutato, del prezzo dell’intero computer. Concludeva pertanto per il rigetto della domanda perché infondata in fatto e diritto, con vittoria di spese.
Dopo puntualizzazioni delle parti la causa passava in decisione sulle conclusioni in epigrafe riferite, senza ulteriore attività istruttoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Riconosciuta in causa dalla Hewlett Packard la scindibilità tecnica tra struttura del computer (hardware) e sistema operativo presente su di esso (software), è risultato altresì che il software Microsoft esistente sui computer da lei prodotti, e quindi anche sul notebook di cui trattasi, vi viene da essa direttamente installato apportandovi gli opportuni adattamenti, tanto da dar luogo ad una versione specifica dell’originale da considerasi diversa da quello e propria del produttore di hardware (OEM), al fine del miglior funzionamento del prodotto completo immesso sul mercato.
Tale software contiene il cosiddetto contratto di licenza d’uso (EULA) con le condizioni per il suo utilizzo da parte del compratore. Il testo prodotto in causa dall’attore, ma confermato dalla convenuta, dichiara preliminarmente che tale contratto intercorre tra l’utente e il “produttore del computer o di un suo componente” presso il quale l’utente ha acquistato il prodotto, precisando anche che il termine computer viene utilizzato per indicare l’hardware. Aggiunge che qualora l’utente non accetti le condizioni del contratto “dovrà contattare prontamente il produttore per ottenere informazioni sulla restituzione del prodotto o dei prodotti e sulle condizioni di rimborso in conformità alle disposizioni stabilite dal produttore stesso”.
Afferma la convenuta che tali clausole sono state stabilite unilateralmente da Microsoft e attengono ad un rapporto cui essa è estranea. Così non sembra, stante che non vi è dubbio che il produttore di cui si parla sia quello dell’hardware essendo il contratto medesimo a chiarirlo, e che, anche ammesso che il testo possa essere stato predisposto unilateralmente dalla Microsoft appare non credibile che esso non sia stato conosciuto dalla Hewlett Packard essendo verosimile piuttosto che esso sia il frutto di accordi commerciali intercorsi tra le due società.
In ogni caso deve ritenersi da lei accettato e fatto proprio, nel momento stesso in cui l’ha installato sul suo hardware offrendo poi in vendita il prodotto finale.
Dunque ad avviso del giudicante, in assenza di diverse condizioni di vendita di quest’ultimo preliminarmente concordate con il compratore, la convenuta risponde delle relative clausole nei riguardi dello stesso.
Evidenzia la convenuta che in ogni caso il contratto indica come ottenere informazioni ma non promette rimborsi. Ritiene il giudicante, come sostiene parte attrice, che la clausola come formulata abbia senso in quanto stabilisce il diritto al rimborso, altrimenti sarebbe stato del tutto inutile parlarne e sarebbe bastato limitarsi a precisare la restituzione del software.
Sembrerebbe davvero singolare che il produttore, cioè la convenuta, invitasse il compratore a domandare informazioni sul rimborso per rispondergli che non è previsto.
Del resto il rimborso appare dovuto, sussistendo per l’utilizzo del software un contratto separato (con condizioni oltretutto molto particolari) che il compratore non ha possibilità di conoscere prima di aver comprato il prodotto (né è certo sufficiente a tal fine che gli opuscoli indichino che il computer è equipaggiato con un “certo” software) e che, se non accettato, impone appunto di restituire quella parte dell’acquisto lasciando il compratore con un prodotto comunque diverso e di minor valore rispetto a quello pagato.
Né infine può valutarsi come valida alternativa quella del rimborso totale del prodotto acquistato, in assenza del relativo consenso dell’acquirente.
D’altro canto nessuna rilevanza sugli effetti giuridici del rapporto di cui trattasi può avere il fatto che sia possibile trovare in commercio anche hardware privo di software, sia pur di altri produttori. Va anche rilevata la non condivisibilità della prodotta sentenza del giudice francese di Luneville non risultando ammissibile che vi siano per l’acquirente effetti giuridici diversi conseguenti alla tipologia del punto vendita salvo che la struttura commerciale della Hewlett Packard abbia in quel Paese una diversa organizzazione, come sembra emergere dall’affermazione del medesimo giudice circa la comunque esistente reperibilità altrove di suoi computer senza software installato, a differenza quindi che in Italia.
Per quanto detto si ritiene che la convenuta società debba essere condannata a rimborsare al Pieraccioli il valore dei due indicati programmi Microsoft, previa loro restituzione. Sulle modalità di quest’ultima non può il giudicante pronunciarsi, essendo questa domanda nuova svolta in sede conclusionale, osservando soltanto che le clausole contrattuali vanno eseguite secondo buona fede e perciò astenendosi da condotte vessatorie ed ostruzionistiche, come stabilisce l’art. 1375 c.c..
Circa l’importo del rimborso, ritiene il giudicante che in assenza di specifiche contestazioni di parte convenuta, possa confermarsi in via equitativa quello complessivo di Euro 140,00 richiesto dall’attore con riferimento al prezzo di vendita sul mercato dei due programmi in questione (Euro 90,00 per Windows XP ed Euro 50,00 per Works 8).
Su tale somma decorreranno interessi al tasso legale dalla messa in mora, da ritenersi avvenuta il 10/10/05 data intermedia tra quella della lettera del legale attoreo e quella della risposta della convenuta, fino al saldo.
Le spese di causa seguono la soccombenza e si determinano, in via equitativa in mancanza di notula, in Euro 2.300,00 (di cui Euro 800,00 per diritti, Euro 1.200,00 per onorari, Euro 300,00 per spese generali ed esborsi) otre iva e cap ai sensi di legge.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace di Firenze, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione rimossa, condanna la convenuta società Hewlett Packard Srl a pagare all’attore Pieraccioli Marco
Euro 140,00 per i titolo di cui in narrativa, con interessi calcolati al tasso legale dal 10/10/05 al saldo;
Euro 2.300,00 suddivisi come in motivazione precisato, oltre iva e cap ai sensi di legge, per rimborso delle spese di causa.

Così deciso in Firenze, lì 24 Aprile 2007

IL GIUDICE DI PACE

messenger controllato dalla polizia?

più persone continuano a dirmi che msn messenger è controllato dalla
polizia(o chi per essa) e quindi di “non dire cose compromettenti” …
immagino sia la solita mega cazzata ….ho indovinato?
qualcuno sa qualcosa in merito? (da it.diritto)

 

Naturalmente nessuno è in grado di dare una risposta precisa a questa domanda.

Quello che si può dire è che, nel caso in cui una persona sia sottoposta ad indagini, sicuramente le sue comunicazioni anche elettroniche, tra cui principalmente la posta elettronica e la chat, possono essere sottoposte a controllo, così come si fa con i telefoni. Inoltre, anche al di là di un controllo preventivo, se il computer di una persona che usa messenger viene sottoposto a sequestro, cosa che può avvenire anche banalmente perchè questa persona ad esempio ha venduto mp3 su ebay o attraverso i newsgroup, le comunicazioni registrate possono essere viste e utilizzate, a certe condizioni, come prova dalle Autorità.

Al di là del piano individuale, comunque, legato a singole indagini, mi pare che la domanda fosse legata all’esistenza di un controllo generalizzato su tutte le comunicazioni elettroniche di qualsiasi utente. Quando si parla di Echelon o altre cose simili, ci si riferisce proprio a questo. Al riguardo, come dicevo, è impossibile sapere la verità, perchè un controllo come questo se esistente sarebbe gestito dai servizi segreti e sarebbe dunque gestito con la massima segretezza.

Il controllo generalizzato, comunque, è assolutamente fattibile tecnicamente. Non è che ci sono funzionari dei servizi segreti che si leggono tutto quello che passa per i messenger di ogni paese, ci sono semplicemente dei software, in ipotesi, dove sono impostate parole chiave, come ad esempio che ne so “attentato” o “bomba” e che segnalano le conversazioni in cui sono contenuti questi termini ad un operatore umano che poi verifica se si tratta di un falso positivo o meno.

In Europa un sistema del genere può anche darsi che non ci sia, ma negli Stati Uniti, che sono il paese tecnologicamente più avanzato, da un lato, e con leggi che maggiormente consentono l’invasione della privacy dall’altro, non mi stupirei che ci fosse. Dopo il famoso 11 settembre, a torto o a ragione, sono state introdotte tante di quelle misure con la “scusa” vera o fondata dell’antiterrorismo che un sistema informatico di controllo segreto non mi stupirebbe. E non mi stupirebbe nemmeno se gli USA controllassero le comunicazioni di tutto il resto del mondo, non si fanno solitamente grandi problemi ad agire sia con propri agenti sia elettronicamente sugli spazi, anche sovrani, di altri Stati, come ad esempio qui.

firmiamo una petizione per distinguere hardware e software

Invito tutti i lettori del blog a firmare questa petizione, a favore di una legge che consenta al consumatore di individuare, quando acquista un personal computer e, in particolar modo, un portatile, quale parte del prezzo si riferisce alla macchina e quale alla licenza del sistema operativo che vi trova preinstallato, che nella quasi totalità dei casi, salvo sui portatili dell venduti negli USA, per i quali si è iniziato a rendere possibile preinstallare anche GNU/Linux, è windows.

Questa legge, inoltre, consentirebbe sempre al consumatore di scegliere di acquistare la macchina senza sistema operativo preinstallato, utile in tutti i casi in cui una persona vuole acquistare un portatile per poterci installare poi sopra una distribuzione Linux. Ricordo che è molto difficile trovare sul mercato offerte di portatili senza sistema operativo preinstallato, a causa di una politica precisa di microsoft in questo senso, anche se in alcuni casi qualche utente è riuscito, dopo aver effettuato l’acquisto, a farsi rimborsare il costo della licenza OEM.

Una legge sul punto sarebbe comunque molto opportuna, a protezione sia dei consumatori che delle imprese e come maggior incentivo verso il software open source.

Google accusa Microsoft per posizione dominante

Leggo questo post relativamente ad una iniziativa per concorrenza sleale intentata nuovamente contro Microsoft questa volta da Google e mi vengono da fare alcune osservazioni, tra il giuridico e l’extragiuridico.

Innanzitutto, suscita qualche perplessità che sia proprio Google l’autore dell’iniziativa, un soggetto che si candida a prendere la posizione di Microsoft per quanto riguarda la posizione dominante su internet, dove la grande G gestisce già la ricerca, che è la funzione fondamentale della rete, sia creazione e gestione di documenti on line con google docs, uno dei più diffusi feed reader (google reader), praticamente tutti i newsgroup della vecchia usenet, una mare di account di posta elettronica tramite il fortunato e di successo sistema di gmail e un sacco di dati personali degli utenti, relativi alle ricerche da loro effettuate, utilizzabili a piacimento per ricerche di mercato e cose del genere. Ad ogni modo la “denuncia” di Google dovrà essere esaminata nel suo fondamento e a prescindere da quello che fa il suo autore.

Per quanto riguarda i contenuti, mi pare che sia eccessivo accusare Microsoft di avere eccessivamente integrato il suo sistema di ricerca dentro a Vista. I sistemi di ricerca attuali, inaugurati da spotlight di apple, che consentono di passare da un uso del computer di tipo gerarchico ad uno molto più efficiente e mirato, sono validi solo se sono effettivamente integrati nel sistema. Spotlight, ad esempio, non è stato solo un motore di ricerca locale proprio perchè disponibile in tutte le cartelle del sistema e quindi profondamente integrato con esso. Sotto questo punto di vista, dunque, ogni motore di ricerca locale deve essere integrato perfettamente nel sistema, per cui l’unica contestazione che si può fare a Microsoft è quella di non aver reso disattivabile il suo motore a favore di alternative di terze parti oppure aprire le API di sistema per consentire a terzi di realizzare motori diversi.