Dopo otto anni di contratti collaborazione coordinata e continuativa, poi a progetto, ho deciso di rivolgermi ad un legale per richiedere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato o in alternativa un indennizzo economico. Il mio avvocato mi ha proposto un accordo con il patto di quota lite e più precisamente:
– in caso di insuccesso il suo compenso sarà pari al minimo tariffario oltre le spese;
– in caso di un risultato economico nella fase stragiudizale il suo compenso sarà pari al 20% + IVA oltre le spese sostenute;
– in caso di un risultato economico nella fase giudizale il suo compenso sarà pari al 30% + IVA oltre le spese sostenute.
Ipotizzando che con una transazione si possa ottenere un massimo di 50 mila euro, ritiene che un tale accordo possa essere proporzionato all’impegno che dovrà sostenere il mio avvocato? Se in fase giudiziale venisse riconosiuta l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, e quindi ci fosse il reintegro senza il riconoscimento di nessuna indennità economica, quale sarebbe il compenso del mio avvocato? Mi sembra eccessivo che su una transazione di 50 mila euro il mio avvocato si trattenga 15 mila euro di compenso, per un totale di 18 mila euro con iva. Non sono pratico di cause legali e non conosco il tariffario forense, quindi non mi rendo conto se in un caso simile mi convenga optare per l’applicazione delle tariffario o sottoscrivere l’accordo.
Grazie della domanda, che è per me molto interessante e mi offre l’occasione di riflettere su un tema che mi sta molto a cuore. Il patto di quota lite non va tanto valutato in termini di equità, quanto di pura convenienza. Solitamente si sceglie la quota lite perchè non si intendono investire molte risorse economiche, cioè soldi, in un determinato contenzioso, non disponendo di elevata liquidità, e dunque per avere la certezza che più di tanto non si andrà a spendere instaurando una certa vertenza, mentre tutto quello che si sarà ricavato sarà spartito. Per quanto riguarda la percentuale di ripartizione, non ci sono, nel patto di quota lite vero e proprio, criteri o considerazioni di equità da fare, perchè ad esempio una percentuale che apparentemente può sembrare alta in realtà può essere giustificata dal rischio, che si assume l’avvocato, di lavorare anni senza prendere nulla, in caso appunto di esito negativo della lite o della vertenza. La quota lite non è mai valutabile in termini di equità, esattamente così come non lo è una scommessa sportiva, che si può vincere o perdere ma mai vincere e perdere a metà e dove se uno perde molto non può dire che non è giusto perchè ha perso esattamente quello che ha puntato e che, specularmente, avrebbe vinto se fosse andata bene.
Ciò premesso, c’è da dire che l’accordo proposto dal suo legale al nostro lettore stesso non è, almeno a mio giudizio, una vera e propria quota lite, ma piuttosto assomiglia al vecchio “palmario”, previsto per gli avvocati anche prima delle riforme Bersani. In sostanza, con questo accordo il legale viene comunque pagato bene – non si pensi che i minimi tariffari siano così bassi: dopo anni di causa applicando i minimi si tratta sempre comunque di parcelle di diverse migliaia di euro – mentre in più ha un premio se la cosa ha una soluzione positiva. Mi sembra, in conclusione ed a parte la sua qualificazione, un po’ troppo sbilanciato a favore del professionista, specialmente considerando che si spalma su una materia particolare come quella dei diritti del lavoratore e non, ad esempio, su un recupero credito tra aziende.
Il fatto è che, come ho avuto occasione di dire anche recentemente (il post è stato effettuato su it.diritto e non è al momento ancora stato riprodotto nel blog), negli USA oggigiorno il patto di quota lite è molto più regolamentato che da noi, dove ognuno lo interpreta come vuole. Nella versione “alla Solignani”, quella che abbiamo definito e stiamo praticando nel mio studio, c’è un versamento unico iniziale, variabile a seconda del caso e delle circostanze e che viene proposto dopo averli esaminati, una percentuale finale e niente altro, escluse naturalmente le spese documentate, che vanno rimborsate. In un caso affrontato un paio di mesi or sono abbiamo avuto occasione di stipulare un patto di quota lite per una vertenza simile a quella del nostro lettore, anche se più complicata, dal momento che era stata messa di mezzo anche una società di intermediazione, pratica che richiedeva anche lo svolgimento di indagini difensive, attività stragiudiziale molto utile ma anche piuttosto impegnativa e il nostro “preventivo” è stato il seguente, lo riporto per far vedere le differenze tra i vari modi di intendere la quota lite:
– 500€ come versamento unico iniziale;
– 20% del ricavato finale (quota lite);
– spese documentate (bolli, raccomandate e simili) man mano affrontate;
In questo modo i nostri clienti sapevano di spendere solo la somma di 500€ e che non avrebbero più speso nulla, a parte le pochissime spese documentate che ci sono nel processo del lavoro che è esente da imposte, per poi partecipare alla distribuzione del ricavato finale. In questo modo, credo che possa valer la pena, altrimenti non ha molto senso e probabilmente, se si vuole usare il criterio dei minimi tariffari, si può trovare un legale che accetti di fare tutto il procedimento con i minimi tariffari sia che si perda sia che si vinca, senza palmario, oppure sulla base di una determinazione del compenso a forfait, come ad esempio 300€ per ogni anno o frazione di anno di durata del contenzioso.
Concludo osservando solo che, al di là del sistema di tariffazione, bisogna anche valutare la bravura del professionista. Nel caso del nostro lettore, l’accordo economico mi pare più sbilanciato a favore del professionista, ma se questi è un professionista in gamba e in grado di risolvere i problemi può valer la pena ugualmente concluderlo, piuttosto che cercarne uno più a buon mercato che però magari non sa quello che sta facendo. Aggiungo solo che si trovano professionisti bravi che hanno tariffe più contenute, ma non è sempre così facile trovarli sulla propria piazza.