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chi paga l’IMU per la casa dei genitori divorziati che viene trasferita ai figli con riserva di usufrutto di un solo genitore?

I miei genitori si sono separati nel 1998 e hanno divorziato nel 2003. La casa coniugale, metà di mio padre e metà di mia madre, è stata assegnata a mio padre (non è stata pero’ fatta la trascrizione dell’assegnazione al catasto) . Nel 2004 i miei genitori hanno fatto, a me e a mio fratello (all’epoca eravamo entrambi minorenni) la donazione del loro rispettivo 50%. Mio padre però sul suo 50% ha tenuto l’usufrutto e vi risiede, mentre noi abbiamo residenza da un’altra parte. Dall’ufficio del catasto risulta alla voce “diritti e oneri reali” che sia io che mio fratello abbiamo la nuda proprietà, ognuno per 1/2 e proprietà per 1/4. Ho letto che l’Imu in caso di divorzio viene pagato dall’assegnatario della casa, ma cio è valido anche nel nostro caso dove sono state fatte successivamente le donazioni?

Premetto che quella fiscale non è la mia materia, per cui l’avvertimento, che facciamo sempre, di verificare ogni cosa con un professionista del settore, e cioè in questo caso un fiscalista, in questa ipotesi vale anche a maggior ragione.

Dunque, innanzitutto il divorzio non c’entra più niente, essendo un fatto oramai esaurito ai fini del discorso impositivo odierno. Quella che rileva è la situazione proprietaria attuale. Di solito, le imposte sulla casa (IRPEF, vecchia ICI, ecc.) sono collegate dalla legge a chi è titolare di un diritto di proprietà o di un altro diritto reale sulla casa stessa, nel senso che se c’è una piena proprietà, senza diritti reali a favore di terzi, chi paga è il proprietario, mentre se ci sono diritti reali, come ad esempio l’usufrutto, chi paga è il titolare di questi diritti.

Quindi nel vostro caso probabilmente le cose stanno così: tu e tuo fratello dovete pagare l’IMU ciascuno per il 25% del totale, mentre vostro padre per il restante 50%. Tenete presente che lo Stato, in caso ci siano più coobbligati, non rispetta le ripartizioni tra di loro ma può chiedere l’intera imposta indifferentemente a ognuno di loro. Così ognuno di voi, in caso di mancato pagamento, potrebbe essere chiamato a pagare tutta l’IMU e sarebbe poi affar suo andare a recuperare le parti di competenza dagli altri «co-obbligati».

Al di là dell’aspetto giuridico, a mio giudizio va considerata anche la situazione attuale della casa e cioè da chi è abitata o comunque goduta. Se ci abita ancora vostro padre, ad esempio, è giusto che l’IMU la paghi lui, in tutto o in parte; se invece ci abiti tu o tuo fratello, nonostante l’usufrutto di tuo padre, che gli darebbe diritto di abitarci, forse non è giusto fargli pagare l’IMU perchè lui potrebbe chiedervi di pagare mensilmente la metà di quello che sarebbe un canone mensile di locazione.

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si perde il patrocinio a spese dello Stato se si viene posti a carico della madre che ha un reddito superiore al limite?

L’anno scorso ho chiesto ed ottenuto il gratuito patrocinio per cause contro mio padre. I miei sono separati, io vivo da sola, ho la residenza per fatti miei ma non ho alcun reddito (ho il mantenimento di mio padre di 300euro al mese). Mia mamma nella sua dichiarazione dei redditi del 2011 non sa se continuare a pormi o meno a suo carico, lei ha un reddito che supera i 10 mila e rotte euro. Cosa deve fare? Se mi pone a suo carico (come fatto sempre) rischio di perdere il gratuito patrocinio? Il mio avvocato mi ha rinviato ad un commercialista..e quest’ultimo all’avvocato.

Secondo me, in primo luogo, tua madre non può metterti a suo carico, dal momento che come dici tu vivi da sola e quindi hai costituito, sia pur con pochi mezzi, un nucleo familiare a sè stante. Questo, comunque, è un aspetto che effettivamente può essere meglio valutato da un commercialista, essendo attinente alla materia fiscale, soprattutto per quanto riguarda la posizione di tua madre.

Ammettendo per un attimo che fosse giusto e corretto da parte di tua madre metterti ancora a suo carico, se il reddito si somma perdi il diritto al beneficio, mentre lo conservi in caso contrario. Il reddito non si somma quando le cause riguardano diritti della personalità o altre posizioni in cui il titolare del beneficio si trova in conflitto di interesse con gli altri membri della famiglia. Ti consiglierei di andare a parlarne con il consiglio dell’ordine che ti ha fatto l’ammissione a suo tempo, esponendo chiaramente la situazione e sentendo anche da loro quale sarebbe l’orientamento sul punto.

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quando si deve pagare un contributo unificato di 1.446 euro da «convenuto» solo per potersi difendere

Ieri mattina siamo andati al Tribunale di Reggio Emilia per depositare una comparsa di costituzione con relativo fascicolo in un procedimento per sinistro stradale con esito letale in cui il nostro assistito è stato convenuto per il risarcimento del danno. In quella occasione, abbiamo appreso di una modifica alla disciplina del contributo unificato entrata in vigore il 1° gennaio 2012, che non è stata adeguatamente focalizzata dalla mia categoria, quella forense, e dalla generalità degli utenti.

Nella nostra comparsa, infatti, dal momento che pare che nel fatto in questione vi sia la responsabilità di terzi, abbiamo chiesto l’autorizzazione a chiamare in causa questi terzi; secondo le nuove disposizioni, in tali casi, anche se non viene nè aumentato il valore della domanda, nè modificata la stessa, occorre pagare un nuovo ed ulteriore contributo unificato commisurato al valore della domanda.

Siccome nella chiamata in manleva o in garanzia di terzi il valore della domanda è sempre quello determinato dall’attore originario nel suo atto introduttivo, non ho potuto fare altro che dichiarare lo stesso valore, circa 2 milioni di euro, e applicare il corrispondente contributo, pari a 1.446 euro, già pagato dall’attore al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento.

Praticamente, per questo procedimento lo Stato ha già incassato 2.892 euro. Siccome, poi, i terzi che ho chiamato in giudizio chiameranno a loro volta in causa le rispettive compagnie di assicurazione, immagino che ci saranno altrettanti, ulteriori, contributi unificati da versare. I terzi da me chiamati sono 3 (tre), quindi 4.398 euro, che assommati a quelli già pagati fanno un totale di 7290 euro. Non male, direi che sia più o meno pari allo stipendio di un magistrato ipotizzando che lavori tutti i giorni del mese su questo caso.

Forse conveniva davvero fare un arbitrato…

Ho provato anche a far notare alla funzionaria di cancelleria che nella mia comparsa di costituzione io ho, come prevede la legge, solo fatto domanda di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo e che, semmai, il contributo unificato potrebbe essere dovuto al momento in cui, dopo essere stato debitamente autorizzato ed aver citato i terzi, vado a depositare gli atti di citazione in cancelleria, ma non c’è stato niente da fare, mi ha detto che il contributo è dovuto anche se poi il giudice non autorizza, con il chè uno pagherebbe, se si dovesse mai verificare questa ipotesi, sostanzialmente per niente.

A parte la sostanziale ingiustizia di chi deve pagare un contributo unificato solo per potersi difendere, senza fare nessuna domanda nuova nè aumentare il valore della controversia, ma subendo del tutto passivamente una quantificazione fatta dall’attore, resta da vedere quale sarà la qualità del «servizio-giustizia» che sarà reso adesso all’utente, sul quale naturalmente non mi faccio troppe illusioni.

Mi sembrava giusto parlarne ed evidenziare il fatto.

sono possibili le società tra professionisti che si occupano di materie diverse?

collaboro stabilmente con un avvocato che si rifiuta di apprendere l’uso degli strumenti informatici e di associarsi ad altro collega più pratico di informatica; potrei senz’altro penso entrare in società con lui come collaboratore, ma in tal caso potrei esercitare la mia professione di consulente informatico come socio anche con clienti terzi (non clienti dell’avvocato) o potrei/dovrei mantenere due posizioni fiscali distinte ? o essendo socio solo ausiliario non potrei poi esercitare la mia attività con estranei ? allo studio collabora anche un traduttore per documenti provenienti dall’estero e clienti stranieri, che sono la maggior parte, ma con lo stesso dubbio/problema mio. Infine vi sarebbe anche un amministratore di condomini, professionista pure lui non iscritto a nessun albo, che, già condividendo i locali, potrebbe esser interessato a far parte di una società tra professionisti. So che bisognerà attendere un regolamento ministeriale, ma Lei cosa ne pensa al momento ? La legge, secondo Lei, consente la società tra professionisti iscritti ad un albo regolamentato e professionisti non iscritti a nessun albo con pari grado/dignità ? Ritengo sia un problema di interesse generale per i professionisti, sopratutto per quelli, come me e molti altri, non iscritti a nessun albo (si pensi solo alle centinaia di migliaia di mediatori a cui per legge è stato lo scorso anno abolito l’albo professionale e che collaborano stabilmente con i geometri).

Sul punto non sono molto preparato perchè ho sempre diffidato, in campo professionale, dalle forme associative e societarie. A tutt’oggi, il nostro studio è composto da professionisti titolari ognuno di una propria partita IVA e di una propria posizione fiscale correlativa, si collabora sui singoli casi e si affrontano, dividendole, le spese volta per volta.

È un fatto sociale prima ancora che giuridico, nel nostro Paese, a differenza che nel resto d’Europa, si tende più a preferire la piccola bottega, che sia però molto autonoma, rispetto alle aggregazioni, di fronte alle quali c’è sfiducia. E si tratta di un aspetto generalizzato, per cui se anche io, ad esempio, mutassi orientamento, non riuscirei probabilmente a realizzare aggregazioni di spessore per la scarsa fiducia al riguardo che c’è in giro.

È per questi motivi che in Italia fioriscono maggiormente i «circuiti» o «network», strutture snelle e leggere che creano vincoli associativi molto elastici tra professionisti che rimangono indipendenti, in modo da avere qualche beneficio dall’organizzazione più grande senza i molti difetti, che peraltro si stanno identificando e riconoscendo sempre più anche nei paesi per lo più di tradizione anglosassone dove questo tipo di strutturazione è più diffusa.

Quindi io non so rispondere con precisione alle tue domande, per le quali comunque sarebbe preferibile che tu interpellassi un commercialista, ma ti posso lasciare con il consiglio di rimanere più libero che puoi di fare, nel rispetto della legge, quel che ti pare, senza lacci e lacciuoli. Non importa se iscritto o meno ad un albo, un libero professionista ha senso e valore solo se può operare con la massima autonomia possibile, libero di dire di sì quando crede e di no quando lo ritiene più opportuno.

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se si ha una casa affidata al coniuge se ne può acquistarne un’altra col beneficio prima casa?

Sono separato legalmente da mia moglie. Ho due figli a cui corrispondo l’assegno di mantenimento. La casa è di mia proprietà avendola acquistata prima del matrimonio ed è stata data come dimora a mia moglie. Adesso con la mia nuova compagna avremmo intenzione di acquistare casa. Volevo sapere se posso acquistarla come prima casa o come fare per acquistarla come dimora dove andrò a risiedere.

La questione è di tipo fiscale e, come tale, esula abbastanza dalla nostra competenza come avvocati civilisti. Il consiglio è quello di interpellare un notaio, dal quale comunque dovrete passare per acquistare la nuova casa, oppure direttamente l’agenzia delle entrate, anche via mail – io stesso ho avuto occasione di chiedere chiarimenti via mail all’Ufficio di Modena, ricevendone risposte complete ed esaurienti.

A seguire solo alcuni spunti di riflessione, da verificare nei modi di cui sopra.

Il problema, naturalmente, risiede nel fatto che il proprietario dell’immobile non ha una effettiva disponibilità del bene a seguito della sentenza di separazione tra i coniugi che assegna la casa ad uno dei due per viverci con i figli; molto spesso nella pratica si ha, proprio come nel caso del nostro lettore, un marito proprietario dell’immobile e la moglie che vive a casa con i figli.

Questa ipotesi tuttavia non è chiaramente regolamentata dal legislatore fiscale nonostante sia molto ricorrente. L’agevolazione prima casa nel caso di coniugi separati sembrerebbe esclusa nel caso in cui la nuova casa sia situata nello stesso comune dove il soggetto ha la casa assegnata alla moglie. In pratica, il discorso è questo: se ti separi e vuoi le agevolazioni prima casa devi cambiare comune.

Più nello specifico, il problema è la durata del provvedimento di assegnazione, dal momento che lo stesso deve durare almeno cinque anni per rispettare sostanzialmente le previsioni attualmente vigenti per il beneficio prima casa, altrimenti una persona potrebbe ad esempio nel 2010 acquistare una nuova casa con il beneficio e, magari, due anni dopo nel 2012, recuperare anche la disponibilità della vecchia casa, ad esempio perchè i figli sono nel frattempo diventati autosufficienti ed usciti di casa. Per questo si propone che la legge preveda la concessione dei benefici anche per l’acquisto della seconda casa, che verranno tuttavia revocati nel caso in cui il titolare riacquisti la disponibilità della casa precedente entro cinque anni. Ma allo stato è solo una proposta.

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Chi paga l’ICI in caso di assegnazione della casa coniugale ad uno dei due coniugi?

Sono separata dal 2001 e l’assegnazione della casa,di proprieta’ al 50%, e’ andata al mio ex marito. Nell’atto di separazione tutti gli oneri relativi alle spese condominiali sono a carico del mio ex marito. L’anno scorso il Comune mi ha inviato un’accertamento in rettifica per parziale versamento/infedele denuncia per ICI anno 2006 e anno 2007 di € 760. Ho contattato l’ufficio tributi contestando l’addebito e mi hanno risposto che in base ad un recente decreto ero tenuta a pagare i tributi ICI per quei anni.Cosa che ho fatto. Qualche giorno fa ho ricevuto da Equitalia una cartella per omesso versamento ICI anni 2004 e 2005 di € 840. Ho chiesto una copia dell’atto perche’ non l’ho ricevuto.Risulta che l’accertamento e’ stato notificato dal messo comunale il 9 novembre 2009 e non trovandomi ha dichiarato nell’atto che sono “Sconosciuta utilizza residenza conosciuta”. Premetto che in quel periodo stavo facendo un trascolo, andavo e venivo e avevo richiesto il servizio seguimi per ricevere la posta nel caso non ci fossi in casa. Sicuramente faro’ delle verifiche per capire come sono andate le cose, ora il mio dubbio e’ se devo pagare o meno l’ICI per gli anni 2004 /2005 o se spettano al mio ex marito, anche perche’ sul web qualcuno dichiara che anche gli anni 2006/2007 sono a carico del mio ex marito. 

Allora, la domanda suesposta pone l’interrogativo sull’individuazione del soggetto a cui spetta il pagamento dell’ICI in caso di assegnazione della casa coniugale ad uno dei due coniugi comproprietari dell’immobile. Ad entrambi, secondo un’opinione maggioritaria. Eventuali accordi privati, omologati dal Giudice in caso di separazione, hanno un valore appunto unicamente tra le stesse parti e possono generare eventuali azioni di rivalsa tra gli ex coniugi.

Ciò posto vi è un’opinione minoritaria che riconosce, in caso di assegnazione della casa coniugale, l’insorgere in capo al coniuge assegnatario di un vero e proprio diritto reale che imporrebbe allo stesso anche il pagamento degli oneri reali come appunto l’ICI.  Per tale opinione minoritaria, pertanto, il pagamento dell’ICI competerebbe al marito per tutti gli anni di arretrato.

Consiglio comunque all’utente di rivolgersi di nuovo al Comune portando con sè il verbale di separazione omologato con il quale viene assegnata la casa coniugale e di chiedere di nuovo spiegazioni.

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quando il ricorso in commissione tributaria viene rigettato per una formalità

Scrivo in merito ad un ricorso da me presentato alla commissione tributaria provinciale per bolli auto del 2002. La commissione considera inammissibile il ricorso con la seguente motivazione: il contribuente non ha fornito la prova di aver notificato il gravame alla Regione Lombardia ai sensi dell’articolo 20 del d.p.r. 546/92. Questo vuol dire che dovevo inviare anche una copia del ricorso alla regione Lombardia? Nelle istruzioni presenti sulla cartella di pagamento vi era scritto che era sufficiente l’invio con raccomandata con ricevuta di ritorno alla commissione, non si parlava di inviarne una copia anche alla regione Lombardia. E’ possibile fare ricorso in appello? E se si, con quale motivazione?

Esatto, avresti dovuto notificare anche alla regione Lombardia e poi depositare il ricorso notificato in commissione tributaria. Queste, purtroppo, sono le cose che succedono quando ci si difende da soli e non ci si rivolge ad un professionista legale. Il nostro sistema giudiziario non è configurato per essere utilizzato da persone prive di adeguata preparazione tecnica, dal momento che è disseminato di oneri richiesti dalle procedure in mancanza di assolvimento dei quali i ricorsi non vengono, come in questo caso, nemmeno esaminati.

Questo non vuol essere un rimprovero nei confronti del nostro utente, che, dovendo fare un ricorso per tasse di circolazione non dovute, per forza non si è rivolto ad un legale: avrebbe speso di più di quello che sarebbe stato il suo «ricavo», potendo sperare solo nella condanna dell’amministrazione al rimborso delle spese, sulla quale non c’è però nessuna garanzia. Questo non è giusto.

A mio giudizio non ci sono gli estremi per appellare, dal momento che è stata violata una norma procedurale fondamentale; l’unica questione che si potrebbe coltivare sarebbe quella della eventuale «fuorvianza» delle istruzioni per impugnare contenute nella cartella di pagamento, ma temo che sarebbe agevole replicare che queste indicazioni non possono contenere tutte le regole di procedura, ma solo il riconoscimento che la cartella possa essere impugnata, dopodichè l’utente deve o informarsi adeguatamente in proprio o rivolgersi ad un professionista.

Di solito, problemi di questo genere sono evitati grazie alla sensibilità dei cancellieri, che aiutano di più le persone che si gestiscono da sole, ma non è un loro dovere, nè una loro competenza controllare la regolarità formale degli atti.

Un motivo in più per valutare di procurarsi una bella forma di tutela giudiziaria.

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tassati anche separazioni, divorzi, procedimenti di famiglia, anche in caso di soluzioni consensuali

https://twitter.com/#!/gmboccanera/status/89855018404020226

Un tweet del commercialista Gian Marco Boccanera evidenzia che con la manovra entrata in vigore il 6 luglio scorso è stato previsto il pagamento del contributo unificato anche per i procedimenti di famiglia, compresi separazione e divorzio anche quando basati sulla presentazione di una domanda congiunta e quindi in un contesto di consensualizzazione.

La somma è abbastanza ridotta, si tratta di 37 euro, ma comunque rimane un intervento privo di logica, specialmente laddove colpisce le soluzioni consensuali, che invece andrebbero favorite sotto tutti i profili. Va ricordato che la legge sulla mediazione civile obbligatoria riconosce vantaggi fiscali, anche se solo in forma di credito d’imposta, a chi raggiunge effettivamente un accordo; la stessa logica dovrebbe, a maggior ragione, valere per i procedimenti familiari, che a volte sono ancora più delicati e dove la mediazione e consensualizzazione possono essere ancora più fondamentali.

Può darsi che la disposizione venga mandata alla Corte costituzionale, che già in passato ha avuto occasione di sradicare disposizioni che prevedevano la tassazione di procedimenti di famiglia, come ad esempio la norma che prevedeva l’obbligo di registrazione dei provvedimenti in materia di separazione. Staremo a vedere, intanto bisogna pagare.

Ovvero che questo è il Governo che aveva solennemente promesso che non avrebbe introdotto alcuna nuova tassa, anzi che avrebbe dovuto, secondo il programma, addirittura abbassare la pressione fiscale. Sempre come osservazione «a latere», si potrebbe anche ricordare che la stessa Costituzione prevede che le imposte debbano essere ancorate alla «capacità economica» di chi le deve pagare e resta, dunque, il mistero di come mai una persona la cui famiglia si disgrega e che va, perciò, incontro ad uno dei periodi probabilmente più brutti della sua vita, possa essere ritenuto uno che ha appena «guadagnato». Tutto ciò senza istituire nemmeno un briciolo di servizio, che avrebbe in parte giustificato un aumento del carico, come uno sportello di indirizzo e orientamento alla mediazione, come è stato fatto, sempre grazie ai soliti volontari, a Lamezia terme.

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Donazione e azione revocatoria

Premetto che nell’ anno 1993, mi suocero ha donato a mia moglie la proprietà di ½  relativa a due appartamenti, l’altra quota di ½ era gia intestata a me, si è riservato il diritto di abitazione su uno di essi, sull’altro abito io con mia moglie e mio figlio e sono liberi da ipoteche, pignoramenti o altro. Dato che mio suocero aveva una azienda artigiana , trovandosi in difficoltà finanziarie ha accumulato parecchi debiti soprattutto con inps per contributi di dipendenti, alcui anche anteriori all’atto di donazione ed  ha subito vari pignoramenti mobiliari, dato che Equitalia gli ha recentemente rinotificato cartelle esattoriali per i vecchi debiti, vorrei sapere se l’atto di donazione fatto quasi diciotto anni fa può essere in qualche modo impugnato da Equitalia o dall’agenzia delle entrate per potersi rivalere  su quegli immobili?

Il terzo creditore, il quale ritiene di essere stato danneggiato da un atto di disposizioni del patrimonio compiuti dal debitore, nel nostro caso una donazione, può tentare di revocare lo stesso atto con un’azione, detta appunto “azione revocatoria”, prevista dall’art. 2901 del cod. civ., che però si prescrive in 5 anni dall’avvenuto compimento del medesimo atto.  Nel caso prospettato dal nostro utente questo termine si è da tempo consumato e l’azione pertanto si è prescritta.

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l’imposta di registro negli acquisti immobiliari tramite asta giudiziaria

Se si acquista un appartamento ad un’asta giudiziaria e su richiesta della parte acquirente (resa al Giudice dell’esecuzione e inserita nel corpo del decreto di trasferimento) è consentito l’utilizzo come base imponibile ai fini dell’imposta del registro il VALORE CATASTALE anziche anzichè IL PREZZO D’AGGIUDICAZIONE D’ASTA?

La risposta non la so, essendo la materia fiscale una di quelle che non tratto se non in casi particolari. Avendo però anche io acquistato all’asta un immobile, per esperienza personale posso dirti che ho avuto anche io una questione fiscale relativa all’acquisto, più in particolare trattavasi dell’applicabilità del beneficio prima casa a due immobili acquistati tramite asta che poi sono stati uniti, che sono riuscito a risolvere positivamente andando a parlare direttamente con l’Agenzia delle Entrate.

Quindi ti consiglierei di andare a sottoporre la questione all’Agenzia delle Entrate competente e, solo in seguito, se non otterrai soddisfazione, potrai rivolgersi ad un commercialista per studiare ancora più approfonditamente la questione.