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quando il marito lascia la casa coniugale

Sono sposata da tre anni e mio marito ha abbandonato il tetto coniugale da 9 mesi. Ancora non abbiamo fatto la separazione volevo sapere visto che lui non mi passa un centesimo per nostro figlio cosa devo fare? E quanto deve darmi visto che lavora in nero e guadagna dei bei soldini? Come posso tutelare i diritti di mio figlio? (Palmira, via mail)

Alla lettrice conviene, anche a prescindere dai contenuti, depositare subito un ricorso per separazione giudiziale, che poi, nel caso vi sia per qualche motivo un accordo con suo marito, potrà sempre trasformare in consensuale. In questo ricorso, chiederà quanto vuole come mantenimento per il figlio e, se del caso, anche per lei come moglie. Non si può dire ora una misura precisa di quello che potrebbe essere il mantenimento perchè dipende da cosa fa il marito, anche in nero, e da dove vive il nucleo famigliare. Quello che si può dire, però, è che molti giudici non si fanno ingannare da dichiarazioni dei redditi molto basse, specialmente se si tratta di lavoratori autonomi, anche piccoli artigiani, e prevedono come mantenimento somme che più che a quanto viene dichiarato sono adeguate a quello che di solito guadagna un autonomo medio di quel settore (ad esempio, se il marito gestisce o collabora ad un bar in nero, presumono che guadagni come un barista medio).

Il padre, avendo abbandonato il tetto coniugale e soprattutto non corrisposto alimenti per nove mesi al figlio, potrebbe anche essere denunciato per violazione degli obblighi in materia di assistenza. Essendoci un minore, tuttavia, la querela, una volta presentata, non potrebbe più essere “rinunciata” quindi il mio consiglio è quello di non fare questa mossa, almeno per il momento, anche al fine di favorire un accordo, presentando però subito, senza perdere ora tempo in trattative che è invece meglio fare dopo, un ricorso per giudiziale.

 

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i figli maggiorenni bisogna continuare a mantenerli

Sono divorziato da due anni, in sede di separazione mia figlia è stata affidata alla madre con obbligo di mantenimento da parte mia. Il mese scorso mia figlia, studentessa, è diventata maggiorenne: devo continuare a pagare il mantenimento? (Luigi, via e-mail)

La risposta è sì, l’obbligo di mantenere un figlio non cessa con il raggiungimento della maggiore età dello stesso ma fino a quando il figlio non raggiunga l’autonomia economica, per cui anche nel caso in cui il figlio faccia dei lavoretti saltuari questi non liberano il padre dall’obbligo del mantenimento.

L’unica cosa che è possibile fare, una volta che il figlio abbia compiuto i diciotto anni, è versare direttamente a lui l’importo del mantenimento e non più dall’ex coniuge. Questa novità è stata introdotta dalla Legge n. 54 dell’8 febbraio 2006 in materia di affido condiviso (art. 155-quinquies cod. civ.).

(con la collaborazione della Dott.ssa Antinisca Sammarchi)

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per la separazione vado dall’avvocato di mia moglie?

Me ne sono andato di casa alcuni mesi fa perchè non andavo più d’accordo con mia moglie. Ora lei, tramite il suo avvocato, mi ha mandato una lettera per separarci e vuole che vada dal suo avvocato. Io sono indeciso se andarci, per risparmiare, o trovarmene uno per conto mio, spendendo di più. Cosa mi consiglia? (Paolo, via e-mail)

In linea di massima, il consiglio è che se non ci sono questioni particolari su cui discutere (tipo assegnazione della casa, mantenimento al coniuge, affidamento e mantenimento dei figli, etc.) ma, al contrario, i coniugi sono già d’accordo su tutto o quasi si può andare dallo stesso avvocato. Invece,nel caso in cui ci siano diversi problemi ancora aperti e su cui discutere, allora è meglio affidarsi a due avvocati diversi affinchè ognuno si veda tutelare al meglio i propri interessi. Il consiglio, in questi casi, è quello di spendere subito qualcosa in più per il proprio legale piuttosto che per, risparmiare subito, spendere molto di più negli anni a venire.

Infatti, è sempre da tenere presente, che le condizioni previste dal verbale di separazione/divorzio sono vincolanti per i coniugi per molti anni (fino all’autonomia economica dei figli, fino a quando il coniuge non si risposi e così via) , per cui è opportuno che tutte le questioni vengano attentamente e vagliate da un professionista che faccia solo ed esclusivamente gli interessi del proprio cliente e non di due persone con desideri ed esigenze contrapposte.

(con la collaborazione della Dott.ssa Antinisca Sammarchi)

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mancato pagamento del mantenimento per i figli

“Mio marito non paga il mantenimento per nostra figlia stabilito dal giudice quando ci siamo separati. E’ vero che posso denunciarlo?” (Monica, via mail)

Certo, non pagare gli alimenti per i figli è un reato. Si può presentare, anche direttamente – ma preferibilmente con l’assistenza di un legale di fiducia visto che ci sono molti aspetti tecnici importanti – una querela ai sensi dell’art. 570 cod. pen. per violazione degli obblighi in materia di assistenza famigliare.

Per completezza è opportuno precisare che nel nostro ordinamento si distingue tra ‘alimenti’ e ‘mantenimento’, cosa che viene in rilievo nei casi in cui il coniuge non paga del tutto quanto stabilito dal giudice o lo paga solo in parte. Sono alimenti quei mezzi necessari alla mera sopravvivenza, pertanto sono corrisposti solo nella misura in cui la persona che ne ha diritto possa ‘sopravvivere’ (artt. 433 e seguenti cod. civ.). Al contrario, il mantenimento non si limita a coprire la mera sopravvivenza, ma è comprensivo anche di vacanze, divertimenti e così via. Se un padre non paga nemmeno gli alimenti, il suo comportamento è valutato più severamente.

Questo stesso comportamento, del mancato pagamento degli alimenti, oltre che nel penale può essere fatto valere anche civilmente con un ricorso ai sensi dell’art. 709 ter, comma 2, cod. proc. civ. a seguito del quale il genitore inadempiente può essere condannato al risarcimento del danno nei confronti del figlio. I giudici hanno recepito abbastanza bene questa nuova norma e le condanne sono abbastanza frequenti.

Naturalmente, prima di adottare qualsiasi iniziativa è bene valutare preventivamente la solvenza del genitore inadempiente, analogamente a quanto si fa con i recuperi crediti di tipo commerciale, dal momento che è perfettamente inutile munirsi di titoli che poi non si possono far valere concretamente.

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La reversibilità in caso di divorzio.

Dopo il divorzio, spetterà a mia moglie, in caso di mio decesso, la pensione di reversibilità?

Il trattamento di reversibilità spetta:

  • al coniuge, anche se separato o divorziato, a patto che non abbia contratto un nuovo matrimonio. Il coniuge separato con addebito può ottenere la pensione ai superstiti solo se titolare di un assegno alimentare fissato da tribunale a carico del coniuge scomparso. Il divorziato ha diritto al trattamento se titolare di assegno divorziale. Inoltre la data di inizio del rapporto assicurativo del coniuge deceduto deve risultare anteriore alla sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti del matrimonio. Se lo scomparso aveva contratto un nuovo matrimonio dopo il divorzio il diritto al trattamento di reversibilità spetta sia al coniuge superstite e sia quello divorziato (ovviamente con assegno divorzile);

  • ai figli che alla data di scomparsa del genitore siano minori, studenti o inabili o a suo carico (si intendono figli quelli legittimi, legittimati, adottivi, naturali, riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati, nati da precedente matrimonio dell’altro coniuge). I figli aventi diritto al trattamento sono i minorenni, gli studenti fra i 18 e i 21 anni, a carico dello scomparso, che non prestano attività lavorativa, gli universitari per la durata del corso legale di studi (comunque non oltre i 26 anni), sempre a patto che non svolgano attività lavorativa e fossero a carico del genitore. Il diritto spetta anche ai figli inabili con grave infermità fisica o mentale tale da non consentire lo svolgimento di un’attività lavorativa;

  • ai nipoti minorenni che erano a carico della nonna o del nonno scomparso;

  • in mancanza del coniuge, dei figli e dei nipoti il diritto spetta anche ai genitori e, in mancanza di questi, anche ai fratelli celibi o alle sorelle nubili.

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revisione dell’affido dei figli

Sono un padre separato, ho due figli che sono stati affidati alla madre, ho sentito che è entrata in vigore da non molto tempo una legge che prevede che i figli vengano affidati di norma congiuntamente ad entrambi i genitori, posso fare qualcosa per vedere di più i miei figli? (Giacomo Chirchi, via mail).

La legge in questione è la 8 febbraio 2006, n. 54, oramai in vigore da un anno. Questo provvedimento prevede effettivamente che, di norma, i figli debbano essere affidati ad entrambi i genitori e non ad uno solo come accadeva prima, nel 99% dei casi a favore della madre. La stessa legge prevede anche, all’art. 4, il diritto di tutti i genitori la cui separazione o divorzio sono già stati regolati dal Tribunale di chiederne la revisione.

Prima di partire in quarta, tuttavia, è bene esaminare approfonditamente la situazione. L’affido condiviso, nonostante il favore riconosciutogli dalla legge, non è sempre praticabile, bisogna vedere le condizioni in cui si trovano i coniugi e, soprattutto, quelle dei figli. Il Tribunale di Modena, così come gli altri tribunali italiani, nel corso dell’ultimo anno ha applicato piuttosto restrittivamente la nuova legge, dando luogo al condiviso in relativamente pochi casi e in ogni caso dopo valutazioni molto attente, prudenti ed oculate, quasi sempre peraltro condivisibili. Tanto che la nuova legge si è tradotta, in pratica, per lo più in un diverso regime della potestà sui figli, che prima spettava solo al coniuge affidatario, mentre ora spetta ad entrambi, anche se i figli rimangono ugualmente quasi sempre collocati presso la madre. Diciamo che il padre (o il coniuge non affidatario) ha più voce in capitolo, ma ha sempre più o meno le stesse modalità di visita e frequentazione dei figli. Naturalmente ci sono anche casi in cui il condiviso viene realizzato effettivamente, ma appunto dipende dalla situazione concreta.

In primo luogo, è necessario che i due ex-coniugi risiedano abbastanza vicino, perché è ovvio che se uno è rimasto a Modena mentre l’altro magari è andato ad abitare fuori regione un congiunto è materialmente impossibile. Questo tipo di condiviso richiede una collaborazione settimanale tra i genitori separati, ruotanti intorno al luogo che rimane il centro principale di vita del minore. In altri termini, se il figlio va a scuola a Modena, non si può pensare a farlo gestire in congiunto da un genitore che si trova lontano.

In secondo luogo, è necessario che ci sia bassa conflittualità tra i coniugi. Quando ci si separa, si litiga sempre. Nessuno si separa con una stretta di mano e non si tratta mai di una passeggiata. Ci sono coppie che, magari con l’aiuto del validissimo strumento della mediazione famigliare, riescono a prendere atto della rottura e a gestirla civilmente e altre che invece non ci riescono. Questo è un dato di fatto. Un congiunto tra due genitori che litigano tutte le volte che si vedono o anche solo si sentono per telefono, non potrà mai funzionare, perché richiede molta più collaborazione e presenta molte più occasioni di incontro del sistema tradizionale, quando il genitore non affidatario entra in scena solo il fine settimana, magari a settimane alterne. Ottenere un congiunto significa, ad esempio, far portare il bambino a scuola da un genitore e farlo venire a prendere dall’altro, fargli trascorrere il pomeriggio con quest’ultimo e poi di nuovo con l’altro. Quindi, se la conflittualità è alta, la cosa è ingestibile.

Per quanto riguarda le situazioni già regolate da un giudice con un affidamento ad un solo genitore, come nel caso del nostro lettore, farle passare ad un congiunto è ancora più difficile, perché il Tribunale di solito, non senza più di una ragione, considera rispondente all’interesse del minore mantenere le sue abitudini di vita, senza rivoluzionarle solo perché è entrata in vigore una nuova legge. In non pochi casi il un padre ha richiesto, proprio sulle base delle disposizioni della nuova legge, un congiunto, ma il giudice lo ha negato considerando che, sostanzialmente, i minori si trovavano da molti anni presso la madre senza problemi e non era opportuno sradicarli e far cambiare loro completamente abitudini di vita.

Ovviamente, ci sono poi anche dei casi in cui il congiunto rimane indicato ed è effettivamente la soluzione migliore: occorre esaminare la situazione degli ex coniugi e della prole e vedere assolutamente caso per caso. Peraltro, per aumentare i diritti di visita non è assolutamente necessario andare sul congiunto, si può far leva sulla maggiore età e maggior autonomia, anche di giudizio, acquisita dalla prole e richiedere, magari, un diritto più ampio per il fine settimana, un giorno infrasettimanale, più ore in una determinata occasione e così via. Naturalmente, poi, se si ritiene che la propria ex consorte non sia adeguata per la cura della prole si può sempre chiedere l’affidamento esclusivo. Non è vero che i giudici affidano sempre i figli alla madre, certo statisticamente questo tipo di affido è predominante, però ci sono anche le eccezioni che “confermano la regola”