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Nuovo ebook: D. e le sue tre donne.

«Io lo so com’è il tuo cuore, l’ho ascoltato a lungo, tutti i giorni, per molti anni. Anche se era a volte doloroso… Perché il primo comandamento di chi vuol amare davvero è ascoltare. Chi non sa mettersi in ascolto, non può mai amare davvero… Conosco le tue ferite molto meglio di te.» continuò lei. «E lascia che ti dica una cosa, l’unica che probabilmente importa. Tu non hai mai voluto accettarlo nè vederlo, ma io ti avrei preso ed amato per sempre, anche dopo che avrei smesso di amarti. Anche dopo che mi fossi innamorata di un altro. Anche in quei casi, avrei continuato ad amarti. Tutte le sere mi sarei coricata accanto a te, in modo che il mio corpo fosse ogni giorno il tuo primo e unico orizzonte al mattino. Non me ne sarei mai andata, sarei rimasta con te fino alla fine, la mia o la tua. Come una condanna, come un contagio, come un destino

D. ha tre donne: Giulia, Sara e la Morte.

Quale sarà ad averlo per sempre?

Le tre donne di D.

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LinkedIn vs. Solignani: chi vincerà?

LinkedIn

Cancella che ti ricancella…

Recentemente, il celebre network nato per i professionisti, che in realtà ha finito per raccogliere i più strambi del pianeta, mi ha cancellato l’account. Ne ho ricreato un altro, ma mi ha cancellato anche quello.

Tutto ciò è molto strano, considerato che tratto esclusivamente temi di alta rilevanza individuale, spirituale e sociale, adottando ogni volta un linguaggio impeccabile.

Ad ogni modo, ho ricreato un nuovo account, che puoi trovare qui, ma non è detto che duri per sempre, perché, hey, niente in questo mondo dura per sempre.

Se vuoi continuare a seguirmi, approfittando delle perle di saggezza che dispenso quotidianamente, il primo consiglio è quello di iscriverti al blog, o tramite la newsletter o, se non compatisci la mail (come me, del resto), tramite il gruppo Telegram. Altrimenti ci sono gli account che mantengo sugli altri social network, anche se nemmeno quelli sono garantiti, purtroppo la censura e le persone che ritengono che tutti dovrebbero pensarla allo stesso modo sono sempre in agguato…

Se credi, puoi lasciare, tramite questo modulo, il tuo indirizzo mail. Se mi cancellano di nuovo l’account, ne ricreo un altro ancora e ti mando le coordinate relative per email. Prometto di non spammarti e di usare il tuo indirizzo solo per questo!

  • il tuo indirizzo mail: fai attenzione a inserirlo correttamente
  • inserisci se credi il tuo cellulare: è facoltativo


Uno spazio nostro.

Hai lasciato il tuo indirizzo? Bene.

Ne approfitto per dirti che, comunque, un po’ mi sono rotto dei social.

Sono strumenti concepiti per vendere, in cui le persone non hanno vera libertà: se solo si azzardano a dire qualcosa di non gradito a coloro che li gestiscono si trovano «sospesi» o rimossi definitivamente, senza nemmeno un previo avvertimento come è accaduto a me.

LinkedIn è sicuramente il social più stupido di tutti, ma nemmeno facebook e twitter sono da meno.

Io ho 49 anni, sono laureato, la gente mi paga profumatamente per ascoltarla e sapere quali sono le cose che io consiglio loro di fare per i problemi che hanno, ho persino scritto dei libri… Credo insomma di essere in grado di sapere che cosa devo scrivere o meno e trovo sempre meno accettabile che persone che non hanno nemmeno il coraggio di mostrare la loro faccia o spendere il loro nome possano decidere da un giorno all’altro che cosa devo fare, dire o pensare.

Certo i social sono casa loro, quindi loro di fatto possono deciderlo. Diciamo che di stare in quelle case mi sono un po’ scocciato, voglio stare in casa mia, dove ho piena libertà di decidere cosa voglio pensare, dire, scrivere.

Per questo, sto cercando di creare uno spazio, simile ai social, in cui potremo scrivere quello che ci pare senza timore di censura. Se pensi di poter essere interessato, resta sintonizzato, non appena il progetto avrà fatto qualche progresso ti avvertirò.

Grazie per l’affetto con cui mi segui sempre.

Evviva noi!

Compra i miei libri 😉

Se credi che la mia voce non meriti di essere spenta, sostienimi comprando i miei libri.

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cultura diritto

Aborto: non un diritto, ma un trauma della donna.

Anche io ero tra quelle “non lo farei mai”. Poi l’ho fatto. Avevo 28 anni. Alle spalle altre due gravidanze, volute desiderate da due sposi innamoratissimi che avevano scoperto di essere entrambi portatori di una malattia genetica emersa alla nascita della loro figlia primogenita. Serena, occhi grandi neri, capelli da bambola, troppo bella per rimanere sulla terra. Abbiamo pregato il dio che voi ora invocate perché ce la lasciasse nonostante fosse condannata, senza cura, senza proroga, vedendola spegnersi ogni giorno con una fatica sovraumana per respirare, ma con occhi che chiedevano muti il perché. Il suo sorriso era l’ossigeno per andare avanti, il tempo vissuto il più prezioso della nostra vita insieme anche ora che siamo da 31 anni insieme. Mio marito un giovane e meraviglioso padre innamorato delle sue donne. Abbiamo dormito accanto alla sua piccola bara bianca, ci hanno staccato con la forza. Ho voluto che diventasse di nuovo padre ma sfortunatamente il cuore del piccolo che aspettavo, smise di battere prima di arrivare a fare l’amniocentesi per sapere se anche lui fosse affetto da SMA. Hanno dovuto stimolare il parto, ho avuto il travaglio, la rottura delle acque. Io e Francesco, questo è il nome che gli avevamo dato, siamo rimasti attaccati dal cordone ombelicale, ero in bagno l’ho visto: era un bambino, il mio bambino con gli occhi, le dita, i piedi, era un maschietto come sentivo prima di avere la conferma in quel bagno!! L’hanno riposto, benedetto, in una piccola bara bianca. Mio marito, da solo, ha seguito il carro funebre e posto un mazzo di fiori bianchi. Io, appena uscita dall’ospedale, sono andata da Francesco e gli ho chiesto perdono per non essere riuscita a farlo nascere. Ma non era finita. La mia determinazione nel voler avere figli nostri era pari solo alla nostra pazzia. Dopo pochi mesi mi accorgo di aspettare un bambino. La speranza tornava nella nostra vita. Questa volta riesco ad arrivare all’amniocentesi. Dopo 6 (SEI!!!!) settimane, a quasi sei mesi di gestazione mi comunicano che Gianluca era malato, affetto come Serena dalla SMA.la nostra decisione di interrompere la gravidanza era sofferta ma inevitabile. Serena era morta. La SMA è la prima causa di morte per i bambini al di sotto di un anno. Nessuna cura, nessuna speranza. Era luglio , il mio ginecologo, a cui avevo detto tutto il pregresso , mi fece sapere di essere obiettore e si rese irreperibile. Ho vagato per il Policlinico di Bari perché unica struttura in Puglia ad effettuare le interruzioni volontarie di gravidanza come in un girone infernale tra cliniche ostetriche, psichiatriche in ciabatte e pigiama, fingendomi una pazza affinché uno psichiatra che non conosceva la malattia, potesse dichiarare che il proseguimento della gravidanza poteva nuocere alla mia salute mentale. Ottenuta “la carta” , ho fatto l’ultima ecografia. “Signora perché piange? Vede il suo bambino si muove e sta bene ed è bello e cresciuto” Già, perché piangevo?? Dopo ore di attesa sono stata sistemata in una stanza dove c’erano mamme con i loro bambini e nonne e zii che andavano a trovarli e mi guardavano con orrore. L’aborto è indotto da una fattispecie di supposta che mi sono inserita in utero, da sola perché anche l’ostetrica era obiettrice e mi disse “Se lo vuoi fare, lo devi fare con le tue mani”. Il travaglio è durato 26 ore in cui mi sono contorta dal dolore, da sola , tra neomamme. Si sono rotte le acque e sono stata portata in sala parto. Ho visto Gianluca, ho sentito il passaggio della testa, delle spalle, delle gambe, l’ho visto, mio figlio, prima che lo mettessero in un contenitore, mio figlio regalato alla scienza. Ho chiesto di fare entrare mio marito, volevo piangere abbracciata a lui, ma non me l’hanno permesso, dovevo stare sola. Il giorno dopo, è arrivata anche la montata lattea , avevo il latte ma non il bambino. Dopo pochi mesi fui ricoverata per un’emorragia. Non erano mestruazioni ma un aborto spontaneo. Ero incinta ma non lo sapevo. Mio marito non voleva più vedermi in ospedale e mi disse chiaramente che non voleva avere più figli nostri. Lo convinsi e per amore iniziammo l’iter per l’adozione. Ottenuta l’idoneità,ci affidarono una bimba di 6 anni in pre-affido. Stava bene con noi e noi con lei. Mi accorsi di essere nuovamente incinta . Ero felice , avevo la bimba e aspettavo un bambino mio. Il padre della piccola, in carcere per un ergastolo, decise di opporsi all’adozione. Per farla breve la piccola dall’età di 15 anni si prostituisce. Ora ne ha 25. Il bambino che aspettavo ha 19 anni ed un fratello di 16.Nonostante questi doni, ogni giorno penso a quello che ho fatto. Ho interrotto volontariamente una vita, quella di mio figlio. Avrei voluto tutti i miei sei figli. I miei ragazzi sanno quello che ho fatto, hanno capito perché ma non riesco a perdonare me stessa. “Mamma quanto dolore hai dovuto sopportare”. Non capirete mai, per vostra fortuna. Non condannatemi, non giudicatemi. Mi sono giudicata e condannata senza appello da sola. E non mi sono perdonata.

Grazie per avere condiviso questa meravigliosa e commovente testimonianza con me e con tutti i lettori del blog, che fa capire ancora una volta come l’aborto – lungi dall’essere un «diritto» come pretenderebbe una modernità un po’ troppo giuliva, anche peraltro in contrasto con il dettato letterale della legge 194, che non lo definisce mai come tale – resta sempre un grande e tragico trauma per la donna.

Anche nella tua situazione, che è stata ed è naturalmente molto particolare e molto difficile.

Personalmente, sono certo che Dio ti abbia perdonato e che anche tu ora possa perdonare te stessa.

Non so se sei credente o meno, se tu lo fossi un buon modo per «lavorarci sopra» potrebbe essere quello di andare a parlarne con un consigliere spirituale; se non lo fossi, potresti sempre parlarne con un counselor o uno psicologo o comunque una persona in grado di dare un vero ascolto non giudicante.

Nella tua vita ora ci sono ora tante cose buone e questa è, finalmente, la luce.

Ti abbraccio e ti stringo forte: coraggio!

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benessere cultura libri

La morte di Ivan Il’ic: alcune riflessioni.

Mentre voi facevate storie animate su Instagram, mi sono riletto La morte di Ivan Il’ic del puttaniere Lev Tolstoj, in questa edizione, purtroppo solo cartacea, di Adelphi, che contiene anche il racconto Tre morti più altri inediti.

Senza la pretesa di fare la recensione di un’opera e di un autore così importanti, alcune riflessioni in ordine sparso.

Il tema della morte é oggi decisamente il grande assente nelle nostre vite, se si considera che un tempo ogni vita veniva vissuta pensando anche al momento della morte e in misura della stessa, come un momento essenziale, un’altra faccia della medesima.

Oggigiorno invece si tende a svicolare, a glissare, come se la morte fosse un qualcosa cui non siamo comunque tutti destinati, come se fossimo destinati a non morire mai, ed è un peccato perché chi pensa di non morire mai finisce per non vivere veramente nemmeno un solo giorno.

Comunque, ripercorrendo questo racconto, ho considerato che ogni tanto bisognerebbe davvero rileggere i classici, lasciarsi meravigliare dalla ricchezza di dettagli dell’affresco che tratteggiano e dalla profondità di conoscenza sia dell’animo che dell’esperienza umana che questi autori sembrano avere, in particolare i grandi scrittori russi.

Con questo racconto, un testo che si legge in un paio d’ore, torniamo a confrontarci con temi essenziali della nostra presenza su questa terra, tra cui il senso della vita, e il significato della morte, che, come tale, può arrivare all’improvviso, anche per effetto di un banale incidente domestico, come accade ad Ivan.

Leggere, peraltro, se si riesce a farlo con la dovuta attenzione, é sicuramente una forma di meditazione e, ulteriormente, una forma di cura, perché la gestione dell’attenzione – come sottolineato dalla Cinotti – é essa stessa una cura, considerando che la focalizzazione ci fa stare meglio, mentre il suo contrario, che si ha quando l’attenzione viene lasciata libera di pascolare e vagare, finisce per farci stare peggio.

Adotta anche tu un libro per un paio d’ore 😉

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benessere cultura

Agricoltura, industria, informatica: le tre rivoluzioni dell’uomo.

Per un uomo sempre più alienato.

Oggi ti voglio parlare delle tre grandi rivoluzioni dell’uomo.

Anche questo, come quello sulla scelta vegetariana e vegana, è un post in cui introduco alcuni concetti fondamentali che poi saranno utili in molti altri post successivi.

Queste tre grandi rivoluzioni, ti voglio subito anticipare, non sono state un fatto positivo per la nostra specie, ma ognuna ha rappresentato una grande catastrofe che ci ha allontanato dal nostro modo di vivere naturale.

Ognuna di queste rivoluzioni, poi, ha peggiorato ancora quella che era venuta prima, con una serie di effetti disastrosi per la nostra salute, il nostro benessere e la nostra qualità della vita di cui in parte soffri sicuramente anche tu che mi stai leggendo.

Le tre grandi rivoluzioni sono quella agricola, quella industriale e quella digitale, che stiamo vivendo proprio in questi anni. Ognuna è stata un potente fattore di alienazione dell’uomo.

I cacciatori raccoglitori.

Qual è lo stato naturale dell’uomo?

Quello della caccia e della raccolta, praticato e vissuto ancora da alcuni gruppi di uomini che ancora vivono in questo stadio. Questi uomini non lavorano, non hanno alcun sistema previdenziale, non hanno sistemi di governo di tipo statuale, ma riescono a mangiare, bere, risolvere i conflitti, gestire gli anziani e gli invalidi, godere di forme di intrattenimento – tramite i cantastorie – molto meglio di quanto avvenga nella nostra società.

Questi uomini, che noi giudicheremmo «selvaggi», vivono davvero secondo natura, effettuando una caccia sostenibile quando ne hanno bisogno, con una profonda divisione dei ruoli tra maschi e femmine.

Generalmente, si ritiene che la vita di questi uomini sia molto dura, in realtà è una vita molto più leggera e priva di stress della nostra. Ti voglio citare a proposito le parole di un testo fondamentale, anche se generalmente meno conosciuto, del movimento paleo, purtroppo non tradotto in italiano, ma che, se sei in grado di leggere in Inglese, ti consiglio di leggere assolutamente: si tratta di Neanderthin di Ray Audette.

Secondo questo autore, «the search for food among huntergatherers has often been thought of as a long and laborious process by those of us who are used to the convenience of supermarkets. Studies of contemporary hunter-gatherers, dispel this myth conclusively. Among huntergatherers living in the harshest desert and Arctic conditions, it has been found that they work less than 3 hours per day. These hours not only include the time necessary to obtain and prepare food but also the time to provide housing and clothing. || La ricerca del cibo tra i cacciatori raccoglitori è sempre stata considerata come un processo lungo e laborioso da quelli di noi che sono abituati alla comodità e convenienza dei supermarket. Studi effettuati sui cacciatori raccoglitori che vivono al giorno d’oggi distruggono completamente questo mito. Tra i cacciatori raccoglitori che vivono nei deserti più aspri e nelle terre artiche, è stato visto che le ore di lavoro sono meno di tre al giorno. Queste ore non solo comprendono il tempo necessario per ottenere e cucinare il cibo, ma anche quello per dotarsi di un riparo e di vestiti».

È un po’ diverso dalla nostra vita, dove dobbiamo lavorare otto ore tutti i giorni, dopo esserci svegliati con un atto di violenza della nostra sveglia, usciti dal lavoro dobbiamo perdere un’ora per andare a fare la spesa e poi, dopo cena, se non ci vogliamo imbolsire, dobbiamo persino andare in palestra…

Questo, comunque, era lo stato originario degli uomini e lo è stato per tutti gli uomini, su tutta la terra, per almeno due milioni di anni.

La rivoluzione agricola.

Poi, è intervenuta la prima rivoluzione, quella agricola.

«Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?» (Mt 6, 24)

Gli uomini hanno smesso di cibarsi delle forme di vita animali e vegetali spontaneamente disponibili in natura e hanno voluto allestire un sistema organico di coltivazione, incentrato sia sull’allevamento che sull’agricoltura. Hanno smesso di fare come avevano sempre fatto, e come fanno gli animali che vivono in libertà, compresi gli uccelli del cielo, e hanno cominciato a seminare, mietere, raccogliere nei granai.

Non si sa bene cosa abbia innescato questa prima grande rivoluzione, circa 10000 anni fa, in diverse parti del mondo non collegate tra loro, ci sono addirittura alcune persone che sostengono che vi sia stata un’intervento da parte di forme di vita aliena per far progredire i terrestri… Di queste ipotesi fantascientifiche c’è da salvare il fatto che ad oggi non ci sono spiegazioni soddisfacenti circa l’innesco di un cambiamento così profondo e su vasta scala.

Con la rivoluzione agricola, nascono le grandi civiltà, ma l’uomo paga un prezzo salatissimo:

  • alimentazione a base di cereali e legumi che devastano il sistema digerente e in generale la salute, tant’è vero che gli scheletri degli uomini dall’epoca agricola in poi – il caso classico sono le mummie egiziane – denotano un netto peggioramento nello stato di salute: statura molto più bassa, denti marci e devastati, ossa più piccole, ecc.
  • nascita delle classi sociali: ci sono, per la prima volta, persone che non si occupano del cibo (Giovanni Cianti li chiama «specialisti no food») ma diventano governanti, artigiani, avvocati…
  • sovrapopolazione
  • lavoro in agricoltura dall’alba al tramonto per quasi tutti gli uomini e quindi, sostanzialmente, nascita della schiavitù, tanto per i formalmente schiavi che per i formalmente liberi

Tutto ciò ha determinato una potete alienazione per l’uomo da sè stesso: da libero, è diventato schiavo. Da sano, è diventato malato. Da persona con uno scopo, diventa una persona che perde sempre più il senso della sua esistenza.

Con l’agricoltura, non sono cazzi solo per gli uomini, ma anche ad esempio per i lupi, che, da fedeli compagni di caccia degli uomini per due milioni di anni, diventano adesso dei pericolosi nemici, che, tentando di continuare a fare a mezzo con gli uomini come avevano sempre fatto, prendono una pecora, un agnello o un capretto agli allevatori che, così, si mettono a dar loro la caccia.

Ho parlato di questo vergognoso tradimento degli uomini ai lupi nel mio racconto «Io non avrò mai paura di te», che ti invito a leggere se vuoi approfondire l’argomento.

Questa è l’epoca non più del lupo, ma del gatto, che non a caso presso gli Egizi, la prima grande civiltà nata con l’agricoltura intorno al fiume Nilo, vengono divinizzati e protetti. La spiegazione risiede molto semplicemente nel fatto che l’uomo agricoltore semina, miete ma soprattutto ammassa nei granai, dove, se il grano viene mangiato dai topi, le sue scorte di cibo vengono fatte fuori… I gatti, animali esclusivamente carnivori, danno volentieri la caccia ai topi, tenendo pulito e conservando le preziose scorte dell’uomo agricolo che crede di aver fatto un progresso cibandosi di cibo per uccelli – il grano è un cibo per uccelli granivori, inadatto alla specie umana – quando invece in quel modo si è rovinato nel modo che abbiamo visto sopra.

Perchè l’uomo, nel momento in cui è passato da uno stato naturale di raccolta, di vita simile a quella di tutti gli altri animali che mangiano il cibo che trovano o cacciano, non è diventato più allevatore, determinando disponibilità di un cibo, la carne, molto più adatto a sè, ma è diventato più che altro coltivatore? Perchè, in altri termini, invece che concentrarsi sulle forme di vita animali lo ha fatto su quelle vegetali, devastando la propria salute e quella di tutte le generazioni successive?

«E avvenne, di lì a qualche tempo, che Caino fece un’offerta di frutti della terra all’Eterno; e Abele offerse anch’egli dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso. E l’Eterno guardò con favore Abele e la sua offerta, ma non guardò con favore Caino e l’offerta sua. E Caino ne fu molto irritato, e il suo viso ne fu abbattuto. E l’Eterno disse a Caino: ‘Perché sei tu irritato? e perché hai il volto abbattuto? Se fai bene non rialzerai tu il volto? ma, se fai male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri son vòlti a te; ma tu lo devi dominare!’» (Genesi 4:3-7)

A quanto pare anche Dio gradiva di più gli allevatori, rispetto ai coltivatori, ma poi sappiamo tutti come è andata e quale dei due è sopravvissuto…

La rivoluzione industriale.

Facciamo adesso un grande salto in avanti, ricordandoci che grande, in termini di storia, parlare di «salto grande» è molto relativo, e andiamo alla seconda grande rivoluzione dell’uomo, che è quella industriale.

La storia la sappiamo tutti, nel 1700 in Inghilterra si iniziano ad applicare mezzi di produzioni in serie e con criteri di sistematicità ad attività che, in precedenza, erano svolte a livello solo artigianale. Prendiamo ad esempio la realizzazione di un paio di scarpe, di sedie o mobili per le abitazioni e così via.

Anche qui è sempre la tecnologia la novità che innesca tutto, resta da capire, come accennato prima, che cosa è che, in fondo, determina il progresso tecnologico.

Con la rivoluzione industriale sono cazzi ancora più amari per l’uomo: da schiavo nei campi, diventa schiavo chiuso nelle fabbriche, ancora più sfruttato, ancora più alienato e devastato. I bambini, ad esempio, iniziano a lavorare prestissimo, anche a quattro anni, stanno in fabbrica anche 12, 14 ore. Non fabbricano più vitamina D non ricevendo i raggi del sole e diventano rachitici e cioè sostanzialmente invalidi, come si può vedere nella foto.

La cosa bella che accade in questo periodo è che la rivoluzione industriale non solo devasta l’uomo cento volte di più di quello che aveva fatto la rivoluzione agricola, ma peggiora profondamente la rivoluzione agricola stessa, facendo nascere, al posto di coltivazioni varie e di dimensioni spesso artigianali, gli allevamenti e le coltivazioni intensive, spesso a monocoltura, determinando devastazioni per gli uomini che vi lavorano e per l’ambiente e prodotti destinati a fungere da cibi per gli uomini di qualità sempre più scadente, in considerazione che l’imperativo era produrre la maggior quantità possibile di latte, grano, frutta, senza alcuna considerazione per le proprietà salutari dei prodotti.

Un filosofo, Karl Marx, ha parlato di alienazione dell’uomo che passa dalla dimensione artigianale e controlla l’intero processo produttivo del bene che realizza, a quella industriale dove, in catena di montaggio, segue un solo aspetto, utilizzando mezzi di produzione che non gli appartengono più, ma è stato sbertucciato per ogni dove – quando invece su questo aveva ragione da vendere, anche se il comunismo non era certo la soluzione.

Naturalmente, di fenomeni giganteschi come le rivoluzioni agricola ed industriale potremmo parlare per giorni, ma io mi fermo qui, essendomi limitato ad evidenziare gli aspetti che ci interessano di questi eventi che hanno determinato profondi cambiamenti nella condizione umana. Se vuoi, ovviamente, puoi approfondire con apposite ricerche o leggendo uno dei molti libri disponibili sull’argomento.

La rivoluzione digitale.

La terza rivoluzione è quella che stiamo vivendo adesso e cioè quella digitale, quella dell’informatizzazione, un altro «progresso» portato della tecnologia, un’altra grande svolta verso la più completa e totale alienazione dell’uomo.

Con la rivoluzione digitale l’uomo si mentalizza, il suo corpo diventa sempre meno importante e presente, il suo carico mentale diventa pesantissimo, la figura di riferimento nel mondo del lavoro è il knowledge worker, colui che lavora con la conoscenza, come ad esempio un giornalista, un blogger, un esperto di marketing, un formatore, un web master, un informatico, un avvocato… Con il chè, quel processo che aveva allontanato l’uomo dal cibo rispetto alla situazione del suo stato naturale, in cui tutti gli uomini e le donne partecipavano alla raccolta del cibo, generando specialisti non a contatto con la lavorazione del cibo, sostentati dal lavoro di altri, si spinge ancora più in là.

Qui la distanza dallo stato naturale dell’uomo diventa elevatissima. Si diffondono di conseguenza stress e depressione, specialmente nei paesi occidentali dove il benessere, e i benefici della civiltà (il più povero in Italia dispone di cure mediche e trattamenti sanitari di cui non disponevano i re appena un secolo o due addietro), sono al massimo livello – eppure le persone non sono felici.

Ancor più alienazione e perdita di autenticità.

Una delle conseguenze ulteriori è che le relazioni personali sono meno presenti, perché l’uomo passa la maggior parte del suo tempo non faccia a faccia con un suo simile, ma davanti a uno schermo (un grande fattore di depressione secondo Steve Ilardi, con il suo The depression cure), ma soprattutto sono molto meno autentiche, perché siamo meno spontanei, siamo più mentalizzati e pieni di fisime.

Siamo diventati così lontani dal nostro vero cibo e dal procacciamento dello stesso che non capiamo più il ciclo della natura a riguardo, diventiamo vegetariani – cosa piuttosto maldestra che determina strage di microfauna e la tortura delle vacche da latte – o addirittura vegani, finendo per rimpinzarci di autentici veleni come la soia, il tofu, altri legumi, i cereali e il seitan e per sostenere, ulteriormente, che tutti dovremmo diventarlo per il benessere degli animali e dell’ambiente, una cosa che può essere concepita solo da chi non ha il minimo senso dell’uomo e della sua storia e posizione nel mondo.

Ovviamente, anche la rivoluzione digitale ha peggiorato le due sorelle precedenti, determinando un’agricoltura sempre più innaturale e lontana dalle vere esigenze della gente e un’industria sempre più spietata, dove il lavoro degli uomini, che finalmente avevano ottenuto un po’ di tutele, è destinato ad essere sostituito da quello di appositi robot.

Se questa è la realtà, dunque, che cosa bisogna fare?

Per il nostro benessere, da intendersi a tutto tondo, non solo fisico, ma anche mentale e spirituale, è necessario cercare di vivere il più possibile nel modo per cui siamo stati «progettati» e per il quale ci siamo evoluti, per due milioni di anni di storia, prima che queste sataniche rivoluzioni intervenissero, adottando non solo una dieta, ma uno stile di vita di tipo evolutivo.

Se vuoi ottenere una consulenza a riguardo, puoi scriverci dalla pagina dei contatti. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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cultura diritto

I migliori giudici? Quelli che non vogliono farlo.

Oggi voglio proporti uno scampolo di prosa di un celebre autore scomparso oramai qualche anno fa, che a mio modo di vedere centra con precisione chirurgica uno dei tanti problemi del sistema giudiziario italiano, quello cioè relativo alla selezione dei magistrati.

Ma fornisce anche alcune indicazioni parimenti azzeccatissime su come dovrebbe farsi il difficilissimo mestiere di giudice, cioè quasi con imbarazzo, sempre con la porta aperta al dubbio e con tanta umanità.

Torna in mente la preghiera del giudice più famoso di tutti i tempi, Salomone, che chiese a Dio di donargli «un cuore che sa ascoltare», una preghiera che oggigiorno dovrebbero fare tutti i giudici e anche gli avvocati che, secondo una nota formula, restano in fondo, in un sistema fisiologico, i primi giudici dei loro clienti.

«Un giovane esce dall’Università con una laurea in giurisprudenza, senza alcuna pratica forense e con poca esperienza, direbbe Manzoni, del ‘cuore umano’, si presenta ad un concorso; lo supera svolgendo temi inerenti astrattamente al diritto e rispondendo a dei quesiti ugualmente astratti: e da quel momento entra nella sfera di un potere assolutamente indipendente da ogni altro: un potere che non somiglia a nessun altro che sia possibile conseguire attraverso un corso di studi di uguale durata, attraverso una uguale intelligenza e diligenza di studio, attraverso un concorso superato con uguale quantità di conoscenza dottrinaria e con uguale fatica. Ne viene il problema che un tale potere – il potere di giudicare i propri simili – non può e non deve essere vissuto come potere. Per quanto possa apparire paradossale, la scelta della professione di giudicare dovrebbe avere radice nella ripugnanza a giudicare, nel precetto di non giudicare: dovrebbe cioè consistere nell’accedere al giudicare come ad una dolorosa necessità, nell’assumere il giudicare come un continuo sacrificarsi all’inquietudine, al dubbio.» (Leonardo Sciascia, Il giudice, 1987)

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ePub con problemi su Play Libri: come risolvere.

Recentemente, ho avuto un problema con il caricamento di un ebook in formato epub su Play Books, il sistema che utilizzo io per leggere i libri elettronici.

Purtroppo, ogni volta che tentavo di inserire il libro, non protetto da DRM, mi dava un errore dicendo che era incompatibile.

Dopo aver provato a validare il formato del libro con Sigil e con altri sistemi di correzione e sistemazione dei files ePub, compresa una conversione da ePub ad ePub con Calibre che a volte funziona, sono riuscito ricorrendo ad un metodo particolare.

Non so come abbia funzionato, probabilmente il formato del libro è stato completamente ricostruito eliminando gli errori.

Ciò che ho fatto è stato usare Calibre per convertire il libro prima in formato MOBI e poi riconvertirlo in ePub. Ho controllato che gli indici e le altre strutture del libro fossero e poi e poi l’ho caricato.

Se anche tu trovi dei files ePub che non riesci a dare in pasto a Google libri, puoi provare questo escamotage.

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counseling cultura libri

101 storie zen: libro molto piccolo, molto profondo.

Il libro.

Questo è un libricino davvero molto bello, che dovrebbero o potrebbero leggere tutti per la sua rapidità e facilità di lettura, da un lato, e per il contenuto profondo, in contrapposizione, dall’altro. Personalmente, lo uso molto spesso con le persone che seguo nel counseling, lo considero anche un vero e proprio strumento di lavoro.

Le 101 storie zen contenute in questa raccolta sono, infatti, molto brevi, molte non superano addirittura la mezza pagina, ma lasciano ampio spazio per la riflessione, in linea con la consuetudini delle tradizioni sapienziali orientali, che, a differenza di quella cristiana, sono fatte più di silenzio che di parole.

Questo è un libro infatti dove il lettore trascorre più tempo a riflettere, con il libro abbassato in mano, su quello che ha appena letto, che a leggere direttamente.

È stupefacente come storie così brevi possano contenere contenuti così ampi e profondi, spunti che a volte ti fanno riflettere per anche lungo tempo.

101 storie zen

Sotto questo riguardo, sembra di leggere le scritture cristiane: contenuti condensatissimi, che accedono prospettive e punti di vista che non sapevi nemmeno di avere, ma che senti ti arricchiscono moltissimo.

Un libro da leggere, dunque, molto lentamente, come piace a me, e, per questo godibilissimo, oltre che utilissimo.

Le storie.

Le storie sono piene di paradossi, apparenti, o reali, controsensi, come nella migliore tradizione zen dei koan, che poi sono metafore curiose che, alla fine, sono il mezzo migliore per parlare al nostro cervello emotivo.

Riporto qui di seguito la storia n. 35, che poi riprenderò nel post, che sto concependo proprio in questo periodo, in seguito alle numerose richieste ricevute, sulla mindfulness. Una storia, come si vede, di pochissime righe, ma che contiene concetti importantissimi come quelli del pilota automatico, della consapevolezza, della necessità di «vegliare sempre» – un vero e proprio mantra di Gesù! -, che ti fanno capire con pochissime parole uno degli aspetti fondamentali dello zen.

35. Lo Zen di ogni istante.

Gli studenti di Zen stanno coi loro maestri almeno dieci anni prima di presumere di poter insegnare a loro volta. Nan ricevette la visita di tenno, che dopo aver fatto il consueto tirocinio era diventato insegnante. Era un giorno piovoso, perciò tenno portava zoccoli di legno e aveva con sé l’ombrello. Dopo aver salutato, Nan-in disse: «Immagino che tu abbia lasciato gli zoccoli nell’anticamera. Vorrei sapere se hai messo l’ombrello alla destra o alla sinistra degli zoccoli.
Tenno, sconcertato, non seppe rispondere subito. Si rese conto che non sapeva portare con sé il suo Zen in ogni istante. Diventò allievo di Nan-in e studiò ancora sei anni per perfezionare il suo Zen di ogni istante.

Poi c’è, sempre ad esempio, la storia numero 1, della tazza di tè, di cui parlo in questo altro post, e che ritengo fondamentale per qualsiasi percorso di cura e guarigione personale.

Come procurarselo.

Purtroppo, il libro non esiste in formato ebook, ma solo in cartaceo.

Si può acquistare per pochi euro qui.

Non perdertelo, anche se hai poco tempo per leggere puoi fare una storia o due al giorno in pochi minuti, ti arricchirà tantissimo. Per me è un must-have.

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Leggere in Inglese: quali libri scegliere?

Mi hanno chiesto quali possono essere i libri migliori da leggere in lingua originale per imparare l’Inglese.

Prima di rispondere a questa domanda, voglio parlarti di alcuni concetti di base riguardanti la materia su cui mi capita di riflettere spesso quando si parla di internazionalizzazione, studi da fare, prospettive lavorative e così via.

Innanzitutto, non c’è dubbio che la lingua Inglese sia ormai la nuova ????? del mondo contemporaneo, cioè la lingua comune che si parla più o meno in tutte le nazioni per intendersi con persone di madre lingua diversa dalla propria. Proprio alcuni giorni fa, nel mio mestiere di avvocato, ho fatto un appuntamento con un cittadino olandese che non conosceva l’Italiano parlando sempre, appunto, in Inglese. La mia singola fattura più grande, in 22 anni, l’ho fatta per un recupero crediti negli Stati Uniti, in cui ho dovuto parlare sempre Inglese.

Sapere l’Inglese, dunque, è sicuramente una necessità, oggigiorno. Non solo per comunicare con «altri popoli», ma per avere accesso ad informazioni molto più ricche. Molti tra i libri più interessanti sono disponibili solo in Inglese. Provate poi a fare una ricerca con google in Italiano o in Inglese, come faccio sempre io: vedrete che la ricchezza e la quantità di risultati ottenuti varia in proporzione da 1 a 50… E questo è molto ovvio, la lingua inglese, oltre ad essere la nuova lingua comune ed internazionale, è parlata su un vasto insieme di territori e da moltissime persone: Australia, Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Paesi del Commonwealth

Come scrittore, ad esempio, sono stato più volte tentato di scrivere in Inglese, per avere accesso ad un pubblico potenzialmente molto più vasto di quello cui accedo scrivendo in Italiano, una lingua ormai, per quanto nobile e gloriosissima, piuttosto di nicchia. Credete che la tipa che ha scritto quell’ignobile opera che sono le «50 sfumature di grigio» avrebbe avuto lo stesso successo planetario se l’avesse compilata in Italiano?

Un’altra cosa che mi lascia perplesso e dove secondo me vale la pena sviluppare qualche riflessione è l’affermazione secondo cui «le lingue aprono tutte le porte» per cui bisognerebbe studiarne quante più possibili.

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Questo, tuttavia, in un mondo dove ormai parlano quasi tutti Inglese mi sembra piuttosto poco vero e fuorviante.

Sicuramente, imparare una ulteriore lingua straniera è benefico per lo sviluppo e l’elasticità del cervello e del pensiero, ma qui siamo sempre a livello di crescita personale. Se parliamo di prospettive lavorative, salvo settori molto di nicchia (azienda italiana che lavora solo con azienda tedesca ad esempio), dove comunque la lingua la impari in ogni caso, per molte cose basta davvero l’Inglese. Con l’Inglese comunichi con tutti: Tedeschi, Cinesi, Russi, ecc. ecc..

Per questo, sostengo da anni che il vero liceo linguistico è quello classico e che, senza una profonda base umanistica, che ti insegna a pensare, è inutile conoscere tante lingue moderne.

Non avere niente da dire, ma poterlo dire in tante lingue, resta sempre un’operazione inconcludente. Bisogna prima avere qualcosa di interessante da dire: prima il contenuto, poi il veicolo.

Quella che serve è la cultura vera e la cultura vera, poche storie, è quella umanistica e classica dove si studia il latino, il greco, filosofia, ecc. ecc.. Poi su questa base umanistica puoi spalmare quello che vuoi.

Dopo 5 anni passati a «leggere» latino e greco, peraltro, imparare una lingua moderna è quasi una passeggiata, vedendo l’etimologia di molte parole e le connessioni e i calchi tra i vari sistemi linguistici.

Andate dunque al liceo classico, se potete. Acquisirete una base culturale su cui poi potrete impiantare tutto quello che volete, persino studi scientifici o ingegneristici, dove chi ha avuto una formazione classica riesce meglio di chi ha avuto una formazione scientifica.

Ormai sapete che, se volete informazioni da me, dovete sorbirvi anche le mie prediche.

Esaurite le prediche, torniamo alla domanda iniziale: quali sono i libri migliori da poter leggere in lingua originale per imparare o migliorare l’Inglese.

Intanto, leggere è un ottimo metodo per migliorare la conoscenza di una lingua, perché ci consente di meditare su termini, costruzioni sintattiche e verbali e introitarle meglio. Ovviamente gli skills relativi alla conversazione o all’ascolto ne giovano meno, perché abbiamo sempre a che fare con un testo scritto, ma è comunque un’esercizio potente e molto stimolante per l’apprendimento linguistico.

C’è poi da fare una annotazione anche riguardo allo strumento di lettura, se cartaceo o tramite ebook. Qui, dove si legge anche per imparare e non solo per divertirsi, vince a man bassa l’ebook, anche perché quando incontri un termine che non comprendi puoi leggere la relativa voce nel dizionario, che può essere in Inglese o in Italiano, oppure puoi chiederne la traduzione, o anche cercarla con google. Insomma, direi che con l’ebook si abbiano davvero tanti strumenti a disposizione in più rispetto al cartaceo, per cui la scelta consigliata è certamente quella del formato elettronico.

Per quanto riguarda cosa leggere, un autore molto semplice, che ho amato moltissimo e che ho letto quasi tutto in lingua originale è Charles Bukowski. Oggi citatissimo sui social network, all’epoca era meno conosciuto ma aveva comunque raggiunto un grande successo anche oltre gli Stati Uniti. Uomo contro il sistema, ma anche profondamente vittima dello stesso, ha scritto opere molto divertenti, con un linguaggio semplicissimo – era ammiratore di Hemingway, un altro che teneva le frasi molto «secche», anche se poi lui è andato ancora oltre. Ha scritto molti libri, la bibliografia completa la potete trovare su wikipedia come al solito, quello che vi consiglio per partire è Ham on Rye, la descrizione della sua infanzia a partire dal suo primo ricordo all’età di tre anni, molto difficile, ma anche poetica e struggente. Oppure, se volete qualcosa di ancora più semplice, potete prendere una raccolta di short stories o racconti brevi come South of no North, ma anche Hot Water Music o altri. Buk infatti ha iniziato, come tanti autori, con il racconto breve, per passare poi solo in seguito al romanzo. Ci sono alcuni suoi racconti brevi che sono memorabili, come Praying Mantis (non mi ricordo in quale raccolta è contenuto).

[A proposito di racconti brevi, ne approfitto per dirvi che in questi giorni è uscito il mio «La lettera di Sara», un ebook che raccoglie tre racconti brevi in cui introduco la figura di Davide Boni… Compratelo, non mi interessa che lo leggiate anche, mi basta appunto che lo compriate e che lasciate una recensione positiva (sulla fiducia)]

Un altro autore che ho adorato, ma che è un pelo più difficile da leggere di Buk per chi è alle prime armi, è John Fante, ammirato dallo stesso Bukowski. Anche qui sono disponibili raccolte di racconti.

Leggere in lingua originale è una esperienza molto bella perché qualcosa nella traduzione si perde sempre, per non dire del fatto che di Buk mi è capitato per curiosità di leggere traduzioni davvero ignobili, che non rendono affatto la genuinità e la potenza del testo originale – ci sarebbe molto da dire a riguardo.

Buona lettura a tutti.

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Mattarella: siamo fuori dalla democrazia.

È giusto quello che ha fatto il presidente Mattarella?

Nei giorni scorsi la casella postale del blog é stata letteralmente invasa da messaggi di gente incazzata, impaurita, indignata, dubbiosa per quello che aveva fatto Mattarella, gente che vorrebbe almeno sapere da me se il presidente ha agito in modo corretto o meno.

A volte, in casi come questi, mi sento davvero un po’ l’avvocato degli Italiani, come avrebbe voluto e forse potuto essere il collega Conte, famoso per 5 minuti come previsto da Andy Wahrol e ormai ritornato nel suo più piccolo mondo, anche perché dopo venti anni che comunico, scrivo e parlo con la gente tutti i giorni per cose giuridiche su questo blog molti in effetti fanno riferimento a me.

In realtà il diritto costituzionale é, soprattutto per quanto riguarda il funzionamento degli organi dello Stato, una materia molto al confine tra il diritto e la politica, per forza di cose.

Inoltre non so a cosa possa servire sapere cosa, secondo me, prevede il diritto e cosa ne penso io, ma visto che avete chiesto in così tanti voglio provare a spiegarvi, cercando di utilizzare il linguaggio più semplice possibile, come al solito, come stanno le cose secondo la «legge» e da giurista, oltre che fare qualche valutazione più politica.

Ma vediamo prima di tutto qual è davvero la questione, perché a mio giudizio la pressochè totalità di coloro che se ne sono occupati non l’hanno inquadrata bene nemmeno nei suoi termini di partenza, si sono concentrati sul dito senza vedere la luna.

La questione giuridica sottesa a quello che è accaduto non è se il presidente della Repubblica possa rifiutare la nomina di un ministro proposta dalla maggioranza parlamentare, ma, ancora di più, se possa, per questo o per altri motivi, di fronte ad una maggioranza parlamentare oggettivamente esistente, rifiutarsi di accoglierla e darvi corso per la formazione di un nuovo governo, nominando come presidente del consiglio una persona che non fa parte del Parlamento, non si è presentata agli elettori e che con alta probabilità non otterrà la fiducia del Parlamento, pur governando dopo il giuramento ad interim e per gli affari correnti.

Il punto è, come vedremo meglio in seguito, che se andrà avanti il governo Cottarelli e, come è molto probabile, non otterrà la fiducia, l’Italia sarà governata da un dicastero completamente scollegato dalla volontà popolare e tutto ciò per aver rifiutato la nomina di un ministro non per ragioni, ad esempio, di precedenti condanne penali, ma semplicemente per motivi di opinione, perché questo ministro aveva idee non considerate idonee.

Attenzione, sono certo che nessuno di voi crede alla favolina del «governo neutro»: un governo, una qualsiasi entità, non è mai neutra, per il solo fatto di esistere. Questo governo prenderà decisione, adotterà provvedimenti, farà decreti che non saranno affatto neutri ma basati su decisioni precise a favore di alcune cose e a sfavore di altre.

Come si vede, è una questione sia giuridica che politica e civica, che, a mio giudizio, non può che avere una risposta chiarissima ed univoca, nonostante tutto.

Ma procediamo con ordine.

La costituzione più bella del mondo?

Parliamo innanzitutto della costituzione e del diritto in generale.

Intanto, la costituzione italiana non è affatto la «costituzione più bella del mondo» come qualcuno ha un po’ troppo giulivamente voluto affermare.

É un testo, tutto al contrario, decisamente molto sopravvalutato, che contiene norme abbastanza ambigue, anche nella parte sui principi fondamentali, perché frutto di un compromesso tra forze politiche dalle visioni opposte.

Pensiamo solo alla definizione di «repubblica democratica fondata sul lavoro» che sembra più il manifesto fondante di una delle vecchie repubbliche socialiste dell’est europeo sotto influenza sovietica che una definizione adatta all’Italia reale, che non è mai stata socialista ed oggi si presenta, tutto al contrario, in avanzato stato di globalizzazione e, dunque, di capitalismo e consumismo piuttosto selvaggi, che hanno preso il posto della nostra tradizionale civiltà agricola e cattolica.

Un’altra cosa divertente della costituzione è che tutti si sbracciano a dire che l’Italia é uno stato laico, ma l’Italia non lo è affatto – su questo sfido chiunque a dimostrare il contrario – perché lo stato laico è quello che tratta tutte le confessioni religiose allo stesso modo, mentre la legge fondamentale italiana, la costituzione di cui stiamo parlando, tratta diversamente la confessione cattolica, da un lato, e tutte le altre, dall’altro.

Un’altra enorme lacuna della costituzione più bella del mondo riguarda i partiti, che erano la realtà politica più importante all’epoca in cui la carta venne compilata ma a cui è dedicato solo un breve cenno, per confermarne pleonasticamente la legittimità, ad eccezione di quello fascista – anche questa è una incongruenza dal momento che un partito per l’instaurazione della sharia (a proposito, leggete Soumission di Houellebecq), per lo stato feudale, per la ruralizzazione dell’Italia e chi più ne ha più ne metta sarebbero perfettamente legittimi, anche se magari politicamente deteriori rispetto a quello fascista (che peraltro, in qualche forma, esiste o è esistito in passato).

Questi sono solo alcuni esempi, tanto per far capire.

La prima cosa da fare per comprendere la costituzione é prenderla per quella che è, un testo di compromesso con gravi lacune.

É vero, grazie alla costituzione sono stati fatti tanti passi in avanti, specialmente tramite la mannaia della corte costituzionale, però onestamente bisogna smettere di idolatrarla come se fosse il «Libro» che contiene la soluzione a tutti i possibili problemi.

Come dico spesso, la mia unica costituzione é il Vangelo di Luca, un testo ben più alto e, dei due, oggigiorno sottovalutato, ma che parla, con termini eterni, del vero cuore dell’uomo, raccontando la vita di un grande Maestro, di cui riesce a trasmetterci valori e insegnamenti, come un testo compilato da una commissione di politici e burocrati non potrebbe mai fare.

Ma c’è di più.

La costituzione resta comunque un testo giuridico, un testo dunque di diritto, un ammasso di regole e norme con cui si vorrebbero risolvere problemi, ma che, come strumento, mi riferisco al «diritto» presenta dei gravi limiti, di cui ho parlato in un altro post, al quale rimando.

Uno di questi limiti del diritto é che chi lo scrive non può prevedere tutte le ipotesi che si verificheranno nella pratica, inoltre soggiace comunque ai limiti propri del linguaggio, di talché non esiste diritto che possa essere applicato senza un passaggio interpretativo o ricostruttivo.

L’ideale illuministico dei giudici bouche de la loi é appunto una utopia: il diritto non è una macchina o un sistema meccanico, le leggi scritte devono sempre essere interpretate correttamente e calate nel caso concreto cui devono essere applicate.

Chi può interpretare la legge?

Una cosa molto importante da capire, parlando seriamente, è che, se non hai compiuto importanti e lunghi studi di diritto, é molto difficile che tu possa leggere e interpretare adeguatamente un testo giuridico.

Molte parti del codice civile e della costituzione sono oscure per gli stessi avvocati.

Per poter “leggere” in modo corretto un articolo di un qualsiasi testo normativo occorre una preparazione di fondo vasta e sistematica che consenta di contestualizzare e riempire del significato corretto quello che si sta leggendo ed apprezzando.

Se tu, senza questa preparazione alle spalle, tenti di dare comunque una tua lettura, sei ad alto rischio di errore, come se io andassi su PubMed per cercare di capire adeguatamente uno studio medico senza quella preparazione sistematica di base che ha chi ha compiuto studi poliennali di medicina o biologia.

Per questo motivo, é in buona parte necessario fidarsi dei giuristi, che però non sempre sono in buona fede, quindi anche qui bisogna cercare di capire chi fornisce interpretazioni oneste e sensate da chi invece ne fornisce di comodo o interessate.

Cosa dicono, a riguardo, i costituzionalisti?

In realtà, l’ipotesi è nuova, per quello che ho cennato prima, perché qui, sulla scorta della mancata accettazione di un ministro, è stato abortito un governo dotato di maggioranza politica a favore di uno che ne era sfornito.

Sull’art. 92 – lo hai visto in questi giorni – ogni costituzionalista ha opinioni diverse, ma questo è normale perché si tratta sempre di una norma giuridica. Secondo alcuni, il presidente della Repubblica non ha poteri di intervento sui nomi indicati dal presidente del consiglio incaricato, secondo altri il presidente avrebbe più margine. Però nessuno di questi costituzionalisti ha mai visto una situazione come quella dei giorni scorsi.

Sul fatto specifico di Mattarella, si è pronunciato, in un video, un giurista, esperto di diritto pubblico ma anche di altre discipline, che personalmente stimo molto e di cui inserisco di seguito il contributo. Si tratta di Mauro Scardovelli.

https://www.youtube.com/watch?v=bx41RlNQ3

 

Ma cosa dice in realtà l’art. 92.

Su queste premesse, proviamo a leggere le disposizioni applicabili e la vicenda che ci interessa.

Secondo l’art. 92 della Costituzione, sulla formazione del ministero, «il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri».

Come si vede, è un testo piuttosto laconico, che va integrato mediante interpretazione.

Il presidente della Repubblica può, dunque, rifiutarsi di nominare un ministro indicato dal Presidente del Consiglio incaricato e ciò sino a far fallire il tentativo di formare un governo sorretto da una maggioranza parlamentare esistente, per poi conferire incarico ad un soggetto privo di qualsiasi legittimazione politica e cioè di una maggioranza parlamentare e quindi di collegamento con la volontà popolare?

Per me, assolutamente no.

L’eventuale Governo nominato dal Presidente della Repubblica, dovrà comunque infatti avere la fiducia delle due camere (art. 94 Costituzione), dal momento che è solo il Parlamento che è rappresentativo del popolo, in quanto ne contiene – almeno in teoria – i rappresentanti.

Il Governo deve avere la fiducia non del Presidente della Repubblica ma del Parlamento.

Parlamento che, seppur con una legge elettorale penosa è espressione della sovranità del popolo (art. 1 costituzione) espressa nel voto (art. 48 costituzione) attraverso i partiti (art. 49 costituzione).

Il presidente della Repubblica, in Italia, è eletto dal Parlamento in seduta comune, non dal popolo.

Coerentemente con questo, si dice giustamente che l’Italia non è una repubblica presidenziale, come è ad esempio la Francia, dove il presidente è eletto direttamente dal popolo, ma una repubblica parlamentare.

Il presidente della Repubblica in realtà ha davvero poco collegamento con il popolo, è più un fiduciario o mediatore dei partiti che lo hanno eletto.

Durando in carica sette anni, spesso è il fiduciario di partiti diversi da quelli con cui si trova ad operare, esattamente come è avvenuto in questo caso.

I «costituzionalisti di facebook» ricordano che anche altri presidenti, in passato, hanno rifiutato nomi di alcuni ministri, ma il caso di gestito da Mattarella é completamente diverso.

Nei casi citati, le osservazioni del capo dello Stato erano state, in tutte le ipotesi, accettate: la maggioranza politica aveva deciso cioè di cambiare il nome del ministro accogliendo le indicazioni del presidente.

Se, invece, la maggioranza politica, anche di fronte ai dubbi e alle osservazioni del presidente, insiste, il capo dello Stato a mio giudizio può solo prenderne atto e procedere alla nomina, non può certo far fallire un governo sorretto dalla maggioranza del Parlamento, tanto più per dare luogo ad un governo che non ha la maggioranza ed è di conseguenza completamente delegittimato ad assumere qualsiasi provvedimento perché scollegato dalla volontà popolare.

Funziona un po’ come con il potere di rinvio di una legge alle Camere. Il Presidente può rinviarla, ma se la maggioranza la riapprova così com’è, identica, dopo é comunque obbligato a promulgarla.

Il presidente della Repubblica non è eletto dal popolo, ma solo dal Parlamento in seduta comune, cioè dai rappresentanti del popolo. Il collegamento del presidente con la volontà popolare è molto più sfilacciato di quello, già labile, che c’è coi parlamentari. Molto spesso il presidente é più un garante o mediatore dei partiti piuttosto che dei cittadini.

Presidente di chi?

Per capire di chi ha fatto gli interessi, di fatto, Mattarella, basta pensare a chi lo ha eletto a suo tempo, cioè la maggioranza composta da PD e Forza Italia, e leggere i tweet infarciti di orgoglio e soddisfazione di noti esponenti del partito democratico.

In realtà c’è poco da essere soddisfatti.

Il contratto di governo giuridicamente era di certo una boiata, ma era altrettanto certamente valido come programma: era un programma di governo, concordato dalla maggioranza parlamentare.

Se questo programma fosse valido o meno, nella sostanza, non spettava valutarlo ad altri che agli elettori alla prossima tornata elettorale, era comunque il programma formato dai partiti più votati dal popolo.

Fuori dalla democrazia

L’impeachment non esiste nella costituzione italiana. Esiste la messa in stato di accusa prevista dall’art. 90 della costituzione, un istituto che in Italia non è mai stato applicato fino in fondo: in un caso è stato respinto in fase preliminare (lo avevano chiesto i 5 Stelle contro Napolitano), in altri due bloccato dalle precedenti dimissioni dei presidenti Leone e Cossiga.

Al momento, la gravità di quello che ha fatto Mattarella non si può ancora valutare compiutamente, perché bisogna vedere se il governo che sta formando otterrà o meno la fiducia delle Camere.

Se, come probabile, non la otterrà, ebbene io credo che quello che ha fatto il presidente sia piuttosto grave, perché ha messo a governare l’Italia un dicastero completamente delegittimato al posto di un governo che invece godeva di una maggioranza parlamentare, cosa che a mio modo di vedere non avrebbe in alcun modo potuto fare.

Il punto finale e fondamentale di tutto il discorso, anche se se ne sta parlando poco, è che il governo Cottarelli, anche senza fiducia, prenderà, sino a che non ci saranno nuove elezioni ed un eventuale nuovo governo, dei provvedimenti aventi valore vincolante per gli Italiani.

Farà norme giuridiche e atti amministrativi che saranno obbligatori per gli Italiani, ma questo senza alcun collegamento con la volontà popolare e il voto di marzo.

Qui siamo senza dubbio completamente fuori dalla democrazia, anche da quel minimo sindacale che abbiamo sempre avuto in Italia.

Anche gente come Monti, Letta, lo stesso Renzi sono stati tirati fuori dal cappello a cilindro della politica, e in realtà rappresentavano poco più che loro stessi, ma comunque era gente che godeva di una maggioranza parlamentare, nel senso che i loro governi sono stati sempre votati dalle camere, le camere avevano dato loro la fiducia.

Se, invece, avremo questo aborto di Governo, un governo letteralmente nato morto, uno zombie che tuttavia governerà, senza fiducia delle Camere, per me la messa in stato di accusa di Mattarella giuridicamente ci sta tutta, perché è stato compiuto un atto che il presidente non avrebbe potuto adottare.

Semplificando.

Si possono non stimare Salvini o Di Maio, ma sono persone che ci hanno messo la faccia, hanno presentato dei programmi, hanno fatto campagna elettorale e hanno preso milioni di voti.

Cottarelli, per contro, onestamente chi è? Lui insieme alla lista di ministri che stanno compilando insieme a Mattarella.

Sono burocrati, magari brave persone, magari faranno pure bene quello che faranno, ma rappresentano davvero solo loro stessi.

Per quale motivo dovremmo essere governati da questa gente?

Soprattutto, per quale motivo andare a votare, spendendo milioni di euro, se poi il governo voluto dagli elettori deve essere rigettato e sostituito da un circolo di burocrati che non gode della fiducia del Parlamento e non ha nessun collegamento con il popolo?

Magari è gente che può fare un buon lavoro, forse anche migliore di quello che avrebbero fatto i ministri del governo giallo verde, allora a questo punto riformiamo la costituzione, torniamo alla dittatura e almeno non spendiamo soldi per fare inutili elezioni.

Con i soldi risparmiati potremo magari corrompere gli amministratori delle società di rating 😉

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