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Trasferimento minore all’estero: quando è sottrazione?

L’ex coniuge ha violato le disposizioni sul regime di affidamento condiviso? Ha intenzione di trasferire il figlio minore all’estero e allontanarlo dal luogo di residenza abituale senza alcun consenso? Portare il figlio all’estero senza il consenso dell’altro genitore è sottrazione internazionale di minore.

Nel caso in cui i provvedimenti relativi alla custodia del figlio minore, predispongano l’affidamento congiunto ad entrambi i genitori con collocazione prevalente presso uno di essi e la precisa regolamentazione dei tempi di frequentazione del minore con l’altro, il figlio non potrà essere trasferito in un Paese diverso da quello nel quale è abitualmente residente e in cui mantiene i legami con il genitore non collocatario, senza il consenso di quest’ultimo.

Questo orientamento, è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24173 del 13 ottobre 2017, che ha respinto il ricorso presentato da una donna residente abituale negli Stati Uniti, avverso il decreto del Tribunale per i minorenni di Milano, al quale si era rivolto il marito (residente anch’egli negli Usa), dopo che la ex moglie, in Italia per le vacanze insieme al figlio, aveva deciso di non fare più ritorno, allontanando così il minore contro il volere del padre e precludendo inoltre a quest’ultimo ogni possibilità di vedere il figlio.

Il padre si era rivolto al Tribunale di Milano, seguendo il procedimento previsto all’interno della Convenzione dell’Aja del 1980 che si occupa proprio degli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori e che racchiude al suo interno precise finalità:

  • proteggere il minore, a livello internazionale, contro gli effetti nocivi derivanti da un suo trasferimento o mancato rientro illecito, assicurando un immediato rientro del minore nel proprio Stato di residenza abituale,
  • garantire che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti.

Il Tribunale di Milano dopo aver dichiarato trattarsi di un caso di sottrazione internazionale, aveva ordinato il rientro immediato del minore e dichiarato illecito il trasferimento, in quanto:

  • era fuori discussione che la residenza abituale del minore fosse negli Usa, dove lui era nato e aveva sempre abitato regolarmente, radicando relazioni sociali, culturali e di amicizia;
  • il diritto di custodia del padre era stato violato ed era inoltre presente un chiaro e inequivocabile dissenso espresso da quest’ultimo ad un trasferimento da parte del figlio (nel caso in esame, la collocazione prevalente del minore era presso la madre, ma era prevista comunque una regolamentazione dei tempi di frequentazione con il padre);
  • era stata esclusa la presenza di circostanze pericolose per il minore (elencate all’interno della citata Convenzione dell’Aja) come ad esempio il fondato rischio di trovarsi esposto, una volta rientrato nel suo paese di residenza, a pericoli fisici e psichici o comunque di trovarsi in una condizione intollerabile e anzi era stato accertato che il minore appariva emotivamente spossato proprio a causa di questo brusco cambiamento e allontanamento dalla sua vita e dalle sue abitudini.

È proprio sulla base di tutti questi elementi, che la Corte Costituzionale ha deciso di rigettare il ricorso presentato dalla madre in quanto questa non aveva il diritto di trasferire il minore al di fuori del territorio statunitense. È vero che in quanto collocataria, aveva la “custodia fisica” del figlio, ma tale custodia non conferisce il diritto di trasferire la residenza del minore con decisione unilaterale, si tratta pur sempre di un affido congiunto ad entrambi i genitori che necessita di un consenso da parte del genitore coaffidatario.

Il tema della sottrazione, del trasferimento o trattenimento all’estero di figli minori di coppie in crisi, è purtroppo assai ricorrente al giorno d’oggi e posto sempre di più al centro dell’attenzione. Per questo, se si ha interesse ad approfondire l’argomento, si può richiedere una consulenza specifica sul tema, rivolgendosi ad un legale che possa assistervi.

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Abuso edilizio e trasferimento all’estero: sarà impossibile?

sono proprietaria assieme a mio fratello di un terreno in cui è stato fatto una struttura abusiva, hanno posto il sigillo e ora siamo in attesa della comunicazione (siamo proprio agli inizi). Mio fratello si prenderà tutta la responsabilità. Ciò che vorrei sapere è: che problemi avrò io in quanto dovrei sposarmi e trasferirmi in svizzera? C’è la possibilità che non mi venga rilasciato il permesso di soggiorno?

La realizzazione di un abuso edilizio, nei casi più gravi, configura un illecito non solo amministrativo ma anche penale.

Nel vostro caso, per dire di più bisognerebbe conoscere con più precisione il caso, e quindi innanzitutto i fatti, lo stato dei luoghi e il tipo di abuso realizzato, ma anche la documentazione del caso, a cominciare dagli atti che verranno notificati tra poco.

Anche a prescindere da una conoscenza più precisa della situazione, comunque, non sono in grado di dire che cosa può essere rilevante per uno stato estero per la concessione del permesso di soggiorno.

In materia, infatti, ogni stato di regola come crede meglio, adottando una propria politica dell’immigrazione, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti, a seconda che il paese sia più o meno rigoroso al riguardo.

Generalmente, ritengo che la Svizzera sia uno stato abbastanza pignolo in materia, ma per saperlo con precisione si deve necessariamente interpellare o direttamente le autorità preposte all’immigrazione di quel paese ovvero un avvocato elvetico, ovviamente dopo che si sarà acquisita la necessaria chiarezza sugli estremi precisi del problema.

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Divorzio da uno straniero in un paese straniero: come si fa?

Sono sposata con un uomo straniero, proveniente da un paese al di fuori dell’UE. Lavoriamo entrambi, anche se io ho un contratto a tempo determinato, ma con buone prospettive di spostarci in Europa entro un anno (ora siamo nel paese di origine di mio marito). Abbiamo una figlia di 3 anni.
Vorrei procedere con il divorzio, in Italia (il nostro matrimonio è riconosciuto in entrambi i paesi), e ottenere l’affidamento di mia figlia. Sono disposta a che lui veda sua figlia e abbia un rapporto con lei, ma vorrei proteggerla dal padre che mostra sempre di più segni di depressione e disturbi da sociopatico, e che da anni controlla la mia vita (mi sto rendendo indipendente da lui dopo lunghi anni di controllo nella sfera economica ma anche dal punto di vista psicologico). Ho paura di lui, di come potrebbe comportarsi, di come potrebbe manipolare mia figlia (cosa che fa durante le nostre liti) e avvicinarmi alla mia famiglia in Italia, che potrebbe darmi una mano. Come posso fare?

Parli di un «uomo straniero» e io non posso che rispondere «ma sticazzi»…

Il fatto è che dicendo così è quasi come non dire niente. Nella categoria, possiamo sussumere un Islandese come un suddito dell’Arabia saudita. Con la conseguenza che non ci fai neanche capire in che Paese ti trovi.

È una descrizione davvero eccessivamente generica per poter dare dei consigli che siano un minimo sensati.

Tra l’altro noi avvocati ti possiamo assistere, aiutare, per il completamento della pratica burocratica di separazione o divorzio – a proposito, se non hai ancora fatto la separazione non puoi fare il divorzio diretto, devi fare prima la separazione e poi, dopo sei mesi o un anno, il divorzio.

Per fare il divorzio diretto, bisognerebbe vedere se, a mente della norme di conflitto italiane, fosse applicabile il diritto di quel paese «straniero» cui appartiene tuo marito, che, ancora una volta non ci è concesso di sapere. Se fosse romeno, ad esempio, la buona notizia sarebbe che in Romania il divorzio diretto è previsto, anche se poi rimarrebbe da vedere se questo diritto fosse applicabile al nostro caso.

Ad ogni modo, quello che un avvocato può fare al di là della pratica burocratica è ben poco. Non ti può aiutare negli aspetti logistici, per i problemi psicologici, ti può solo mandare, come faccio io molto spesso, da un mediatore familiare o da altri professionisti che con competenza si occupano di questi altri aspetti.

Credo, in conclusione, che ti serva un progetto complessivo per uscire da questa situazione, in seno al quale la pratica di separazione o divorzio è solo uno dei tanti aspetti e forse, al momento, nemmeno il più importante.

Tutto quello che ti posso dire è che, se, quando sarai pronta, vorrai un preventivo per la pratica, e qualche indicazione concreta, o magari una consulenza preliminare, noi restiamo ovviamente a disposizione.

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Persona irreperibile: come gestirla?

mio padre è scappato dall’Italia 25 anni ed è tuttora irrintracciabile. Sappiamo solamente che sta in sud America e vorremmo sapere se c’è un sistema per ottenere la separazione. Ovviamente, non potendolo contattare non è possibile farlo per procura. Noi non sappiamo come fare e le saremmo grati se ci potrebbe dare qualche consiglio .

Quello che bisogna fare è in realtà molto semplice, anche se può essere a volte difficoltoso metterlo in pratica.

Prima di venire a questo, però, c’è da dire che non bisogna affatto trascurare la necessità di fare la pratica di separazione e, successivamente, di divorzio: se non la fate, infatti, avrete enormi problemi al momento ad esempio dell’apertura della successione. Per non dire di quello che potrebbe accadere in altri casi, come ad esempio la necessità di nominare un amministratore di sostegno, ricorso il cui deposito deve essere notificato a tutti i parenti fino al quarto grado, compreso il coniuge.

Ciò premesso, quel che bisogna fare nella situazione in cui una controparte non è rintracciabile, e si deve notificargli un atto introduttivo di un processo, pertanto non solo in caso di separazione e divorzio, è appunto piuttosto semplice, concettualmente.

La prima cosa da fare è quella di commissionare apposite ricerche ad una agenzia di investigazioni. Non è affatto sufficiente, per ritenere una persona irreperibile e usare di conseguenza le speciali modalità di notifica previste per queste situazioni, una ricerca all’anagrafe o la generica asserzione per cui una persona se ne è andata «tanti anni fa», «sta in sudamerica» e altre cose del genere, che in diritto sono prive di qualsiasi consistenza.

Il primo passo è dunque fare tutte le ricerche possibili immaginabili per vedere se questa persona è, almeno di fatto, rintracciabile, cioè si può sapere dove sta effettivamente, quale è la sua dimora. Questo è un compito che viene svolto appunto direttamente dall’agenzia, fa parte del know how delle agenzie di investigazioni, l’importante, anzi l’essenziale, è che tutte le ricerche svolte e le relative conclusioni vengano, al termine, documentate in una apposita relazione scritta.

Ovviamente, non osta al compimento delle ricerche il fatto che la persona si trovi all’estero: ogni agenzia con un minimo di qualità ha una rete di corrispondenti all’estero in grado di commissionare un’indagine in loco. Lo stesso legale che incaricate può essere in grado di far svolgere queste indagini incaricando un’agenzia del posto, a me ad esempio è capitato spesso per la Romania.

Le conclusioni dell’indagine possono, ovviamente, essere di due tipi: il destinatario si trova, oppure risulta effettivamente irreperibile. A questi due esiti corrispondono due modi diversi di proseguire nel coltivare la pratica, naturalmente.

Se la persona è stata individuata, allora il ricorso per separazione gli deve essere notificato. Prima di andare direttamente in tribunale, tuttavia, visto che appunto la persona è stata individuata, personalmente consiglio di tentare di inviare una diffida, tramite raccomandata internazionale: può sempre darsi che si riesca ad organizzare per una soluzione di tipo consensuale ed è comunque un modo di procedere più corretto e civile, che, se poi si finirà davanti ad un giudice, verrà apprezzato. La notifica va fatta seguendo le disposizioni del codice di rito italiano ma anche dei regolamenti UE, se in uno stato facente parte dell’Unione, oppure di una delle eventuali convenzionali internazionali siglate con altri Stati, se appunto la persona non si trova in uno stato comunitario. Noi abbiamo avuto occasione di notificare in diversi Stati del mondo, le procedure sono un po’ laboriose, a volte occorre una traduzione, serve un adeguato approfondimento e molta prudenza, perché non si tratta naturalmente di attività routinarie e perché la validità delle notifiche è assolutamente fondamentale e un avvocato che le trascura o le conduce in modo approssimativo, senza la massima cura, è sicuramente un cattivo legale.

L’altra eventualità è che la persona risulti effettivamente, nonostante tutte le ricerche svolte e soprattutto debitamente documentate dall’agenzia, effettivamente irreperibile, perché ad esempio è riuscita a cambiare nome all’estero, ha voluto proprio nascondersi, oppure ha stabilito la residenza in uno stato che non dispone di un sistema di censimento anagrafico paragonabile a quello degli stati europei e comunque dell’Italia. In questo caso, il ricorso gli deve essere ugualmente notificato e la notifica va eseguita con il rito degli irreperibili di cui all’art. 143 cod. proc. civ.. Ovviamente, insieme al ricorso va assolutamente prodotta, cioè depositata in giudizio e offerta in comunicazione al giudice, la relazione dell’agenzia investigativa che dimostra appunto che, a seguito di apposite ricerche, la persona è irreperibile. Ciò perché ancora una volta la validità della notifica iniziale è un aspetto assolutamente e totalmente imprescindibile, che non può in alcun modo essere trascurato o gestito con scarsa cura ed attenzione. Il giudice deve essere messo in grado di giudicare la validità della notifica e l’unico documento che può consentire ciò è una relazione ben documentata.

Riassumendo, il primo passo è scegliere un’agenzia o un avvocato che possano seguire in modo serio ed accurato le ricerche del destinatario della notifica, ottenendo una relazione sulla rintracciabilità o meno dello stesso; il secondo passo è quello di procedere con la notifica, nelle forme che saranno state indicate dalle conclusioni della relazione.

L’errore da non fare assolutamente è quello di rimanere inerti: un vincolo di coniugio con una persona che non si sa dove sia è una mina vagante che può esplodere in qualsiasi momento e dare gravi grattacapi. Il problema non si risolve da solo con il trascorrere del tempo, anzi può diventare solo più grave, purtroppo.

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Ripudio islamico: può essere riconosciuto e validato in Italia?

Nella società multiculturale, l’immigrazione ha introdotto o proposto modelli e relazioni familiari sconosciuti o stranieri come la poligamia, il ripudio, la kafalah, ma anche e soprattutto il ritorno a relazioni coniugali, incentrati sulla potestà maritale, che caratterizzavano anche la società italiana prima del 1975.

Ciò costringe il nostro Paese a dover porre attenzione all’arcipelago famiglia indotto dall’immigrazione.
Tra le varie famiglie che compongono questo arcipelago, che sembra espandersi sempre di più, il numero più rilevante di conflitti coinvolge generalmente quelle musulmane sia perché costituiscono la maggior parte degli immigrati, sia perché gli istituti del diritto di famiglia islamico sono quelli più discordanti con la cultura dei diritti europei.

Si deve però precisare che parlare di diritto islamico è troppo generico e onnicomprensivo, posto che i singoli Stati disciplinano anche in modo differente molti istituti di diritto di famiglia, tra cui la poligamia e il ripudio, espressioni della mancata parità coniugale, che si manifesta anche nei rapporti con i figli, in materia di successione e in altre fondamentali libertà di coscienza (es. possibilità di contrarre matrimonio con un non mussulmano o professare una religione diversa).

L’immigrazione di religione islamica pone una serie di problematiche in merito alla compatibilità della Shari’a con il nostro ordinamento interno. Numerosi paesi islamici affidano alla legge religiosa la disciplina del diritto di famiglia ed è dunque la legge religiosa che il giudice italiano viene chiamato ad applicare, ma solo dopo aver verificato che non vi sia un contrasto con i principi di ordine pubblico di cui all’art. 16 della L. 218/1995, secondo cui «la legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico».

La shari’a configura il matrimonio come un contratto integrabile con condizioni e termini particolari, purché compatibili con i tratti essenziali dell’istituto. Tra le clausole ammesse rientra quella che riconosce alla moglie la facoltà di auto-ripudiarsi, determinando in autonomia la dissoluzione del vincolo coniugale. La moglie cui non sia concessa la facoltà di auto-ripudiarsi può comunque ottenere lo scioglimento giudiziale del matrimonio quando ricorra una delle condizioni previste a questo fine, quale la prolungata assenza del marito.
Il ripudio è una forma unilaterale (ad iniziativa solo maschile) di scioglimento del matrimonio, totalmente estraneo sia alla cultura nazionale che in quella degli altri paesi occidentali.

È un istituto che contrasta con i principi di parità ed uguaglianza tra uomo e donna sanciti dagli artt. 2 e 3 Cost., di non discriminazione per sesso derivabili dall’art. 14 della Cedu, con i principi di solidarietà familiare ex art. 29 Cost. e con le disposizioni in materia di doveri verso la prole ex art. 30 della Cost. Si differenzia inoltre dal ripudio ebraico poiché caratterizzato da un accentuato, se non esclusivo, aspetto unilaterale.

La nostra giurisprudenza afferma che il ripudio «è contrario all’ordine pubblico poiché discrimina i coniugi, essendo consentito solo al marito, il che viola palesemente i principi di parità e solidarietà coniugale; perché lede gravemente il diritto di difesa della moglie; perché astrae da ogni accertamento sul reale venir meno dell’affectio e sulla possibilità di una riconciliazione; perché non contiene alcuna statuizione, né patrimoniale né personale a favore dei figli, così come non regola in alcun modo i rapporti patrimoniali tra i coniugi successivi al divorzio.

Un ripudio – divorzio siffatto, infine non può essere trascritto nei registri anagrafici italiani e, se trascrizione vi è stata, essa deve essere cancellata a cura dell’Ufficio di stato civile».
L’immigrazione è la vera sfida del diritto e dei diritti a tutti i livelli, soprattutto nel diritto di famiglia, dove aspetti sociologici, antropologici e giuridici si fondono.
Il rischio di scontri tra tradizioni e culture giuridiche differenti appare inevitabile.

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Posso portare le mie due figlie all’estero?

sono una mamma di due bimbe di 10 e 13 anni. Do 15 anni convivo con loro padre . Per una situazione economica disastrosa ho proposto di ritornare tutti insieme inRepubblica Ceca, dove ho la mia famiglia che da anni ci sostiene economicamente. Lui non é d´accordo, vuole restare in Italia, e non vuole neanche che io me ne vado con le bimbe.La situazione é così precipitata che lui mi abbia costretto di andare via dalla casa senza le mie cose personali e lasciarli anche le chiavi. Visto che in Italia non ho dove andare per momento mi sono rifugiata a casa dei miei genitori ma senza le bimbe. Io ho sempre la cittadinanza ceca, le bimbe hanno tutte due, sia ceca che italiana, e anche i passaporti cechi. voglio sapere se portando le bimbe con me qui in Rep. Ceca, e poi fare qui la domanda di affido, questo sarebbe una sottrazione dei minori? E lui mi può buttare cosí via di casa dicendomi che se l´affitto é a nome suo, la casa é sua e io non ci posso stare se lui non vuole?

Non puoi fare da te in base a quello che ti viene in mente al momento.

Ci sono due minori, che sono le tue figlie.

Questo comporta che per fare qualsiasi cosa devi rivolgerti ad un tribunale che valuti se il tuo progetto di gestione della famiglia dopo la sua disgregazione sia corrispondente all’interesse delle tue figlie.

La cosa che dovresti fare per prima è incaricare un avvocato di tentare di raggiungere un accordo con il padre, per la presentazione di un ricorso congiunto al tribunale; se ciò non fosse possibile in tempi brevi, non rimarrebbe che presentare un ricorso di tipo giudiziale – contenzioso.

In questo ricorso, puoi anche chiedere di essere autorizzata a portare le tue figlie in Repubblica Ceca, ma devi dimostrare che il trasferimento è conforme al loro interesse, per motivi economici ma non solo.

Ti consiglio di cercarti prima possibile un avvocato, in Italia. Se non disponi di reddito sufficiente per compensarlo, forse puoi provare a farti ammettere al patrocinio a spese dello Stato.

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Separazione e divorzio da coniuge all’estero: come è meglio farli.

La strada migliore: farlo venire in Italia, offrendogli biglietto e soggiorno.

Con l’entrata in vigore ed a pieno regime degli accordi in house, per approfondire il funzionamento dei quali rimandiamo alla scheda relativa, il modo più rapido, meno stressante e meno costoso per separarsi o divorziare da una persona che risiede all’estero è quello, tutte le volte in cui è possibile, di far venire questa persona in Italia anche pagandogli il costo del biglietto aereo, per poi fare, appunto, in una unica soluzione, un accordo in house presso lo studio dell’avvocato.

Per fare questo tipo di accordo, peraltro, è sufficiente che il coniuge venga in Italia anche per un solo giorno, cosa agevole per chi si trova ad esempio in Europa, ma che potrebbe essere interessante anche per chi si trova al di fuori, come nel caso classico della Cina, ma ha pochi giorni da perdere perché lavora.

Cosa succede se il coniuge non vuole o non può venire in Italia anche pagandogli il biglietto?

Qui ci possono essere due possibilità, a seconda che il procedimento sia consensuale o giudiziale, cioè vi sia il consenso o meno dell’altro coniuge a fare la separazione o divorzio.

In caso si tratti di una pratica consensuale, si può tentare di fare la separazione o divorzio per procura, cosa di cui abbiamo parlato meglio in questa nostra scheda. Perché questo sistema può dare dei problemi ed è meglio invece tentare l’accordo in house? Perché innanzitutto richiede la collaborazione del coniuge che si trova all’estero, che deve recarsi presso le autorità consolari italiane a lui più vicine, cosa che spesso comporta la necessità di fare un viaggio (a meno che il coniuge non abiti nella capitale di un grande Stato) con lo stesso costo e disagio di quello che sarebbe necessario per venire in Italia. Inoltre, può darsi che sia le autorità consolari all’estero sia i magistrati una volta che vi si giunge davanti in Italia siano poco collaborativi e mettano i bastoni tra le ruote, con la necessità per noi avvocati di fare più lavoro, con conseguente lievitazione delle spese, che comunque di per sé sono già molto più alte rispetto ad un accordo in house.

Per questi motivi, se il biglietto aereo costa sino a 1.000, anche 1.500 euro, costa sempre meno, anche pagandogli il biglietto e il breve soggiorno, farlo venire in Italia e fare tutto nello studio dell’avvocato, con un accordo in house.

Se, invece, la pratica è di tipo giudiziale, si può depositare un ricorso per separazione o divorzio presso il tribunale competente, che andrà però poi notificato all’estero. Per fare questa notifica, naturalmente, bisogna innanzitutto conoscere l’indirizzo preciso di residenza del coniuge, si deve essere assolutamente rigorosi su questo e avere documentazione chiara al riguardo, perché sulle notifiche, specialmente in materia come questa, non si può assolutamente transigere, pena la invalidità dell’intero procedimento. Questo significa che, se non si conosce l’indirizzo preciso, o magari se ne conosce uno ma non si è sicuri che sia sempre quello, si deve necessariamente incaricare un’agenzia, di solito all’estero, di svolgere le relative indagini, oppure un avvocato, sempre del posto, per le indagini relative, con conseguente ovvia ed ulteriore lievitazione dei costi. La stessa notifica all’estero, poi, può presentare qualche difficoltà, specialmente se deve avvenire in paesi che non fanno parte dell’Unione Europea o non hanno firmato convenzioni con l’Italia. In ogni caso, una notifica su estero è un lavoro impegnativo per noi, richiede comunque più ore di studio e approfondimento, a volte molte ore, e questo determina un preventivo più alto, a volte sensibilmente più alto, rispetto ad una pratica che si svolge interamente in Italia. Ripeto: sulle notifiche non è assolutamente possibile transigere. Possono sembrare una sciocchezza, ma che ne direste di ottenere una sentenza di separazione o divorzio per poi vederla impugnata per un problema di notifica magari tra 10 o 15 anni e sentire un tribunale che dichiara che siete ancora sposati con una certa persona perché la causa di separazione e/o divorzio è invalida? E magari voi siete già morti e questa bella rogna se la devono gestire i vostri figli? Mi dispiace, ma noi non ci stiamo, non sarebbe serio.

Conclusioni.

Per tutti questi motivi, vi possiamo assicurare che se vi dovete separare o divorziare la strada migliore è sentire dal vostro coniuge se, eventualmente pagandogli il biglietto aereo e il soggiorno, anche per pochi giorni, anche uno solo al limite, sarebbe disposto a venire qui a fare la pratica di separazione o divorzio, con un accordo in house, per il quale abbiamo definito una apposita tariffa flat.

Solo se proprio non c’è verso di percorrere questa strada, potete chiederci un preventivo per fare una separazione o divorzio consensuale per procura (se il vostro coniuge, pur non essendo disposto a venire in Italia, è disposto a collaborare nel paese in cui risiede) oppure una separazione o divorzio giudiziali, con notifica all’estero.

Una precisazione per quelli che devono fare la separazione. Se fate la separazione con un accordo in house, dopo soli 6 mesi potete fare anche già il divorzio. È un ulteriore vantaggio, si velocizza tutto moltissimo. L’unico problema è che anche in questo caso bisogna far tornare il vostro coniuge in Italia: purtroppo non si possono fare separazione e divorzio insieme.

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Sono separato: che tipo di famiglia posso creare?

io sono separato da quattro anni e sono di religione mussulmana e la mia ex moglie è cattolica, vorrei sapere se è possibile risposarmi o fare una coppia di fatto con una donna mussulmana,ma lei non vive in italia , cosa e come dovrei fare per sposarla?

La religione non c’entra niente, bisogna far riferimento al diritto civile italiano, a meno che tu non abbia intenzione di regolare queste cose dal punto di vista appunto religioso, cosa che potrai sicuramente fare, ma che probabilmente non avrà efficacia per il diritto civile italiano menzionato.

Orbene, secondo le leggi italiane, se tu sei solo separato, ma non ancora divorziato, non puoi sposare nessuna donna. Devi fare prima il divorzio, per il quale peraltro sono già maturati i presupposti.

Quindi riassumendo puoi formare una famiglia di fatto, non basata sul matrimonio ma sulla mera convivenza, mentre non puoi sposarti.

Se tutto questo discorso sottintende lo scopo di far venire una donna nel nostro Paese, non credo che tu possa farlo con l’indicazione di una semplice convivenza ed in ogni caso sai che devi rispettare anche le leggi sull’immigrazione.

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Permesso di soggiorno: come rinnovarlo per più anni?

Come devo fare se un ufficio pubblico non applica una legge che è già entrata in vigore da un tempo. Praticamente devo rinnovare il mio permesso di soggiorno per tutta la durata del corso di studio come indicato sulla modifica apportata al decreto legge 104/2013. Chi devo contattare? Sono andato alla questura di Roma e mi hanno dato risposte incomprensibili e non adatte alla mia domanda.Io voglio rinnovarlo per ben 3 anni perché mi laureo tra 3 anni, e non ho voglia di pagare ogni anno (perché già ne ho pagati 2 in anno).

Ovviamente non puoi cambiare l’Autorità competente a tuo piacimento, ma devi rivolgerti a quella prevista dalla legge.

Se le risposte che hai ottenuto dalla Questura oralmente non ti sembrano pertinenti o corrette, puoi provare a fare la tua domanda per iscritto, inviando una pec all’indirizzo della Questura stessa dove indichi le motivazioni e le ragioni della tua domanda, chiedendo di indicarti il responsabile del procedimento e di terminare lo stesso entro il limite previsto dalla legislazione sul procedimento amministrativo.

Chiaramente, in questa fase sarebbe preferibile farsi assistere da un avvocato, ma altrettanto chiaramente dovresti pagarne tu il compenso, con molto scarse possibilità di recuperarlo in seguito, anche qualora l’Autorità competente dovesse riconoscere che hai ragione.

In ogni caso, dopo l’invio della pec deve valutare in base alla risposta (o mancanza di) da parte della Questura.

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Quanto tempo ci mette il tribunale dei minorenni a dare un’autorizzazione ex art. 31 T.U. stranieri?

Quanto tempo, di solito serve ad un giudice per fare il provedimento su Articolo 31 per il permesso di soggiorno ?? Il fascicolo e tutto in regola al Tribunale dei Minori a Bologna e aspetando gia 4 mesi c’e il rischio di aspettare di piu?

L’art. 31 del Testo Unico sull’Immigrazione – DLG 286/98 «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» – riconosce al tribunale il potere di autorizzare il rilascio di un permesso di soggiorno ai genitori di un minore straniero, qualora sussistano particolari esigenze di tutela, in deroga alle disposizioni ordinarie.

Secondo questa disposizione, infatti, «il tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia».

Purtroppo, i tribunali per i minorenni, essendo unici per tutto il territorio regionale, hanno un elevatissimo carico di lavoro, specialmente quello di Bologna con cui ho avuto a che fare molte volte.

Ad esempio per la regolamentazione di un affido, materia che oggi è per fortuna passata alla competenza del tribunale ordinario, diverse volte ho dovuto attendere più di un anno per la fissazione della sola prima udienza dopo il deposito del ricorso.

Ricordo anche, come esempio particolarmente negativo, un altro tribunale dei minorenni, dove per fare il provvedimento dopo l’udienza, nel corso della quale il giudice si era riservato, ci sono voluti quasi tre anni e si trattava sempre di regolare un affido, pertanto a mio giudizio materia di una certa ed oggettiva urgenza.

Purtroppo non ti so dire, i tempi variano molto anche a seconda del singolo giudice cui viene assegnata la pratica.

Se il ritardo dovesse protrarsi oltre quanto necessario per non avere problemi, ti conviene parlarne con il tuo avvocato per valutare se e ch cosa si può eventualmente fare.