mia moglie ha fatto una vertenza di lavoro ad un’azienda.
L’avvocato che le hanno affidato al patronato fa parte dell’ordine degli avvocati di Catania
L’avvocato in questione è iscritta pure al gratutito patrocinio .
L’avvocato in questione non fa altro che tormentarla che vuole essere pagata ancora.
Lei ha già dato 150 euro ma lei insiste e ne vuole ancora.
Mi sono informato anche altrove e mi hanno detto di denunciarla alla guardia di finanza o telefonando direttamente al 117.
Mi hanno pure segnalato la legge 30 marzo 2001, n° 152 dove nell’articolo 9 attesta:
“3. Gli avvocati e i patronati non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro assistiti alcun patto di compenso relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e del risarcimento dei danni”
La disposizione che hai citato non mi sembra pertinente, riguarda il divieto di stabilire patti di quota lite e cioè di concordare che l’avvocato e il patronato siano compensati tramite una «fetta» di quello che il lavoratore riesce a recuperare.
Questa disposizione, tra l’altro, è in buona parte superata da quelle più recenti che consentono di stipulare un compenso a percentuale, che, ontologicamente, non sono ancora riusciti a precisare, almeno quando l’oggetto del recupero è un bene fungibile, come tipicamente il denaro, che differenza presenti in realtà rispetto alla quota lite…
Ma nel tuo caso mi pare che la quota lite o compenso a percentuale non sia niente di rilevante, dal momento che un patto del genere non mi pare sia mai stato fatto, mentre questo legale vorrebbe essere pagato per il lavoro prodigato nella vertenza.
Parlando di questo, c’è da dire che non è sufficiente che questo legale sia iscritto nelle liste degli avvocati che possono assumere pratiche in patrocinio a spese dello Stato per concluderne che questo legale non ha diritto a compenso dal proprio assistito.
Innanzitutto, il patrocinio deve essere stato concesso dalle Autorità competenti e la vertenza deve essere stata condotta sulla base della delibera di ammissione. In quel caso, l’avvocato non può chiedere il proprio compenso al cliente, se lo facesse commetterebbe un illecito, che ha anche rilevanza disciplinare, ma lo deve chiedere allo Stato.
Ma se non c’è stata nessuna delibera di ammissione al patrocinio, significa che l’attività è stata svolta in regime di libera professione, cosa che è perfettamente legittima, ed in questo caso il legale va pagato perché ha diritto di essere compensato per il suo lavoro.
Se la vertenza, in particolare, è stata solo stragiudiziale, è impossibile che ci sia stata delibera di ammissione al patrocinio, o comunque se anche ci fosse stata l’attività stragiudiziale non sarebbe stata coperta, perché il patrocinio a spese dello Stato nel nostro Paese copre solo ed esclusivamente le attività giudiziali.
Tutto ciò considerato, anche una volta applicato al caso concreto, che non è purtroppo abbastanza chiaro, probabilmente la soluzione migliore è quella negoziale, cioè trovare un accordo con questo avvocato. Se, invece, questo avvocato avesse lavorato in regime di patrocinio a spese dello Stato, in questo caso non dovreste pare proprio nulla e vi suggerirei di inviare una diffida tramite posta elettronica certificata.