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Stalking e atti persecutori: riconoscerli e proteggersi

Il fenomeno dello stalking e degli atti persecutori rappresenta una minaccia sempre più rilevante nella società contemporanea. Questo articolo esplorerà in dettaglio cos’è lo stalking, come riconoscerlo e le misure da adottare per proteggersi da questa forma di violenza psicologica.

  1. Cos’è lo Stalking:
    Lo stalking è un comportamento ripetitivo e indesiderato rivolto verso un individuo, che provoca ansia e paura. Questi comportamenti possono includere chiamate e messaggi incessanti, sorveglianza costante e minacce.
  2. Segnali di Stalking:
    È importante essere consapevoli dei segnali di stalking. Questi includono l’arrivo inatteso in luoghi frequentati, la manipolazione delle informazioni personali e l’invio di regali indesiderati. Se si sospetta di essere vittima di stalking, è fondamentale agire prontamente.
  3. Impatto Psicologico:
    Gli atti persecutori possono avere un impatto psicologico devastante sulla vittima. Ansia, depressione e senso di insicurezza sono solo alcune delle conseguenze possibili. Riconoscere l’effetto psicologico è cruciale per cercare aiuto e supporto.
  4. Leggi e Normative:
    Numerose giurisdizioni hanno introdotto leggi contro lo stalking. È importante conoscere le leggi locali e denunciare immediatamente ogni comportamento sospetto alle autorità competenti. L’intervento legale può aiutare a fermare l’aggressore.
  5. Protezione e Prevenzione:
    Per proteggersi dagli atti persecutori, è essenziale adottare misure di prevenzione come limitare l’accesso alle informazioni personali sui social media, variare le routine quotidiane e informare amici e familiari sulla situazione.
  6. Supporto e Aiuto:
    Le vittime di stalking non dovrebbero mai sentirsi sole. Cerca supporto da amici, familiari, organizzazioni locali e professionisti della salute mentale. Parlare apertamente della situazione può contribuire a ridurre l’isolamento e favorire il recupero.

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Maltrattamenti: annotazioni metodologiche.

Approccio delle forze dell’ordine nei maltrattamenti

 

Vi sono  due importanti metodologie di approccio, determinate da protocolli delle forze dell’ordine nei casi di maltrattamento per violenza domestica e /o di genere:

1) intervento della volante presso le strutture di pronto soccorso

2)la vittima si reca in un ufficio di PG per la denuncia

1)al PRONTO SOCCORSO: si ascoltano i sanitari che hanno accolto la persona maltrattata, con richiesta di indicazioni sullo stato della persona esaminata; si accerta se vi sono lesioni, genitali, extra genitali e, in caso affermativo, si esige dal personale sanitario accurata cura anche nella documentazione.

Occorre poi preservare tutte le prove rintracciabili quali ad es. indumenti, tracce di DNA, ecc. ed acquisire tutti gli elementi utili per lo sviluppo dell’indagine giudiziaria.

Si prendono contatti con il Pubblico Ministero incaricato, per verificare l’opportunità di procedere alla raccolta immediata delle dichiarazioni.

2) In ufficio dalla Polizia Giudiziaria; come premesso la PG deve già formare per questi reati ad essere pronti a qualsiasi ora e con metodologia particolare;

la denuncia viene redatta con acquisizione del maggior numero di elementi informativi e di possibili fonti di prova. Ha particolare rilevanza l’interazione fra modalità di acquisizione della denuncia ed aspetti psicologici della vittima; pertanto ha rilevanza particolare l’analisi delle dichiarazioni assunte in denuncia per una immediata valutazione delle potenzialità offensive e della possibile RECIDIVA dei comportamenti vessatori da parte del presunto autore del reato. Si possono prendere contatti con i centri antiviolenza; l’importanza maggiore viene data alla valutazione sull’opportunità di procedere alla misura di prevenzione personale, dell’ammonimento del Questore.

Se vi è necessità di sopralluogo, occorre verificare personalmente lo stato di tutti i locali, annotando le condizioni in cui si presentano come ad es. la presenza di oggetti danneggiati chiaramente fuori posto, di pareti imbrattate, di tracce ematiche ecc.ecc.

Se vi è necessità, si eseguono fotografie sulle lesioni presenti sul corpo della vittima, con il suo consenso, ove sia possibile.

Si assumono testimonianze: vengono sentite le persone presenti e facilmente reperibili redigendo verbale di Sommarie Informazioni, se le indicazioni sono rilevanti; solo se indispensabili, si sentono i minori di età, fra 14 e 16 anni.

Si sottolinea che: le indagini devono essere preordinate anche alla tutela della vittima che in tutti i casi presenta un elevato disturbo post traumatico da stress e profondi sensi di colpa.

occorre instaurare un rapporto empatico, finalizzato alla responsabilizzazione della vittima per creare una proficua collaborazione con gli operatori di polizia.

Nel maltrattamento: ambivalente, la vittima ha sperimentato la spirale della violenza e questo rende più complessa l’attività investigativa che si deve confrontare con il rischio di recidiva; solo il 7% delle vittime denuncia il fatto. Nello stalking la vittima ha una forte determinazione ad uscire dalla relazione ed è determinata a denunciare; questa determinazione potrebbe paradossalmente essere pericolosa per la sua incolumità.

 

Per meglio comprendere l’attività degli operatori di diritto e di coloro che svolgono le indagini, segnalo una raccolta di definizioni di violenza e maltrattamento.

L’OMG definisce la violenza sessuale “un atto sessuale non corrisposto il tentativo di consumare un atto sessuale, commenti o insinuazioni a sfondo sessuale indesiderato o azioni volte a commercializzare o usare la sessualità di una persona tramite coercizione indipendentemente dalla reazione con la suddetta persona ed in qualsiasi contesto, inclusi l’ambiente domestico e quello lavorativo”. il denominatore comune è la MANCANZA DI VOLONTA’ della vittima a pestarsi alla situazione.

Le principali forme di violenza sessuale:

LA MOLESTIA: forma di violenza psicologica in cui una persona esercita pressione intimidazione coercizione o si avvale del ricatto nei confronti di un’altra con l’obiettivo di ottenere un rapporto sessuale.

ABUSO SESSUALE: corrisponde ad una qualsiasi situazione in cui una persona si trova obbligata a condotte sessuali contro la sua volontà; la forma di violenza più pericolosa

AGGRESSIONE SESSUALE include qualsiasi forma di contatto con il corpo di una persona che non ha acconsentito all’invito sessuale; verbali, includono allusioni al corpo di un’altra persona o espressioni intente ad invaderne in maniera simbolica la sessualità.

Conseguenze:

–        Disturbo da stress post traumatico: si tratta di una situazione in cui la vittima soffre di ansia e rivive spesso i ricordi di quanto è accaduto insieme a sintomi di angoscia e depressione. La rabbia è latente e manifesta.

–        Vergogna e senso di colpa: si sentono responsabili dell’accaduto; “se l’è cercata”;

–        Depressione

–        Abuso di sostanze

Da ultimo: la persona vittima di violenza sessuale è bloccata dalla paura non riesce a reagire neppure dopo l’accaduto; è una forma di reazione: la scarica di adrenalina durante l’accaduto è tanto intensa, da rendere impotenti le aree del cervello associate al ragionamento ed alla presa di decisioni.

Chi è vittima ha seria necessità di sostegno psicologico professionale.

alla violenza sessuale si aggiungono anche  VIOLENZA FISICA: comprende l’uso di qualsiasi atto volto a far male o a spaventare la vittima; in senso generale per maltrattamento fisico intendo un danno provocato non accidentalmente e con mezzi differenti; rientrano in questa categoria contusioni morsi colpi di testa violenti scossoni bruciature fratture.VIOLENZA ECONOMICA: essa è finalizzata a introdurre una situazione di assoluta dipendenza nella vittima onde poter esercitare sulla stessa un controllo indiretto tra questi atteggiamenti rientrano ad esempio l’impedire la ricerca di un lavoro la privazione o il controllo dello stipendio il controllo della gestione della vita quotidiana la determinazione a privare il partners della benché minima disponibilità economica.VIOLENZA PSICOLOGICA: consiste in una serie di atteggiamenti minacciosi vessatori e denigratori nei confronti della vittima, nonché in tattiche di isolamento, in certi caso il maltrattamento psicologico è così pesante da trasformarsi in un vero e proprio “lavaggio del cervello”; esposte ad abusi, le vittime perdono l’autostima sviluppano gravi danni sul piano psicologico; l’aspetto psicologico spesso in ombra sia nelle indagini che nelle aule di tribunale che nelle carte giudiziarie, merita a mio avviso una trattazione specifica, in un prossimo futuro post.

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Violenza di genere: riflessioni sulle tutele.

In genere tutte le misure previste per i reati di violenza di genere, come anche lo stalking, trovano la loro applicazione con alcune difficoltà, processuali e sostanziali; sono state sollevate tante eccezioni in merito alle norme che tutelano in via straordinaria la vittima e sottopongono il reo ad un trattamento diverso. Fra tutte si rilevano:

–l’eccezione di incostituzionalità dell’art.612 bis c.p. (atti persecutori stalking) in relazione all’art 25 Cost., per presunta indeterminatezza della condotta, respinta con sentenza della Corte Costituzionale num.172 /2014;

-la difficoltà più volte sollevata dell’interpretazione dell’espressione “violenza alle persone”; che attualmente viene intesa per giurisprudenza quasi costante come comprensiva non solo delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche.

Sottolineo infine la particolare considerazione data al materiale probatorio, che solo qualche anno fa era impensabile: “ la testimonianza della persona offesa del reato può costituire da sola prova sufficiente per pervenire ad un giudizio di colpevolezza, anche in assenza di riscontri esterni, purché il Giudice sottoponga tale prova dichiarativa ad un vaglio scrupoloso in quanto la persona offesa è, al pari dell’imputato, portatrice di un interesse nel processo; per tale valutazione per tutti, Giudice, PG, avvocati, va superato lo stereotipo di inattendibilità sulla base di un racconto diversificato che non sia sovrapponibile, di assenza di denuncia per molti anni, di sentimenti di ambivalenza verso l’imputato.”

L’interpretazione di fatti è di cruciale importanza per determinare il capo di imputazione, per individuare il reato da parte della PG e dell’autorità giudicante e degli avvocati. Detta interpretazione fa scattare o no il diritto alle particolari forme di protezione a favore delle vittime di violenza di genere e a mio avviso oggigiorno genera una sorta di condanna alla gogna che è sin troppo generalizzata, ma purtroppo stigmatizzata dall’opinione pubblica, a scapito sia della vittima, che del carnefice; lo stalker come l’untore manzoniano e la vittima come la donzelletta leopardiana.

L’interpretazione di fatti fa scattare il diritto a protezione ma non è detto che detto diritto venga applicato ed anche questo è di cruciale importanza per difesa ed accusa; trascuratezze/eccessi si leggono nelle righe degli atti giudiziari.

Insomma, buon senso e buona volontà impongono particolare scrupolo per tutti gli operatori del diritto.

A mio avviso, al di là di tutte le difficoltà che emergono sempre, nel caso specifico per i reati di violenza di genere va tenuto conto dei seguenti aspetti che hanno generato la tutela della vittima / la condanna del reo:

1)l’agente violento normalmente non è ritenuto soggetto malato sul piano clinico-giudiziario: ex art 85 c.p. ha piena capacità di intendere e di volere, pienamente consapevole; i provvedimenti cautelari adottati contro di lui però vengono trasmessi all’autorità di P.S., alla Parte Offesa, ed ai servizi al territorio. L’agente violento può intraprendere un percorso di “ravvedimento”.

2) la parte offesa ha un ruolo rafforzato, ex art. 90 c.p.p. ecc.: se vi è incertezza sulla minore età è disposta perizia; se anche dopo la perizia permangono dubbi vi è presunzione di minore età; qualora la PO è deceduta permangono le facoltà ed i diritti previsti dalla legge in capo ai prossimi congiunti della Po o dalla persona legata da relazione affettiva e con la stessa stabilmente convivente. Viene introdotto il diritto alla conoscenza alla informazione consapevole; inoltre la P.O. può essere dichiarata soggetto particolarmente vulnerabile.

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Come difendersi da un, o una, stalker?

Il reato di atti persecutori è compreso nelle misure previste per i reati di violenza di genere, come violenza sessuale e maltrattamenti. Il reato è a querela di parte, salvo i casi espressamente indicati o quando vi è concorso con altri reati.

Il protocollo utilizzato per le indagini della polizia giudiziaria (PG) di fronte ad un reato di stalking in modo sommario prevede:

-audizione della persona offesa

-acquisizione della documentazione medica

-escussione testi informati sui fatti per riscontri

-acquisizione di relazioni di servizio relative agli interventi della P.G.

-accertamenti su condizioni personali lavorative, psichiche della persona sottoposta ad indagine.

Accertato il fatto secondo il protocollo sopra descritto, occorre precedere per la tutela della vittima, (in particolare per i difensori della parte lesa, e coloro che stanno accanto alla persona offesa inizia una fase decisamente molto delicata).

Nello stato di flagranza: se necessarie, si applicano specifiche misure cautelari e precautelari:

  • cautelari: prima di ogni cosa vi è lallontanamento del carnefice dalla casa familiare anche in caso di coabitazione non attuale (282 bis cpp): la persona che agisce violenza psicologica mediante atti persecutori deve immediatamente lasciare la casa coniugale e non farvi ritorno non vi accedere senza autorizzazione del giudice. PER MAGGIORE TUTELA DELLA PERSONA OFFESA il giudice dispone inoltre il divieto di avvicinamento in luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare luogo di lavoro, e tutti quei luoghi frequentati dalla vittima, specificati dalla stessa. Vi è divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima e divieto assoluto di comunicazione con la stessa (zero contatti); art 282 ter cpp nello stato di flagranza è prevista la possibilità di custodia cautelare in carcere del carnefice nei limiti edittali di anni 5.
  • precautelari: 380 cpp. comma 2 lettera 1 ter, gli ufficiali o gli agenti di PG procedono all’arresto di chiunque è colto in flagranza di tale delitto consumato o tentato; quando si tratta di delitto a querela di parte l’arresto in flagranza viene eseguito qualora venga proposta anche in forma orale all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria presenti nel luogo; se l’avente diritto rimette la querela l’arrestato è posto immediatamente in libertà.

Redatta la querela, in tutti casi previsti, entro il termine di sei mesi, iniziate le indagini preliminari  e adottate le misure precautelari e cautelari del caso, nel processo vi è particolare attenzione all’istituto giuridico (al fine di sentire nell’ imminenza dei fatti la persona offesa senza aspettare i tempi del processo) dell’incidente probatorio che è stato modificato e calibrato sui reati di violenza di genere, quindi anche per lo stalking: 392 comma1 bis cpp; il pubblico ministero anche su richiesta della parte offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio cioè assunzione della testimonianza della persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1( i casa correnti).con detta richiesta il PM deposita tutti gli atti di indagine compiuti.

In ogni caso quando la persona versa in condizione di particolare vulnerabilità il pubblico ministero anche su richiesta della stessa o dalla persona sottoposta alle indagini, possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della sua testimonianza. La particolare vulnerabilità è desumibile da condizioni soggettive: età, stato di infermità o di deficienza psichica, se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato; da condizioni oggettive: tipo di reato, modalità e circostanze del fatto per il quale si procede: violenza alla persona, odio razziale, riconducibilità a settori di criminalità organizzata, terrorismo, tratta. La persona vulnerabile ha una tutela processuale particolare di cui si potrà parlare in seguito.

Si segnala che: il reato di stalking ha un trattamento preferenziale quale reato di violenza di genere:

-nella formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi si assicura per detti reati la priorità assoluta art.132 bis dis. att. c.p.p..

nelle informazioni alla persona offesa ex art.90 cp bis e ter: viene introdotto un diritto alla conoscenza: in una lingua comprensibile alla vittima (diritto alla informazione consapevole) sin dal primo contatto con l’autorità procedente (polizia giudiziaria o autorità procedente); diritto alle informazioni:

-sulle modalità di presentazione delle denunce o querele e del ruolo che la parte offesa assume nelle varie fasi,

-sullo stato del procedimento,

-sulla richiesta di archiviazione,

-sulla assistenza legale anche gratuita,

-sulla traduzione degli atti del procedimento se non si consce la lingua,

-sulle misure a sua tutela,

-sulla modalità del risarcimento del danno,

-sulla rimessione della querela,

-sulla facoltà per i processi sospesi per messa in prova o richiesta di non punibilità per irrilevanza del fatto.

Infine, un nuovo istituto protettivo per le vittime di violenza di genere è stato introdotto: l’ammonimento del prefetto pe lo stolker:

se non si procede per querela è possibile fare istanza a mezzo della autorità della pubblica sicurezza di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta: il Questore, assunte se necessarie informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate sui fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato chiesto il provvedimento invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale; copia del processo verbale è rilasciata al richiedente dell’ammonimento ed al soggetto ammonito. Il questore valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.

La pena per lo stalking è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi dell’art.8 L. 38/09 modificato dalla L.119/13.

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Condotte riparatorie: come uscire bene da un processo penale.

Uscire in modo brillante da un processo penale.

Oggi ti voglio parlare di un modo molto interessante per risolvere situazioni penali introdotto nel 2017 e che, a mio giudizio, non ancora tutti conoscono e applicano come invece si potrebbe per uscire da procedimenti penali nel modo migliore.

Si tratta dell’estinzione del reato per eliminazione delle conseguenze dell’illecito o, anche solo, offerta di eliminazione effettuata alla vittima del reato.

L’istituto è previsto dal nuovo art 162 ter c.p., introdotto dalla Legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario).

Leggiamolo insieme:

«Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.

Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’articolo 240, secondo comma.

Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al primo comma, all’esito positivo delle condotte riparatorie».

Lo spirito e l’ambito di applicazione della riforma.

L’intervento normativo che ha introdotto questo istituto si inserisce in un più ampio sistema di riforma dell’ordinamento penale, sia sostanziale che processuale, avviato dalla Riforma Orlando, inteso a “deflazionare il numero di procedimenti penali e comunque a realizzare una rapida definizione degli stessi, determinando effetti di risparmio in termini di spese processuali e di impiego di risorse umane e strumentali” (come si legge nella Relazione tecnica al testo originario).

Attraverso l’estinzione del reato mediante condotte riparatorie, lo Stato, normalmente portatore di un interesse pubblicistico alla repressione penale, rinuncia, per ragioni di politica criminale, alla punizione del colpevole, relativamente a quei reati in cui alla persona offesa è sufficiente un ristoro patrimoniale.

Tutto questo vuol dire che, siccome la giustizia è al collasso, e non si riescono a fare i processi per tutti i reati che vengono commessi, si aprono strade di uscita in cui, a determinate condizioni, si consente agli indagati di definire il procedimento.

Collocato nella parte del Codice Penale dedicata alle cause di estinzione del reato, l’art. 162 ter reca la rubrica “Estinzione del reato per condotte riparatorie”.

Si tratta, nello specifico, di una causa di estinzione del reato a portata generale, cioè applicabile, sul piano astratto, a qualsiasi fattispecie criminosa, salvo alcune precisazioni che si andranno ad illustrare a breve; a natura ‘personale’, dovendo l’iniziativa provenire necessariamente dalla volontà dall’imputato.

La riparazione in caso di concorso di persone.

Relativamente a questo secondo aspetto, è bene precisare che, laddove il reato sia stato commesso da più persone in concorso, la causa estintiva opererà per il solo imputato che abbia risarcito il danno, con la conseguenza della non estensibilità della declaratoria di estinzione del reato a favore dei correi inadempienti, come previsto dalla disposizione generale di cui all’art. 182 c.p. Così, ad esempio, nel caso in cui il danno cagionato dal reato (ad esempio da un furto) venga risarcito da uno solo dei tre responsabili, gli altri due imputati non potranno automaticamente beneficiare della declaratoria estintiva pronunciata in giudizio in favore del correo, dovendo necessariamente ritenersi circoscritti gli effetti di questa pronuncia al solo imputato da cui sia concretamente promanata l’iniziativa riparatrice ritenuta congrua dal giudice.

Presupposti di applicabilità.

Procedendo nell’analisi dell’art. 162 ter, si rileva immediatamente la necessaria compresenza di due requisiti, ai fini della sua applicabilità:

  1. la verificazione di un reato procedibile a querela di parte (senza limitazioni relative alla cornice edittale), purché rimettibile: rimangono inevitabilmente esclusi dall’ambito applicativo dell’istituto i reati procedibili d’ufficio e quelli perseguibili a querela irretrattabile, quelli, cioè, per i quali il nostro ordinamento prevede che, una volta che sia stata presentata regolare querela da parte della persona offesa, questa non possa più essere rimessa: in questo senso, pertanto, esulano dall’operatività dell’art. 162 ter c.p. i reati di violenza sessuale ex art. 609-bis e di atti sessuali con minorenne ex 609-quater c.p.
  2. la mancata remissione di querela da parte della persona offesa, in seguito alla riparazione del danno da parte del reo. Se vi fosse remissione, infatti, il procedimento penale dovrebbe giungere a naturale estinzione per mancanza di condizione di procedibilità, senza nemmeno passare al vaglio di merito del giudice (ma si dovrebbe arrestare all’accoglimento del G.I.P. della richiesta di archiviazione del PM nella fase delle indagini preliminari), mentre per l’applicabilità dell’art. 162 ter c.p. è necessario giungere alla fase dibattimentale del procedimento penale, come previsto dalla lettera della norma.

Non si applica allo stalking.

Merita un accenno una fattispecie delittuosa particolarmente stigmatizzata nell’attuale contesto sociale, ovvero il reato di atti persecutori disciplinato dall’art. 612 bis c.p. (cd. “stalking”), per il quale inizialmente era ammessa l’estinzione del reato per condotte riparatorie, salvo che il fatto non fosse stato commesso a danno di un minore o di una persona con disabilità (ipotesi procedibili d’ufficio).

Tuttavia, da subito si levarono numerose polemiche in relazione a quei casi in cui fu dichiarato estinto il reato per effetto della mera offerta reale formulata dall’imputato, avente ad oggetto la dazione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno subito dalla vittima, nonostante il dissenso di quest’ultima.

Per questa ragione, solo qualche mese dopo l’introduzione dell’istituto, il legislatore, con la Legge 4 dicembre 2017 n. 172, è andato ad aggiungere all’art. 162 ter c.p. il seguente comma: “Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi di cui all’articolo 612 bis”, in tal modo escludendo espressamente l’operatività dell’istituto al reato di atti persecutori.

Le condotte riparatorie.

Entrando nel merito dell’istituto, si osserva che la norma articola le condotte riparatorie in due ipotesi alternative:

  • condotta riparatoria integrale, congiunta, ove possibile, alla eliminazione delle conseguenze dannose della azione (la norma recita infatti “quando l’imputato ha riparato interamente … il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato”). Tale comportamento dovrà necessariamente avvenire “entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”, salva la concessione del termine di sei mesi qualora l’imputato provi che, per causa a lui non imputabile, non sia stato in grado di adempiere alle condotte riparatorie entro il termine ordinario richiesto dalla disposizione (art. 162 ter c.p., II comma). Il fatto non addebitabile va individuato in tutte quelle situazioni di difficoltà di pagamento, tali per cui il termine non viene verosimilmente quasi mai negato, come accade negli sfratti per morosità, dove viene sovente concesso il cosiddetto “termine di grazia. Se il giudice decide di accogliere la richiesta, fissa un termine, non superiore a sei mesi, per permettere all’imputato di provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; a questo scopo, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso.
  • condotta riparatoria realizzata mediante presentazione di un’offerta reale, e successivo deposito, secondo quanto previsto dagli artt. 1208 e ss. c.c., in caso di mancata accettazione da parte della persona offesa e comunque fatto salvo il giudizio di congruità del giudice di merito. In questa ipotesi, stante il richiamo alla disposizione civilistica, è necessario che vengano rispettate alcune prescrizioni, ovvero, anzitutto, che il creditore (persona offesa) sia soggetto capace di ricevere, che l’offerta sia formulata dall’imputato che possa validamente adempiere, ed infine che la riparazione sia completa, ovvero comprensiva della totalità della somma o delle cose dovute. In seguito all’offerta, evidentemente non accettata dalla persona offesa, il giudice ne valuterà la congruità e potrà dichiarare in seguito l’estinzione del reato una volta che l’imputato abbia eseguito il deposito nelle forme stabilite dall’art. 1210 c.c. In particolare, il risarcimento può essere effettuato “banco iudicis”, purché venga accettato (e sia data prova, come sopra si è visto, della sua effettuazione); laddove, invece, la persona offesa non intenda accettare la somma offerta a titolo di risarcimento, posto che l’obbligazione risarcitoria ha per oggetto la dazione di una somma di denaro, occorrerà procedere al deposito della somma offerta presso un istituto bancario: in questo caso, la comunicazione fatta dal debitore al creditore dell’accettazione manifestata dall’intermediario abilitato ad eseguire il trasferimento produrrà gli stessi effetti del deposito previsto dall’art. 1210 c.c. Compiute tutte queste formalità, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’imputato dovrà produrne copia, affinché il giudice possa, sentite le parti e la persona offesa, e valutata congrua l’offerta rifiutata, pronunciare la declaratoria (non impugnabile) di estinzione del reato, fatto salvo, ad ogni modo, il potere della persona offesa di richiedere in via civile il ristoro che essa ritiene più congruo.

Cosa deve fare dunque l’autore del reato?

La norma non specifica quale debba essere effettivamente il danno ristorabile, prevedendo unicamente che il danno civile sia riparato “interamente” e che l’eliminazione delle conseguenze offensive avvenga solamente “ove possibile”.

Attualmente, un orientamento dottrinale consolidato ritiene che l’imputato debba porre rimedio ad entrambi i tipi di conseguenze pregiudizievoli sofferte dalla persona offesa, ovvero, sia al “danno civile”, che al “danno criminale”. Per quanto attiene al “danno civile”, l’art. 162ter c.p. attinge con tutta evidenza al testo dell’art. 185 c.p., il quale, nel disciplinare le obbligazioni di natura civilistica scaturenti dall’illecito penale, sancisce per l’appunto l’obbligo delle restituzioni, e l’obbligo del “risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale” cagionato dal reato. Per quanto attiene invece al “danno criminale”, laddove l’articolo in commento menziona le “conseguenze dannose o pericolose del reato” allude evidentemente all’offesa del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, elemento necessario per la sussistenza del reato.

Al fine di vagliare l’integralità della riparazione del danno, la norma prevede che il giudice, prima di dichiarare estinto il reato, proceda all’audizione (delle parti e) della vittima del reato, ponendosi tale adempimento come momento che, pur se necessario nell’ambito della valutazione circa la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie riparatoria, non assume tuttavia efficacia vincolante nel contenuto, potendo addirittura essere valutata congrua la proposta riparativa anche in caso di un manifesto diniego della persona offesa. Ciò significa che le esigenze espresse da quest’ultima saranno dunque acquisite dall’organo giudicante, senza però risultare vincolanti nel merito, limitandosi a porsi unicamente come momento di realizzazione del contraddittorio nell’accertamento dei presupposti riparatori dell’estinzione.

È ovvio che nella pratica è bene far precedere sia l’offerta reale che la condotta riparatoria da una trattativa, tramite un avvocato, con la vittima del reato, in modo da vedere se possibile raggiungere un accordo in cui, a seguito dell’esecuzione di una determinata prestazione, come ad esempio il pagamento di una somma di denaro, la vittima si dichiara integralmente risarcita, soddisfatta e tacitata.

Effetti: cosa comporta.

In merito agli effetti dell’applicazione di tale causa estintiva, la dichiarazione di estinzione del reato per effetto delle condotte riparatorie dell’imputato travolge non solo le pene principali e le pene accessorie, ma anche gli effetti penali della condanna e le misure di sicurezza.

Restano efficaci invece gli effetti della confisca obbligatoria, prevista dall’art. 240 comma, secondo comma, c.p., dal momento che l’eventuale pronuncia del giudice penale circa l’estinzione del reato non riveste autorità di giudicato nel giudizio civile.

La causa di estinzione del reato, peraltro, non comporta l’estinzione delle obbligazioni civili derivanti da illecito, pertanto la persona offesa che non reputi soddisfacente e proporzionata all’entità del danno subito la somma deliberata dal giudice penale, eventualmente, può decidere di adire il giudice civile per ottenere una quantificazione più adeguata dello stesso.

Problemi di coordinamento.

La riparazione dal giudice di pace.

Ciò posto, si può considerare come l’art. 162 ter c.p. ponga inevitabilmente problemi di coordinamento con istituti riparatori preesistenti di tipo settoriale, in primo luogo con l’art. 35, D. Lgs. n. 274/2000, che prevede l’estinzione del reato in seguito alla condotta riparatoria da parte dell’imputato nei procedimenti penali di competenza del Giudice di Pace.

Rispetto a questa figura, tuttavia, l’istituto previsto dall’art. 162 ter c.p. si differenzia per la assoluta estraneità di esigenze di conciliazione, di prevenzione di futuri reati e di rieducazione del colpevole: il fondamento teorico dell’istituto previsto dall’art. 162 ter c.p., infatti, non contempla logiche di giustizia riparativa, avendo il legislatore chiaramente mostrato di volere riconnettere esclusiva efficacia al solo fattore della congruità delle condotte riparatorie in relazione alla consistenza del danno arrecato, al fine della declaratoria di estinzione del reato. Qualora, infatti, il giudice reputi le condotte riparatorie congrue, a nulla varrebbe, come detto, un eventuale dissenso della vittima, intenzionata a proseguire nell’azione penale, ma dovrà essere dichiarato estinto il reato.

I commi 1 e 2 dell’art. 35, invece, dispongono che “Il Giudice di Pace, sentite le parti e l’eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato, enunciandone la causa nel dispositivo, quando l’imputato dimostra di aver proceduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato” e “Il Giudice di Pace pronuncia la sentenza di estinzione del reato di cui al comma 1 solo se ritiene le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione”. E’ opinione consolidata, infatti, che la ratio dell’art. 35 d.lgs. n. 274/2000, come del resto dell’intero sistema in cui esso è inserito, sia di tipo conciliativo, nel senso che l’Autorità giudiziaria deve sentire la parte offesa (o la parte civile costituita), il Pubblico Ministero e l’imputato, non solo per valutare l’idoneità delle condotte riparatorie a soddisfare l’esigenza di riprovazione della condotta criminosa tenuta, ma anche per verificare se da siffatte condotte sia possibile evincere un pentimento del reo.

A fronte di tali differenze, posto che l’art. 162 ter c.p. non costituisce un inutile doppione dell’art. 35 d.lgs. n. 274/2000, parte della dottrina sostiene l’astratta applicabilità dell’art.162 ter c.p. anche ai reati di competenza del Giudice di Pace. Tuttavia, la scarsa attenzione alla vittima e l’assenza di contatti conciliativi tra questa e l’imputato si scontrano con l’onere del Giudice di Pace di coltivare durante l’intero corso del procedimento un dialogo conciliativo tra le parti. Il processo penale davanti al Giudice di Pace, infatti, è caratterizzato da un costante promovimento della conciliazione tra le parti, come affermato nella disposizione che ne enuncia i ‘principi generali’ (art. 2, co. 2: Nel corso del procedimento, il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti). Pertanto, mentre la disciplina ‘speciale’ di cui all’art. 35 d.lgs. 274/2000 appare perfettamente coerente con tale canone conciliativo, mirando in definitiva a stimolare il ravvedimento dell’imputato fondato sull’esatta percezione del disvalore della propria condotta e sulla conseguente volontà di riparare il danno cagionato alla persona offesa (in un certo senso, quindi, di chiedere scusa all’offeso provvedendo a rimuovere tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla condotta lesiva), quella di cui all’art. 162 ter c.p. genera indubbiamente, se proiettata in questo contesto, un fortissimo attrito concettuale.

L’attenuante dell’avvenuta riparazione del danno

Concludendo, volendo accennare brevemente al rapporto tra la causa estintiva del reato prevista dall’art. 162 ter c.p. e gli altri istituti che attribuiscono peculiare rilevanza alle condotte riparatorie del reo, si può citare, in primis, la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., secondo cui “Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti: 6) l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato”. Considerato che il presupposto sostanziale di entrambe le figure è il medesimo, ovvero la riparazione del danno, si può comunque osservare che nel primo caso l’effetto è quello della estinzione del reato, mentre nel secondo solo l’attenuazione della pena; inoltre nella circostanza attenuante vi è alternatività tra la riparazione del danno tramite risarcimento o restituzioni, e l’essersi il reo adoperato per elidere o attenuare le conseguenze del reato, mentre per l’estinzione del reato ex art. 162 ter c.p., come già detto, l’imputato, per andare esente da sanzione, deve non solo risarcire interamente il danno all’offeso, ma anche eliminare ove possibile le conseguenze del reato. Pertanto, qualora l’imputato abbia riparato il danno ma non anche eliminato le conseguenze del reato, scartata l’applicabilità della causa estintiva, residua comunque la possibilità di attenuare la pena a norma dell’art. 62 n. 6 c.p., ipotesi peraltro configurabile anche qualora si sia in presenza di reati procedibili a querela irretrattabile o procedibili d’ufficio.

La particolare tenuità del fatto.

E’ inoltre evidente la somiglianza con l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, previsto dall’art. 131 bis c.p., che, alla luce della limitata offensività del fatto commesso, consente di pervenire alla conclusione del processo penale mediante l’emissione di una sentenza di assoluzione, ma solo per i reati puniti con pena non superiore nel massimo a cinque anni. In tali ipotesi, i criteri di valutazione per il giudice sono quelli della modalità di estrinsecazione della condotta illecita e dell’esiguità del danno o del pericolo, che devono essere valutate ai sensi dell’art. 133, comma primo, c.p. La norma in questione prevede comunque un accertamento in merito alla commissione del fatto e all’elemento soggettivo (salvo che la dichiarazione non avvenga prima del dibattimento), pertanto la sentenza penale irrevocabile pronunciata ai sensi dell’art. 131 bis c.p. avrà efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento, e potrà quindi essere fatta valere in quella sede dalla persona offesa per il soddisfacimento delle proprie pretese risarcitorie.

La messa alla prova.

Quanto, infine, ai rapporti tra l’art. 162 ter c.p. e l’art. 168 bis c.p., che disciplina la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, si ritiene che, stante la sostanziale coincidenza di presupposti, il ricorso alla sospensione del processo con messa alla prova potrebbe essere marginalizzato alle ipotesi in cui non è applicabile il 162 ter c.p., ad esempio quado il reato è procedibile d’ufficio.

Conclusioni.

Sei rimasto coinvolto in un procedimento penale per cui esistono i presupposti per la definizione tramite condotte riparatorie?

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La violenza di genere: lo stalking

La parola stalking è molto usata e ha preso una connotazione generica; questo a mio avviso genera confusione mentre va subito detto che con la parola stalking si individua una precisa fattispecie giuridica: Il codice penale definisce lo stalking nel reato di atti persecutori: art.612 bis. Detto reato è stato introdotto dalla legge n.38 del 2009 ed ha come tutela il bene della libertà della persona. Si tratta di un reato abituale a forma parzialmente libera: “chiunque con condotte reiterate minaccia o molestia taluno in modo da cagionar un perdurante e grave stato di ansia e di paura o generare un fondato timore per l’incolumità propria e di un proprio congiunto perpetrata su una persone legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni (..)”

L’azione consiste in

minaccia: si prospetta un male ingiusto il cui verificarsi dipende dalla volontà dell’agente.

molestie: a detto sostantivo il legislatore ha voluto dare un significato non tipizzato ma tale da comprendere tutte le fantasiose ed imprevedibili condotte insidiose realizzate dal reo, al fine di minare la libertà della persona; una vasta fenomenologia di condotte che dal 2009 si è manifestata ad es. IN COMUNICAZIONI INTRUSIVE, REITERATE E ASSILLANTI COME TELEFONATE, LA POSTA SOTTO CASA E ALL’USCITA DAL LAVORO, (questi gli esempi più classici ma v’è da dire che non vi è limite alla fantasia umana) INVIO DI DONI E DI FIORI REITERATO, far trovare animali vivi o morti, violazione di domicilio, annullare o richiedere beni o servizi per conto della vittima inserzioni ed annunci pubblici con l’indicazione di dati personali della vittima, mettere in rete immagini della vittima con connotazioni sessuali, invio di email pornografiche, furto di identità della vittima, delegittimazione della vittima( attraverso false accuse di fatti infamanti) nel contesto relazionale e sociale di riferimento. Attivazione di azioni legali strumentali; dette condotte devono essere sottoposte all’interpretazione del magistrato; devono essere reiterate nel tempo; connotate dall’assillo.

Le conseguenze del delitto sono tipizzate: tutte queste condotte per essere oggetto di esame del magistrato ed indagate devono avere come conseguenza:

-soggettivamente, uno stato d’ansia grave o di paura della vittima per l’incolumità propria, di un proprio o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva;

-oggettivamente: deve essere tale da costringere la vittima a modificare le proprie abitudini: esempi classici: cambio del numero di telefono, cambio della sede di lavoro, cambio della targa automobilistica, cambio della residenza o del domicilio.

Per tutte queste azione il carnefice, ovvero il reo deve sentirsi soddisfatto quando ha raggiunto la sua meta: controllare la vittima a proprio piacimento, costringere la vittima a tollerare molestie, minacce, modificare la sua vita e stare in uno perdurante stato d’ansia e di paura.

La pena viene aggravata -se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è nota o che è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa; -o se il fatto è commesso con strumenti informatici o telematici (il cyberstalking: furto di identità propagazione di dati anagrafici e sensibili false inserzioni commerciali)

Questo è sommariamente l’ossatura del reato di stalking nella legislazione italiana: il contegno del carnefice deve essere ben individuato e compreso soprattutto per le donne, che inizialmente scambiano l’assillo e le attenzioni reiterate per gentilezza e corteggiamento.

Spesso l’assillo ossessivo si placa se la vittima cede, ritira la querela e ritorna alle abitudini tossiche; di solito tale decisione viene preceduta da un “chiarimento” con il carnefice attraverso il quale il medesimo si dice pentito e pronto a rimediare.

È stato notato invece che appena il carnefice è certo della riappacificazione, non ci mette molto a rimettere in atto più sicuro di sè e con maggiore violenza, la condotta vessatoria sulla vittima;

questo circolo vizioso viene chiamato tecnicamente “spirale della violenza”.

Tutto ricomincia in modo più grave per la vittima, segue ribellione, segue pentimento, segue riappacificazione, seguono nuove più pesanti aggressioni;

imboccata questa spirale non è difficile immaginare che al fondo vi è la morte della vittima: femminicidio.

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Violenza di genere: parla una donna maltrattata.

Violenza di genere” è un insieme di parole con un significato preciso e soprattutto concreto; un significato letto dai tecnici nei codici, nelle sentenze, negli atti, discusso ai congressi; colto in mezzo a tante altre parole, diventa un reato; per la vittima è il risultato di una narrazione completa e difficile, composta da fatti concreti. Condivido una raccolta di pensieri di una donna maltrattata, che, con lucida determinazione, ha risposto ad alcune domande sulla sua vita affettiva, intima, sul sentimento dell’amore. Ne è nata una delicata ricostruzione del suo mondo, dei suoi valori e del suo dolore. La lucidità della narrazione, l’uso del verbo al passato, tradiscono la dolorosa consapevolezza della violenza subita. Con il tempo la consapevolezza si potenzia e diventa pietà e compassione- verso sé e verso gli altri-; la pietà rivela e dona a questa donna la vera cifra del suo valore e le dà la forza di ricostruire quello che secondo lei era stato distrutto, perduto. Lascio al lettore la libertà di fare le sue valutazioni, ma anche la mia professionale conferma che dalla violenza di genere ci si può difendere.

  1. Cosa ti ha fatto innamorare? Mi ha fatto innamorare la sincerità con cui mi parlò subito di suoi sentimenti verso i membri della sua famiglia, e l’intraprendenza: era divorziato, un uomo pieno di dolore, e tuttavia non si dava per vinto: sembrava accettarsi e spingersi verso di me con intraprendenza. Nel porsi e nel muoversi aveva qualcosa che piaceva; le strinsi le mani: erano grassottelle, con le fossette; le dissi che mi piacevano e sorrise. Con il tempo perse quel sorriso, quel corpo intraprendente non c’era più e con lui i modi gentili (…)
  2. Cosa aveva in comune con te? Non si sentiva amato, nella coppia- come era successo a me- si sentiva una cosa da usare, da esporre agli altri: il bravo marito. Tutti questo aveva poco a che fare con l’intimità della vita coniugale o di coppia.
  3. Come mai ti sei messa in secondo piano, come mai ti sei annullata per lui? Il suo dolore esplodeva in occasione dei problemi che la vita le poneva dinanzi, e che doveva affrontare. Lui si concentrò solo su sé stesso anche se i suoi problemi travolgevano me; divenni per lui perfino un peso: se chiedevo spiegazioni, mi venivano negate; piano piano, mi costrinsi a stare in silenzio. Io ero presente nella sua vita per sua scelta; lui ha iniziato ad impormi le sue scelte; se non le accettavo, mi metteva in competizione con le altre donne, tutte, qualunque; le sue attenzioni erano per loro e non per me; dovevo esserci e stare in silenzio, ma non sapevo più chi fossi. Io non ho più ritrovato me, ho perso tutti i contatti, la mia vita precedente era svanita nel nulla.
  4. Perché non ti ribellavi? Credevo di meritare tutto. Pensavo di aver causato dolore al mio compagno, pensavo di aver rovinato il rapporto; mi annullavo, volevo sparire, non mi difendevo, ritenevo che aveva ragione: io sola sbagliavo e dovevo pagare, essere punita. Al tempo stesso mi vergognavo, mi rendevo conto che la situazione non era così; perché subivo non so dirlo, ero persa; mi sentivo un’altra e altrove, in uno spazio ed in tempo della mia vita dove decisioni importanti non venivano prese da me; mi rifiutavo di cercare una via d’uscita, mi sembrava giusto pagare. Mi sentivo indegna di essere madre: pur desiderando un figlio, non avevo un compagno che lo volesse da me; avevo invece un compagno che mi derideva per i miei desideri.
  5. Che aspettative avevi? Volevo una famiglia.
  6. Lui ti ha fatto da specchio, Cosa non ti piaceva? Era un uomo tormentato e sbagliato. Trovavo in questo la conferma di essere io stessa sbagliata, la conferma che non ero degna di essere valorizzata come donna, capace di generare e di essere sostenuta.

Ho smesso di essere quella donna: mentre io continuavo a sostenerlo, accettando tutto, mi sono accorta che dovevo invece chiedere a lui di sostenere me: ero io, che dovevo essere sostenuta, protetta, amata, perché non avevo nessuna colpa. Così chiesi aiuto. 

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Giudice gli vieta di parlarmi: e facebook?

Al mio ex marito, a conclusione delle indagini preliminari, è stato vietato di abitare a casa e di comunicare con noi, in quanto indagato per il reato di maltrattamento in famiglia, nei confronti miei e di mia figlia. Purtroppo da una settimana pubblica dei post e delle foto su Facebook  riferiti a noi, con parolacce, minacce e offese gravi. Posso fare qualcosa?

 

Come sicuramente ti avrà già detto il tuo avvocato, quella che il Giudice delle indagini preliminari ha emanato nei confronti del tuo ex marito, è una misura cautelare, cioè un provvedimento emanato prima della conclusione del processo, per contenere “i danni”, ed evitare che vengano commesse offese più grandi nei vostri confronti.

Il divieto di abitare a casa unito al divieto di comunicazione, indica chiaramente che a quest’uomo veniva vietato ogni contatto con voi. Se ti sei sentita minacciata da una foto o da un messaggio pubblicato sui social, evidentemente il tuo ex ha continuato a comportarsi nel modo vietatogli dal Giudice, utilizzando tutti i canali possibili di comunicazione.

La realtà che si vive sui social è assolutamente ignorata dalla legge, quindi, certo che puoi fare qualcosa!

Proprio recentemente la Cassazione ha affrontato un caso analogo al tuo, decidendo in modo coerente con quanto deciso da anni (è dal 2014 che si va in questo senso), e ha stabilito (sent. n. 57870/2018) che viola il divieto di comunicazione con le parti offese, l’imputato di maltrattamenti che invia loro messaggi vocali o su Facebook. Oltre una trasgressione agli obblighi imposti con la misura cautelare, tale atteggiamento esprime la volontà di continuare a “maltrattare”, ma anche la volontà di coinvolgere tutti coloro che possono avere accesso al suo profilo social, e in tal senso l’offesa è ancor più grave in quanto esce dal perimetro familiare.

Pertanto, tu potresti certamente sottrarti a questi messaggi o foto rivolte a te, ma solo disattivando la connessione, precludendoti l’accesso ai social e ad internet. In questo modo si realizzerebbe un’ulteriore lesione alla tua libertà di comunicazione, alla quiete e tranquillità psichica.

Come nel caso simile al tuo, il Pubblico Ministero potrà farà valere le tue ragioni chiedendo il rinvio a giudizio e, contestualmente, una misura cautelare più severa come quella di custodia in carcere.

Ad ogni modo, ti consiglierei di approfondire questa vicenda come si deve, con un avvocato di fiducia per gestire la situazione con la strategia migliore.

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Persecuzione della ex moglie: come si può rimediare?

Convivo con il mio compagno la cui ex moglie (sono separati legalmente da due anni e mezzo) continua ad inviare a me e a lui messaggi e email gravemente offensivi e talora anche minacciosi. Ci siamo rivolti alla Polizia portando documentazione, la signora è stata richiamata ma non ha smesso affatto. Il nostro avvocato ha inviato più lettere di richiamo con zero risultati e ci dice che legalmente non c’è null’altro da fare. Chiedo: è davvero impossibile difendersi legalmente dai continui attacchi di questa persona?

Il tema, in situazioni come queste, è quello dello stalking o atti persecutori. Non so se il richiamo cui ti riferisci è l’ammonimento del Questore, previsto in questi casi, o un altro tipo di intervento. Il primo punto da chiarire sarebbe questo.

Se ci fosse l’ammonimento del Questore, sarebbe una cosa positiva perché costituirebbe un piccolo «precedente» che agevolerebbe qualsiasi ulteriore iniziativa da parte vostra.

Comunque, non è vero a rigore che dopo le intimazioni stragiudiziali non si possa fare più niente.

Ci sono diverse cose che si possono valutare, anche se appunto non solo soluzioni «magiche» e «pronte», ma vanno approfondite e considerate per vedere se ce ne sono i presupposti.

Un esempio sono gli ordini di protezione introdotti recentemente nel nostro sistema legislativo, di cui ho parlato ampiamente nel mio libro «Come dirsi addio nel modo migliore», al quale rimando per ulteriori approfondimenti.

Ma ci sono diverse norme che si potrebbero invocare in un caso del genere, bisogna solo approfondirlo per capire quale può essere la strategia migliore da mettere in atto.

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Avvocato non restituisce i documenti: cosa posso fare?

ho avuto a che fare per un bel po’ di tempo con un suo collega che ad un certo punto ha deciso di rimettere il mandato abbandonandomi ad un paio di settimane dall’udienza. Avevo osato incalzarlo sul 709ter che gli avevo chiesto e che gli era stato pagato profumatamente e che non vedeva la luce. Gli ho chiesto le mie carte e lui ha risposto che le darà soltanto al mio nuovo legale e non certo a me (non ho ancora un nuovo legale). Inoltre mi ha diffidato dall’importunarlo con email telefonate ed sms, cosa che non è mai accaduta da quando mi ha detto di non volermi più come cliente. Mi ha minacciato di denunciarmi. Il suo tentativo di intimidirmi non ha attecchito e mi chiedo come fare per recuperare i soldi che ho versato per il 709ter. Conservo ricevuta. Come è possibie che si possa avere un atteggiamento di questo tipo? L’ho pagato sempre…non so a chi rivolgermi

È un problema legale, per cui ti devi rivolgere sempre ad un avvocato, purtroppo.

Non so se potrai recuperare in tutto o in parte il compenso che gli avevi già corrisposto, perché questo dipende dal lavoro che lui aveva già svolto per te e che, tieni presente, può esser consistito anche in attività – poco tracciabili – di studio, approfondimento, consulenza e così via.

Per quanto riguarda la tua documentazione, lui comunque ha l’obbligo di restituirtela e non può trattenerla, se lo facesse sarebbe un illecito anche deontologico. Salvo ovviamente le comunicazioni riservate ricevute da altri avvocati che, correttamente, potrà consegnare solo al tuo nuovo legale.

Per il resto, è evidente che le tue giuste ragioni non possono sconfinare negli atti persecutori; non so cosa hai fatto o meno, però in linea di principio questo è chiaro.

Ti consiglio di tentare di risolvere la questione spedendogli una posta elettronica certificata dove svolgi per iscritto le tue legittime richieste e, se non risolvi, di incaricare un avvocato degno di fiducia.