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Salvare principesse for dummies.

Il drago da cui salvare la principessa sono le sue stesse nevrosi.

Per questo la principessa non può mai aiutare il cavaliere che va per salvarla.

Il cavaliere deve essere abbastanza forte di spirito, temprato dai
numerosi deserti attraversati, per poter sconfiggere il drago e
portare la principessa in salvo.

Se non lo é, il drago lo ferirà in modo grave e la principessa, per
quanto apprezzi i suoi sforzi e sia desiderosa di aiutarlo, non potrà
salvare il suo cavaliere: egli dovrà ritirarsi sconfitto e lasciare
una principessa che, lotta dopo lotta, diventa sempre più sola(re).

Oggi, i draghi sono generalmente molto più potenti che in passato e i
cavalieri molto più deboli.

Per questo, sono pochissime le principesse che vengono salvate.

Sono poche, persino, quelle che sanno che devono attendere un
cavaliere; tutte le altre credono di poter sconfiggere da sole un
drago che in realtà fa parte di loro e che, come tale, non riescono a
toccare e col quale finiscono per rassegnarsi a convivere da infelici.

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counseling

La fotina sta diventando più importante della persona.

Ho la sensazione che l’immagine dei social, chiamiamola la «fotina»,
stia diventando più importante dell’immagine reale della persona.

Cioè, quando incontri una persona dal vivo, e noti che, nel bene e nel
male, é diversa dalla sua «fotina», continui a relazionarti con lei
come se il suo vero e più autentico aspetto sia quello della fotina e
non, invece, quello che ti trovi davanti, non mediato dal digitale.

Sicuramente, l’aspetto di cui puoi prendere conoscenza più diretta é,
giocoforza, quello più autentico, ma sembra che ci sia una sorta di
tendenza a considerare più vera, o ugualmente vera, quell’identità
digitale con cui si era abituati a interagire, magari per mesi, prima
di avere finalmente un contatto di persona.

L’identità di ognuno di noi, insomma, sta diventando «distribuita»:
c’è quella locale ed analogica, l’unica che avevamo sino a poco tempo
fa, quella considerata come l’originale, poi c’è quella digitale, che
non è più considerata una copia dell’originale, suscettibile di
esserne più o meno fedele, ma una parte dello stesso e pertanto,
comunque fedele, perché sua diramazione autentica.

Ci sono già delle persone che non fanno l’amore con altre persone, ma
con la loro fotina, perché la fotina é stata quella parte con cui
hanno interagito per mesi, quella che hanno interiorizzato, rispetto
alla quale la parte analogica o «reale» é solo un dettaglio.

É un po’ come quando andavi ad incontrare un grande scrittore o una
rockstar: magari ti trovavi davanti un totale stronzo, ma l’immagine
che ti eri costruito di lui a forza di leggere i suoi libri, ascoltare
le sue canzoni e andare ai suoi concerti era più forte di quella che,
per quanto reale, esisteva solo da pochi minuti e appariva per ciò
stesso impalpabile, trascurabile, secondaria, pur essendo la realtà.

Così finivi per relazionarti con lui sulla base di quella immagine
costruita dentro di te, che potremmo definire un’ombra dell’originale,
e non sulla base dell’originale che finalmente avevi davanti.

Questo fenomeno si sta diffondendo per ognuno di noi, visto che in
molti casi i primi contatti tra le persone sono ormai tramite le reti
sociali.

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counseling

Ogni scelta é determinata dalla paura.

La scelta in ordine alla vaccinazione é determinata, per lo più, da
ciò che ad ognuno fa più paura: chi vi si sottopone, ha più paura del
covid; chi invece non si fa inoculare ha più paura del vaccino.

Questa é la «grandezza» con cui prendiamo le nostre decisioni, la
scienza non c’entra nulla.

Non c’è nessun numero, nessun dato, nessuno studio che possa
dimostrare con certezza assoluta che la vaccinazione sia preferibile o
meno.

Ci sono, infatti, troppe causalità ipotetiche, ti faccio solo un esempio.

Una persona si vaccina, poi muore per il covid. Uno può dire se non si
fosse fatto il vaccino, sarebbe morto lo stesso, morto prima, non
sarebbe morto. Sono ipotesi indimostrabili anche con una CTU post
mortem.

Una persona si vaccina e non si infetta, si infetta in modo
asintomatico, si infetta presenta sintomi lievi, oppure gravi, ma alla
fine ce la fa. Anche in questo caso é impossibile, per la scienza e la
medicina, dire cosa sarebbe successo a quella persona se non si fosse
vaccinata, la situazione relativa non è ricostruibile ex post, se non
in termini di lata causalità ipotetica, ma questo significa parlare di
niente.

Sì, abbiamo ascoltato tutti la spiegazione di come funzionerebbero i
vaccini, però fatto sta che ci sono persone che si vaccinano e muiono
o per il covid o per il vaccino, come é stato accertato in tribunale
almeno in un caso – senza, beninteso, che ciò possa imporre una
sospensione della vaccinazione, perché vale sempre la considerazione
per cui se un vaccino salva più vite di quante ne stronchi, per quanto
cinico possa apparire, va mantenuto.

Tra alcuni anni, a bocce ferme, si potranno tentare alcune letture su
base statistica, che lasceranno per lo più però lo stesso il tempo che
troveranno…

La medicina occidentale e l’industria del farmaco hanno, insomma,
provato a trovare una cura, o meglio una strategia, ma non è affatto
detto né che funzioni, né, come é stato pur detto dagli «esperti», che
funzionicchi.

É giusto provarci, ma l’operazione deve essere espressamente
classificata come un tentativo: bisogna dire una cosa come «al momento
non abbiamo di meglio, non abbiamo sicurezze né garanzie da offrirvi,
vedete voi che cosa fare».

In questa situazione, ci sono dunque alcune cose che vengono sentite
come comunque sbagliate e violente.

La prima è la protervia dei governi, che impongono obblighi vaccinali
diretti o indiretti.

La seconda è la superbia che ogni tanto si manifesta nell’una o
nell’altra categoria nei confronti dell’altra, con la presunzione che
la propria scelta sia sempre la migliore.

Io, al momento, ho scelto di non vaccinarmi e non credo che mi vaccinerò.

So perfettamente che potrei ammalarmi e crepare e allora forse la mia
scelta potrebbe rivelarsi non esser stata quella giusta, esattamente
come tutte le scelte della vita, il cui vero significato arriva solo
in seguito.

In altri termini, so che, anche se al momento non la penso come loro,
potrebbero aver ragione i vaccinisti.

Non sarebbe né la prima né l’intima volta in cui mi sbaglio.

Ma io devo sbagliare da me, secondo quello che mi sembra in quel
momento più giusto. Io, ad oggi, non penso affatto che abbiano ragione
i vaccinisti, penso di aver ragione io, altrimenti mi comporterei
diversamente. Però ho la consapevolezza che le mie conclusioni,
esattamente come quelle di tutti, sono sempre fallibili.

Siccome le ragioni di una scelta piuttosto che di un’altra sono
emotive, non capisco come possano gli appartenenti di una categoria
ritenersi migliori dei membri dell’altra.

Tu saresti meglio di me perché ti fai sempre condizionare dalla paura
di qualcosa come me, ma scegli in base ad una paura migliore della
mia?

Cioè io ad esempio sarei un vigliacco perché ho paura del vaccino
mentre tu non la saresti perché hai paura del covid?

Nessuno é un vigliacco, aver paura é normale, ognuno nutre le paure
che nutre in base ai propri filtri cognitivi e al suo vissuto.

Non sta in piedi.

Vogliamoci bene e preghiamo per la salvezza, del corpo e dell’anima, di tutti.

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La morte restituisce a tutti l’innocenza.

Su GinoStrada sto ricevendo osservazioni da un lato perché non mi
unisco al coro di lodi per una persona che avrebbe fatto «solo del
bene» e dall’altro perché non racconto che faceva parte delle squadre
di picchiatori comunisti con la chiave inglese, come pur hanno fatto
giornalisti autorevoli come Veneziani.

Io credo che nei giorni della dipartita non sia opportuno iniziare con
le valutazioni e i giudizi su di una persona appunto appena scomparsa.

La morte restituisce comunque a tutti l’innocenza.

Sia l’incensamento del defunto (atteggiamento maggioritario) sia
l’accanimento (minoritario) sono entrambi stucchevoli e non
condivisibili, almeno in queste ore, anche se devo ammettere che il
primo, associato al conformismo, lo é di più.

A me stava largamente sui coglioni, poi sicuramente ha fatto anche
tantissime cose belle, che vanno riconosciute e rispettate, così come
le persone che mi stanno simpatiche commettono errori e fanno anche
cose non commendevoli.

Siamo uomini e questo è il modo in cui si dipana la nostra esistenza:
tra cose giuste e cose sbagliate.

Anche lui resta un uomo, i tentativi di farne un santo laico, come già
avvenuto in passato con altre persone, sono grotteschi.

Come anima, ora ha bisogno solo del perdono e dell’accoglienza di Dio,
cose di cui – si noti – abbiamo bisogno tutti, nessuno escluso.

Anche il più meritevole tra noi ha sempre bisogno del Padre, anzi
forse è proprio quello che ne ha più bisogno, proprio perché a volte
ne perde la consapevolezza.

Per fortuna Lui, esattamente come il sole, che sorge ogni giorno per
ogni uomo, buono o cattivo, c’è sempre per tutti.

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counseling

La città della trombamicizia.

La trombamicizia é una relazione alta e nobile, o comunque un’amicizia di grado superiore, perché amicizia che «non si ferma».

Un trombamico/a, quando vede che sei un po’ depresso/a, non ti dice «domani ti porto dalla mia psicologah!», ma inizia a spogliarti, iniziando così a dispensarti gli unici complimenti cui, in fondo, molte persone sono disposte a credere.

Inoltre, i trombamici maschi contribuiscono ad alleviare la grave
piaga sociale, ambientale e sistemica delle donne che non prendono abbastanza uccello, migliorando sensibilmente la vita di ciascuno di
noi.

In mezzo a tante battaglie completamente inutili, come quelle per il clima, per la laicità dello Stato, per la riduzione del debito pubblico, contro il razzismo, contro il fascismo e contro la pandemia, fanne una finalmente utile a favore della trombamicizia, un sentimento e una relazione che meritano di essere pienamente sdoganati.

In attesa messianica della celebre «persona giusta», ti puoi sempre consolare con quelle che intanto, pur non essendo proprio giuste, almeno sono già arrivate.

I partner, infatti, devono essere belli, conturbanti, piacenti ma soprattutto adiacenti.

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counseling pillole

Questo per colpa vostra che non avete voluto …

Questo per colpa vostra che non avete voluto la legge Zan, vergogniatevih!!!1!

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Comprendere il diritto: molti avvocati non sono in grado.

Oggi ti parlo dell’ignoranza degli avvocati e dell’incapacità della
maggior parte di essi di comprendere il diritto.

Leggendo le domande poste dagli avvocati nei vari gruppi facebook, tra
cui il mio, che ormai conta quasi 20.000 iscritti, e soprattutto le
risposte, ho potuto toccare con mano che una vasta parte degli
avvocati appunto non capisce il diritto, di cui sconosce le nozioni
fondamentali, che sono invece necessarie per condurre correttamente un
ragionamento in termini giuridici.

Questo non è un problema così grave, in realtà, perché – per fortuna –
solo una piccola parte delle vertenze viene definita ricorrendo
all’applicazione del diritto, ma suscita ugualmente perplessità, anche
perché certi strafalcioni non sono frutto di mera ignoranza, ma
soprattutto della incapacità di connettere quelle pur poche cose che
si sanno e della mancata comprensione del diritto in generale.

Ogni avvocato, infatti, di solito conosce dal 2% al 5% della
legislazione e del diritto esistenti, tuttavia, sulla base di una
preparazione sistematica adeguata e della comprensione dei concetti e
dei metodi di base della scienza giuridica, é sempre in grado di
andare a cercare la parte che non conosce, comprenderla,
circostanziarla ed applicarla al caso che deve trattare.

Occorre sapere ragionare in diritto e, quindi, capire il diritto.

Invece leggo di persone che non sanno come funziona una situazione di
contitolarità di diritti, ad esempio, cioè una comunione, basata sul
concetto di quota ideale del bene.

A queste persone, la formazione continua obbligatoria non serve a niente.

La formazione continua propone approfondimenti ad avvocati che non
sono in grado di leggere e comprendere le disposizioni del codice
civile, figuriamoci cosa possono capire di un contrasto
giurisprudenziale relativamente ad un aspetto secondario, ma
controverso, di un istituto di cui non comprendono, a monte, il
funzionamento di base!

La buona notizia è che si può fare benissimo l’avvocato anche senza
capire un cazzo di diritto e questo è esattamente quello che fa una
larga parte dei professionisti.

Anzi, spesso proprio questi sono gli avvocati migliori, perché, non
capendoci un cazzo, non hanno mai la presunzione che il loro cliente
«abbia ragione» e quindi finiscono regolarmente per conciliare,
mediare, transigere, con vantaggi per tutti: clienti, avvocati,
magistrati, sistema giudiziario, pace sociale.

Ci, sono, tuttavia, dei casi in cui il ricorso al sistema giudiziario
é indispensabile: in quei casi sapere quel che si sta facendo, che poi
si traduce in quello che si scrive, sarebbe utile, quando non
fondamentale.

Anche se devi scrivere un ricorso per decreto ingiuntivo, la
situazione di base devi averla capita e inquadrata correttamente in
diritto, perché altrimenti rischi problemi in seguito, dai più piccoli
ai più grandi a seconda di come si snoda il procedimento.

Gli avvocati non sono scemi. D’accordo non sono dei geni, ma neanche scemi.

Se non sanno le cose che avrebbero bisogno di sapere é perché non
hanno ricevuto una formazione adeguata a) all’università b) durante la
pratica forense. Ciò con un loro eventuale concorso di colpa, più o
meno grande.

Che cosa può fare un avvocato che non è in grado di inquadrare
correttamente in diritto la situazione sulla quale si trova a
lavorare?

Nella maggior parte dei casi, può lavorarci sopra ugualmente. Come
insegna il mio approccio strategico, la fase del fare e il più rapido
possibile passaggio alla stessa sono fondamentali per la trattazione
dei problemi giuridici. Lettere, diffide, incontri, inviti in
mediazione e persino transazioni, accordi, conciliazioni possono
essere fatti tranquillamente senza bisogno di specifici
approfondimenti.

Questi approfondimenti saranno però necessari nel caso in cui ci sia
da andare in giudizio.

In questi casi, uno cosa può fare, riprendere in mano il manuale di
diritto privato e rimettersi a studiare?

Studiare non fa mai male, ma spesso i buchi sono sparsi qua e là e
difficilmente si riesce a capire esattamente quali sono e a colmare le
relative lacune.

É meglio «fare rete», cioè rivolgersi ad altri colleghi più preparati.

Questo può avvenire in due modi:
a) chiedendo un consiglio al volo, quando é sufficiente questo;
b) condividendo la pratica col collega, quando é necessario un aiuto
più consistente.

In ogni caso, se sei un avvocato non devi mai mandare via nessuno, da
un lato, né, dall’altro, fare o rischiare di fare degli errori che
vadano a detrimento del tuo cliente.

Devi dare a tutti un servizio di buona qualità. Se non ci arrivi da
solo, associ un collega la cui presenza e il cui lavoro nella
posizione te lo garantisce.

Nota bene. Il costo, per il cliente finale, deve restare identico,
anche quando associ un collega. Devi essere tu a rinunciare a parte
del tuo compenso per compensare il collega che hai associato a causa
dei tuoi limiti come professionista. Il cliente, insomma, deve pagare
quello che avrebbe pagato se lo avessi seguito solo tu.

Peraltro, sulla base di un preventivo chiaro e già accettato,
associare un collega in una posizione diventa estremamente semplice.

Considera che questo collega non deve più essere in loco, come era
invece necessario sino a poco tempo fa. Con la telematica, entrata
anche nel processo, puoi scegliere un avvocato a prescindere dalla sua
collocazione geografica.

Con la consapevolezza dei propri limiti si lavora sempre molto più
serenamente e si ritrova persino il piacere di fare questa
professione.

Rock n’ roll!

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Adolescenti a sessant’anni.

A volte, si dice che una persona ha subìto un cambio di personalità.

A meglio guardare, in questi casi, molto spesso si potrebbe più
semplicemente affermare che quella persona si è in realtà
rincretinita.

In queste ipotesi, peraltro, spesso é più esatto affermare che la
persona non si è propriamente rincretinita: é sempre stata cretina o
limitata, ne ha solo perso completamente la consapevolezza, decidendo
di porre alla base della sua vita le sue idee, anche le più
disfunzionali, senza più affidarsi, come faceva in passato, alla
guida, al conforto e alle indicazioni degli altri volta per volta più
lucidi o evoluti di lei.

É, quest’ultimo, un problema cognitivo, dando luogo ad una particolare
forma di rincretinimento, che impedisce di accorgersi dei propri
limiti, o é un problema più di anima, di struttura della personalità,
di evoluzione e crescita personale?

Un po’ entrambe le cose.

La componente caratteriale, intanto, c’è sicuramente.

É un po’ come la fase dell’adolescenza, in cui l’adolescente si
comporta in modo «stupido» o non funzionale, discostandosi dal
corretto insegnamento delle figure genitoriali, solo per affermare la
propria autonomia di giudizio e di vita, autonomia che intende
affermare anche a costo di sembrare rincretinito e involuto come
persona e anche al costo, ulteriore, di danneggiarsi in senso proprio,
come nel caso in cui si iniziano a consumare sostanze quali l’alcol e
le droghe.

Questo è persino fisiologico quando la persona in questione si trova
nella fascia di età dai 12 ai 16/17 anni grossomodo; il punto è che
questo percorso sempre più spesso si manifesta in persone anche di
45/50 anni, spesso con prole, nei confronti non del genitore, dal
quale sono affrancate da tempo, ma di solito dell’altro coniuge.

Questo è lo schema che é alla base di non così poche separazioni.

Si può parlare, a riguardo, di neoadolescenza. Dopo aver costruito
essa stessa una famiglia, messo al mondo dei figli, la persona
dichiara di «liberarsi», come se fosse stato qualcun altro ad aver
costruito intorno a lei quella vita, oppure di «ribellarsi», come se,
ancora una volta, fosse colpa del governo o di qualche complotto.

Perché accade questo?

La ragione principale è la perdita della consapevolezza del
significato delle varie tappe consequenziali della vita.

Una delle cose più inedite per l’uomo di oggi è, ad esempio, che non è
possibile vivere l’affettività e la sessualità a cinquant’anni come la
si viveva a quindici, una considerazione che un tempo era persino
banale, tanto era scontata.

Il momento in cui si diventa genitori ha sempre scandito il passaggio
ad una diversa fase evolutiva personale, così come il momento in cui
si perdevano i propri genitori.

Oggi queste, e tutte le altre, fasi sono confuse tra loro, in un
percorso di vita «liquido» e indistinto, dove, se tutte le vacche sono
nere, una donna o un uomo si credono legittimati a fare i capricci e a
pestare i piedi, lasciando libero sfogo alla loro personalità
infantile, anche a quarantacinque anni e oltre, senza che la cosa
susciti né in loro, né in coloro che vi si relazionano, la minima
perplessità.

Abbiamo dei sessanta / settantenni che, anziché credere ormai
nell’Aulin o nel Tachidol, dichiarano di «credere ancora nell’amore»
senza la minima consapevolezza di risultare un po’ grotteschi e,
comunque, irrisolti, confortati ovviamente da schiere di psichiatri e
da Repuy prontissimi a testimoniare che «l’amore non ha età» e che
«vivere certe emozioni é normale in tutte le fasi della vita».

Non è un momento bellissimo per un genitore vedere la prima foto della
figlia, la propria bambina, con la bocca a culo di gallina o le tette
mezze di fuori su Instagram, ma é sicuramente molto peggio vedere
quella della propria madre di settant’anni, ad esempio, in
atteggiamento da ninfetta.

Meno male abbiamo i successi sportivi con cui ci possiamo dimenticare
queste cose.

É tutto bellissimo.

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Aulin e preparati contro il covid: un paragone possibile?

Adoro la logica di quelli che condividono i foglietti illustrativi dei
principali medicinali consumati in Occidente, per mostrarne i gravi
possibili effetti collaterali, per poi concluderne che, se assumiamo
quei farmaci senza tante storie, dovremmo, con la medesima noncuranza,
farci inoculare serenamente i preparati sperimentali contro il covid.

Quello che mi attrae, in tali circostanze, é la piena convinzione con
cui si possono sostenere ragionamenti e conclusioni di questo genere,
letteralmente infarciti di fallacie logiche che, tuttavia, non
sembrano destare o ancora meno sollevare il minimo sospetto.

Mi limito a citarne sono alcune:

  • il fatto che un farmaco presenti possibili effetti collaterali non
    dovrebbe affatto indurre a farvi ricorso con nonchalance, ma solo in
    caso di effettivo bisogno e con tutte le precauzioni del caso;
  • ci sono moltissime persone che riescono a vivere benissimo senza
    molti farmaci, usandone pochi e solo raramente, se non nessuno del
    tutto, semplicemente curando la nutrizione, la forza del corpo, la
    connessione col sole e altre pratiche di sicuro e ormai comprovato
    aiuto accanto alla medicina tradizionale occidentale;
  • quei farmaci sono stati testati molto più a lungo, sia prima che
    dopo l’immissione sul mercato, rispetto a preparati sperimentali
    contro il covid, che, al confronto, non hanno superato quasi nessuna
    delle fasi previste per un farmaco, a motivo dell’emergenza;
  • sempre quei farmaci vengono assunti in presenza di una patologia
    conclamata o almeno un sintomo, ad esempio ho mal di testa e prendo un
    Aulin, mentre i farmaci contro il covid vengono somministrati a
    persone che stanno bene e si pretenderebbe addirittura di darli a
    persone, i giovani, che é quasi impossibile si possano ammalare;
  • non si può, per mille motivi, paragonare l’utilizzo singolo o
    circoscritto di un farmaco ad una campagna di somministrazione di
    massa porco cazzo…

Queste sono alcune piccole differenze che ci sono tra le due
situazioni che l’uomo dei social pretenderebbe di mettere a confronto
come se fossero uguali o, almeno, analoghe, quando é del tutto
evidente che non sono né l’una né l’altra.

La verità è che la realtà che vede l’uomo dei social é emotiva: lui
non arriva a delle conclusioni attraverso un iter logico, lui parte
dalle sue conclusioni e poi sostiene e appoggia qualsiasi sciocchezza
possa portare acqua al mulino di quelle conclusioni da cui è partito.

La cosa più paradossale di tutte é che é convinto di credere nella
scienza quando, lo diciamo ancora una volta, la scienza è solo un
metodo, che peraltro predica l’esatto opposto di quello che fa l’uomo
dei social: prima analizzare i fatti, effettuare se del caso alcuni
esperimenti, solo alla fine tracciare delle eventuali conclusioni.

L’uomo dei social, che si reputa troppo intelligente per credere in
Dio, finisce così per credere a qualsiasi sciocchezza; ha bisogno di
credere nei vaccini perché sostanzialmente non dispone di altro,
quindi finisce per aderirvi, non importa quanto la logica possa
gridare, egli non la sente.

Non tutte le opinioni sono davvero opinioni, alcune sono cazzate.

Evviva noi.

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counseling

Non so se è vero, ma io intanto lo condivido!

La cosa veramente agghiacciante é vedere quante persone sostengono
ragionamenti che fanno acqua da tutte le parti – e con quanta
convinzione.

La vocina che ti dice «stai dicendo / scrivendo una cazzata» non parla più.

É muta, probabilmente morta, assassinata.

Proprio come Pinocchio, che non a caso é un archetipo (rectius,
molteplici), l’uomo contemporaneo infatti ha schiacciato con la scarpa
il grillo, perché fastidioso e di ostacolo nella sua perenne ricerca
della costante solarità, una condizione che precipita da uno stato
mentale in cui il dubbio non è ammesso ed è comunque intimamente
sentito come una delle più grandi sciagure.

Bisogna essere sempre lieti, contenti, felici, festanti, come in una
corte medioevale in cui é necessario compiacere il re o il notabile di
turno e, per raggiungere questo obiettivo della gioia d’ufficio, la
prima nemica da sconfiggere é la realtà e quella sua necessaria intima
ancella della logica.

Ci sono molti luoghi – social network, ma non solo, anche televisione,
giornali, camere della Repubblica e tanti altri milieu un tempo ben
diversi – che ormai costituiscono lo showroom della generale
precipitazione cognitiva dell’uomo contemporaneo.

A coronamento e conclusione di una vita così beatamente analogica e
lontana dai dispiaceri del vero pensiero, sulla lapide di molti
andrebbe scolpito «non sapevo se era vero, ma intanto lo
condividevo!», che é il vero mantra della mente dell’uomo di oggi.

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