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il compenso dell’agente immobiliare

Ho chiesto ad un agente immobiliare di cercarmi casa per affitto. Ho visitato il locale, firmato preliminare, versato anticipo al proprietario e parcella agente (540 euro). Annullato il contratto per difetto, e recuperata l’anticipazione versata al proprietario, l’agente si è però rifiutato di restituirmi la parcella che gli avevo pagato. Posso esigere la restituzione perchè non è stato raggiunto buon esito? Gianmarco, mail.

L’attività dell’agente immobiliare va ricondotta nell’ambito della cd. “mediazione”, in virtù della quale un soggetto “mette in relazione due o più parti, senza essere legato a nessuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza, o di rappresentanza”.

A questo proposito, è previsto che le parti debbano corrispondere al mediatore la provvigione pattuita, nel momento in cui venga concluso l’affare per effetto del suo intervento. La giurisprudenza, a tal proposito, si è pronunciata nel senso di ritenere che il compenso maturi già dal momento della stipulazione del preliminare, in quanto atto in virtù del quale si costituisce un vincolo che dà diritto ad agire per l’adenmpimento del patto.

L’art. 1756 c.c., poi, espressamente prevede il diritto dell’agente di essere tenuto indenne (quantomeno) delle spese, ad opera della parte per incarico della quale le abbia sostenute, nel caso in cui, per qualunque motivo, l’affare non venga concluso. Questa previsione copre OGNI IPOTESI di mancata conclusione del contratto, ivi compresa quella dell’esistenza di una causa di invalidità del contratto.

Alla luce di quello che mi ha detto, e di queste considerazioni, quindi, ritengo che non sussista alcuna sua legittimazuone ad ottenere  la restituzione della somma versata all’agente.

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il trasferimento della proprietà immobiliare tra genitore e figlio

Mio padre è in possesso di circa 1 ha di terreno sul suolo demaniale, dove ha costruito nel 92′ una casa abusiva, condonata, di 100 m2, che ora vorrebbe intestare a me. Vorrei sapere se per il passaggio del POSSESSO tra genitore e figlio in questo caso ci vuole un vero e proprio atto notarile, firma davanti ad un notaio e se ci vuole anche consenso degli altri fratelli (siamo 4 figli), oppure basta una scrittura privata, un accordo tra padre e figlio, senza altre firme dei parenti. Poi vorrei sapere se sarà meglio un atto di compravendita o una donazione dell’immobile, vorrei prevenire così eventuali disguidi futuri con i miei fratelli, che non hanno mai mostrato il benchè minimo interesse per la ristrutturazione della casa e non hanno mai partecipato alle migliorie fatte da me all’appezzamento in questione. Grazie. (Fabio, mail).

Se l’intenzione di suo padre è di intestare a lei il suo terreno, dal momento che agli altri figli non interessa, si tratta di trasferimento non del possesso, ma della vera e propria proprietà, a meno che suo padre non intenda mantenere la cd. nuda proprietà del terreno, e lasciare a lei l’usurutto.

In questo caso, il nostro codice civile prevede che vengano stipulati per atto pubblico soggetto a trascrizione tutti gli atti che costituiscono il diritto di usufrutto su beni imobili.

In ogni caso, comunque, dal momento che, come mi dice, ci sono altri fratelli, con i quali potrebbero sorgere disguidi, la cosa migliore per lei sarebbe l’acquisto del terreno, in quanto la costituzione dell’usufrutto a suo favore su quella quota del patrimonio di suo padre potrebbe ledere i diritti di legittima spettanti per legge agli altri eredi, nel momento in cui suo padre venisse a mancare. In quel caso, pertanto, il suo diritto sul terreno potrebbe essere pregiudicato dall’eventuale azione di riduzione che i suoi fratelli potrebbero esperire: infatti le donazioni fatte dal de cuius agli eredi nel corso della vita sono soggette a riduzione, se risulta che il loro valore ha ecceduto la quota di cui il testatore poteva disporre.

Il mio consiglio, pertanto, vista la delicatezza della situazione, è di valutare con cura il modo in cui poter procedere, magari con la’assistenza di un consulente.

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problemi con l’allacciamento fognario

La mia abitazione che è in fase di ristrutturazione è collocata in un cortile promiscuo con altre proprietà, i rapporti con i vicini non sono dei migliori. In questi giorni ho presentato all’amm.ne comunale domanda di allaccio fognario; l’ufficio tecnico ha richiesto di integrare la domanda con una serie di documenti, presumo sulla base di osservazioni fatte dai “cari vicini”, come riferito in precedenza verbalmente dall’impiegato comunale. Descrivo la situazione:
– l’attacco alla fogna è stato predisposto e pagato interamente dal mio precedente proprietario, 20 anni fa;
– l’accesso alla fogna è situato su un muro di confine con altra proprietà, il proprietario ha concesso il passaggio sul proprio giardino;
– l’attacco dista dal mio immobile 30 centimetri;
– l’attacco in questi anni è stato utilizzato principalmente per lo scolo delle acque metereotiche del cortile promiscuo;
– ho presentato la richiesta di allaccio al comune, specificando che nella fogna comunale confluiranno esclusivamente i reflui dell’immobile (acque gialle e nere), le acque metereotiche saranno raccolte in una vasca per irrigare il mio orto;
Il comune ha richiesto di integrare la domanda con la seguente documentazione: ” Documenti di assenso all’utilizzo dello scolo delle acque metereotiche quale allaccio fognario di acque reflue da parte degli aventi diritto della corte promiscua, nonchè del proprietario del terreno attraversato dalla tubazione di scarico stessa. Si ritiene che la condotta adibita allo scolo delle acque bianche possa assolvere al compito di allaccio delle acque reflue, comunque ai fini igienico-sanitari. Data la vetustà di detta tubazione si auspica che la stessa venga reintubata con altra in pvc”. Premesso che i miei “cari e simpatici vicini” difficilmente saranno “gentili e disponibili”, chiedo: 1) Può il Comune chiedere una dichiarazione che interagisce sulla proprietà privata? 2) La mia decisione di non installare una ulteriore fossa biologica (inquinante e non funzionale) e riutilizzare le acque metereotiche (obbligo previsto dal regolamento comunale), è vietato utilizzare per lo scolo di dette acque le fogne comunali, la mia richiesta è in linea con i miei principi di ecologia, può essere penalizzata da un “impiegato comunale”? 3) Il mio diritto di servitù (passaggio delle tubazioni sulla proprietà) dopo 20 anni è un diritto reale? Grazie per l’attenzione e ringrazio anticipatamente. (Silvano, mail)

Per quanto riguarda le prime due domande, forse sarebbe più opportuno che si rivolgesse ad un geometra, che magari si occupa quotidianamente di rapporti con gli uffici comunali deputati alla gestione di queste pratiche.

Per quanto riguarda la terza delle sue domande, ciò che probabilmente lei intende sapere è se dopo 20 anni lei abbia acqusito il diritto di servitù. A questo proposito le posso dire che uno dei modi di acquisto cd. “volonatari” delle servitù è appunto l’utilizzo prolungato e continuato per almeno 20 anni dell’opera (stradello, passaggio, tubi…) in cui si estrinseca l’utilità del fondo gravato da questo “peso” rispetto al fondo dominante. E’ necessario però che le opere siano visibili (il legislatore parla di “apparenza”), permanenti, e destinate inequivocabilmente ad offrire un’utilità o un vantaggio al proprietraio del fondo dominante (e comunque siano rivelatrici dell’onere).

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la servitù per lo scarico delle acque

Ho acquistato l’anno scorso una casa con regolare contratto notarile (E NEL CONTRATTO NON FIGURAVA NESSUNA SERVITU’), e solo pochi mesi fa mi sono accorto di avere nel mezzo del mio giardino un tombino (lo scarico delle acque chiare che va a finire nel fognone di tre famiglie)!! UN TOMBINO SOLO DI ISPEZIONE MA CHE RIMANE AL CENTRO DEL MIO GIARDINO. Cosa devo fare? Posso chiuderlo? Posso chiedere una servitù ai vicini? A colui che me l’ha venduta? O che altro? Mi puo’ consigliare? Saluti. (Carlo, mail)

In questo caso, anche se nell’atto notarile di compravendita non risulta la presenza di alcuna servitù a carico della proprietà che ha acquistato, ciò non esclude necessariamente la sussistenza di un obbligo di servitù gravante sul suo fondo a favore dello scarico delle acque chiare dei suoi vicini. La normativa che disciplina le servitù, infatti, prevede la possibilità che le servitù possano essere acquistate, oltre che coattivamente (per effetto, cioè, di un provvedimento dell’autorità giudiziaria), anche volontariamente.

La prima tipologia di servitù si ispira all’esigenza, avvertita dal legislatore, di dare riconoscimento coattivo a servitù di passaggio per “acque di ogni specie”, mediante una pronuncia giurisdizionale che determini siffatto “peso” a carico del fondo servente.

All’interno della seconda categoria, invece, vi sono due modi di acquisto delle servitù, in cui, a dire la verità, si prescinde quasi completamente dalla volontà del proprietario del fondo servente. Il primo consiste nell’utilizzo continuato e prolungato per almeno 20 anni delle opere cd. “apparenti”, cioè visibili, in cui si estrinseca la servitù. Il secondo, invece, dipende dalla cd. “destinazione del padre di famiglia”, e si individua nel momento in cui vi siano due fondi attualmente divisi (su uno dei quali in siste un’opera destinata a servire il fondo attiguo), ma in origine appartenenti ad un unico proprietario: in questi casi, appunto, la leggeasseconda l’originaria volontà del proprietario, affinchè quell’opera continui a garantire la sua efficacia servente per l’utilità dell’altro fondo.

Nel suo caso, quindi, occorrerebbe accertare se, indipendentemente dalla mancanza di un’esplicita pattuizione nell’atto notarile, ricorra tuttavia una delle condizioni predette, che abbia comunque determinato l’acquisto della servitù nel suo giardino da parte dei suoi vicini.

In questo caso, non credo che si possa ottenere un risarcimento del danno patito facendo presente al suo alienante la presenza di detto tombino (il quale, comprensibilmente, diminuisce l’utilità che lei può trarre dall’immobile acquistato, e quindi il valore del medesimo). In questo caso, infatti, non si tratta di una servitù “non apparente”, la cui esistenza sia stata da lei appresa solo dopo l’acquisto, a causa dell’atteggiamento reticente, e quindi contrario all’obbligo di buona fede, dell’alienante,  In realtà, invero, il tombino che disturba la sua proprietà, come mi scrive, si trova proprio “in mezzo” al giardino, quindi si presume che fosse ben visibile.

Il nostro Codice Civile prescrive che le parti contraenti, nel corso delle trattative, si comportino secondo buona fede; in particolare, la parte che sia a conoscenza di eventuali cause di invalidità del contratto è tenuta ad informarne l’altra: tuttavia, tale previsione non credo possa trovare accoglimento ai fini di una pretesa risarcitoria da parte sua.

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l’eee pc con disco a stato solido

Gentilissimo avvocato Solignani, la ringrazio per il lavoro sul suo blog, con particolare attenzione ho seguito la sezione in cui parla dell’ eee pc dell’ASUS, forte delle motivazioni scritte da lei, ho deciso di acuistare anche io la macchina sopra descritta presso il negozio affiliato all’iniziativa del Ministero, BOW.it. Ad una loro prima mail nella quale mi dicevano l’impossibilità di applicare tale iniziativa alla macchina scelta, mi sono permesso di indicare le sue indicazioni trovate sul suo blog e inoltrarle al negozio. Dopodichè mi hanno mandato un altra mail nella quale mi hanno scritto: “Buonasera, Le comunico che tra i requisiti per beneficiare del Contributo di 200 € previsti dal Ministero e’ prevista la presenza di un’unita’ disco rigido interno. L’asus EEE PC utilizza un particolare supporto chiamato solid state disc non assimilabile a questa categoria. Per questi motivi non possiamo elargire questo contributo.” Ora a me pare che qui ci sia un pò una presa in giro e soprattutto un modo continuo di svincolare queste poche e rare belle iniziative dello Stato. Le chiederei cortesemente, se possibile, di sapere come secondo lei mi dovrei comportare. La ringrazio molto per il tempo dedicatomi e le auguro una buona giornata cogliendo l’occasione per ringraziarla del lavoro che sta svolgendo. (Marco, mail)

Un Disco a stato solido (dall’inglese Solid state disk, comunemente abbreviato SSD) è un dispositivo di archiviazione dati che utilizza unicamente la “Fisica dello stato solido” per la memorizzazione delle informazioni digitali. La parola disco, contenuta nel nome, non deve trarre in inganno: il dispositivo non contiene alcuna parte meccanica e nessun disco magnetico, come nei “Disco rigido” convenzionali, per questo motivo è più corretto, anche se meno intuitivo, chiamare il dispositivo Drive a stato solido (dall’inglese Solid state Drive, SSD).

I dischi a stato solido si basano sulla memoria flash di tipo NAND per l’immagazzinamento dei dati, ovvero sfruttano l’effetto tunnel per modificare lo stato elettronico di celle di transistor; per questo essi non richiedono parti meccaniche e magnetiche (dischi, motori e testine), portando notevoli vantaggi per la sicurezza dei dati. L’uso della parola disco è principalmente dovuta al fatto che gli SSD dovranno, per un certo periodo, affiancare i dischi rigidi tradizionali.

Non per eccesso di fiducia, ma più che una presa in giro, in questo caso mi sembra che il disguido possa derivare da una diversa intrepretazione della normativa che prevede la possibilità di elargire il beneficio previsto dal Ministero. Infatti, in virtù della definizione di Disco a stato solido appena illustrata, effettivamente tale requisito proprio del pc che ha appena acquistato non può essere assimilato al requisito richiesto dalla normativa: infatti, il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 8 giugno 2007, pubblicato nella Gazz. Uff. 18 giugno 2007, n. 139, nel definire i requisiti che deve avere il computer da acquistare, prevede, alla lettera a) (art. 2 d. cit.), la necessaria presenza di "un’unità centrale e unità disco rigido interno".

E’ quindi evidente che occorre la presenza di un disco rigido nel pc, affinchè questo possa essere ritenuto compatibile con la tipologia di macchine suscettibili di finanziamento da parte del Ministero.

Purtroppo a me sembra davvero soltanto un problemna di linee di vedute diverse, più o meno tassative, ma tali da fare la differenza. A questo punto, quindi, potrebbe magari contattare il servizio clienti della ASUS, e cercare di ottenere maggiori informazioni sulla differenza tra il componente del suo pc e il disco rigido richiesto dal Ministero, ma sinceramente non so quanto possa essere utile insistere ancora.

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il CID compilato in maniera errata

Innanzitutto la vorrei ringraziare per la disponibilità che offre nel dare consigli a persone come me inesperte di materia giuridica. Il mio caso è quello di un sinistro stradale in cui sono rimasto coinvolto sabato 17 maggio. Guidavo uno scooter che ha tamponato un’autovettura proveniente da destra ma da una strada secondaria con tanto di segnaletica verticale ed orizzontale che indicava l’obbligo di dare la precedenza a chi come me procedeva sulla via principale (nello specifico viale Libia a Roma). Nel sinistro ho riportato danni materiali al mezzo, ad oggetti che avevo con me (un notebook e un cellulare), e fisici (alla spalla sinistra dove mi hanno diagnosticato una profonda contusione), fatto stà che il mio braccio sinistro è legato al collo per un po’. Dopo l’urto, ancora se così si può dire “sotto shock”, abbiamo compilato il CID in cui però il guidatore dell’autovettura ha omesso di indicare che non aveva rispettato il segnale d’obbligo di precedenza. Ho così firmato ma il giorno dopo accortomi del fatto ho tentato di ricontattare la persona in questione che si è negata al telefono finchè oggi lunedì 19 mi ha risposto dicendo di aver già consegnato il materiale alla sua assicurazione ed aver avviato la pratica, non volendo prendersi così nei fatti la responsabilità che credo sia evidente. Le chiedo quindi un consiglio su come debba comportarmi per chiarire l’accaduto dal quale altrimenti riuscirei colpevole. La ringrazio in anticipo per la risposta che vorrà darmi. (Luca, mail)

In un caso del genere, la soluzione migliore, in effetti, sarebbe stata quella di ricompilare il CID, ma visto l’atteggiamento di riluttanza della controparte, mi sa che ci saranno poche speranze di definire la vicenda in questo modo.

In ogni caso il CID è composto da annotazioni conclusive e da un disegno che riproduce, succintamente, la dinamica del sinistro, oltre che gli effetti dello stesso sui veicoli coinvolti. Probabilmente emergerà dal disegno il fatto che la vettura provenisse da una strada con obbligo di precedenza.

Nel caso in cui, comunque, non si riuscisse ad ottenere la “collaborazione” dell’Agenzia Assicuratrice dell’altro conducente, allora le consiglio di cercare dei testimoni che possano fornirle dichiarazioni testimoniali da inviare poi all’Assicurazione; se anche a quel punto non volessero risarcirle i danni, allora le conviene procedere giudizialmente all’accertamento della legittimità della sua pretesa.

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problemi tra confinanti

Salve a tutti, il mio è un classico problema di confinanti ostinati a far prevalere, a mio avviso, l’ignoranza all’intelligenza e al buon senso. Ho acquistato un terreno dai miei vicini e, sul confine della parte agricola, il contadino confinante dice di essere proprietario fino alla strada di mia proprietà che divide i due lotti. Suo malgrado, dalla planimetria catastale risulta che il confine che delimita le nostre proprietà non è diritto come lui mi vuol far credere, ma ha una protuberanza nel suo terreno di circa un metro e mezzo che lui disconosce misteriosamente. Negli anni, anche i vecchi proprietari lo avevano fatto presente ogni qual volta venisse arato il terreno, ma lui, convinto delle sue idee, ha continuato a fare i suoi comodi nel terreno altrui. Se non sbaglio, avendo ripetutamente fatto presente il fatto, non dovrebbe essere possibile usucapire la parte in questione e, visto che non ho intenzione di incorrere in cause, volevo sapere se, visto che non solo i vecchi proprietari, ma anche le misure rilevate dal geometra e le planimetrie danno ragione a me, a questo punto potevo risolvere la questione con l’aiuto di vigili urbani o qualcosa di simile che mi tuteli. Spero di essermi spiegato sufficientemente bene. Grazie. (Gianni, mail)

Prima di addentrarmi nel suo quesito, devo premettere che, in base a quello che mi ha scritto, non posso fornirle una soluzione certa, in quanto occorrerebbe capire l’effettiva ampiezza dei suoi diritti sul terreno “contestato”. Infatti, occorrerebbe effettuare un esame attento della sua situazione con particolare riferimento al contenuto del suo titolo di acquisto: il problema, nello specifico, riguarda l’esistenza (e la natura) di un suo diritto sul terreno di cui si discute, nel senso che occorrerebbe capire se, come dice lei, l’atto di compravendita abbia determinato l’effettivo trasferimento del diritto di proprietà (di cui il suo alienante era legittimo titolare) sulla porzione di terreno ora contestata, oppure se quel diritto non gli spettasse, e quindi l’atto traslativo non abbia determinato alcun effetto in tal senso.

In particolare, se si tratta semplicemente di dirimere una controversia relativa alla portata di due diritti di proprietà, la contestazione può riguardare:
1- la correzione della linea di confine la quale, così come indicata nella mappa catastale non trova corrispondenza invece nella realtà; in questo caso è sufficiente una semplice operazione di carattere amministrativo, e non giurisdizionale.
2-l’esatta individuazione della linea di confine tra due fondi attigui, in presenza di una situazione di incertezza che può essere soggettiva (in caso di contestazione), oppure oggettiva (in caso di mancanza di qualsiasi limite) senza però investire anche i titoli di acquisto della proprietà: in quest’ipotesi occorre procedere con un’azione volta ad ottenere una pronuncia giudiziale che accerti il limite dei fondi confinanti.

Diverso è il caso in cui, assodato che il fondo contestato è effettivamente di sua proprietà (sulla base dei documenti in suo possesso), lei volesse fare cessare le ingiustificate turbative da parte del suo vicino sul suo fondo. In questa ipotesi, infatti, dovrebbe esperire un’azione avente lo scopo precipuo di fare cessare dette molestie alla sua proprietà, senza che venga messa in discussione la posizione del confine.

Infatti, parlandomi di “disconoscimento” da parte del suo vicino (rispetto alla porzione di terreno in realtà di sua proprietà), mi riesce difficile inquadrare correttamente (dal punto di vista giuridico, cioè) la fattispecie. Spero comunque di esserle stata di aiuto; tuttavia, nel caso in cui avesse ancora dei dubbi, cercerò di essere più precisa.

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chi risponde per i debiti del de cuius

Mio nonno è morto nel 2003. All’apertura della successione io e mia madre abbiamo scoperto che aveva donato circa 500.000 Euro alla nuova moglie che li ha fatti sparire nel nulla. Dal computo fra queste donazioni e il relictum, la signora risulta debitrice nei confronti di mia madre (unica altra erede) di circa 300.000 Euro ma non li rifonderà mai perchè si dichiara nullatenente. Qualche giorno fa un parente ha chiamato mia madre per comunicarle che uno studio legale che si era occupato di una faccenda per conto di mio nonno ed i suoi fratelli molti anni fa (più o meno nel 2000) sta cercando di rintracciare gli eredi di tutti gli allora clienti chiedendo una quota pari a 1600 Euro per ognuno dei fratelli. La quota che mia madre dovrebbe pagare ammonta perciò a 800 Euro. Vista la situazione descritta sopra, capirà che dover pagare questo debito (oltre ad essere stata derubata dalla “nullatenente”) è una beffa inaccettabile. Le chiedo perciò:
1. Esiste un termine entro il quale questo studio legale avrebbe dovuto comunicare agli eredi l’esistenza di questo debito?
2. Nel caso in cui risulti che il credito è effettivamente esigibile, la quota di mia madre potrebbe essere ricompresa nel credito che ha nei confronti della moglie del de cuius e potrebbe perciò esimersi dal pagarlo, per compensazione?
3. Esiste insomma un modo per evitare questa beffa, visto che da queste parti non si pasteggia a champagne ed 800 Euro sono una cifra ragguardevole per noi? Grazie (William, mail).

Anzitutto, trattandosi di successione legittima, cioè senza testamento, la legge prescrive che vengano rispettati alcuni criteri nella determinazione delle quote che vengono destinate ai vari eredi: in particolare, nel caso di cui mi parla, dal momento che uniche eredi legittime sono la moglie del de cuius e la figlia dello stesso, l’intera eredità avrebbe dovuto essere divisa in parti uguali tra le due.

Il fatto che il nonno, nel corso della sua vita, abbia disposto di parte del suo patrimonio, pregiudicando gli interessi della figlia, legittimerebbe la stessa ad agire per ottenere la riduzione degli atti di disposizione mediante i quali è stata intaccata la quota che le sarebbe spettata per diritto. La figlia, infatti, appartiene alla categoria dei cd. “legittimari”, di quei soggetti, cioè, che non possono essere esclusi dalla successione, o essere privati di date quote dei beni ereditari (nel caso di specie, appunto, metà dell’asse ereditario). In virtù di questo principio, cui il nostro ordinamento riconosce efficacia cogente, è ammesso l’esercizio dell’azione di riduzione, appunto (azione che si prescrive in dieci anni dal momento dell’apertura della successione).

Alla luce di tutto questo, purtroppo, ritengo che:

-lo studio legale che sta facendo valere il suo credito sia assolutamente legittimato a farlo, dal momento che i diritti di credito si estinguono in 10 anni dal momento in cui possono essere fatti valere (e quindi 10 anni non sono ancora decorsi, nel vostro caso);

-non si possa addurre alcuna compensazione, tra il credito di sua mamma verso la nuova moglie del nonno e il debito di sua mamma verso lo studio legale, dal momento che, per definizione, due persone possono determinare l’estinzione delle reciproche obbligazioni solo quando siano obbligate l’una verso l’altra: nel suo caso, quindi, dal momento che la nuuova moglie del nonno non riconosce il credito di sua madre, non vedo alcuna possibilità di addivenire ad un accordo in tal senso.

cosa ne è della causa civile se la società attrice si scioglie

Sono in causa con una società, sono stato chiamato io in giudizio dal legale rappresentante. La causa è cominciata nel 2005. Ora ho saputo che la società si è sciolta, al 31.12.2007. La causa continua ancora o cessa automaticamente? Grazie. (Matteo, mail)

Se ci pensa bene, non sarebbe giusto, e nemmeno economico (non solo per l’amministrazione della giustizia, ma soprattutto per le parti) se al verificarsi dello scioglimento di una società conseguisse automaticamente l’estinzione di un procedimento giudiziario nel quale questa fosse coinvolta.

In effetti, la giurisprudenza non riconosce efficacia estintiva al compimento di atti, quali lo scioglimento o la cancellazione dal registro delle imprese, ma alla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici che alla stessa facevano capo e alla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi per ragioni di dare ed avere.

Ne deriva che una società costituita in giudizio non perde la legittimazione processuale e che la rappresentanza sostanziale e processuale della stessa permane, per i rapporti rimasti in sospeso e non definiti, nei medesimi organi che la rappresentavano prima dello scioglimento, restando esclusa l’interruzione dei processi pendenti.

Pertanto, il legale rappresentante della società che l’ha convenuta in giudizio continuerà legittimamente a coltivare la causa contro di lei, salvo che, ovviamente, non intervengano accordi transattivi.

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problemi con la tv LCD difettosa

Buonasera, ho acquistato un tv lcd Samsung da 40 pollici da circa otto mesi e ieri ho scoperto un pixel bruciato. Contattata l’assistenza Samsung per far valere i miei diritti sulla garanzia, mi è stato risposto che, in base ad una non meglio identificata direttiva europea, il produttore non è tenuto a effettuare tale riparazione in garanzia se il numero di pixel bruciati non ammonta almeno a 4 o 5. Ho cercato dappertutto questa fantomatica direttiva europea, di cui tutti i blog sono farciti, ma non sono riuscito a trovare dei riferimenti normativi precisi. Non riuscireste ad aiutarmi voi ? Ho notato che questo della difettosità dei pannelli LCD è un male diffuso e tutti i produttori si rifiutano di intervenire a meno che i pixel difettosi non risultino superiori ad un certo numero, che a dire il vero cambia da produttore a produttore con una discrezionalità a dir poco sconcertante !!! Grazie per l’aiuto. Claudio (mail)

Di fronte a quello che, come dice lei, è un problema che interessa molti consumatori su tanti blog, chiunque potrebbe pensare che, in presenza di quel fastidiosissimo puntino nero, bianco o colorato rispetto all’intera schermata, il prodotto sia difettoso e quindi soggetto ad una sostituzione immediata da parte del venditore o dell’azienda produttrice. Purtroppo però non è sempre cosi’. La normativa comunitaria a cui fa riferimento lei è la

Vediamo però nello specifico la norma ISO13406, che ha bisogno di essere ben letta e spulciata nei suoi rivoli. Questa norma serve per stabilire il tipo e l’entità del difetto dei Pixel entro il quale il prodotto è considerato in garanzia oppure no.
Ricordiamo che un Pixel è il puntino identificabile all’interno di uno schermo LCD, composto da tre sub-pixel di tre colori diversi: rosso-verde-blu. Data la complessità del processo produttivo di un pannello Lcd, è possibile che su un pannello Lcd si verifichino dei difetti imputabili a impurità che si infiltrano nei pannelli durante il ciclo produttivo. I pixel difettosi (tecnicamente parlando) possono essere di tre tipi. Fino ad oggi, ogni singolo produtttore o vendor arbitrariamente decideva (cambiando anche nel tempo) il livello entro il quale l’errore (il difetto di Pixel impazziti) era da considerarsi in limiti accettabili (per loro, non per il consumatore) e per questo esclusi da garanzia o sostituzione del prodotto.

La norma TCO99 ha provato nel tempo a porre rimedio a questa lacuna, ma solo recentemente, con l’adozione della norma ISO13406, le cose sono un po’ più chiare seppur lasciando il consumatore non ancora tutelato.

La norma definisce in quattro classi il livello di difetto accettabile. Più la classe è elevata, più la possibilità di difetto del monitor è elevata. Pertanto anche in presenza di un elevato numero di pixel difettosi o bruciati, il prodotto non è da considerarsi in garanzia se appartiene all’ultima classe.

Esiste un’apposita tabella che individua il livello di difettosità oltre il quale, una volta aderito alla norma e scelta la classe per il proprio prodotto, il produttore deve riconoscere la garanzia. Se la si analizza, ci si rende conto che, per tutelarsi, al consumatore non resta che acquistare un tv di Classe I, dai costi proibitivi, oppure provarlo in negozio prima di uscire.
A meno che il singolo produttore non decida di applicare una politica commerciale post-vendita più sensata.